Pag. 6 - Le orfane che fanno molte vittime

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Pag. 6 - Le orfane che fanno molte vittime
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S
in alute
L’UNIONE FA LA FORZA
Anche se si ha ragione di
sperare in un domani migliore, i problemi dell’oggi restano gravi e impellenti. Spesso
la diagnosi arriva dopo anni
di “pellegrinaggi” tra centri e
specialisti; l’informazione sulle caratteristiche e il decorso
della singola malattia sono
scarse e difficilissime da trovare; generalmente è altrettanto difficile procurarsi le
cure, anche quando esistono;
l’assistenza ai pazienti è one-
rosa e viene lasciata a carico
delle famiglie. Non c’è quindi
da stupirsi se le famiglie
stesse hanno iniziato da tempo ad attuare un strategia di
auto-aiuto riunendosi in Associazioni che rappresentano
gli interessi dei malati, fungo-
no da mediatori nei confronti
degli Enti pubblici e raccolgono fondi sia per la ricerca
che per l’assistenza diretta.
In Italia esistono oltre 150 Associazioni, gran parte delle
quali aderisce alla Federazione Italiana Malattie Rare
(UNIAMO), istituita nel 1999.
Federandosi, le Associazioni
intendono acquisire l’autorevolezza e il potere decisionale che ciascuna di esse, contando solo un piccolo numero
di aderenti, non potrebbe
avere.
Le orfane che fanno
molte vittime
Circa 5 milioni di persone in Italia e 25 milioni in Europa sono doppiamente sfortunate: perché si sono ammalate
gravemente e perché la loro malattia è una di quelle che si definiscono “rare” o “orfane”. Si tratta di malattie, non
di rado mortali e spesso invalidanti, che considerate singolarmente si presentano nella popolazione generale con
una frequenza tanto bassa da essere difficili da diagnosticare e altrettanto difficili da curare, dal momento che le
case farmaceutiche non hanno interesse a sviluppare ricerche e produrre farmaci che potrebbero avere efficacia.
MALATTIE RARE
info
➔ PER INFORMAZIONI
www.malattierare.info
www.malattie-rare.org
N
egli Stati Uniti si
definisce “rara”
una malattia che
colpisce 7 persone su 10.000; in
Giappone il limite è di 4 casi
su 10.000; in Europa è di 5
casi su 10.000. A parte queste piccole differenze, il dato
comune è proprio quello del
piccolo numero di pazienti
affetti da ciascuna di queste
malattie che però, nel loro
insieme, rappresentano un
problema di salute pubblica
decisamente importante e
preoccupante. Sono infatti
oltre 5.000 le malattie rare
che si conoscono oggi, catalogate in 23 categorie che a
loro volta si suddividono in
470 gruppi. In grandissima
maggioranza si tratta di patologie genetiche, molte delle quali colpiscono il sistema nervoso insieme ad altri
organi. Autismo, Sclerosi
multipla, Distrofia muscolare, Talassemia sono fra le
più note, ma ne esistono anche moltissime altrettanto
gravi. Essendo dovute perlopiù a cause genetiche, si manifestano spesso fin dalla
nascita o nell’infanzia, quindi coinvolgono pesantemente un intero nucleo familiare
oltre al bimbo malato. I problemi di questi bambini sono molto spesso drammatici
non solo perché si tratta
quasi sempre di malattie
croniche e invalidanti, ma
anche perché esse generalmente comportano uno stato
di plurihandicap, richiedendo quindi apporti riabilitativi complessi e un approccio
sanitario multidisciplinare.
In un gran numero di casi
occorre fronteggiare difficoltà serie in settori vitali
come quello della respirazione e dell’alimentazione
ricorrendo a ripetuti ricoveri
ospedalieri e ad interventi
invasivi che influiscono ne-
gativamente sulla qualità di
vita del bambino e della sua
famiglia. Molti definiscono
“orfane” queste malattie per
sottolineare il fatto che sia i
medici che i ricercatori non
se ne occupano abbastanza: i
primi perché hanno ben poche occasioni di imbattersi
in pazienti affetti da una
specifica malattia rara, quindi non sono in condizione di
accumulare e di scambiarsi
quelle esperienze cliniche
che potrebbero far aumentare il patrimonio di conoscenza della comunità medica; i ricercatori perché sono
scoraggiati dal fatto che, in
mancanza di appositi registri, è difficile individuare i
pazienti e quindi raccogliere
un numero di casi abbastanza elevato da permettere di
comporre gruppi-campione
statisticamente significativi.
Inoltre è anche problematico
trovare i finanziamenti per
queste ricerche, dal momento che esse produrrebbero risultati poco appetibili dal
punto di vista del profitto
commerciale: la conoscenza
approfondita di una malattia
è infatti finalizzata soprattutto a trovare i farmaci per
curarla, ma le ditte non hanno alcun interesse a produrre un farmaco che verrebbe
poi acquistato da pochissime persone.
Si è verificato addirittura il
caso di ditte che hanno sospeso la produzione di un
medicinale efficace per qualcuna di queste malattie, proprio perché risultava antieconomico produrlo. Anche i
farmaci destinati alla cura
delle malattie rare sono stati
quindi definiti “orfani” e
questo problema è stato preso in seria considerazione
dagli organismi pubblici: in
America, ad esempio, è stata
emanata già negli anni ‘80
una legge (la Orphan Drug
Act) che concede alle aziende detrazioni fiscali fino al
50% della spesa sostenuta
per le ricerche in questo
campo e molti altri incentivi
per l’immissione dei farmaci
sul mercato (ad esempio,
un’esclusiva commerciale di
7 anni). Una normativa analoga è stata promulgata nel
1999 dal Parlamento Europeo.
Anche in Italia non mancano le iniziative a questo proposito. Per esempio, è stato
recentemente ideato il marchio “Orphan Drug Research”, che può essere acquisito da qualunque azienda: destinando una piccolissima
parte dei profitti al finanziamento della ricerca, l’azienda può applicare il logo
ODR sui propri prodotti, dimostrando in tal modo al
consumatore il proprio impegno sociale. Il provvedimento governativo più rilevante è stata l’emanazione,
da parte del Ministero della
Salute, della normativa per
istituire una rete nazionale
di centri per la diagnosi e il
trattamento delle malattie
rare.
Dal punto di vista clinico,
oltre ai farmaci bisogna considerare la necessità di trattamenti riabilitativi. Un bimbo sano acquisisce ogni giorno nuove abilità semplicemente interagendo con il
mondo circostante: non gli
viene insegnato a camminare, a parlare ecc., ma piuttosto il bambino cammina,
parla, ecc.
Al contrario il bambino disabile spesso ha bisogno, per
acquisire nuove competenze, di un intervento tecnico:
ciò induce a volte a considerarlo un “oggetto rotto” da
“aggiustare”.
Ogni bambino, che sia disabile o sano non importa, deve invece essere aiutato a
crescere da un progetto esistenziale capace non solo di
riabilitare le sue funzioni,
ma anche di rispondere ai
suoi specifici bisogni. In
questo senso si può dire che
“non si riabilita una malattia, più o meno rara che sia,
ma si riabilita una persona”
per cui si deve considerare
base di ogni intervento la valutazione/osservazione del
singolo bambino e l’individuazione dei suoi bisogni,
indipendentemente dalla
sindrome da cui è affetto.
Un precoce e preciso inquadramento diagnostico di una
malattia rara è comunque
importante nella prospettiva
di una presa in carico riabilitativa, perché:
1- è più semplice interpretare i sintomi che via via si
manifestano e quindi mettere in atto risposte più pertinenti e tempestive, spesso
risparmiando esami diagnostici inutili
2- conoscere la storia della
malattia e la sua evoluzione
può consentire di mirare
temporalmente gli interventi
mettendo in atto con maggior efficacia strategie di
prevenzione
3- poter attribuire, anche se
in maniera per ora generica,
alcuni tratti comportamentali alla malattia in oggetto
(per esempio ritiro autistico,
aggressività, lesioni) può risparmiare ai genitori i sensi
di colpa per la comparsa di
taluni comportamenti
4- l’inquadramento diagnostico del problema del proprio figlio all’interno di una
precisa malattia può aiutare
la famiglia a condividere
con altri genitori esperienze
di solidarietà, impegno sociale ed auto-aiuto (fenomeno dell’associazionismo).
Renato Borgatti
Rita Grasso