Comunità di pratica in pratica
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Comunità di pratica in pratica
teorie Comunità di pratica in pratica di Domenico Lipari e Pietro Valentini Il presente articolo riprende alcuni passaggi dell’introduzione del volume di D. Lipari e P. Valentini, Comunità di pratica in pratica, edizioni Palinsesto, Roma, 2013: propone un approccio originale alla ‘costruzione’, sostegno e cura di comunità di pratica nelle organizzazioni. Domenico Lipari, sociologo, è docente presso l’Università di RomaTre e presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione. È autore di vari saggi e volumi sulle organizzazioni, l’apprendimento organizzativo, le comunità di pratica e le metodologie riflessive Pietro Valentini, sociologo e dottore di ricerca. Come progettista, coordinatore e facilitatore, ha svolto numerose ricerche-intervento in diverse organizzazioni pubbliche e private 40 Le comunità di pratica sono quelle reti relazionali che gli individui sviluppano quando si confrontano attorno ai problemi delle loro pratiche di lavoro cercando e condividendo soluzioni efficaci. In che modo le comunità di pratica favoriscono l’apprendimento nei contesti lavorativi? Come le comunità di pratica possono costituire una risorsa per le politiche formative? Quali accorgimenti metodologici è possibile utilizzare concretamente nell’ottica di favorire nelle organizzazioni lo sviluppo di comunità di pratica? Come valorizzare la conoscenza prodotta in queste relazioni? Tutti apprendiamo sempre dalle nostre esperienze di vita, anche se non sempre ne siamo consapevoli. Apprendiamo soprattutto attraverso una varietà di azioni e condizioni che si collocano sicuramente ‘oltre l’aula’, oltre i setting appositamente strutturati per la formazione. Apprendiamo individualmente, ma anche attraverso il confronto con persone che sanno rispondere alle nostre domande o con le quali condividiamo un bisogno di conoscenza che ci porta a ricercare insieme risposte sensate, efficaci e utili nella pratica. Le nostre pratiche evolvono, e migliorano, anche attraverso il continuo riferimento alle pratiche di altri soggetti. L’insieme degli scambi che gli individui sviluppano attorno ai problemi delle loro pratiche allo scopo di trovare soluzioni soddisfacenti configura reticoli relazionali che possiamo definire comunità di pratica. Comunità di pratica La comunità di pratica è un dispositivo sociale di apprendimento. È l’effetto visibile di reciproci avvicinamenti di individualità diverse che ragionano su esperienze soggettive legate a un tema (o a un problema) collettivamente identificato allo scopo di cercare soluzioni praticabili. L’avvicinamento nasce dall’esigenza di cooperare per risolvere questioni relative ad attività lavorative prive di risposte codificate, complete e soddisfacenti. L’individuazione e la soluzione collaborativa dei problemi facilita l’apprendimento dall’esperienza e lo sviluppo di nuove conoscenze. Da questo punto di vista, le comunità di pratica sono attorno a noi. Ne facciamo parte, o ne abbiamo fatto parte in passato. Differenze tra comunità di pratica Esistono tipi diversi di comunità di pratica e tre aspetti, tra loro interrelati, consentono di osservarne le principali differenze: definizione del campo tematico, strutturazione dell’impegno reciproco, capacità di incrementare un repertorio condiviso di nuove conoscenze. Ci sono comunità di pratica vicine alla fine del loro ciclo di vita perché il campo tematico può apparire ai partecipanti sufficientemente esplorato o comunque poco problematico. In altre situazioni, i componenti della comunità mantengono relazioni amicali, reciprocamente grati dell’esperienza vissuta ma non più orientati a incrementare le conoscenze attorno a un interesse comune e dunque, dal punto di vista dell’apprendimento delle pratiche professionali, la loro comunità di pratica si è sciolta. Esistono poi comunità di pratica i cui partecipanti sentono un forte impegno reciproco rispetto al PERSONE&CONOSCENZE N.93 campo tematico comune e che accettano di organizzarsi in modo più strutturato. E altre in cui l’impegno è distribuito meno omogeneamente. Infine, ci sono comunità in cui i partecipanti assistono a progressi positivi rispetto ai loro bisogni formativi sul campo tematico di loro interesse e altre che invece sembrano produrre pochi stimoli all’apprendimento. È chiaro che, nella misura in cui permane interesse a un tema specifico, i soggetti che non ‘vedono’ risultati utili nello stare insieme cercheranno altre relazioni, mentre i legami e l’impegno reciproco si rafforzano nel caso delle comunità in cui i soggetti sentono di fare ‘passi di apprendimento’ rilevanti. È piuttosto frequente che nelle organizzazioni si sviluppino tra le persone fenomeni informali di collaborazione e condivisione dell’esperienza assimilabili alla comunità di pratica; ciò avviene soprattutto quando gli attori avvertono la necessità di confrontarsi su problemi concreti del lavoro, di scambiare conoscenze e condividere riferimenti che consentano di migliorare la loro pratica. Le persone, nel momento in cui svolgono i loro compiti di lavoro (in genere molto più complessi di quanto formalizzato nei protocolli e nelle prescrizioni dell’organizzazione) si rendono conto dei limiti, dal punto di vista del bagaglio di conoscenze contestualmente utilizzabili, della formazione che precede il loro ingresso nel mondo lavorativo e, al tempo stesso, prendono coscienza del valore formativo dell’esperienza sul campo. È proprio sul terreno dell’apprendimento attraverso l’esperienza che le comunità di pratica mostrano la loro forza e la loro utilità. Verificare la praticabilità delle soluzioni A chi si rivolgono gli attori quando, nel concreto esercizio dell’attività lavorativa, si trovano davanti a difficoltà impreviste e a problemi rispetto ai quali hanno bisogno di risposte e soluzioni soddisfacenti e, soprattutto, con chi si confrontano per verificare la praticabilità e l’effettiva efficacia delle soluzioni adottate? Non trovando alcuna risposta all’interno delle astratte prescrizioni formali che descrivono compiti e mansioni si rivolgono ai loro colleghi, sia a quelli di pari livello di esperienza e anzianità sia a quelli più esperti. Ci sono almeno due tipi di situazioni in cui le comunità trovano un terreno particolarmente fertile. La prima è quella in cui i professionisti si muovono in campi nuovi nei quali, anche dopo una eventuale formazione ad hoc, ancora non dispongono di risposte affidabili e soddisfacenti; quindi hanno bisogno di apprendere attraverso l’agire, elaborando, provando e verificando i saperi necessari a migliorare le pratiche. In questi casi i professionisti sono chiamati a esplorare, sperimentare e strutturare nuove stilizzazioni dell’azione professionale. La seconda situazione è quella in cui i novizi, dopo un eventuale periodo formativo iniziale, sono introdotti in un campo di attività ampiamente esplorato dai professionisti esperti, ma caratterizzato da modalità di lavoro poco formalizzate, quasi date per scontate. In entrambi i casi, tanto ai professionisti esperti quanto ai novizi, è implicitamente richiesto uno sforzo proattivo finalizzato alla loro auto-formazione sul campo. Ed è molto probabile, se la cultura organizzativa in cui si muovono non è improntata a una eccessiva competizione interna, che chi percepisce un bisogno di miglioramento ricerchi volontariamente i colleghi ai quali fare riferimento per apprendere: attraverso il confronto (nel caso dei professionisti esperti) e attraverso l’imitazione intelligente (nel caso dei novizi). Promuovere l’apprendimento organizzativo Quali vantaggi avrebbero le organizzazioni a non lasciare al caso, come spesso avviene, la formazione sul campo dei soggetti in situazioni analoghe a quelle qui sommariamente descritte? Perché le organizzazioni dovrebbero rendersi disponibili a supportare coloro che provano a tessere comunità di pratica attorno ai loro bisogni di apprendimento? Per conseguire risultati concreti sul terreno dello sviluppo delle conoscenze di un’organizzazione non è consigliabile ricorrere esclusivamente ai corsi tradizionali di formazione continua. Le conoscenze che nascono all’interno di una realtà organizzativa sono esclusive, specialistiche, situate e pertinenti a quel determinato contesto e per questo può essere molto difficile reperire nel mercato esterno della formazione esperti le cui competenze e attività didattiche siano efficacemente allineate, connesse a −e ‘sincronizzate’ con− necessità specifiche e uniche di crescita formativa. Inoltre, è molto difficile trasferire, ricontestualizzare e rimodulare nell’organizzazione di appartenenza quanto acquisito attraverso gli interventi formativi. Da questo punto di vista le comunità di pratica che nascono e si sviluppano in situazione possono rappresentare una risorsa decisi- PERSONE&CONOSCENZE N.93 41 va per le organizzazioni. I processi di apprendimento che in esse si producono possono essere vantaggiosamente supportati dalle organizzazioni a patto di evitare azioni che depotenzino la dimensione informale che li caratterizza. Nelle organizzazioni, i responsabili della formazione sono (o dovrebbero essere) i responsabili dell’apprendimento organizzativo. E poiché la promozione di quest’ultimo passa anche attraverso la valorizzazione delle dinamiche relazionali informali che incessantemente si sviluppano attorno alle pratiche di lavoro, risulta agevole comprendere come l’attività di accompagnamento e cura di tali dinamiche possa diventare un potente veicolo di stimolo e promozione di processi di apprendimento utili all’organizzazione e pertinenti rispetto alle sue esigenze. Aiutare determinati gruppi di attori interessati a riflettere sulle loro attività, ad apprendere a partire dall’analisi delle loro esperienze e a generare per questa via conoscenze innovative significa promuovere effettivamente l’apprendimento organizzativo. L’aiuto che le organizzazioni potrebbero offrire ai soggetti che si impegnano ad attivare comunità di pratica prevede diverse modalità di intervento tutte egualmente sostenibili dal punto di vista economico. La legittimazione da parte dei vertici organizzativi delle risposte trovate dai soggetti nel loro percorso di apprendimento (ma anche l’ascolto intelligente delle domande da loro sollevate), è già di per sé un potente feedback che consente alle comunità di rafforzarsi. Inoltre, rendere disponibili spazi, strumenti e facilitazioni che garantiscano la possibilità di riunirsi anche fuori dall’orario di lavoro, può rappresentare un supporto fondamentale per le comunità di pratica. I vantaggi che le organizzazioni possono ricavare da una politica attiva che incoraggi la creazione e lo sviluppo di comunità di pratica sono molteplici. I più evidenti riguardano quelle organizzazioni che, trovandosi in ambienti esposti e predisposti al cambiamento, hanno necessità che i loro collaboratori, in particolare quelli che ricoprono ruoli chiave, acquisiscano conoscenze non solo aggiornate ma anche capaci di rappresentare il futuro. In questo caso tutti i tipi di promozione e sostegno dell’apprendimento continuo sono determinanti. Creare conoscenza per sviluppare competenze Nei contesti professionali in cui si ‘crea conoscenza’ e che richiedono la ricerca continua di nuove soluzioni a problemi imprevisti e imprevedibili, l’apprendimento 42 PERSONE&CONOSCENZE N.93 autoreferenziale può comportare il rischio della demotivazione individuale o della ‘resistenza passiva collettiva’ alla crescita delle competenze organizzative. Quando l’apprendimento sul campo è lasciato al caso o all’iniziativa dei singoli non è detto che le risposte e i modelli di riferimento adottati siano quelli che aumentano, ad esempio, la qualità dei servizi, o che garantiscono la massima resa e la minima spesa per l’organizzazione. Da questo punto di vista, le occasioni di visibilità fornite dall’organizzazione all’attività e ai risultati dei soggetti che intendono migliorare rispetto ai campi tematici prescelti consentono anche di legittimare le (e dare risonanza alle) risposte ritenute più valide. Favorire la visibilità non solo delle attività ma anche dei risultati via via raggiunti dalle comunità, consente inoltre alle organizzazioni un migliore inserimento dei novizi che sapranno come orientarsi nell’apprendimento sul campo perché hanno avuto modo di conoscere i soggetti esperti, le tematiche approfondite e i risultati raggiunti. Un altro vantaggio, meno evidente ma certamente molto importante, è costituito dal fatto che il sostegno alle comunità affina la progettazione della formazione d’aula e garantisce una maggior resa degli investimenti formativi. Le comunità di pratica, lavorando attorno al loro campo tematico, riescono a individuare le questioni su cui può essere utile cercare fonti esterne per l’apprendimento e, da questo punto di vista, realizzano una vera e propria analisi dei bisogni formativi dei singoli e dell’organizzazione. I malintesi sulle comunità di pratica A questo punto possiamo fare chiarezza su due tra i più frequenti malintesi che solitamente accompagnano la riflessione sulle comunità di pratica e sulla loro utilità per la formazione. In primo luogo, l’enfasi sul potenziale di apprendimento delle comunità di pratica non equivale a sostenere una sorta di autarchia formativa (o a sottolineare l’inefficacia di altre modalità di apprendimento). Al contrario, l’autonomia della comunità di pratica è di fatto autoformazione solo se i suoi membri sono consapevoli dei limiti del loro apprendimento autogestito e soprattutto se sono in grado di identificare di volta in volta bisogni formativi da soddisfare anche mediante il confronto con esperti esterni individuati tra gli specialisti del loro campo tematico con i quali approfondire questioni irrisolte o esplorare nuovi contenuti. Questo punto di vista mette in evidenza come le comunità di pratica possano accrescere l’utilità e il rendimento dell’investimento in formazione. Inoltre, su un piano più specificamente tecnico, l’uso di approcci basati sulla promozione di comunità di pratica può aiutare i responsabili della formazione a svolgere analisi dei bisogni accurate e pertinenti al contesto, a identificare i temi rilevanti delle attività, a favorire la rielaborazione attiva e la contestualizzazione dei contenuti della formazione tradizionale e, soprattutto, rappresenta una metodologia formativa capace di stimolare e motivare la partecipazione alle attività che consentono l’apprendimento organizzativo. In secondo luogo, la promozione delle comunità di pratica non si pone affatto nell’ottica di gestire e controllare i processi di comunicazione informale che avvengono spontaneamente nelle organizzazioni e chi pensasse di utilizzarle a questo scopo sarebbe del tutto fuori strada; come è noto le organizzazioni non hanno alcuna capacità di controllare tutti i processi di comunicazione informale che si sviluppano al loro interno e anche se perseguissero caparbiamente questo scopo gli individui inventerebbero comunque nuovi canali informali per le loro interazioni. La necessità insopprimibile per gli esseri umani di comunicare al di là delle prescrizioni e delle regole ufficiali si configura, nelle realtà organizzate, come bisogno di affrontare questioni di cui spesso i protocolli formali ignorano l’esistenza. Tra i processi di comunicazione informale che caratterizzano la vita quotidiana delle organizzazioni spiccano quelli attraverso cui i soggetti si relazionano autonomamente per migliorare le proprie competenze rispetto alle pratiche lavorative che li vedono impegnati. Tali processi generano reticoli locali di scambio di saperi acquisiti sul campo e ‘cristallizzati’ in repertori non scritti che possono costituire patrimoni preziosi di conoscenze tanto per gli individui quanto per l’organizzazione. Ma una simile dinamica virtuosa non è scontata, né ha luogo sempre e, inoltre, le pratiche autonome di apprendimento possono portare a risultati con effetti non necessariamente positivi per gli stessi protagonisti, per i loro colleghi e per l’organizzazione nel suo insieme. Nelle organizzazioni i soggetti possono anche apprendere modalità elusive ed esclusive di svolgimento del lavoro, di interpretazione del proprio ruolo e di gioco del proprio margine di potere nelle relazioni interpersonali. Curare e sostenere l’apprendimento informale In questo quadro problematico dunque, la domanda a cui la pratica di cura delle comunità intende fornire un contributo concreto non è se le organizzazioni possano arrivare a controllare in modo capillare e pervasivo la comunicazione informale (e, come si è visto, la risposta è negativa), ma se oggi siano in grado di non disperdere, ma, al contrario, di favorire il processo di apprendimento di chi, dato il suo coinvolgimento concreto nelle pratiche (e nei problemi che esse quotidianamente ge- nerano), voglia padroneggiarne le criticità allo scopo di accrescere l’efficacia e l’efficienza del suo agire. L’attenzione alla cura delle comunità di pratica nelle organizzazioni cerca di dare una risposta tangibile a questa domanda ponendosi come opportunità per l’organizzazione che voglia promuovere realmente l’apprendimento continuo al suo interno. Allora la promozione, il sostegno e la cura delle comunità di pratica di cui si occupa il presente volume diventano da questo punto di vista una delle prospettive metodologiche più promettenti tra quelle disponibili per quanti vogliano favorire lo sviluppo delle competenze nelle organizzazioni in un’ottica che vada oltre la logica delle pratiche formative tradizionali. Il volume è articolato in due parti. La prima presenta i fondamenti teorici del costrutto concettuale ‘comunità di pratica’ e descrive la sua traiettoria da schema interpretativo a modello d’intervento soffermandosi in particolare su alcune prospettive metodologiche in uso per poi delineare i tratti generali di un approccio orientato alla cura delle comunità di pratica. La seconda parte propone e illustra la prospettiva di metodo basata sulla cura della comunità di pratica; tale prospettiva, presentata nei suoi dettagli metodologici, si basa su una molteplicità di esperienze condotte dagli autori in una varietà di contesti. Il volume, e in particolare la sua parte metodologica, non intende proporsi come un metodo prescrittivo, ma come un punto di riferimento utile a comprendere cosa significa lavorare ‘nella pratica’ alle comunità di pratica. E con questo spirito di servizio intende rivolgersi essenzialmente agli studenti, ai formatori, ai responsabili delle politiche formative che operano nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche e a quanti siano interessati a sviluppare competenze specialistiche in campo formativo basate su metodologie riflessive. PERSONE&CONOSCENZE N.93 43