La diga per il vino. I profumi della pineta estiva ,nei miei ricordi,si

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La diga per il vino. I profumi della pineta estiva ,nei miei ricordi,si
La diga per il vino.
I profumi della pineta estiva ,nei miei ricordi,si mischiano al caldo sole dei mesi estivi ed al suono
ricorrente che emetteva nel discendere a valle l’acqua del torrente.
Non poteva esserci luogo di pace migliore nel quale trascorrere sereni pomeriggi estivi per una
famiglia che viveva il resto dell’anno in una rumorosa città padana .
Il refrigerio dell’ombra dei larici,profumi di resina,alberi attorno ai quali ,noi bambini ,potevamo
nasconderci e rincorrerci .Ho sempre pensato che conoscevamo il piacere del trascorrere insieme i
momenti di festa tra amici.
Erano gli anni 70 e le famiglie erano quasi tutte numerose,il nostro paese sembrava essere molto
diverso da quello che mi appare oggi,ma forse ,od anche,erano diversi i miei occhi di bambino che
lo stavano guardando in quei giorni lontani.
Ricordo che tutti arrivavano con le loro auto italiane e cominciavano a tirare fuori dal baule,plaid,
cibo e bevande da condividere con gli altri.
Naturalmente ad un bambino sfuggivano alcuni degli accordi (che invece le mamme avevano fatto
precedentemente) su chi avrebbe portato pane e salumi, chi avrebbe fatto torte salate o dolci,chi
avrebbe acquistato questa o quella cosa.
”Tu Lella porta la torta di noci che ti viene benissimo””Si Cara,d’accordo !Ma tu non ci far mancare
la torta di riso”…
Tra le madri pareva regnare un armonia irreale,tutte con i capelli raccolti o fermati dai cerchietti,a
scambiarsi libri e ricette sulle conserve e sulle torte,tutte bellissime nel loro sferruzzare alle
panchine mentre noi bimbi giocavamo davanti ai loro occhi che non ci perdevano mai di vista.
Ogni tanto qualcuna di loro interrompeva il ripetuto incedere dei ferri da calza per richiamare uno di
noi che si stava allontanando o che si accingeva ad ”attacar brigha” con un coetaneo.
Gli uomini avevano il compito di preparare e approntare l’angolo griglia .Anche chiamato
“Barbecue”:si cominciava con prepararne le basi scegliendo dei sassi squadrati con i quali
costruirne i lati.
Si procedeva la costruzione fino ad arrivare alla posa di una pietra piana e larga,a volte erano
due,che si sarebbero poi scaldate fino a diventare la nostra piastra di cottura per trote,salamelle e
pane abbrustolito con formaggio che vi si fondeva sopra.
Era motivo di orgoglio per i bambini e per me, soprattutto ,collaborare alla raccolta dei sassi e
dimostrare la nostra forza nel portarli al luogo prescelto per il fuoco.
Lasciavamo volentieri il rincorrerci ed il gioco anche per la raccolta di pigne,rami secchi di abete
o di larice che avrebbero iniziato la combustione lenta,rilasciando il calore alla piastra di ardesia.
Lo facevamo volentieri non solo per il piacere di partecipare al lavoro comune ,ma anche ,per la
inevitabile gara che nasceva nel chi trovava più materiale in minor tempo.
In seguito compresi e apprezzai in più occasioni il valore educativo che derivava dal lavoro di
gruppo e dal partecipare a quello che facevano“i grandi”.
Sempre e soprattutto gli uomini portavano dalle loro cantine le bottiglie di vino che più
desideravano bere in compagnia degli amici,ne condividevano assieme il piacere facendo varie
considerazioni in merito alla provenienza e alla struttura del vino.
Io restavo ad ascoltare con innata meraviglia e stupore quei discorsi nei quali mi sarei voluto
addentrare,ne ero attratto,anche per voler affermare il mio desiderio di appartenenza alla cerchia
dei maschi.
Ero affascinato dalla forma delle bottiglie,dai gesti che si compievano nel versare e degustare,dai
nomi di quei vini così diversi tra loro,alcuni simili a piante alcuni a dolci,alcuni a nomi di donne.
Qualcuno di loro si rivolgeva a me guardandomi dall’alto delle mie bretelle a sostenere dei
pantaloni corti di velluto, dicendomi:”Sei sempre qui ad ascoltarci eh?”
Partecipavo da bambino sia io che i miei fratelli al rito dell’imbottigliamento che spesso i nostri
padri facevano ritrovandosi assieme.
I nostri padri partivano insieme per acquistare damigiane dai produttori e risparmiare qualche soldo
sul vino “di tutti i giorni”:era una festa il viaggio per recarsi alla cantina,aiutarsi l’un l’altro
nell’imbottigliare e stappare,poi, in compagnia le bottiglie.
Ma una delle cose alle quale io non mi sarei mai sottratto,anzi ,non vedevo l’ora che me lo
chiedessero, era quella di costruire la diga con i sassi nel torrente.
Di torrenti io ero esperto perché già a dieci anni mi ci recavo, tutte le volte che potevo ,a pesca di
trote.
Ed esperti eravamo io e mia sorella nel costruire dighe per gioco che deviavano di poco il corso del
fiume, creando piccole anse di acqua tranquilla tra l’impetuosa corrente.
Ma in questo caso il gioco prendeva altra forma,diventava un opera di architettura necessaria per
tutto il gruppo:una piccola diga che avrebbe contenuto e rinfrescato la merenda del pomeriggio(la
Cocomera),ed il vino che avrebbe rimescolato le chiacchiere ed i sorrisi dei nostri padri e madri.
Quell’opera era necessaria soprattutto per il vino bianco,quello che aveva portato mio padre e che
si sarebbe bevuto mangiando le trote al cartoccio sulla piastra:quelle trote che io avevo pescato.
La diga di sassi che permetteva a quel vino di rinfrescarsi con lo scorrere lento del torrente tra le
bottiglie,era il nostro modo di partecipare con un gesto al mondo dei “grandi” e ci rendeva
orgogliosi.
Le bottiglie dei vari vini,immerse nel torrente , sembravano emulare il colore dei sassi di granito
levigati dal tempo,che giacevano sul greto.
Nel ripensare a quell’immagine vedo la mia famiglia,il vino e il torrente come un tutt’uno,creato
appositamente per far parte di quella meravigliosa natura che ci circondava.
E ancora oggi, nel bere il vino versato da un bottiglia che esce da un ruscello di montagna ,mi
trovo a provare le stesse -meravigliose sensazioni :ed un bouquet di serenità mi invade.