diritto tributario - Ordine Avvocati Milano
Transcript
diritto tributario - Ordine Avvocati Milano
DIRITTO TRIBUTARIO NOTIZIARIO La nuova normativa in materia di rappresentanza fiscale dei soggetti non residenti Il d.lgs. 19 giugno 2002, n. 191, pubblicato nella G.U. del 30 agosto 2002, n. 203, ha riformulato i commi 2 e 3 dell'art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed ha introdotto, nel corpus dello stesso decreto, il disposto dell'art. 35-ter. L'intervento è stato congegnato per recepire, nell'ordinamento italiano, la direttiva comunitaria 2000/65/CE, del 17 ottobre 2000, con cui il Consiglio dell'Unione Europea ha sostituito l'art. 21 della direttiva 77/388/CEE su invito della Commissione ad avviso della quale «l'unica modifica che» avrebbe potuto «effettivamente semplificare significativamente il regime comune IVA in generale e la determinazione del debitore dell'imposta in particolare», sarebbe consistita «nel sopprimere qualsiasi facoltà per gli Stati membri di rendere obbligatoria la designazione di un rappresentante fiscale». Il regime previgente. La norma di cui all'art. 17, comma 2, del richiamato d.P.R. 633/72, nel suo testo in vigore prima della riforma in commento, statuiva che «gli obblighi ed i diritti derivanti dall'applicazione del presente decreto relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, da un rappresentante residente nel territorio dello Stato». Al comma 3 dello stesso articolo si leggeva, inoltre, che «in mancanza di un rappresentante nominato ai sensi del comma precedente, gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti residenti all'estero, nonché gli obblighi relativi alle prestazioni di servizi di cui al n. 2) dell'art. 3, rese da soggetti residenti all'estero a soggetti residenti nello Stato, devono essere adempiuti dai cessionari o committenti che acquistino i beni e utilizzino i servizi nell'esercizio di imprese, arti, o professioni». Dal combinato disposto delle citate previsioni poteva, dunque, dedursi che la nomina del rappresentante fiscale riguardasse solo soggetti passivi di imposta stranieri, non dotati di stabile organizzazione nel territorio dello Stato e che la nomina medesima fosse meramente facoltativa. Qualora, infatti, il soggetto non residente fosse risultato sprovvisto di rappresentante fiscale o di stabile organizzazione in Italia, gli obblighi formali e contabili imposti dalla normativa IVA sarebbero caduti sul destinatario della cessione o della prestazione di servizio per effetto del meccanismo della c.d. «inversione contabile». Tuttavia, l'amministrazione finanziaria (1) e parte della dottrina (2), ritenevano che il principio della facoltatività della nomina presentasse delle eccezioni e, quindi, che in alcuni casi fosse obbligatorio, per il soggetto passivo estero operante in Italia, individuare un rappresentante fiscale. In particolare, la necessità si configurava, secondo le predette tesi, laddove le cessioni di beni o le prestazioni di servizi imponibili venivano rese nei confronti di privati, vale a dire soggetti non dotati di una propria posizione ai fini IVA. In tal modo, si evitava un ingiustificato «salto d'imposta» e una discriminazione degli operatori nazionali in favore di quelli esteri. Altri casi in cui la nomina del rappresentante fiscale si appalesava obbligatoria riguardavano alcune operazioni intracomunitarie e precisamente le cessioni in base a cataloghi o per corrispondenza, per le quali l'art. 44, comma 4, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, prevede che «gli obblighi e i diritti derivanti dall'applicazione dell'imposta devono essere adempiuti o esercitati da un rappresentante fiscale nominato ai sensi dell'art. 17, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633». La nuova disciplina. Per effetto della riforma introdotta, l'art. 17, comma 2, del d.P.R. 633/72, nel suo testo attuale, così prescrive: «gli obblighi e i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato o nei confronti di soggetti non residenti, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell'art. 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dall'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441. […] La nomina del rappresentante è obbligatoria qualora il soggetto non residente, che non si sia identificato direttamente ai sensi dell'articolo 35-ter, effettui nel territorio dello Stato cessioni di beni o prestazioni di servizi soggette all'imposta sul valore aggiunto nei confronti dei cessionari o committenti che non agiscono nell'esercizio di imprese, arti o professioni». È stato, peraltro, confermato il meccanismo dell'inversione contabile nei casi in cui i non residenti non pongano in essere operazioni imponibili nei confronti di un soggetto passivo d'imposta italiano e «non si siano identificati ai sensi dell'articolo 35-ter, né abbiano nominato un rappresentante fiscale [...]». Siffatta nomina è divenuta, quindi, un adempimento del tutto facoltativo, atteso che, gli operatori economici stranieri possono assolvere i doveri ed esercitare i diritti che derivano dalla normativa IVA interna direttamente, inoltrando all'Ufficio compentente (3) apposita domanda recante le indicazioni di cui all'art. 35-ter. Recepita tale istanza, ai sensi del disposto di cui al comma 3 dell'art. 35-ter, «l'ufficio attribuisce al richiedente un numero di partita IVA, in cui sia evidenziata anche la natura di soggetto non residente». Pertanto, conformemente all'intento del legislatore comunitario che nel preambolo della direttiva 2000/65/E, osservava che «occorre che la designazione di un rappresentante fiscale sia d'ora in poi soltanto facoltativa per i soggetti non residenti», anche gli operatori stranieri potranno dotarsi di partita IVA italiana ed esercitare i diritti, così come adempiere gli obblighi, prescritti dal d.P.R. 633/72. Per quelli comunitari, si avrà, in particolare, una sostanziale duplicazione della soggettività d'imposta. «L'identificazione presso l'amministrazione estera del soggetto passivo non residente», infatti, «determina la nascita di uno status di ``assoggettamento'' ad IVA anche nello Stato estero, con i dipendenti obblighi (ad esempio, emissione della fattura, registrazione, versamento periodico del tributo, presentazione della dichiarazione annuale IVA) ed i relativi diritti dipendenti, in primo luogo il diritto alla detrazione dell'imposta interna del Paese estero, ivi assolta sugli acquisti di beni e sulle prestazioni di servizi» (4). In due casi, tuttavia, la nomina del rappresentante fiscale rimane obbligatoria anche dopo l'introduzione della nuova disciplina. Innanzitutto, allorquando il soggetto estero, sprovvisto di stabile organizzazione nel territorio dello Stato e non «riconosciuto» ai fini IVA ex art. 35-ter, realizzi operazioni imponibili cedendo a soggetti privati beni o servizi. In secondo luogo, nell'ipotesi contemplata al punto 7) del preambolo della direttiva 2000/65/CE ove è previsto che «gli Stati membri possano continuare ad imporre ai soggetti passivi non residenti, cittadini di paesi con i quali non esistano strumenti giuridici che disciplinino la reciproca assistenza, analogamente a quanto previsto all'interno della Comunità, l'obbligo di designare un rappresentante fiscale debitore dell'imposta al posto del soggetto passivo non residente o un mandatario», in particolar modo qualora quest'ultimo ceda beni o offra prestazioni di servizi a privati (5). (a cura dell'avv. Massimiliano Nicodemo e del dott. Alessandro Galante) (1) Si vedano R.M. 4 marzo 1995, n. 47/E secondo la quale «per gli adempimenti fiscali la ditta straniera, ove non abbia uno stabile organizzazione in Italia, può procedere alla nomina di un rappresentante fiscale che si rende obbligatoria qualora il committente sia un privato consumatore, cioè un soggetto che non agisce nell'esercizio di impresa, arte o professione» e, conformemente, C.M. 23 febbraio 1994, n. 13. Tuttavia, secondo altra dottrina, queste disposizioni non concernevano l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale anche per operatori extra comunitari, posto che erano state pronunciate in relazione alle operazioni comunitarie, cfr. Tesauro, L'imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001. (2) Carpentieri, Prestazioni di servizi in Italia da soggetti non residenti: è sempre facoltativa la nomina del rappresentante fiscale?, in Riv. dir. trib., 1998, II, p. 204. (3) Con provvedimento del 7 agosto 2002 del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, pubblicato in G.U. n. 200 del 27 agosto 2002, è stato indicato come competente l'Ufficio di Roma 6. (4) P. Centore, Iva Comunitaria, Ipsoa, 2001, p. 211. (5) Non è possibile, infatti, nella situazione indicata, avvalersi dell'identificazione diretta, stante il disposto dell'art. 35-ter, comma 5, ai sensi del quale il nuovo strumento è fruibile solamente dai non residenti che «esercitano attività di impresa, arte o professione in altro Stato membro della Comunità o paese terzo con il quale esistano strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione diretta [...]. Erronee segnalazioni alla centrale rischi e lesione del diritto alla libera iniziativa economica: la responsabilità della banca Una recente ordinanza emessa dal Tribunale di Salerno (1) ha riproposto il tema della tutela della posizione dell'utente bancario in relazione alle segnalazioni che gli istituti di credito e gli intermediari effettuano alla Banca d'Italia (2), incaricata del c.d. servizio di centralizzazione dei rischi creditizi, noto come Centrale dei rischi (3). Attraverso la consultazione di tale banca dati, i singoli operatori del settore sono in grado di conoscere le posizioni debitorie che i clienti hanno nei confronti di altri istituti, accedendo alle informazioni «(...) necessarie per il contenimento dei rischi derivanti dal cumulo degli affidamenti in capo ad un medesimo soggetto» (4). Lo scopo è quello di «(...) contribuire a migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti al servizio, fornendo agli stessi un'informativa utile, anche se non esaustiva, per la valutazione del merito di credito della clientela, e, in generale, per l'analisi e la gestione del rischio creditizio (5)». Tale servizio, dunque, appare evidentemente ispirato da uno scopo meritevole, in ottemperanza al disposto di cui all'art. 47 Cost., che sancisce il ruolo fondamentale della Repubblica nella tutela di tutte le forme di risparmio e nella disciplina, coordinamento e controllo dell'esercizio del credito. Si pone, però, anche in tal caso, un'evidente esigenza di coordinamento tra i principi sopradescritti e il diritto soggettivo del singolo utente bancario legato alla diffusione di dati relativi alla sua posizione e situazione economico-finanziaria. L'ordinanza citata prende in considerazione, l'aspetto _ di fondamentale importanza _ relativo ai presupposti per la segnalazione alla centrale rischi, nonché quello riguardante gli effetti prodotti dall'errata segnalazione e la conseguente responsabilità del soggetto responsabile. La prima questione rappresenta un vero e proprio nodo cruciale. Al riguardo, viene in soccorso la regolamentazione dettata dalla Banca centrale, che prevede l'obbligatorietà della segnalazione in una serie di casi, tra i quali figurano la richiesta di crediti, diretti o fideiussori, il rilascio di garanzie personali per importi pari o superiori ad € 77.469,00 (150 milioni di lire), nonché altre operazioni per il medesimo importo (6). Qualora, inoltre, il cliente si trovi in una situazione di sofferenza, la posizione è in ogni caso segnalata, a prescindere dall'importo del credito (7). Il cap. II, sez. I, par. 5 della fonte sopraccitata specifica che «nell'ambito della categoria di censimento sofferenza devono essere segnalati tutti i crediti per cassa in essere nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni equiparabili, indipendentemente dall'esistenza di garanzie o dalla previsione di perdite» e che «l'apposizione a sofferenza implica, pertanto, una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire da un mero ritardo di quest'ultimo nel servizio di pagamento del debito». Sulla base di tale disposizione, il Tribunale di Salerno ha indicato il presupposto della segnalazione per sofferenza in quella situazione per cui il debitore venga a trovarsi in uno stato di insolvenza, inteso come «incapacità a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, secondo il significato del concetto elaborato in relazione all'art. 5, legge fallimentare, ovvero anche in una situazione che, in considerazione della liquidità del soggetto, delle sue condizioni finanziarie complessive, della sua capacità produttiva e/o reddituale, della situazione contingente del mercato in cui opera, dell'importo del credito accordato, dell'ammontare complessivo del credito ottenuto dal sistema creditizio e/o finanziario ovvero di altri dati indicativi, induca a ritenere la riscossione del credito ``a rischio'', ossia dalle probabilità di successo non elevate». L'ordinanza in commento, specifica che «se è vero che le banche sono tenute a segnalare posizioni ``a rischio'', le stesse, tuttavia, devono operare una valutazione complessiva sulle condizioni economiche e finanziarie del cliente, e non possono dar rilievo al semplice ritardo nel pagamento di un debito». In sostanza, la banca non può effettuare una segnalazione sulla base, come nel caso di specie, del mancato pagamento di poche rate, ovvero per scoperti di lievi entità, e, comunque, senza operare una attenta valutazione della situazione generale del debitore. A tal proposito, il Tribunale di Brindisi (8) aveva chiarito come non sia corretto «(...) ritenere la segnalazione un fatto automatico», implicando essa, al contrario, «una valutazione della banca in ordine alla insolvenza del cliente, insolvenza che deve essere tale da legittimare l'appostazione del credito a sofferenza». Il concetto espresso chiaramente dalla citata ordinanza è quello in virtù del quale ogni situazione di insolvenza determina l'automatismo della segnalazione, ma è la banca che deve stabilire quando tale situazione si è venuta, in concreto, a determinare. E nel procedere a tale delicata valutazione l'istituto deve, in ossequio ai fondamentali principi di correttezza e buona fede, osservare una «(...) attenta diligenza dell'istruttoria e nella conseguente segnalazione». L'ordinanza specifica, altresì, che il soggetto obbligato alla segnalazione non debba spingersi sino al'accertamento dello stato di decozione dell'impresa, «(...) perché tale nozione attiene la normativa fallimentare ed appartiene alla competenza giurisdizionale, ma indubbiamente la banca deve ancorare la sua valutazione a qualche elemento oggettivo a sua disposizione, elemento che non può essere il mero ritardo nel pagamento o nella sussistenza della pendenza di un giudizio per l'accertamento del credito». La segnalazione alla centrale rischi, infatti, costituisce una sorta di avvertimento agli altri operatori del settore bancario e finanziario a considerare poco affidabile il soggetto segnalato. Qualora questi intrattenga rapporti anche con altri istituti e/o intermediari, alla segnalazione, normalmente, seguono una serie di misure precauzionali messe in atto anche da questi ultimi. Tale effetto moltiplicativo costituisce una delle conseguenze maggiori e non può certo non apparire ingiustificato nell'ipotesi di un'esposizione debitoria inerente o, comunque, di entità e caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente assimilata ad una situazione di effettiva sofferenza. La recentissima ordinanza che qui si commenta ha correttamente posto in rilievo _ accogliendo un orientamento consolidato _ come l'errata segnalazione sia, di per sé, capace di incidere direttamente sul diritto costituzionalmente garantito di libera iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione, nella misura in cui l'effetto moltiplicativo sopra descritto ponga l'imprenditore, in concreto, nell'impossibilità, o nella maggiore difficoltà di accedere agli strumenti di credito necessari per l'esercizio dell'attività economica. Non solo, ma è stato anche osservato (9) che una errata segnalazione possa arrecare un danno anche agli altri istituti creditizi, i quali assumono iniziative nei confronti di un utente ritenuto, a torto, inaffidabile, perdendo, in tal modo, un cliente acquisito o potenziale. Tutto ciò considerato, è evidente che il comportamento negligente del soggetto segnalante vada censurato, si attraverso un provvedimento immediato da parte dell'organo giurisdizionale di cancellazione o rettifica, sia nella forma del risarcimento del danno. In particolare, la giurisprudenza (10) ravvisa la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 700 c.p.c., ed è incline ad accogliere i ricorsi volti ad ottenere la cancellazione o la rettifica dell'errata segnalazione alla Centrale rischi. È, peraltro, il caso di sottolineare come, in tali ipotesi, i giudici ritengano inesistente la responsabilità della Banca d'Italia, in quanto «(...) nella prestazione del servizio c.d. della Centrale rischi», essa «svolge un ruolo di mero esecutore materiale delle segnalazioni ricevute dalle banche e dalle società finanziarie, delle quali non può sindacare la fondatezza (...) (11)». (a cura dell'avv. Massimo Nicodemo e della dott. Sara Petrilli) (1) Ordinanza Tribunale Salerno, sez. dist. di Eboli, 22 aprile 2002, G.I. dott. Catalozzi, in Diritto e pratica della Società, n. 14/15-26 agosto 2002, p. 94 ss., con nota a commento di Guerino Ferri. (2) In materia, cfr. anche Tribunale Roma, 3 novembre 1995; Tribunale Cagliari, 28 novembre 1995; Tribunale Roma, 10 marzo 1998; Tribunale Brindisi (ord.), 20 luglio 1999; Tribunale Alessandria, 20 ottobre 2000; Tribunale Roma 6 marzo 2001. (3) La Centrale dei rischi è stata istituita con delibera 16 maggio 1962 dal Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio ed è disciplinata dalla delibera del medesimo organo del 29 marzo 1994, e dalle norme attuative emanate dalla Banca d'Italia. (4) Banca d'Italia, Centrale dei rischi... Istruzioni per gli intermediari creditizi, cap. I, sez. I, par. 2. (5) Ibidem. (6) Cfr. ivi, cap. II, sez. I, par. 2. (7) Cfr. ibidem. (8) V. nota 2. (9) Cfr. l'ordinanza del Tribunale di Brindisi, cit. (10) Tribunale Cagliari, 28 novembre 1995, cit.; Tribunale Alessandria, 20 ottobre 2000, cit.; Tribunale Salerno, 22 aprile 2002, sez. Eboli, cit. (11) Tribunale Salerno, 22 aprile 2002, sez. Eboli, cit.