Sintesi I ragazzi del millennio

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Sintesi I ragazzi del millennio
I RAGAZZI DEL MILLENNIO.
Una ricerca sulle attività extrascolastiche a Torino della Fondazione per la Scuola
della Compagnia di San Paolo
PERCHÉ LA FONDAZIONE PER LA SCUOLA HA PENSATO AD UNA RICERCA SUI GIOVANI TORINESI E SULLE
LORO ESPERIENZE AL DI FUORI DELLA SCUOLA?
Il profondo scollamento tra l’esperienza vissuta in classe dagli studenti e la realtà oltre le mura
scolastiche è un vissuto che già le indagini IARD sui giovani avevano messo in evidenza.
È ancora così o qualcosa sta cambiando? Questa la principale domanda conoscitiva che la
Fondazione per la Scuola si è posta quando ha deciso di avviare una indagine sulla Città di Torino e
in particolare in due quartieri – Santa Rita e Barriera di Milano – tra loro molto differenti per
composizione sociale e problematiche di territorio.
Ci si è chiesti se l’interazione tra scuola ed extrascuola sia foriera di benefici per l’educazione delle
giovani generazioni. E soprattutto se essa favorisca la prevenzione del fenomeno della dispersione
scolastica, nell’integrazione culturale dei minori stranieri e di seconda generazione, nel sostegno a
studenti con difficoltà di apprendimento.
Non è un caso se il “Provaci ancora SAM!”, che vede una stretta collaborazione tra Compagnia di
San Paolo, Fondazione per la Scuola, Ufficio Pio, Comune di Torino e USR Piemonte, si fondi
sull’idea che non può esistere una scuola equa, che promuova davvero, capace di arginare la
dispersione scolastica senza un dialogo costante e una collaborazione reciproca tra scuola ed
extrascuola.
Ma il non formale (famiglia, enti locali, associazionismo, privato sociale, comunità religiose, mondo
del lavoro) può essere un alleato della scuola? Quella storica diffidenza tra i due mondi è stata
superata? Sono state attivate delle connessioni nel territorio? E quali esiti si raccolgono quando
l’integrazione funziona?
Insieme ai ricercatori autori del volume e alla supervisione scientifica dei Prof.ri Giorgio Chiosso e
Franco Garelli, abbiamo provato a rispondere a queste domande, le cui risposte sono
sinteticamente presentate nelle pagine che seguono.
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LA RICERCA
Nel 2014 è stato indagato il ruolo dell’extra scuola nel sistema educativo di due quartieri torinesi,
Barriera di Milano e Santa Rita. Obiettivo dello studio era quello di verificare come di fronte alla
crisi delle due agenzie educative tradizionali, la scuola e la famiglia, associazioni, gruppi e
movimenti sul territorio si siano fatte carico di parte dei percorsi educativi di bambini e ragazzi.
Perché Torino?
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·
·
Le politiche giovanili in Italia sono nate proprio a Torino
Il terzo settore è da sempre stato importante nel tessuto cittadino, come testimoniano le
numerose associazioni legate alle due grandi subculture di massa dell’Italia del dopoguerra,
cattolica e comunista.
Da sempre è una “città laboratorio” che spesso anticipa le tendenze nazionali, oggi per
esempio è una delle città italiane con maggior presenza di giovani “figli dell’immigrazione”,
la cui inclusione è una delle sfide più rilevanti lanciate al sistema educativo italiano.
Santa Rita e Barriera di Milano due “mondi” a pochi km di distanza
Barriera di Milano è tradizionalmente un quartiere operaio ed una delle aree di maggior disagio
economico e sociale a Torino. Si tratta di un quartiere in cui si è concentrato l’arrivo della recente
ondata migratoria proveniente da paesi extracomunitari e dall’Europa orientale. Infine è un
quartiere in cui la città di Torino e la Regione Piemonte hanno investito avviando il progetto Urban
Barriera, finanziato attraverso i fondi europei FESR per la riqualificazione del quartiere. Dal punto
di vista demografico si tratta di un quartiere collocato amministrativamente nella circoscrizione (la
sesta) con la quota più alta di giovani nel territorio metropolitano torinese.
Santa Rita è un quartiere in cui prevale una popolazione di classe media, tendenzialmente
anziana, in cui si contano pochi stranieri. Si tratta inoltre di un quartiere inserito all’interno di una
Circoscrizione (la seconda) tradizionalmente molto attiva nelle politiche giovanili, ma in cui
anagraficamente i giovani sono sempre meno.
TAB. 1 – CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE DEI DUE QUARTIERI A CONFRONTO
Area
Circoscrizione 2
Quartieri
Santa Rita
Mirafiori Nord
% di giovani (13-19)
% di giovani (13-29)
% stranieri
Fonte: Censimento 2013
5,2
13,8
9,3
Circoscrizione 6
Barriera di Milano
Barca
Bertolla
Falchera
Rebaudengo
Regio Parco
Villaretto
6
16,4
23
Torino
Tutti
5,4
15,2
15,5
2
All’interno delle due circoscrizione sono state mappate tutte le associazioni presenti e rintracciabili
e sono state selezionate quelle che svolgevano attività con adolescenti (13-19 anni) per condurre
una serie di interviste in profondità sia con chi aveva ruoli organizzativi sia con chi operativamente
lavorava con i ragazzi; trattandosi di numero relativamente modesto, si è optato per intervistare
tutte le realtà mappate.
Non solo associazioni
Per rendere più completo il quadro sono stati anche intervistati insegnanti e direttori scolastici in
modo da analizzare la prospettiva sul rapporto tra scuola/extra-scuola e alcuni testimoni
privilegiati esperti di politiche giovanili o della situazione degli adolescenti nei due quartieri.
TAB. 2 – NUMERO TOTALE INTERVISTE REALIZZATE E NUMERO DI ASSOCIAZIONI INTERVISTATE
Tipo di offerta extrascolastica
Associazioni e altre realtà
terzo settore intervistate
Testimoni privilegiati
Insegnanti e direttori scolastici
Totale
religiosa
sportiva/ricreativa
sociale/politico/ambientale
culturale
Totale
Quartiere
Barriera di
Santa Rita
Milano
6
5
11
10
5
7
4
5
26
27
3
2
3
4
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CHI SONO I MILLENIALS TORINESI? LA RAPPRESENTAZIONE DI EDUCATORI ED INSEGNANTI
Pur non intervistando direttamente i ragazzi, è emerso un profilo dei Millennials torinesi dalle
parole di educatori, insegnanti, istruttori e testimoni privilegiati. Gli elementi essenziali emersi
sono stati:
·
Conferma che i Millenials rischiano di essere una “Lost Generation 2.0”, una generazione
perduta come quella tra le due guerre, caratterizzata da un atteggiamento apatico nel suo
insieme, senza grandi obiettivi e priva di chiare figure di riferimento. Molti degli aspetti
descritti indicano la debolezza di una generazione che vive una presenza sociale all’insegna
dello “stand by”, carente di una specifica progettualità, disposta a cogliere le diverse
occasioni per rispondere alle proprie esigenze relazionali ed espressive ma nello stesso
tempo anche refrattaria ad affermare un proprio protagonismo. Il loro stile di vita è
caratterizzato da un comune stile di vita figlio della nostra epoca, come ad esempio la
pendolarità tra diversi ambienti, il rifiuto di regole e spazi precostituiti, la refrattarietà nei
confronti di impegni e di proposte totalizzanti, la voglia di distinzione, una certa qual
tolleranza culturale.
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Si conferma anche la presenza di alcuni tratti riconducibili all’idea di una “Trophy
Generation”: molti adolescenti sembrano attratti all’idea del “successo facile”, e
reagiscono in modo impulsivo di fronte a eventuali difficoltà e problemi, oscillando tra
atteggiamenti rinunciatari e reazioni aggressive alle difficoltà.
Si tratta di una “generazione multitasking”, interessata ad assaggiare e provare tante
esperienze ma con una certa difficoltà nell’impegno e nella costanza. Questo determina un
impegno a “spot”, occasionale, magari anche vissuto in modo intenso, ma quasi sempre in
modo estemporaneo.
Sono poco attratti delle grandi narrazioni (in particolari quelle politica e religiosa) ma molti
di loro si impegnano in modo discontinuo in associazioni o movimenti di impegno civile e di
solidarietà.
Il fenomeno dei NEET (ragazzi che non studiano, né lavorano) è percepita dagli animatori,
insegnanti, educatori e rappresentati delle istituzioni che operano sul territorio, ma tutti
questi attori hanno difficoltà nel trovare strategie adeguate per affrontarlo.
I ragazzi paino per molti versi simili e allo stesso tempo così differenti dalle generazioni
precedenti. Da una parte infatti molti continuano a fruire delle stesse attività di un tempo
come calcio, teatro o danza. Un tempo i ragazzi formavano gruppi musicali e avevano
bisogno di sale prove, mentre ora fanno hip-hop in strada e incidono le proprie canzoni con
un pc: è difficile vedere un cambiamento sostanziale in questo.
Eppure vi sono state molte trasformazioni nella cultura giovanile, tipiche di una generazione
costretta dalle condizioni e dall’ambiente di vita a compiere costantemente molteplici scelte e ad
essere esposta a molte sollecitazioni, meno fiduciosa nei confronti delle istituzioni pubbliche e
della sfera politica, socialmente meno reattiva.
In sintesi, l’impressione di fondo che si ricava dalle interviste è quella di essere perlopiù di fronte a
ragazzi solo in parte attrezzati ad affrontare le sfide della contemporaneità e caratterizzati da
non poche fragilità, ma che, tenendo conto della società frammentaria e complessa in cui sono
cresciuti, appaiono quasi fin troppo “normali”.
L’ADULTO CHE SI CONFRONTA CON GLI ADOLESCENTI: COME EDUCARE?
Secondo un motivo ricorrente, gli adolescenti non vorrebbero saperne di confrontarsi con gli
adulti. Stando, però, ai dati raccolti le cose non vanno proprio così. Se è vero che sono stati gli
stessi adulti ad essere stati interpellati, tuttavia essi restituiscono un’immagine un po’ diversa dal
comune sentire: gli adolescenti avrebbero, invece, “fame di un rapporto vero” e riuscire ad
entrare in contatto con loro significa innanzitutto assegnare primato alla relazione, ovvero
rendersi disponibili all’incontro, all’ascolto senza atteggiamenti giudicanti. Accettano “maestri” e
hanno bisogno di figure di orientamento che, però, non siano ingombranti o si vogliano imporre
come tali.
Secondo gli intervistati, l’atteggiamento educativo da utilizzare con gli adolescenti di oggi è
racchiuso nella locuzione codice fratello maggiore: una figura adulta (meglio se un giovane adulto,
perché così si riduce anche il gap generazionale) che si relaziona con il ragazzo in modo informale
e soprattutto non istituzionale, che propone e si propone come testimonianza, non giudica, ma è
un interlocutore importante perché spesso può rendersi disponibile come confidente credibile. Le
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strategie educative che vengono interpretate come fondamentali nella relazione con gli
adolescenti si coagulano attorno a tre concetti principali. La Presenza intesa sia come un “esserci”
che non si sottrae al loro bisogno relazionale, sia come capacità di sostenere un’apertura di credito
nei confronti dei ragazzi. Mediazione: ovvero una figura adulta che sappia porsi come catalizzatore
delle relazioni sociali e faciliti il confronto faccia a faccia con gli altri. Accoglienza, intendendo con
essa tanto una generale disponibilità emotiva, quanto un’importante funzione di supporto e
ancoraggio.
La difficoltà di costruire relazioni educative: il “troppo” familiare
Dal punto di vista pedagogico, un elemento critico accomuna i due quartieri, anche se per ragioni
opposte: la difficoltà di costruire alleanze educative tra le diverse agenzie educative. Molti
intervistati sottolineano la fatica nel riuscire a costruire un rapporto collaborativo con le famiglie
degli adolescenti, un aspetto richiamato tanto dal mondo associativo, quanto dalla scuola. Se a
Barriera di Milano spesso questa difficoltà è determinata dall’assenza delle famiglie degli
adolescenti che, per varie ragioni, non si lasciano coinvolgere dalle proposte formative, a Santa
Rita è più diffusa la situazione opposta: famiglie “troppo” presenti, tendenzialmente iperprotettive che spesso creano situazioni di gestione problematica delle attività. Non di rado, in
questo senso, le associazioni vivono la frustrazione di non essere riconosciute come un luogo
educativo e di sentirsi potenzialmente il “parcheggio pomeridiano o festivo” dei ragazzi.
La questione degli spazi
Dall’indagine è emerso un cambiamento del rapporto degli adolescenti con gli spazi aggregativi.
Innanzitutto le nuove tecnologie hanno creato nuovi spazi virtuali in cui i ragazzi si danno
appuntamenti, si scambiano informazioni ed esperienze, socializzano, fanno nuove conoscenze,
esprimono una propria rappresentazione e costruiscono parte della propria identità personale e
sociale. Tuttavia il virtuale non assorbe completamente la socialità di questi ragazzi, che
utilizzano gli strumenti tecnologici per comunicare tra loro e informarsi, ma continuano a trovarsi
in spazi fisici e ad avere relazioni quotidiane face to face con i propri coetanei.
Per quanto riguarda gli spazi a loro dedicati, gli adolescenti paiono alla costante ricerca di ambienti
dove stare e da plasmare, luoghi di aggregazione informali, tendenzialmente flessibili e aperti, non
istituzionalizzati o indirizzati ad una specifica attività. Un orientamento che fa dire a molti
operatori da un lato che i giovani si stanno riappropriando dell’aggregazione spontanea in strada
e dall’altro che molti spazi pensati per le attività extra-scolastiche sono indirizzati ad attività che
non rispondono più alle esigenze delle nuove generazioni.
Le tecnologie
Gli smartphone pervadono ormai la quotidianità dei ragazzi dei due quartieri e non si manifestano
chiari segnali di digital divide. La questione cambia se invece si tiene conto della capacità di
utilizzarli: nella “Net Generation” la differenza è infatti tra chi sa adoperare questi strumenti e
chi no, non nella loro diffusione. In questo senso colpisce la testimonianza di molti insegnanti e
operatori che raccontano come molti adolescenti non sappiano sfruttare al meglio le potenzialità
introdotte dalle nuove tecnologie. In altre parole molti giovani accedono al mondo digitale ma non
lo padroneggiano: Internet, i mobile device, i computer sono utilizzati limitatamente alle funzioni
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più semplici legate agli aspetti ludici o sociali, ma molti ragazzi non sanno adoperarli come
strumento di lavoro o per informarsi.
Altro elemento interessante emerso è che la diffusione del “mondo virtuale” e la rivoluzione
tecnologica, simboleggiata dagli ormai onnipresenti smartphone, hanno certamente modificato le
interazioni tra i giovani, le modalità di approccio e la relazione tra pari e con gli adulti, ma, almeno
dalle testimonianze degli intervistati, non sembrano avere sostituito tout court il “mondo reale”.
Anche per coinvolgere gli adolescenti contemporanei non è forse necessario - sempre e solo ricorrere ad “effetti speciali”.
I “figli dell’immigrazione”
Il primo elemento è che ormai la maggior parte dei giovani stranieri sono “figli dell’immigrazione”,
ragazzi nati in Italia o comunque cresciuti nel nostro Paese.
Oggi a Barriera di Milano i ragazzi più brillanti e motivati sono nella quasi totalità dei casi “figli
dell’immigrazione”, sia nel mondo scolastico sia in quello extrascolastico. Tale aspetto è
pienamente compatibile con i tratti teorici della seconda generazione e con famiglie di immigrati
di prima generazione che spingono per la riuscita e la piena integrazione dei propri figli. Se questa
spinta è una realtà (confermata anche dai dati MIUR), è più complesso e difficile capire quali
saranno gli esiti di questo fenomeno sul medio-lungo periodo. Se, infatti, la società italiana riuscirà
a “premiare” questi sforzi, includendo anche i ragazzi di origine straniera in base al merito in
posizioni lavorative di eccellenza e in ogni altro aspetto della vita sociale, la situazione sarà quella
di un’”assimilazione lineare classica”. Se però invece, vi sarà una certa difficoltà a valorizzare
questi ragazzi con esiti lavorativi e sociali di successo, si potrebbe assistere ad un “effetto
boomerang”. Le aspettative delle famiglie e dei ragazzi stessi verrebbero frustrate e l’impossibilità
di avere dei casi vincenti di inclusione farebbe perdere la speranza a molti giovani stranieri di
potersi inserire nella società italiana. Un rischio potenzialmente molto grave e che potrebbe
portare ad una conflittualità sociale per ora, di fatto, quasi inesistente.
L’altro elemento confermato dalla ricerca è di come sia difficile stabilire un confine chiaro tra
“figli dell’immigrazione” e ragazzi autoctoni: se non ci si sofferma sui tratti fenotipici e si guarda
agli stili di vita, agli atteggiamenti e ai valori i due gruppi non sembrano differire molto agli occhi
degli intervistati. In questo senso è interessante come soprattutto a Barriera di Milano si siano
formati gruppi misti di varie provenienze (tra cui anche italiani) che condividono spazi e momenti
aggregativi al di là dell’origine culturale.
IL RUOLO EDUCATIVO DEL TERZO SETTORE
Il terzo settore per gli adolescenti: una presenza diffusa e occasione per “lasciare un segno”
In un’epoca in cui si parla molto di emergenza educativa e di crisi delle istituzioni formative
tradizionali (la scuola e la famiglia), la società civile incontrata nei due quartieri appare impegnata
ed attiva nel proporre agli adolescenti un ampio ventaglio di possibilità extrascolastiche. Sia a
Santa Rita che a Barriera di Milano non manca certo l’offerta extrascolastica: dalle associazioni
sportive, a quelle culturali; dal ruolo importante che continuano a rivestire le parrocchie e gli
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oratori, fino ai doposcuola e a quelle proposte che valorizzano la partecipazione e l’inclusione
sociale. Esiste inoltre una diffusa consapevolezza tra le varie figure intervistate sul ruolo che le
attività dell’extra scuola possono rivestire nella formazione degli adolescenti; molti degli
intervistati, infatti, sono animati dalla volontà di “lasciare un segno” nei ragazzi che incontrano.
Questi aspetti positivi di fondo (ampia possibilità di scelta e sensibilità educativa) si declinano poi
in maniera specifica a seconda dell’attività e dal modo in cui, gli operatori, progettano le proprie
attività. In questo, è possibile riscontrare delle “differenze pedagogiche” tra le associazioni,
riconducibili non tanto in relazione al quartiere in cui danno vita all’offerta, piuttosto in rapporto
alle finalità che si propongono. Doposcuola, oratori, gruppi scout, ad esempio, in entrambi in
quartieri si delineano come animati da uno spirito pedagogico decisamente consapevole ed
esplicito.
Tra scuola e extra scuola: l’insegnante volenteroso e l’operatore anguilla
La sinergia tra scuola ed extra scuola è auspicata da tutti gli intervistati, anche se nelle
testimonianze non sempre è praticabile: la burocrazia dell’istituzione scolastica e la precarietà del
corpo docente non consentono la costruzione di una alleanza sempre solida. Tuttavia, a Barriera di
Milano quest’alleanza risulta essere praticata, attiva: laddove è stabile, è riconosciuta come
un’importante occasione di confronto ed intervento pedagogico concertato; a Santa Rita è una
pratica meno diffusa, anche se, proprio durante la rilevazione, erano in corso alcuni tentativi di
integrazione tra alcune istituzioni scolastiche e realtà associative. In questo quadro in movimento,
due figure ibride incarnano la possibilità di istituire un rapporto tra scuola ed extra scuola:
l’insegnante volenteroso, ovvero colui che, per convinzione personale, accanto al proprio compito
didattico, propone attività in sinergia con il territorio, coinvolgendo anche il consiglio di classe
della propria scuola; e l’operatore anguilla, educatori delle associazioni che per la loro capacità di
destreggiarsi tra formale, non formale e informale, sono in grado di collaborare ed interagire con
le istituzioni scolastiche, proponendo, nei locali scolastici, attività per gli adolescenti.
LE DIFFERENZE TRA I DUE QUARTIERI
Barriera di Milano quartiere laboratorio che rappresenta il Piemonte e l’Italia del domani. Per ora
si tratta di una situazione quasi unica in Italia in cui le code dei processi di inserimento dell’ondata
migratoria interna degli anni ’60 del secolo scorso si sono incontrati con quella degli ultimi
decenni. Un’area in cui il tessuto sociale e urbano è sempre più animato da stranieri ma anche da
una significativa presenza di autoctoni. Questa mescolanza, tipica del contesto italiano, è forse
uno dei fattori che ha permesso a Barriera di Milano di non diventare un quartiere “ghetto”.
Barriera di Milano costituisce una buona pratica di cui tener conto in un momento in cui il
governo ha rimesso al centro dell’agenda politica la riqualificazione delle periferie. Si tratta infatti
di un quartiere non “ghetto” che con mille problemi ha assorbito l’ultima ondata emigratoria in
condizione di gravi difficoltà e con scarse risorse. Questo è stato possibile soprattutto grazie allo
straordinario lavoro svolto da alcuni insegnanti e da molte associazioni di quartiere che sono
riuscite lavorando in sinergia ad avviare un percorso di inclusione dal basso (bottom-up) che per
ora pare star funzionando.
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Protagonismo giovanile
Tessuto terzo settore
Proposte del terzo settore
Logica creazione interventi
Rete tra associazioni
Rapporto con il territorio
Associazionismo
Età associazioni
Figli dell’immigrazione
Molte famiglie troppo...
Barriera di Milano
Alto
Forte
Innovative
Bottom-up
Diffuse
Dinamico
Forte
Giovani
Tendenzialmente inclusi
Assenti
Santa Rita
Basso
Debole
Radicate nel passato
Top-down
Scarse
Tradizionale
Debole
Anziane
Tendenzialmente esclusi
Ingombranti
Santa Rita invece è un quartiere più anziano, con una maggiore incidenza della classe media e per
questo più vicino alla situazione socio-demografica maggiormente diffusa nel Paese. L’offerta
dell’extra-scuola è ovviamente influenzata da queste caratteristiche e l’associazionismo pare
popolato da realtà piccole, frammentate e di lunga data. Quest’ultimo elemento potrebbe far
pensare a gruppi assai radicati: in alcuni casi questo è certamente vero, ma nella maggior parte
l’impressione emersa dalle interviste è di associazioni sempre meno presenti sul territorio,
sopravvissute in molti casi per inerzia, senza aver mai operato un ricambio degli operatori e,
soprattutto, delle proposte per i giovani. Tale situazione ovviamente ha ricadute sul tipo di offerta
presente nel quartiere, che a Santa Rita pare essersi cristallizzata nel passato. Dinamiche
certamente favorite dallo scarso numero di ragazzi presenti nel quartiere, dato strutturale che non
ha favorito l’investimento in un settore del mercato “in calo”, contrariamente a quanto avviene
per le attività destinate alla terza e alla quarta età. Inoltre la rete tra associazioni è poco diffusa a
Santa Rita: vi sono infatti scarse interazioni tra realtà che lavorano con i giovani e ognuna di esse
sembra continuare le proprie attività come sempre ha fatto, senza porsi l’obiettivo di creare
partnership con altri gruppi o associazioni. Si può ritenere che a Santa Rita sia rimasta l’idea di
politiche top-down, ma, in assenza dei fondi necessari ad attuarle, la situazione si sia per certi versi
congelata. Si difende l’esistente e quello che si è fatto in passato ma si ha una certa difficoltà a
progettare e immaginare il futuro.
L’educazione passa dal rafforzamento della cooperazione tra extra-scuola e scuola
In un’ipotetica realtà ideale, gli “attori adulti” del processo formativo dovrebbero essere
essenzialmente tre: la famiglia, la scuola e le realtà del terzo settore.
Alla scuola spetterebbero principalmente compiti connessi all’apprendimento, mentre la famiglia
dovrebbe essere il punto di riferimento per la dimensione etico-valoriale. Fra questi due attori, le
associazioni e le altre realtà del terzo settore dovrebbero rivestire un ruolo sussidiario ad
entrambe le agenzie, offrendo ulteriori stimoli formativi ed educativi, realizzando delle attività che
scuola e famiglia non potrebbero svolgere per mancanza di risorse, spazi adeguati, competenze o,
semplicemente, tempo. Compito delle istituzioni, infine, dovrebbe essere quello di tenere le fila
dei processi, con un ruolo di regia volto alla promozione e al monitoraggio delle relazioni tra i
diversi attori. La crisi educativa del ruolo delle famiglie ha cambiato lo scenario e, a fianco di
politiche medio-lungo periodo per restituire alla famiglia il suo ruolo educativo, nel breve periodo
sarebbe auspicabile potenziare le realtà del terzo settore per co-adiuvare la scuola.
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EVOLUZIONE COMPITI EDUCATIVI FAMIGLIA, SCUOLA E ASSOCIAZIONI
Situazione ideale
Situazione descritta dagli intervistati
Associazioni
Formazione/
educazione
Scuola
Formazione
Associazioni Famiglia
Educazione Educazione
Famiglia
Educazione
Bilanciamento Educazione/formazione
(auspicato)-
Associazioni
Educazione
Famiglia
Educazione
Scuola
FormazioneEducazione
Scuola
Formazione
Buo
ne
prat
iche
em
ers
e
In
que
sti
ann
i il rapporto scuola/terzo settore ha prodotto risultati imporranti:
· “Provaci ancora Sam!” è stato indicato dalla maggior parte degli intervistati come capace di
produrre risultati concreti tra i giovani coinvolti, favorendo l’interazione e la cooperazione
tra scuole, servizi sociali e associazioni.
· In molti casi le associazioni hanno permesso alle scuole di aumentare la propria offerta per
i ragazzi, ad esempio nell’orientare i ragazzi verso attività sportive meno convenzionali
(come scherma o nuoto) o espressive (come il teatro o la danza). Un esempio positivo di
interazione scuola/terzo settore è l’iniziativa, messa in campo da entrambe le circoscrizioni
alcuni anni fa, volta a presentare alle scuole una sorta di “menù” delle attività proposte
dalle molte associazioni. Una buona pratica molto apprezzata, sia dalle scuole, perché
riduceva il rischio di proporre ai ragazzi e alle famiglie attività promosse da realtà
sconosciute, sia dalle associazioni che ne guadagnavano in visibilità.
QUESTIONI APERTE
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Nei due quartieri esiste una sinergia tra scuola ed extra-scuola, soprattutto a Barriera di Milano,
tuttavia nei due quartieri si rilevano quattro questioni aperte:
1. i cambiamenti dell’offerta per i giovani sono stati limitati e il terzo settore tutt’oggi
riproduce le stesse attività aggregative, educative ed espressive proposte in passato. Si
avvertono due grandi assenze:
a. mancano realtà che propongano percorsi di educazione ambientale, una delle
maggiori sfide nell’epoca contemporanea e un tema che vede un crescente
interesse da parte dei ragazzi;
b. carenza di piani e offerte pensate per i “Neet”, coloro che non studiano né
lavorano. Esistono alcuni tentativi individuali ma manca un piano organico per
aggredire il fenomeno, ideando e studiando modalità innovative per coinvolgere i
Neet.
2. Problemi organizzativi: alcune realtà più strutturate e con maggiori capacità gestionali e
comunicative hanno acquisito un ruolo predominante non solo nei quartieri di riferimento
ma anche nell’intero territorio cittadino. Tale situazione ha portato queste realtà ad avere
le competenze necessarie per definire progetti ambiziosi e di ampio respiro, di cui ha
beneficiato l’intero capoluogo. Si tratta però anche di un elemento rischioso che, se non
riequilibrato, potrebbe portare ad un terzo settore a “due velocità”: da una parte con
grandi realtà capaci di attrarre fondi e attenzione pubblica e dall’altro con piccole
associazioni o gruppi che, pur lavorando sul territorio, faticano a trovare le risorse e la
visibilità per poter continuare ad operare. Soprattutto le nuove realtà, spesso le più vivaci,
in questo contesto potrebbero non trovare l’habitat ideale per potersi sviluppare.
3. Revisione delle strutture costruite come spazi aggregativi per i ragazzi. Di fronte ad una
società che cambia rapidamente, queste eredità del passato a volte paiono più un peso che
una risorsa. Spesso si tratta di spazi aggregativi frutto di politiche che in passato
promuovevano la partecipazione musicale o artistica dei giovani e rispondevano ad
esigenze di ambienti di ritrovo ‘al riparo dalla strada’, ma erano pensati per una
popolazione giovanile con caratteristiche diverse da quella di oggi. I Millennials sono infatti
meno numerosi dei giovani degli anni Novanta, hanno gusti e modalità di gestire il tempo
libero diverso, rifiutano per definizione spazi istituzionalizzati e interventi guidati.
4. Vi è infine la questione professionale che apparentemente riguarda tutti gli intervistati, sia
gli insegnanti sia chi opera nel terzo settore: quali, infatti, i confini professionali tra
educatori-operatori del terzo settore ed “insegnanti volenterosi”? Non di rado alcuni
intervistati, consapevoli del valore del proprio intervento e attenti a non “invadere” il
campo delle altrui competenze, ravvisano tuttavia un confine sfumato tra i diversi ambiti
professionali: fino a che punto è compito dell’insegnante interessarsi dell’extra scuola?
Oppure, fino a che livello l’extra scuola può intervenire in classe? Non si tratta di una
questione banale o annoverabile nelle lamentatio, piuttosto essa è vissuta in maniera
problematica da alcuni adulti coinvolti nella ricerca.
IN ESTREMA SINTESI
La ricerca ha mostrato che il ricco tessuto associativo cittadino è ancora una risorsa preziosa per
l’educazione dei giovani torinesi. Simbolo di questo è Barriera di Milano, quartiere popolare,
multietnico e con rilevanti quote di disagio sociale ed economico, ma che, almeno ad oggi, non
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presenta nessuna delle caratteristiche allarmanti di conflittualità sociale rintracciabili in quartieri
periferici di città di altri contesti europei, primi fra tutte le banlieue francesi.
La famiglia viene messa “sul banco degli imputati” dagli altri attori del lavoro con i giovani e vi
sono evidenti problemi di sintonizzazione sui metodi e sugli stili educativi tra i vari soggetti che
operano nel mondo educativo dei ragazzi.
Il fattore immigrazione – con le sue numerose collettività e i diversi ritmi di stabilizzazione introduce un ulteriore elemento di spaesamento e di complessità.
Lavorare con i giovani, oggi, al di fuori di un ambiente codificato e normato come è quello della
scuola, significa confrontarsi con un mondo instabile, attraversato da rapide trasformazioni: la
buona notizia è che – pur in un mare spesso in tempesta - le risorse umane e valoriali paiono ben
ancorate sul territorio. Le associazioni, indebolite e con poche risorse, hanno ancora ben chiaro il
quadro della situazione dei territori in cui operano. Agendo in sinergia con la scuola, queste
forze possono migliorare la situazione, rafforzandosi a vicenda e moltiplicando l’effetto dei
propri interventi per affrontare al meglio l’emergenza educativa che indubbiamente rischia di
“lasciare un segno” in molti di questi ragazzi.
Un ruolo di cui gli operatori sembrano accorgersi poco: l’attivazione di progetti di ampio respiro e
ben ideati (di cui l’ultimo è Urban Barriera) sono percepiti come la giustapposizione di interventi
senza una chiara (e sub-locale) regia. L’impressione che se ne ricava è quella di un doppio (e
inverso) processo di creazione delle politiche per i giovani; top-down (dall’alto verso il basso) a
livello comunale, ma che sul territorio (ovvero a livello circoscrizionale) è interpretabile al
contrario (bottom-up, dal basso verso l’alto), dato che iniziative e attività partono spesso da
iniziative di singole associazioni o gruppi informali di esse.
Si può quindi affermare che concretamente a Barriera gli interventi per i giovani nascano in una
logica bottom up. Questo conferisce una grande vitalità all’offerta extrascolastica del quartiere
favorendone i caratteri spontanei e innovatori, che confinano tali iniziative in una logica di
sperimentazione e dal carattere occasionale.
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