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Italian daily news for key players and wine lovers
di: Luisa Chiddo
Il ristorante, avamposto
nella promozione
del vino italiano
nei Paesi europei
Intervista a Max Sali, ambasciatore a Londra del made in Italy
LONDRA. Il ristorante come avamposto della promozione del made in Italy enologico in uk.
Così vive la sua esperienza Max Sali, wine manager, co-proprietario, assieme al fratello
Federico, del ristorante Tinello, nel cuore di Londra. Un angolo di Toscana nella città
inglese, ma soprattutto un buon ritiro dove poter degustare il meglio dell'enologia italiana.
Non solo griffe in carta: anche etichette meno conosciute, scelte per rappresentare i territori
più disparati della nostra penisola.
28 / 10 / 2014
Italian daily news for key players and wine lovers
Descriva la sua attività
Il ristorante Tinello viene aperto a Londra nel 2010 da me, sommelier e mio fratello
Federico, chef. L’investitore è Giorgio Locatelli, chef della Locanda Locatelli. Iniziammo a
lavorare per lui nel 2000 a Zafferano e poi, nel 2002 alla Locanda stessa. Giorgio poi, aprì
una succursale di consulenza e passammo a lavorare in questa: andai ad aprire un
ristorante a Dubai, poi uno ad Edimburgo (Hotel Missoni) e seguii altri progetti. In
origine questo ristorante era sempre di cucina italiana e si chiamava "L’Incontro": fu
aperto agli inizi degli anni 80, per poi essere chiuso una decina di anni fa. Lo abbiamo
rilevato nell’ aprile 2010 e lo abbiamo poi aperto nello stesso Agosto. Il nome "Tinello"
venne dato per rappresentare la cucina del dietro delle case, dove vengono invitati gli amici
più stretti in modo informale; essendo Toscani volevano mantenere una sorta di filo
conduttore con la nostra terra e con le nostre tradizioni. Anche i piatti proposti mantengono
l’idea informale dello spuntino, per enfatizzare la convivialità italiana. La carta dei vini è
una delle poche ad avere vini italiani come protagonisti, ma un’interessante parte
internazionale, andando un po’ controcorrente.
Come sono visti i vini italiani nel mercato uk?
Sono posizionati molto bene, soprattutto le zone e i vini che sono stati importati qui dai
tempi dei tempi: la prima generazione italiana di ristorazione a Londra, negli anni 60, ha
esportato i vini più rinomati dell’epoca, quindi Chianti classico, Vino Nobile di
Montepulciano, Brunello, Barolo e Barbaresco in un secondo momento. Frascati, Gavi dei
Gavi, Orvieto.
Crede che il rapporto qualità/prezzo dei vini italiani esportati in uk sia equilibrato?
Ottimo. Ultimamente penso, però, che un gap del produttore medio sia quello di rapportarsi
ad un’entità prettamente nazionale, e questo è un errore. Qui la competizione è spietata e
arrivano vini da tutto il mondo, prodotti in luoghi dove è possibile ottenere del vino di
qualità a prezzi nettamente più ridotti. In media però posso dire che ci sono parecchi
prodotti che soddisfano il binomio sopra indicato.
Che qualità apprezza di più dei vini Italiani?
In primis, c’è da dire che abbiamo tantissime qualità indigene. Ad esempio il Nebbiolo, lo
possiamo portare ovunque, ma non si esprimerà mai con l’eleganza e con le caratteristiche
che presenta se coltivato in Piemonte. O il San Giovese in Toscana. Negli ultimi 15 anni
queste varietà indigene sono state rivalutate e rivisitate dando dei prodotti accattivanti e
straordinari: ad esempio il Sagrantino di Montefalco o L’Aglianico. In secondo luogo si
abbinano davvero bene con ogni tipo di cibo.
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Quali sono i vini italiani che più vendete nel vostro ristorante?
Chianti, Vino Nobile di Montepulciano, Brunello, Barolo, Barbaresco, Frascati, Prosecco,
Soave, Pinot Grigio.
Vendete più vini italiani o stranieri?
Vendiamo più vini italiani, ma in molti casi ci sono clienti che apprezzano e selezionano
loro stessi vini non italiani. Inoltre capita spesso che, con i clienti di fiducia, noi per primi
proponiamo abbinamenti insoliti che spesso non restano nell’ambito del made in italy.
Le risulta che vi sia una predilizione per i vini biologici e/o biodinamici da parte della vostra
clientela?
Di biodinamico abbiamo qualcosina, ma se devo essere onesto, non ce ne chiedono granchè.
Non sono un particolare fan, credo sia giusto che ci siano, ma sono un’interpretazione del
vino, difficilmente riuscirebbero a diventarne emblema a 360’. Il Biologico, invece, è un
parametro a cui mi riferisco nella scelta dai vini che metterò in carta. E’ una preferenza,
chiaramente. Spendo volentieri qualche sterlina in più per avere questo tipo di caratteristica.
Uscendo per un attimo dal campo vinicolo, il tartufo D’Alba, essendo un fungo e perlopiù
fatto d’acqua cresce difficilmente vicino alla viticoltura, poiché, per far crescere la vite
metteranno dei funghicidi. Quindi, attualmente, non credo che quello di Alba sia un
territorio così votato alla sua produzione in odo "organic". Noi prendiamo il tartufo bianco
di San Giovanni in Asso, nelle crete senesi, dove non c’è viticultura e il microclima è ideale
ed è una zona piuttosto incontaminata. L’organico dovrebbe essere un criterio generale per
ogni tipo di coltivazione e diventare la regola, non l’eccezione.
Le sembra che ci sia una curiosità nel provare etichette minori o tende a permanere il
monopolio delle grandi etichette?
C’ è curiosità per le piccole etichette. Chiaramente i grandi marchi restano più facili da
vendere. Ma rimane il fatto che, spesso, mi viene chiesto di consigliare il cliente su una
fascia di prezzo definita e, allora, preferisco fargli scoprire realtà diversificate e interessanti.
Più la qualità/prezzo saranno vincenti, più si creerà/sedimenterà il rapporto di fiducia nei
miei confronti.
Quali sono i consigli che si sente di dare ai produttori italiani che intendono esportare il
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loro vino in uk o che già si trovano all’interno di questo mercato?
I produttori dovrebbero relazionarsi con una realtà internazionale. Ad esempio in sud
Africa, durante un viaggio, ho visitato un produttore in una zona piuttosto remota e di
entità piuttosto piccola. Prima di entrare nel mercato ha fatto uno studio dei mercati degli
altri creando un prodotto di nicchia ma vendibile con enfasi anche in mercati con
caratteristiche diverse. Inoltre dovrebbero scegliere un packaging e rimanere sempre con
quello: molte volte le cantine medio piccole tendono a cambiare le etichette facendone un
restyling. Il main stream costumer si relaziona all’etichetta e l’uso degli smart phone
enfatizza questo tipo di legame. Consiglio, inoltre, di trovare un importatore che non faccia
solo grandi numeri, ma che sia in grado di raccontare all’utente il prodotto che si appresta a
vendere, di modo da risultare vincenti in termini qualitativi. Da ultimo, il tappo a vite: il
mercato sta andando pienamente in questa direzione, specialmente per i vini di segmento
medio-basso. C’è da dire che in uk le bottiglie "tappate" vengono rimborsate, ma circa un
4% delle bottiglie risultano difettose in tal senso e quindi i costi risultano notevoli. Sono
andato ad una degustazione alla cieca, presso un’importante fiera inglese; si trattava di vini
uguali con tappi di tipo diverso ( a vite, in silicone, di sughero, vino-lok…) con un’affluenza
di circa 400 persone e il tappo a vite è risultato il migliore. Ah, un’ultima cosa. Spesso mi
capita che i vini che vendo qui vengano venduti anche al supermercato, chiaramente con
prezzi nettamente diversi dai nostri. Per questa ragione mi sono ritrovato a dover togliere
dalla lista dei vini in cui credevo. A tal proposito credo sarebbe più giusto creare due linee:
lo stesso vino e due etichette. Una per l’off trade e una per l’home trade. Questo sempre per
gli entry level wine.
Il suo vino preferito?
Me ne piacciono diversi, ma tra i rossi direi Syrah, Nebbiolo e Pinot nero. Come bianco
direi Chardonnay, Pinot bianco se dell’Alto Adige.
28 / 10 / 2014