Vladimiro Zagrebelsky

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La protezione dei diritti fondamentali e procedurali dalle esperienze investigative dell’OLAF all’istituzione del Procuratore europeo
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L’istituzione del Procuratore europeo in
rapporto alle esigenze dell’equo processo
Relazione inviata dall’autore e lette durante la conferenza
Vladimiro Zagrebelsky
Già Giudice della Corte Europea dei Diritti Umani
L’Autore, richiamando gli artt. 325 e 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ritiene probabile che sul piano del diritto sostanziale perdurino al livello nazionale diversità normative. Sottolinea la mancanza, nel Trattato, di riferimenti ai reati
concorrenti e pone l’accento sulla necessità di elaborare criteri precisi e chiari di determinazione dello Stato membro davanti al quale esercitare l’azione penale. L’Autore poi si sofferma sulle principali esigenze che il regolamento istitutivo della Procura europea deve
soddisfare per essere compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) (status di indipendenza del Procuratore europeo, rispetto delle
garanzie procedurali e dei diritti della difesa; controllo giurisdizionale sull’attività della Procuratore europeo).
Mi occupo specificamente dei diritti fondamentali di cui alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.6) e alla Carta dei diritti fondamentali della UE
(art.47) in rapporto alla ipotizzata introduzione di un Procuratore europeo, come
organo di indagine e di accusa in processi penali riguardanti (inizialmente) reati
che ledono interessi finanziari dell’Unione e (poi) la criminalità transnazionale. E
mi riferisco alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che indica
il contenuto della Convenzione ed anche, conseguentemente, quello della Carta.
Un profilo da tenere in considerazione è quello relativo a possibili ricorsi alla
Corte europea dei diritti dell’uomo per violazioni intervenute nel corso dei procedimenti penali svoltisi con l’intervento del Procuratore europeo. L’intervento
nelle singole procedure di un organo UE, quale sarà il Procuratore europeo, e di
un organo giudiziario nazionale pone problema di responsabilità in ordine a possibili violazioni dei diritti dell’uomo (es. violazione in ordine a prove raccolte dal
Procuratore e poi utilizzate nel giudizio). Ciò in riferimento alla situazione attuale
e a quella che si produrrà se il processo di adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo si concluderà positivamente.
Merita poi di essere ricordato che la presunzione di equivalenza della protezione dei diritti fondamentali offerta dalle istituzioni comunitarie, che la Corte ha
ritenuto di elaborare nella sentenza Bosphorus c. Irlanda (e nella dilatata applicazione successivamente fattane), potrebbe – ed anzi, dovrebbe - essere eliminata
dal panorama giurisprudenziale una volta che la UE abbia fatto adesione alla Convenzione e al suo sistema.
Eurojust è ente previsto dall’art.85 TFUE e a partire da Eurojust, l’art.86 TFUE
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stabilisce che possa essere istituito un Procuratore europeo, la cui competenza
inizialmente sarà limitata ai reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione e
potrà essere successivamente estesa – attraverso la particolare procedura di cui al
comma 4 - alla criminalità grave con dimensione transnazionale.
L’art.325 TFUE obbliga l’Unione e gli Stati membri a combattere la frode e le
altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, mediante misure dissuasive ed efficaci e prevede interventi normativi atti ad assicurare una
protezione “efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri”. L’equivalenza nella
efficacia non implica identità di previsione nella legislazione interna dei singoli
Stati membri, sia per quanto riguarda la definizione delle fattispecie incriminatrici, sia per quanto attiene alla natura ed entità delle sanzioni. È dunque possibile
ed anzi probabile che sul piano del diritto penale sostanziale perdurino diversità
di normative nazionali. L’articolo 325 TFUE richiede soltanto che le modalità di
contrasto alle frodi che ledono interessi finanziari dell’Unione siano le stesse che
gli Stati membri adottano per le frodi ai loro interessi.
Il Procuratore europeo sarà competente “per individuare, perseguire e rinviare
a giudizio, […], gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione,
quali definiti dal regolamento previsto dal paragrafo 1, e i loro complici”. Il Procuratore europeo “esercita l’azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri” (art.86/3 TFUE). La definizione con
Regolamento dei reati per i quali interverrà il Procuratore europeo chiarirà se la
sua competenza riguarderà tutte le frodi nei confronti degli interessi finanziari dell’Unione o solo quelle in concreto caratterizzate da elementi transnazionali. In
questo secondo senso potrebbe giocare il criterio della sussidiarietà (art.5 TUE),
che potrebbe spingere a ritenere che il Procuratore europeo dovrebbe intervenire
solo se e quando il PM nazionale non fosse in grado di agire efficacemente. In
ogni caso, quando il fatto si sia svolto in diversi Stati membri, la decisione in ordine a quale giudice nazionale debba essere investito del giudizio porta con sé rilevanti conseguenze in punto procedura e diritto penale sostanziale. Occorrerà
perciò che i criteri di determinazione dello Stato membro davanti al cui giudice
l’azione penale sarà esercitata, siano molto precisi e vincolati. In difetto si aprirebbe un problema delicato sul piano della “previsione per legge” (art.7 Conv.)
nella accezione che tale condizione ha nella giurisprudenza della Convenzione.
Criteri vaghi o discrezionali, incidendo sulla scelta della legge nazionale applicabile, potrebbero escludere quella “conoscibilità e prevedibilità” che sono requisiti della “legge” ai fini della applicazione della Convenzione.
Si tratta di problema serio, conseguente alla scelta effettuata di prevedere un Pubblico Ministero europeo, che opera davanti e sotto il controllo di giudici nazionali.
Chiarezza e definizione occorre che qualifichino anche la disciplina relativa
ai reati concorrenti, di per sé non incidenti sugli interessi finanziari dell’Unione,
su cui l’art.86 TFUE è silente. Reati concorrenti diversi possono accompagnare la
commissione di singoli atti realizzati in Stati diversi e tutti confluenti nella commissione della frode in danno degli interessi finanziari dell’Unione.
L’art. 86 TFUE, al suo paragrafo 3, prevede che con Regolamenti, siano stabiliti “lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue funzioni,
le regole procedurali applicabili alle sue attività e all’ammissibilità delle prove e
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le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta
nell’esercizio delle sue funzioni”. Sembra quindi esclusa la soluzione che avrebbe
potuto vincolare il Procuratore europeo a seguire la procedura propria delle indagini preliminari o dell’istruttoria prevista dalla legge del giudice nazionale davanti al quale il Procuratore eserciterà l’azione penale. Una simile soluzione
avrebbe eliminato ogni questione specificamente riguardante la compatibilità dell’azione del Procuratore europeo con la Convenzione europea dei diritti umani
(nel senso che non si porrebbero problemi diversi da quelli ordinari concernenti
ciascuno Stato europeo).
La scelta che emerge dall’art. 86/3 invece va nel senso della previsione di un
insieme di norme procedurali di vasto contenuto, proprie dell’azione del Procuratore europeo in tutta l’area territoriale dell’Unione: norme anche incidenti sulla
disciplina che regge l’intervento del giudice, con deroga alla legislazione nazionale, sull’ammissibilità delle prove e sul controllo giurisdizionale degli atti procedurali del Procuratore europeo. Il primo e il secondo aspetto richiedono
interventi sulle normative nazionali che investono anche la fase del giudizio. Gli
stessi giudici, quindi, e non solo il Pubblico Ministero sono oggetto delle necessarie modifiche normative.
Non è chi non veda la vastità e delicatezza dell’intervento richiesto ai Regolamenti e alla difficoltà di definizione di regole compatibili con i tanti e tanto diversi sistemi processuali (e costituzionali) dei Paesi membri. Con il cenno alla
diversità di sistemi processuali definiti a livello costituzionale, alludo al rischio di
incompatibilità che apre un discorso di “controlimiti”.
Vengo ora ad indicare le principali esigenze derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
a) Sullo status del Procuratore europeo. - La Convenzione non obbliga gli Stati
ad aderire ad alcuna specifica teoria costituzionale riguardante i limiti e le interazioni
tra poteri dello Stato (Sacilor Lormines c. Francia, 9 novembre 06, §59; Pablaky c.
Finlandia, 22 giugno 04, §29; Kleyn e altri c. Paesi Bassi, 6 maggio 03, §193). L’affermazione ha implicazioni dirette sui requisiti di status traibili dalla Convenzione
per quanto riguarda il Pubblico Ministero (e persino i giudici). La Corte europea dei
diritti umani non ha mai ritenuto che l’equità del processo (art.6 Conv.) richieda necessariamente l’indipendenza del Pubblico Ministero ed ancor meno che il sistema
della obbligatorietà della azione penale sia l’unico accettabile.
Naturalmente una soluzione che assegni al Procuratore europeo uno statuto di
indipendenza rispetto agli altri organi dell’Unione (e a quelli degli Stati membri) è
compatibile con la Convenzione, ed anzi appare consigliabile se si tien conto di
quanto sottolineato dal Consiglio d’Europa nella Raccomandazione Rec
CM(2000)19), che prende in considerazione sia i sistemi in cui il pubblico ministero
è indipendente dal potere esecutivo, sia quelli in cui il governo, in un modo o nell’altro, dirige l’attività del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale. La
Raccomandazione, al punto 16, afferma che “il Pubblico Ministero deve in ogni
caso essere messo in grado di esercitare senza impedimenti l’azione penale nei
confronti degli agenti dello Stato per i reati da loro commessi, specialmente per i
reati di corruzione, di abuso di potere, di violazione patente dei diritti dell’uomo e
di altri reati previsti dal diritto internazionale”. I reati in tema di frodi in danno del-
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l’Unione vedono spesso e talora necessariamente implicati pubblici funzionari e
l’azione o l’omissione di enti statali, cosicché la menzione della citata Raccomandazione sembra pertinente. La Raccomandazione al punto 11 afferma anche che
“…il Pubblico Ministero deve render conto, periodicamente e pubblicamente, del
complesso della sua attività, in particolare della messa in atto delle sue priorità”.
b) Le regole procedurali e l’ammissibilità delle prove. – Quanto alle regole
procedurali che verranno definite per l’azione del Procuratore europeo va tenuto
presente che in campo penale l’art. 6 Conv. tende innanzitutto ad assicurare un
processo equo di fronte ad un “tribunale” competente per decidere circa la fondatezza dell’accusa (Hany c. Italia (dec.), 6 novembre 2007; Berlinski c. Polonia,
giugno 2002, §75; Brennan c. Regno Unito, 16 ottobre 2001, §45).
L’art.6 tuttavia, non si disinteressa delle fasi antecedenti al dibattimento (Salduz c. Turchia, 27 novembre 2008, §50; Sarikaya c. Turchia, 22 aprile 2004, §64;
Laska e Lika c. Albania, aprile 2004, §62). Le garanzie previste si applicano all’insieme della procedura, compresa la fase delle indagini preliminari (Pandy c.
Belgio, 21 settembre 2006, §50; John Murray c. Regno Unito, 8 febbraio 1996,
§62). In generale, l’art. 6 CEDU entra in gioco nella fase antecedente al dibattimento se l’equità della procedura rischia di essere pregiudicata nel suo insieme da
un iniziale mancato rispetto delle sue esigenze (Zaichenko c. Russia, 18 febbraio
2010, §36; Öcalan c. Turchia, 12 maggio 2005, §131). Una negazione delle garanzie dell’equo processo nella fase antecedente il giudizio può compromettere
l’equità del processo (Vera Fernández-Huidobro c. Spagna, 12 gennaio 2010,
§109; Panovits c. Cipro, 11 dicembre 2008, §64). Le indagini preliminari hanno
un’importanza spesso decisiva (Diallo c. Svezia (dec.), 5 gennaio 2010). Inoltre un
accusato si trova spesso in una situazione particolarmente vulnerabile durante le
indagini (Salduz c. Turchia, cit., §54). Tale vulnerabilità può essere corretta dall’assistenza di un avvocato fin dal primo interrogatorio.
Nella attività del Procuratore europeo e nel giudizio ch’egli introduce avanti
un giudice nazionale si può facilmente dare il caso in cui alcune prove siano state
assunte in Stati diversi da quello in cui si svolge il giudizio. Di per sé il fatto non
pone particolari problemi rispetto alle regole enunciate all’art.6 Conv., nel senso
che in ogni caso si applicheranno i criteri ordinari che la Corte europea dei diritti
umani ha elaborato in particolare sul punto dell’art.6/3 d) (diritto di interrogare o
fare interrogare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico) e in ordine alle prove che siano state raccolte in violazione di altri diritti previsti dalla
Convenzione. Obbligato a tener conto delle disposizioni della Convenzione sarà
comunque il giudice davanti al quale si svolge il giudizio.
Sul primo aspetto la giurisprudenza della Corte è nel senso che all’accusato
deve essere stata data un’occasione adeguata e sufficiente per contestare una testimonianza a carico e interrogarne l’autore (Saïdi c. Francia, settembre 1993, §43;
Lüdi c. Svizzera, 15 giugno 1992, §47). Tuttavia, i diritti della difesa sono ristretti
in maniera incompatibile con le garanzie dell’art. 6 quando una condanna si
fonda, unicamente o in misura determinante, sulle deposizioni rese da una persona
che, per qualsiasi ragione l’accusato non ha potuto interrogare o far interrogare né
durante le indagini preliminari né successivamente (Orhan Çaçan c. Turchia, 23
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marzo 2010, §37; Majadallah c. Italia, 19 ottobre 2006, §38; Bracci c. Italia, 13
ottobre 2005, §55).
Sul secondo aspetto sopra menzionato, la Corte ha esaminato casi in cui la
prova, della cui ammissibilità si discute sia in contrasto con disposizioni della Convenzione diverse dall’art.6. La Corte distingue a seconda del tipo di diritto violato.
Qualora si tratti di un diritto relativo (es. diritto al rispetto del domicilio, della vita
privata e della corrispondenza, garantito dall’art. 8 Conv.), l’utilizzazione della
prova contraria alla Convenzione va esaminata tenendo conto della possibilità, per
l’accusato, di contestarne l’autenticità e l’utilizzabilità, il suo grado di affidabilità e
la presenza di altri elementi che ne corroboravano l’attendibilità (Lee Davies c.
Belgio, 28 luglio 2009, §§42-54; Dumitru Popescu c. Romania (n. 2), 26 aprile
2007, §§106-111; Allan c. Regno Unito, 5 novembre 2002, §43; Chalkley c. Regno
Unito, 26 settembre 2002). Più rigorosa, nel senso di trovare comunque violazione
dell’equità del processo è la giurisprudenza della Corte quando la prova sia stata
raccolta con violazione dell’art.3 Conv. (divieto di tortura e di trattamenti inumani
o degradanti) (Gäfgen c. Germania, 1° giugno 2010, §§ 165 segg.).
c) Il controllo giurisdizionale sulla attività del Procuratore. – Per quel che riguarda la libertà personale, oggetto della disciplina dell’art.5 Conv., l’autorità di
verifica della legalità del provvedimento restrittivo può essere un giudice o un funzionario autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie. Quest’ultima
formula ha dato luogo a problemi interpretativi. Non vi è dubbio però che, ai fini
dell’art.5 Conv., anche quest’autorità, ancorché non giurisdizionale, debba avere
determinate caratteristiche. Innanzitutto deve essere indipendente dall’esecutivo
e dalle parti (Schiesser c. Svizzera, 4 dicembre 1979, §29) e imparziale. Il Pubblico
Ministero svolge attività di indagine ed è parte nei procedimenti, sia pure parte
pubblica, cosicché non corrisponde alla formula utilizzata dall’art.5 (Huber c.
Svizzera, 23 ottobre 1990; Klamecki c. Polonia, 3 aprile 2003, §105; Kawka c. Polonia, 27 giugno 2002; Dacewic c. Polonia, 2 luglio 2002; Pantea c. Romania, 3
giugno 2003; Moulin c. Francia, 23 novembre 2010, §59). Di conseguenza le “regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali” del Procuratore
(art.86/3 TFUE) dovranno prevedere che i provvedimenti restrittivi della libertà
personale, assunti nel corso della indagine preliminare siano sottoposti al controllo del giudice, secondo le regole enunciate dall’art.5 Conv.
La carenza di qualità giudiziaria del Pubblico Ministero, come espressa dalla
giurisprudenza sull’art.5 Conv., allarga il tema del controllo giurisdizionale sulla
attività del Procuratore europeo. Occorre chiedersi come si ponga il Procuratore
in relazione a perquisizioni personali o domiciliari, intercettazioni di conversazioni, ecc., nel senso della necessità di controllo o autorizzazione da parte di un
giudice. La risposta si trova all’art.8 Conv., in rapporto agli artt.13 e 6 Conv., da
cui si trae che sempre, in caso di interferenze nella vita personale o familiare ovvero incidenti sulla protezione del domicilio o sulla libertà delle comunicazioni,
è necessario che la legge assicuri la possibilità di un efficace ricorso al giudice. In
proposito la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani è vastissima e, sul
punto, costante. E l’art.47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE non è di diverso
contenuto quanto a diritto di accesso a un giudice.