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n° 353 - gennaio 2012
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Gauguin, genesi di un capolavoro
Una riflessione sul senso dell’esistenza umana nell’opera-simbolo che compendia il percorso artistico del maestro francese, esposta in Italia per la prima volta
Da dove veniamo? Che
siamo? Dove andiamo? è
un grande dipinto a olio
su tela, che Paul Gauguin realizzò nel 1897,
in un momento particolarmente drammatico
della sua esistenza. L’artista era tornato a Tahiti
da Parigi nel 1895 e
aveva da poco ricevuto
la notizia della morte
della figlia Aline - l’ultimo contatto che Gauguin ebbe con la famiglia, seguito da un silenzio destinato a durare
fino alla sua morte, avvenuta nel 1903. Gauguin si mise al lavoro su
quella che sarebbe stata
la più grande tela di tutto
il suo percorso creativo,
una riflessione sul senso
dell’esistenza umana e
un testamento spirituale
che riassumeva tutte le
sue ricerche cromatiche
e formali degli ultimi
anni.
L’artista descrisse dettagliatamente per la prima
volta il quadro in una
lettera spedita all’amico
Daniel de Monfreid nel
febbraio 1898, dopo un
fallito tentativo di suicidio con l’arsenico; alcuni dettagli differiscono
dalla versione definitiva
così come la conosciamo
adesso: «Ho voluto,
prima di morire, dipingere una grande tela che
avevo in mente e per
tutto il mese [di dicembre] ho lavorato febbrilmente giorno e notte
[…] credo che non solamente questa tela superi
in valore tutte le precedenti, ma soprattutto
che io non ne farò mai
una migliore o che anche solo le si avvicini.
Qui ci ho messo, prima
di morire, tutta la mia
energia, una tale passione
dolorosa in delle circostanze terribili, e una visione talmente netta,
senza correzioni, che
l’aspetto frettoloso scompare, e ne emerge la vita».
La sequenza di scene rappresentate va da destra
verso sinistra, come le
scritture orientali, secondo l’interpretazione
corrente; ma è anche la
direzione seguita dall’ombra della meridiana
che accompagna il trascorrere della giornata,
così come la teoria dei
personaggi nel dipinto
segue il ciclo della vita:
all’estrema destra è rappresentato un neonato,
ignorato dalla tre figure
femminili che gli siedono accanto, che Gauguin ha raggruppato in
una composizione analoga a quella presente in
altre opere degli stessi
anni. Sullo sfondo, quelle
Paul Gauguin: Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? - Boston, Museum of Fine Arts
pag. 2
che l’artista descrive come
“due figure con abiti color porpora che si confidano i loro pensieri”,
mentre più vicino allo
spettatore si trova «una
figura enorme che non
rispetta la prospettiva,
accovacciata, che alza le
braccia in aria e guarda,
stupefatta, questi due
personaggi che osano
pensare al loro destino».
Quasi al centro, spartendo la composizione
in due serie di scene separate, un giovane coglie un frutto. Del significato di questa figura
Gauguin non fornisce
alcuna chiave di lettura;
la critica ha interpretato
il personaggio come un
riferimento al peccato di
Adamo o come simbolo
della gioventù che coglie il frutto migliore
dell’esistenza. Nella lettera, Gauguin continua
la descrizione dell’opera
elencando «due gatti vicino a un bambino. Una
capra bianca. L’idolo, le
due braccia alzate misteriosamente e con
ritmo, sembra indicare
l’al di là. La figura seduta sembra ascoltare
l’idolo; quindi infine una
vecchia vicina alla morte
che sembra accettare
[…]; ai suoi piedi uno
strano uccello bianco,
che tiene tra le zampe
una lucertola, rappresenta l’inutilità delle
vane parole». L’idolo che
raffigura Hina, divinità
maori, è illuminato da
una misteriosa luce lunare, apparentemente
proveniente dal basso,
mentre la vecchia siede
in posizione fetale, forse
un ricordo della mummia peruviana che Gauguin aveva visto negli
anni Ottanta e la cui figura era già stata ripresa
in altre opere. Infine,
Gauguin dedica un passo
della lettera anche allo
sfondo della grande composizione: «tutto si svolge
sulla riva di un ruscello
nel sottobosco. In fondo
il mare e più in là le montagne dell’isola vicina.
Malgrado i passaggi di
tono, l’aspetto del paesaggio è costantemente,
da una parte all’altra, blu
e verde Veronese. Là sopra tutte le figure nude
si staccano in un audace
arancione».
La tela fu arrotolata e
spedita a Parigi al mer-
cante d’arte Ambroise
Vollard, che stipulò un
contratto di esclusiva
con Gauguin, assicurandosi in tal modo la disponibilità di tutte le
sue opere. Il dipinto,
esposto l’anno successivo, suscitò pareri contrastanti e Gauguin, scrivendo in questa occasione al critico André
Fontainas, citava Mallarmé, secondo il quale
l’essenziale in un’opera
consiste in «ciò che non
è espresso: emerge implicitamente tra le righe, senza colori o parole, non è materialmente
costituito »”.
Da dove veniamo? Che
siamo? Dove andiamo? è
una tela di quattro metri di lunghezza per uno
e mezzo di altezza, mai
esposta in Italia finora,
che il Museum of Fine
Arts di Boston - dove è
custodita - ha concesso
eccezionalmente in prestito in occasione della
mostra Van Gogh e il viaggio di Gauguin in corso
presso il Palazzo Ducale
di Genova fino al 15
aprile prossimo.
federico poletti