9. Arrampicati su un sicomoro

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9. Arrampicati su un sicomoro
ARRAMPICATI SU UN SICOMORO
Zaccheo era un poco di buono. Lo sapevano tutti. Era uno di quelli che
riscuotono le tasse in nome di terzi e ne intascano una buona percentuale, a
danno dei poveri contribuenti. 2000 anni fa, come oggi.
Abitava a Gerico, una ridente cittadina nel deserto, dove crescevano alberi da
frutto, scorrevano limpide acque e una vegetazione rigogliosa. Un giorno si
sparge la notizia che da lì sarebbe passato Gesù. La fama del Maestro si era
ormai diffusa in tutta la regione. Zaccheo, un po’ per curiosità, un po’ per avere
qualcosa di cui chiacchierare con i suoi amici, decide che vuole almeno vederlo
passare. C’è solo un problema: Zaccheo è talmente piccolo che, tra la folla,
anche mettendosi in punta di piedi, non sarebbe riuscito a vedere niente. Trova presto un rimedio: “salirò
su un albero dalle folte fronde, nessuno mi vedrà e io, da lì, potrò godermi lo spettacolo”.
Di notte, prima che la gente si riversi sulla strada dove Gesù sarebbe passato, esce di casa, si arrampica sul
sicomoro e aspetta. Al mattino il luogo è affollatissimo. Zaccheo si preoccupa di stare nascosto il più
possibile: sai che figura se i suoi amici lo vedono lassù appollaiato!
A un certo punto si sente un gran vociare: Gesù sta arrivando. Zaccheo si sporge per vedere meglio e lo
scorge in lontananza: “tutto qui?”. Intanto Gesù si avvicina e, all’improvviso, si ferma sotto l’albero.
Zaccheo comincia ad agitarsi e a nascondersi tra le foglie, ma non ci riesce: Gesù alza lo sguardo e,
sorprendentemente, lo chiama: “Zaccheo!”. Quello, in un nano-secondo, si immagina la scena successiva:
mi farà scendere e, davanti a tutti, mi svergognerà, facendomi confessare tutti i furti perpetrati alle spalle
della povera gente. Gesù lo chiama di nuovo, lui scende e si prepara alla predica. Gesù lo guarda negli occhi
e gli dice: “Senti, perché non mi inviti a pranzo a casa tua, ho voglia di stare un po’ con te”. Zaccheo non
riesce a capire né come sappia il suo nome, né come abbia fatto a vederlo nascosto tra i rami del sicomoro,
ma le domande lasciano subito il posto alla gioia: Gesù vuole venire a casa mia! Gli risponde senza
esitazioni: “Certo, andiamo, ti preparerò un pranzo che ricorderai per tutta la vita!”. Sarà Zaccheo a
ricordarsi quel pranzo per tutta la vita! Chissà che cosa si dissero, fatto sta che al termine Zaccheo, col
cuore che scoppiava dalla felicità, disse: “Ho sbagliato tutto nella vita, voglio cambiare, e voglio restituire
tutto quello che ho rubato, dando quattro volte tanto”. E si ritrova molto più povero, ma infinitamente più
felice.
“E va beh, roba di 2000 anni fa”, potrete dire.
Marcello Candia, parliamo di qualche decina di anni fa. Figlio di un industriale, studia e ottiene tre lauree:
chimica, scienze biologiche e farmacia. Porta avanti l’azienda di famiglia e, nel frattempo, si dà da fare per
le persone che hanno più bisogno, in Italia e all’estero. Nel 1961 inizia la costruzione di un ospedale sulla
foce del Rio delle Amazzoni. Segue i lavori il più possibile, investe molto del suo denaro. Si sente sempre più
realizzato come uomo, ma si accorge che i bisogni aumentano. Nel 1965 vende la sua azienda e sbarca
definitivamente a Macapà, dando vita e averi ai più poveri.
Quando penso a questi episodi mi viene in mente una scena semplice, che è capitata a me in terza
elementare: mi stavo preparando alla prima Comunione e a catechismo Sr Maria aveva parlato
dell’importanza della carità e dell’elemosina. La domenica successiva, a Messa, ognuno di noi bambini
aveva preparato una monetina da dare come offerta. Quando passa il cestino tutti allungano il piccolo
braccio per depositare la moneta. Un bambina vicino a me apre il suo piccolo portafoglio e rovescia tutto
quello che ha dentro. Poco o tanto, era tutto quello che conservava da un po’. Si è girata per seguire di
nuovo la Messa con un sorriso che mi ricorderò per sempre!
È la forza della logica della condivisione, in contrasto con quella dell’accumulo per sé. Chi condivide è felice,
non perché si sente altruista per avere compiuto un’opera buona, semplicemente perché risponde
pienamente a come è fatto. Noi siamo fatti per la relazione, per il dono, per la condivisione. Quando
prendiamo altre strade non siamo soddisfatti, proviamo piaceri solo momentanei, perché non
corrispondono a quello che siamo e ci tolgono dignità.
Provare per credere!
L’inventario nell’armadio ci può offrire un’occasione: perché non raccogliamo ciò che abbiamo e non
usiamo e lo condividiamo? C’è una casa famiglia, in una cittadina dell’Emilia colpita dal terremoto, che ha
bisogno di tutto, anche di vestiti. Valentina, del Servizio Civile, è stata lì quest’estate ed è ancora in contatto
con gli educatori. Metteremo una scatola in ogni classe perché si possa depositare ciò che faremo arrivare
lì. E chissà, magari qualcuno è disposto ad esagerare, come Zaccheo, come Marcello, come la mia
compagna di catechismo e va a comprare un capo di abbigliamento nuovo per questi bambini e ragazzi che
hanno bisogno di tutto.
E poi ce lo raccontiamo: questo modo di essere ci rende più felici?