Cellulosa al solfito: parametri e processo per il suo utilizzo in impasto

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Cellulosa al solfito: parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Cellulosa al solfito:
parametri
e processo
per il suo utilizzo
in impasto
D’Orlando Loris
(Burgo Tolmezzo)
Scuola Interregionale
di tecnologia
per tecnici Cartari
Via Don G. Minzoni, 50
37138 Verona
Relazione finale
6° Corso di Tecnologia per tecnici cartari
1998/99
Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Indice
1. Introduzione .................................................................................. pag.
1.1 Premessa
1
2.
2.1
2.2
2.3
2.4
Piazzale legname ........................................................................... pag.
Caratteristiche del legname in arrivo
Tranciatura e vagliatura (setacciatura)
Maturazione
Prove e controlli sul legname
2
3.
3.1
3.2
3.3
Preparazione liscivio .................................................................... pag.
Caratteristiche del reagente
Processo di produzione
Parametri fondamentali
5
4.
4.1
4.2
4.3
4.4
La cottura del chippato ................................................................ pag.
Aspetti teorici della cottura
Fattori che influenzano la cottura
Caratteristiche dell’impianto e cottura chippato
Il grado kappa o fattore di delignificazione
10
5.
5.1
5.2
5.3
Lavaggio ed assortimento ............................................................ pag.
Processo
Caratteristiche dell’acido monopersolforico
Parametri fondamentali
19
6.
6.1
6.2
6.3
6.4
Imbianchimento ed epurazione ................................................... pag.
Teoria dell’imbianchimento
Imbianchimento usato in questo processo
Processo
Epurazione
26
7. Caratteristiche della cellulosa ed utilizzo in impasto ................ pag.
32
Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
1. Introduzione
1.1 Premessa
Le linee di produzione dello stabilimento di Tolmezzo appartenenti alle Cartiere BURGO sono costituite essenzialmente da cellulosa chimica bianchita di
abete per uso cartario e da carte naturali fini per uso stampa, fotocopie ed imballaggio.
Lo stabilimento risulta verticalizzato in quanto si presta, in maniera autonoma, a tutte le operazioni volte alla trasformazione di un tronco di abete in un foglio di carta velina o da stampa. Dispone inoltre di tre reparti di produzione: Cellulosa & Ligninsolfonato (LS), Carta ed Allestimento.
Il reparto Cellulosa produce pasta chimica con il processo al bisolfito di calcio da circa sessant’anni. La mia ricerca ha lo scopo di illustrare quali sono i parametri principali seguiti per la produzione della cellulosa al Bisolfito di calcio,
per renderla adatta all’utilizzo in impasto per la produzione di carte NATURALI
da stampa. Naturalmente per spiegare quali siano questi parametri è necessario
illustrare il processo di produzione e osservare come al variare degli stessi cambiano le caratteristiche del prodotto finito.
Il processo può essere diviso idealmente in più fasi lavorative, che seguono il
legno dall’arrivo in stabilimento all’utilizzo in impasto.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
2. Piazzale legname
2.1 Caratteristiche del legname in arrivo
La zona in cui viene depositato il legname viene indicata come “Piazzale Legname”, qui vengono svolte tutte le fasi necessarie alla preparazione del legno alla cottura, e quindi a ridurlo sotto forma di “chip” (minuzzoli di legno).
La prima fase di lavorazione consiste nel accatastamento del legname a seconda delle sue dimensioni, sotto forma di: tondelli, refili oppure ad una fase di
lavorazione più avanzata (chippato). Nell’area dedicata all’accatastamento vengono fatte delle suddivisioni ideali in sottoaree che ne permettono poi il facile riconoscimento ed un continuo monitoraggio tramite PC del quantitativo in stoccaggio. Questo è necessario per poter preparare una miscela di legname sotto
forma di “chip” che contenga il 10% in volume di refili ed il 30% di tondello o
stangame ed il 60% di legname già chippato.
Bisogna ricordare che il tronco di un albero, nella parte più esterna ha un
contenuto di lignina maggiore rispetto alla parte centrale ed ha una densità basale
minore, cioè le fibre sono meno compatte.
Il refilo è uno scarto di segheria ottenuto esclusivamente dalla parte più esterna del tronco privo di corteccia, quindi composto dai seguenti strati:
- Cambio: sottile strato di cellule con funzioni di accrescimento, produce cellule
legnose per la parte affacciata all’alburno.
- Alburno: strato posto a ridosso del cuore con funzione di supporto, deposito di
sostanze nutritive che garantisce gli scambi idrici necessari tra la parte apicale e
le radici della pianta.
Il tondello e lo stangame è costituito da parti intere di pianta, generalmente
quelle che per la ridotta sezione non possono essere lavorate in segheria. Esso
contiene tutte le zone di un tronco, partendo da una zona centrale chiamata midollo che è la parte da cui partono verso il folema (sottile strato sotto corteccia
formato da cellule viventi attraverso le quali la linfa alimenta la pianta) i raggi
parenchimatici costituiti da aggregati nastriformi di cellule e da una successiva
zona chiamata cuore o durame formato da fibre morte che hanno la sola funzione
di sostegno dell’intero tronco.
Le dimensioni del legname d’acquisto possono essere così riassunte: i refili
devono avere lo spessore massimo di 3-4 cm, larghezza massima di 30 cm e lunghezza minima di un metro, i tondelli una lunghezza di uno o due metri e lo stangame una lunghezza compresa fra 2-5 metri ed una sezione variabile da 8-35 centimetri. Un’operazione molto importante per l’ottenimento di una buona cellulosa
consiste nel miscelare nella giusta proporzione i refili, stangame, chippato
d’acquisto per poter ottenere una miscela contenente sia gli strati più interni (più
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compatti) che quelli esterni contenenti più lignina. Gli arrivi di legname in stabilimento consistono in refili, chippato e stangame di essenza di abete rosso e solo
in minima parte di abete bianco o larice.
2.2 Tranciatura e vagliatura (setacciatura)
Per ottenere il chip dai tondelli e refili vengono usate due trance, delle quali
una “Svedese” tratta sia stangame che refili ed utilizza un disco rotante a 4 coltelli,
mentre la trancia “WIGGER” tratta solo stangame e monta un disco a 6 coltelli.
L’impianto è essenzialmente composto da quattro linee di trasporto delle quali:
la prima trasporta i refili dalla zona di carico alla trancia “Svedese” ed il chip prodotto procede verso la zona di stoccaggio del chippato acquistato come tale, la seconda alimenta la trancia “Wigger” e trasporta il chip in uscita verso la fase di vagliatura, la terza trasporta il chippato d’acquisto verso la vagliatura e la quarta trasporta il chippato setacciato verso il deposito ove avverrà la fase di maturazione.
La vagliatura del legname consiste nel selezionare esclusivamente i pezzetti
di legno che hanno la forma e le dimensioni simili a quelle dei chips ideali che
sono di forma quadrata ed il lato compreso fra 25-35 millimetri; quindi si tratterà
di scartare tutte le parti più piccole (segatura) e tutte le parti più grosse (schegge).
Questa fase di lavorazione è molto importante per la successiva cottura del legname in cui la presenza di parti di diverse dimensioni produrrebbe una notevole
quantità di scarto (incotti).
La selezione del chippato è effettuata per mezzo di quattro setacci costituiti
da due reti in acciaio che supportate da una struttura metallica vengono messe in
vibrazione da un motore elettrico.
Il legno sminuzzato viene caricato al disopra della prima rete avente i fori di
dimensioni (30x30 millimetri) leggermente superiori a quelle del chip ideale; le
schegge di legno grosse vengono fermate e rimacinate; il restante sminuzzato cadrà sulla seconda rete avente dimensioni (20x20 millimetri) leggermente inferiori
al chip ideale.
Lo scarto (segatura) cadrà al disotto della rete mentre l’accettato verrà scaricato sul nastro che lo trasporterà alla “soffiante” (insieme di compressore e stellare) la quale pomperà i chips al deposito di maturazione.
2.3 Maturazione
Successivamente alla tranciatura viene effettuata la fase della maturazione.
Questa si attua in un area ove viene appositamente creato un grande deposito di
chippato alto una ventina di metri.
Il deposito viene formato grazie alla spinta del chip per effetto della “soffian3
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te” attraverso un braccio che si eleva ad un’altezza superiore a quella del mucchio.
Una volta ottenuto un livello da terra dell’altezza voluta, viene fatto ruotare il
braccio di un certo angolo ottenendo una serie di mucchi continui disposti attorno
un cerchio avente diametro 100 metri circa. Con questo volume si riesce ad ottenere una permanenza del legno per un periodo di circa un mese.
Questo tempo è necessario per la fase di maturazione che consiste nella fermentazione del chip con un rammollimento, plastificazione della lignina ed una
ossidazione delle peci.
All’interno del mucchio, soprattutto nel periodo estivo si genera una certa
temperatura dovuta alla reazione di fermentazione che si innesca solo ad una
temperatura superiore ai 7 gradi centigradi; nel periodo invernale la temperatura
di reazione è garantita dall’insufflamento di aria calda dalle tubazioni sotto il
mucchio. La maturazione è l’ultima fase eseguita nell’area “piazzale legname” e
prepara il legno alla cottura.
2.4 Prove e controlli sul legname
Il legname acquistato sotto forma di stangame, refili o chippato viene regolarmente campionato e controllato.
Innanzitutto sul chippato viene fatto un controllo sulla quantità di parti fini o
schegge (non deve superare 4% sul volume) e sulla quantità di corteccia residua
alla chippatura (non deve superare 1%); questo è un primo esame visivo.
All’arrivo di stangame vengono prelevati campioni per poter valutare la Densità Basale e la siccità assoluta del legno. Si definisce Densità Basale il rapporto
fra la massa di un certo volume di chippato, dopo essere stato essiccato in stufa
per due giorni e lo stesso volume dopo essere stato immerso in acqua per due
giorni. Per le conifere questa misura varia dai 300 ai 400 Kg/m3 mentre per le latifoglie varia dai 600 ai 700 Kg/m3.
Intuitivamente questo valore indica quanto la massa legnosa è compatta e
quindi più il valore è basso e meno il legno richiede energia per essere impregnato dal liscivio nella fase di cottura.
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La lignina è caratterizzata da una elevata resistenza agli acidi forti, mentre è
molto sensibile agli agenti ossidanti e solfonanti quali SOLFITI e BISOLFITI.
Il liscivio non deve avere in nessun modo un’azione degradante verso la fibra
della cellulosa il che influenzerebbe negativamente le proprietà di resistenza del
prodotto finito.
Il liscivio di produzione, formula chimica Ca(HS03)2 è una soluzione composta da solfito di calcio e anidride solforosa.
Il peso molecolare del bisolfito di calcio è 202.22 ed il pH varia tra 1.2 e 1.5 per
mantenere il calcio in soluzione, il processo viene anche chiamato solfito acido.
Il liscivio (bisolfito di calcio) viene ottenuto facendo assorbire nell’acqua
l’anidride solforosa che scioglie il calcare e la reazione è la seguente:
CaCO3 + 2SO2 → Ca(HSO3) + CO2
3.2 Processo di produzione
L’anidride solforosa viene ottenuta bruciando zolfo in appositi forni cilindrici
rotanti ad asse orizzontale, costituiti da lamiera di ferro rivestita internamente da
materiale refrattario; il gas che si produce, viene fatto passare in una camera di
combustione a più settori ove si completa l’ossidazione dello zolfo.
L’ossigeno necessario alla reazione entra da tre punti, dalla testa del cilindro,
in ingresso alla torre di combustione e tramite delle aperture regolabili che permettono l’accesso ai settori per rimuovere le impurità.
All’uscita di questa torre il gas formatosi, ha una temperatura di 1000 gradi
centigradi circa, viene inviato alla torre di lavaggio ove si opera un primo raffreddamento a una temperatura di 30-40 gradi tramite spruzzi di acqua acida continuamente riciclata in un serbatoio e raffreddata per mezzo di due scambiatori.
La temperatura in uscita dalla torre di lavaggio non deve superare 60 gradi altrimenti i materiali plastici costituenti le condutture si deformerebbero.
Questo primo lavaggio permette di eliminare quelle piccole impurità trascinate dal gas e l’anidride solforica SO3 che in parte si è formata.
Da qui il gas subisce un altra diminuzione di temperatura fino a 20 gradi per
mezzo di uno Scambiatore a fascio tubiero.
Questo abbassamento di temperatura è necessario per facilitare l’assorbimento del gas in acqua, come si nota dal grafico, in cui all’aumentare di temperatura
diminuisce la percentuale di gas in soluzione.
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L’anidride solforosa una volta raffreddata viene ulteriormente depurata elettricamente mediante l’utilizzo di un depuratore elettrico (elettrofiltro) che riesce a
separare dal gas particelle solide e liquide che nel nostro caso sono nebbie di
SO3. Questo è ottenuto grazie al campo magnetico generato fra una coppia di elettrodi a piastre posti ai lati della struttura cilindrica e gli elettrodi emittenti posti
al centro della struttura.
Ai capi degli elettrodi a filo (emittenti) e a piastre viene applicata una tensione di 50.000-60.000 Volt che crea un campo magnetico tra i due, le particelle
contenute nel gas passando in prossimità degli elettrodi a filo (negativi) si caricano negativamente abbattendosi sulle piastre (positive), permettendo così il deposito di queste impurità sul fondo.
Per garantire il flusso di gas dal forno all’elettrofiltro e la spinta di questo
verso le successive torri Jenssen vi è posto in serie un ventilatore che permette di
regolare la velocità del gas, quindi la temperatura all’interno dei forni e la quantità di anidride solforosa che passerà in soluzione in acqua nelle torri Jensen.
Le torri di assorbimento Jenssen sono due strutture in cemento armato di
forma cilindrica alte circa 40 metri al cui interno viene caricata la base del liscivio sotto forma di sassi, (calcare). Il sistema lavora in controcorrente tra acqua e
gas; il liscivio maggiormente concentrato si trova ai piedi della prima torre (torre
di testa) ed è da questo punto che viene prelevato e mandato al serbatoio
d’arricchimento ove riceverà un flusso di gas proveniente dagli sgasi dei bollitori
dell’impianto di cottura e successivamente inviato nei serbatoi di stoccaggio.
Il flusso di gas prodotto dalle due linee di produzione si unisce ed entra nella
prima torre ove inizia a reagire con il liscivio debole che si produce nella seconda
torre il quale viene spruzzato dall’alto nella prima. Il gas residuo non assorbito è
inviato ai piedi della seconda torre ove passerà completamente in soluzione con
l’acqua di rete spruzzata dalla sommità di essa.
3.3 Parametri fondamentali
I parametri fondamentali del processo di produzione del bisolfito di calcio
sono: la percentuale di SO2 e di calcio disciolti nella soluzione.
Questi due parametri sono molto importanti per la fase di cottura del legno.
Se la percentuale di calcio disciolta nel liscivio non fosse adeguata si avrebbe un
effetto più degradante della fibra di cellulosa perché la base calcio svolge una
funzione protettiva e ritardante della reazione che si sviluppa tra lignina e bisolfito di calcio. Al variare della percentuale di SO2 nel liscivio si determina una variazione di SO2 libera; (SO2 che ritorna allo stato gassoso durante la cottura) che
determina l’effetto di rimozione della lignina dal chippato e quindi la durata della
cottura. Con una percentuale elevata di SO2 nel liscivio, a parità di tempo di cottura, la pasta risulterà più degradata e le caratteristiche meccaniche verranno ulte8
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riormente compromesse. Con un contenuto inferiore di SO2 disciolta, a parità di
tempo di cottura, la lignina non verrà sufficientemente attaccata e disciolta nel liscivio quindi si avrà un maggior consumo di reattivi per ottenere il grado di bianco voluto. Questi parametri sono correlabili alla densità della soluzione misurata
in gradi Baumè (Bè) ed il suo valore deve essere pari a 5 Bè.
La variazione di SO2 disciolta nel liquido viene determinata dalla quantità di
acqua immessa nelle torri di assorbimento, dalla produzione del liscivio e dalla
temperatura
La percentuale di anidride solforosa contenuta nel flusso di aria attraversante
le due linee di produzione fino all’ingresso delle torri Jensen viene misurata in
continuo tramite due rivelatori “mono”, ed il valore deve essere pari al 12%.
Questo parametro va rispettato per ridurre al minimo il rischio di sublimazione
dello zolfo che ritornerebbe allo stato solido ed intaserebbe le condotte.
La percentuale di base (calcio) contenuta nel liscivio è, invece stechiometrica.
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4. La cottura del chippato
4.1 Aspetti teorici della cottura
La cottura è una fase di lavorazione mediante la quale si riesce ad ottenere, a
determinate condizioni di temperatura e di pressione, la separazione delle materie
incrostanti del legno lasciando così libere le fibre di cellulosa.
L’azione disgregante ed estrattiva della materia incrostante, la lignina, viene
ottenuta per mezzo del liscivio (bisolfito di calcio) di produzione che oltre ai parametri prima descritti deve avere un pH fortemente acido per mantenere in soluzione la base calcio. Durante la fase di cottura il pH che normalmente ha un valore compreso tra 1 e 1.5 tende ad aumentare principalmente per due motivi:
- con l’aumento di temperatura un parte di anidride solforosa in soluzione tende a
passare allo stato gassoso;
- la base, liberatasi dalla combinazione con l’anidride resta in soluzione contribuendo all’incremento di pH.
A tal punto potremmo fare una distinzione tra la percentuale di SO2 che con
un aumento di temperatura resta in soluzione, combinata con la base e la percentuale di SO2 che invece si libera.
SO2 totale = SO2 combinata +SO2 libera
La quantità di SO2 libera che si genera durante la cottura è in eccesso e viene
estratta dal bollitore (fase di “sgaso”) e recuperata andando ad arricchire il liscivio nei serbatoi di stoccaggio. Durante la cottura del chippato, l’anidride solforosa libera reagisce con la lignina contenuta nel legno rendendola solubile mentre
la fibra viene momentaneamente protetta dalla base calcio.
Dalla reazione si ha la formazione dell’acido ligninsolfonico solido dato dalla solfonazione a bassa temperatura (60-70 gradi) della lignina fino ad avere un
rapporto zolfo/carbonio pari a 1/20.
Successivamente l’acido ligninsolfonico subisce una lenta idrolisi e passa in
soluzione. Gli idrati di carbonio presenti nel legno che fanno parte delle emicellulose sono: galattosio, glucosio, mannosio e xilosio.
Il galattosio e glucosio vengono sciolti durante la cottura mentre xilosio e
mannosio vengono solo in parte idrolizzati. I sulfationi presenti hanno un’azione
ossidante sugli zuccheri e quindi la velocità di disintegrazione della lignina varia
con la concentrazione di bisulfationi e zucchero.
L’eliminazione delle oleocellulose comporta entro certi limiti un aumento
della resistenza meccanica della cellulosa mentre oltre, si ha una diminuzione di
questa proprietà. Inoltre maggiore è la presenza di CaO e maggiore è la forma-
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
zione di zuccheri con un aumento della resa della cellulosa col medesimo grado
di cottura e contenuto di SO2 nel liscivio.
In ogni caso, se da una parte un aumento di CaO corrisponde ad un incremento della resa, dall’altra comporta un prolungamento della cottura.
4.2 Fattori che influenzano la cottura
Prima di esporre i fattori che influenzano la cottura bisogna soffermarsi a descrivere la relazione che esprime la velocità di delignificazione del legno durante
la cottura.
V = K * (H+) * (HSO3-)
ove K identifica il grado di delignificazione richiesto, H+ è il numero di ioni idrogeno che catalizzano la decomposizione in acido ligninsolfonico polimerizzato ed infine (HSO3-) sono i sulfationi presenti nella reazione.
Nella fase di cottura rivestono molta importanza fattori quali: la temperatura,
la pressione, la concentrazione di SO2 nel liscivio e le dimensioni dei chips. Per
quanto riguarda la temperatura si può affermare che essa cambia la velocità di
rimozione della lignina e quindi anche la perdita di cellulosa. Infatti nel processo
si può notare che a causa della pressione di vapore per l’eccesso di SO2 libera, il
gas in soluzione può penetrare nei chips più velocemente della base.
Se questo avviene a temperatura elevata si provoca la condensazione della lignina, data l’acidità dell’ambiente.
Questo fenomeno, in queste condizioni, si manifesta con la presenza di una
zona scura all’interno del chip chiamato “incotto”. Per evitare questo inconveniente o limitarlo, l’innalzamento della temperatura avviene molto lentamente, in
maniera che anche la base abbia tempo di penetrare nel chip prima di raggiungere
la temperatura massima che generalmente è mantenuta tra i 128 e i 132 gradi centigradi.
Superando tale limite si rischierebbe di degradare troppo la cellulosa perché
la velocità di rimozione dei carboidrati aumenta con l’incremento della temperatura. La pressione è un fattore legato alla temperatura; al crescere di essa la pressione parziale del vapore d’acqua e quella dell’anidride solforosa libera aumentano fino a raggiungere un certo limite di sicurezza.
Sono previste nell’impianto delle linee che permettono lo sgaso del bollitore
quindi l’allontanamento dei gas mandandoli agli eiettori per l’ulteriore arricchimento di SO2 nel liscivio con conseguente diminuzione della pressione
all’interno del bollitore.
Un altro fattore riguarda la percentuale di SO2 totale che in genere varia da 6
a 7% in cui il 5% è SO2 libera ed il restante 1-2% è combinata. Per avere una
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
maggiore penetrazione si cercherà di favorire una percentuale di SO2 libera più
alta mentre se bisogna ottenere una pasta migliore ed in maggiore quantità si dovrà aumentare la percentuale di SO2 combinata. Infatti a parità di SO2 totale con
maggiore SO2 combinata si avrà un idrolisi minore quindi una cellulosa meno
degradata.
Rivestono particolare importanza le dimensioni dei chip che idealmente dovrebbero avere forma quadrata con il lato compreso fra 25-35 millimetri. Queste
dimensioni sono tali per cui il liscivio, a determinate condizioni di temperatura e
durata di cottura riesce a penetrare fino al centro della superficie del chip.
Oltre alle dimensioni del chip è molto importante il grado di maturazione. Se
il legno è troppo secco (maturazione avanzata) l’aria presente all’interno delle
tracheidi ostacola la penetrazione della SO2 mentre se è ancora verde (maturazione non sufficiente) la lignina non si è sufficientemente plasticizzata, rammollita e
richiederà tempi di cottura più lunghi.
4.3 Caratteristiche dell’impianto e cottura chippato
La cottura del legno sminuzzato viene effettuata attraverso l’utilizzo di tre
bollitori di capacità pari a 270 m3 ove, grazie al riscaldamento ottenuto da vapore
indiretto e con l’intervento di un agente quale il liscivio, si riesce ad estrarre la
cellulosa grezza.
I bollitori sono serbatoi in acciaio posti verticalmente, aventi un’altezza di
circa 10 metri ed una forma cilindrica la cui parte inferiore si chiude a cono mentre quella superiore a parabola. Dalla parte inferiore si diramano varie tubazioni
quali: scarico pasta al Blow Tank, diluizione con liscivio debole (acqua di scarico
dall’impianto di lavaggio pasta), scarico condense e presa per ricircolo liscivio
allo scambiatore.
Sono poste a diversa altezza due tubazioni che circoscrivono ad anello il bollitore usate per la diluizione, tramite liscivio debole, nel momento dello scarico
della pasta dal bollitore. Tra le estremità del bollitore è collegato esternamente
uno scambiatore verticale che permette lo scambio di calore tra vapore proveniente dalla centrale termo elettrica ed il liscivio.
Il liscivio aumentando di temperatura e ricircolando nel bollitore riscalda il
chip promuovendo la reazione di scioglimento della lignina. Nella parte inferiore
dello scambiatore a fascio tubiero è predisposta una tubazione per il prelievo delle condense e lo scarico in un analizzatore che le rimanderà alla centrale. Sulla
parte superiore del bollitore è installato un coperchio che può essere manovrato
dall’operatore mediante un circuito idraulico nella fase di carico chippato e scarico pasta. Inoltre sono predisposte delle tubazioni per l’entrata del vapore “svensson”, lo scarico dei gas durante la cottura nei serbatoi a pressione, lo scarico dei
gas durante la fase di depressione, lo scarico della pressione d’aria che si genera
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
durante il caricamento del legno e dei gas durante il caricamento del liscivio.
Nella pagina seguente è illustrato un bollitore con le principali linee di carico,
scarico e ricircolo.
La gestione dell’impianto di cottura è controllata da un programmatore centrale (PLC) il quale gestisce il sistema mediante l’ausilio di vari sensori: di livello, temperatura e pressione posti sul mantello del bollitore e che seguono in continuo la cottura di ciascun bollitore.
Il ciclo completo necessario alla trasformazione del legno in pasta grezza viene
realizzato in circa 14 ore ed è così suddiviso: caricamento chippato, caricamento
liscivio, cottura e spillamento, degasaggio e scarico liscivio, lavaggio e scarico pasta. L’operatore dà inizio alla prima fase di caricamento chippato; il legno viene
trasportato pneumaticamente sulla cima dell’edificio dove verrà deviato verso il
bollitore da caricare. Dopo il passaggio entro una tramoggia il chip entra nel bollitore ad una elevata velocità e viene investito da getti di vapore a pressione variabile da 3.5 a 5 bar che sono inclinati rispetto al flusso del chippato.
Il vapore colpisce il chip e ne aumenta la velocità facendolo cadere fortemente compresso nel del bollitore in modo da ottenere un’elevata densità di caricamento (fino a 240 Kg/m3) eliminando gli spazi vuoti tra chip e chip, permettendo
di caricare un quantitativo di legno superiore del 35% circa rispetto al sistema a
caduta libera.
Nel sistema chiamato “svensson” il vapore a pressione penetra nei pori del
legno e sposta l’aria presente nelle tracheidi in modo da facilitare la penetrazione
del liscivio all’interno del chip facendo diminuire i tempi di cottura. Durante la
fase di carico dei chips, della durata di circa 1h 30’, viene lavato lo scambiatore
con acqua di condensa per rimuovere le incrostazioni di sali di calcio che si sono
generate durante la cottura precedente. Nel bollitore viene aperto lo scarico condense che si generano dal vapore “svensson” e lo scarico in atmosfera perché
l’entrata di vapore svensson e cippato mandano in pressione il bollitore ostacolando la capacità di caricamento.
La fase viene ultimata quando il livello del chip caricato oltrepassa i sensori a
raggi gamma posti a 3/4 dell’altezza del bollitore.
La fase successiva consiste nel caricamento liscivio ed ha in media una durata di 30’. Il liscivio viene pompato nel bollitore dalla zona di arricchimento costituita da quattro serbatoi a diversa pressione ove subisce un arricchimento di SO2
libera.
Infatti questo, prelevato dalle quattro cisterne di stoccaggio presenti nella sala di produzione, viene inizialmente pompato in due serbatoi aventi una pressione
di circa 2 bar ove riceve tutti gli sgasi dei bollitori con pressione compresa fra 2 e
4 bar; successivamente viene pompato in altri due serbatoi a pressione di 5 bar
ove riceve gli sgasi dei bollitori compresi fra 5 ed 8 bar. Ora il liscivio è pronto
per essere pompato nel bollitore da caricare.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
L’aumento di temperatura all’interno del bollitore viene comandata dal controllore elettronico che regola la mandata del vapore allo scambiatore in modo tale da far seguire un andamento di salita nel tempo uguale a quello impostato.
L’aumento di temperatura può essere diviso in tre periodi di tempo: il primo consiste in un veloce aumento fino a 100 gradi centigradi, il secondo in una sosta di
30’ ed il terzo nella salita fino a 130 gradi. I primi due permettono al liscivio di
penetrare in profondità fino all’interno del chip mentre il terzo è la cottura vera e
propria.
Il primo periodo ha una durata di circa 1h 30’ con un consumo di vapore di
circa 13,5 ton/h mentre il terzo dura 3 h e comporta un consumo di 6 ton/h fino al
raggiungimento di 130 gradi.
Con questi impianti è possibile lavorare altri tipi di legno e naturalmente con
una camme di temperatura diversa l’una dall’altra. Durante il primo periodo, con
l’aumento di temperatura fino a 100 gradi, la pressione all’interno del bollitore
aumenta fino a raggiungere 8.2 kg/cm2; a questo punto si opera uno spillamento
per estrarre il liscivio in eccedenza conseguente. Estraendo il liscivio in eccedenza la pressione decresce fino a circa 4 kg/cm2. Questo sbalzo di pressione contribuisce ulteriormente alla penetrazione del liscivio all’interno del chip. Nella pagina seguente è possibile seguire l’andamento della temperatura e pressione nel
tempo in una cottura.
Dopo una sosta di 30 minuti a 100 gradi si opera la salita di temperatura fino
a 130 gradi allorché viene mantenuta costante finché l’operatore, prelevando un
campione di liscivio ed effettuando delle analisi di densità, non rilevi un incremento di tale valore di 4 gradi Bè; a tal punto procederà a fermare la cottura e a
dare inizio alla fase di depressione. Questa fase viene eseguita togliendo pressione al bollitore, convogliando i gas a pressione prima all’accumulatore delle due
cisterne ad alta pressione e poi, raggiunta una pressione di 4 Kg/cm2, li convoglierà all’accumulatore delle cisterne a bassa pressione finché la pressione nel
bollitore non sia scesa a 2 Kg/cm2. Lo sgaso ad alta pressione ha in media una
durata di 20 minuti mentre quello a bassa pressione 1 ora e 20 minuti. Dopo
un’ora dall’inizio della fase di depressione viene scaricato il liscivio esausto che
avrà una densità pari a 9 gradi Bè.
Il liscivio ha subito un aumento di densità dovuto ad un assorbimento di tutte
quelle sostanze di natura organica che legano le fibre di cellulosa quali: lignina,
zuccheri ed emicellulose e che sono passate in soluzione durante la cottura. Il liscivio esausto, durante lo scarico, viene fatto passare attraverso un degasatore
che separa il liquido dal gas di SO2.
Il liquido viene inviato all’impianto di evaporazione del ligninsulfonato mentre i gas vengono recuperati nelle torri. Lo scarico dura circa 1 ora ed è seguito
dal lavaggio della pasta che ha una durata di 2 ore.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Questa fase viene eseguita utilizzando acqua proveniente da cinque serbatoi
di stoccaggio da 200 m3 di capacità l’uno, chiamati “R.T.” (tank di recupero) i
quali contengono l’acqua di lavaggio recuperata nel successivo impianto.
La quantità d’acqua usata è in genere quantificata in 200-240 m3 e viene fatta
passare attraverso il bollitore in modo da trascinare con se i residui di liscivio esausto presenti nella pasta grezza. Quest’acqua permette inoltre di abbassare la
quantità di solfiti presenti nella pasta.
L’ultima fase consiste nello scaricare il bollitore dalla pasta grezza ed inviarla ad un serbatoio esterno chiamato “blow tank”. Il deflusso della pasta è garantito da tre spruzzi di spinta a diversa altezza utilizzanti acqua da RT che sono saldati ad anello sulla parete del bollitore a diversa altezza. Un anello è posto a
mezza altezza ed è fornito di 8 spruzzi; il secondo anello a quattro spruzzi appena
più in basso ed in fine uno spruzzo di spinta sul fondo.
Il tutto (pasta-acqua di lavaggio) viene aspirato e pompato da una pompa
centrifuga al “blow tank” che ha la funzione di polmone per l’impianto di lavaggio della pasta grezza.
4.4 Il grado kappa o fattore di delignificazione
La cottura nel bollitore viene fermata quando si è giunti al grado di delifinicazione della cellulosa che si è prefissato. La delignificazione è controllata con il
grado di densità del liscivio. Il grado di delignificazione indica la quantità di lignina residua nella pasta grezza.
Il contenuto di lignina influisce fortemente sulle proprietà cartarie delle paste
chimiche ed in primo luogo sul loro comportamento alla raffinazione. Inoltre da
esso dipende il consumo di reattivo durante la fase di sbianca delle paste grezze.
Per questo sono stati sviluppati molti metodi per la determinazione del grado di
delignificazione.
Il metodo principalmente usato è basato su procedimenti di analisi volumetrica che determinano il contenuto di lignina per via indiretta. Essi si basano sulla
reazione fra la lignina delle fibre e reattivi quali: permanganato di potassio, cloro,
ipoclorito ed ipobromito che la degradano in composti solubili. Il permanganato
è il reattivo più usato ed è in grado di reagire con la lignina delle fibre nel giro di
pochi minuti, è stabile e di comune impiego nelle analisi volumetriche. In pratica
si fa reagire un eccesso di permanganato con la pasta in sospensione acquosa, rititolando poi l’eccesso di permanganato che non ha reagito; il permanganato consumato è in relazione al contenuto di lignina residua della pasta.
Il grado di delignificazione si esprime in numero di “KAPPA” che si definisce come il numero di centimetri cubici di permanganato di potassio 0,1 N consumati da 1g di pasta secca in stufa, nelle condizioni descritte nelle norme. Questo principio è descritto da più norme quali: metodo TAPPI STANDARD T236
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
cm-85, la norma ISO R 202-82, la norma SCANC1:77; le quali stabiliscono le
condizioni di temperatura, durata delle reazioni, le quantità di pasta, permanganato e acido solforico usati nella reazione.
La quantità di permanganato consumata dalla lignina non è mai esattamente
il 50%; se però il consumo è compreso fra il 30 ed il 70% si fa ricorso ad una tabella che elenca i fattori di correzione da applicare per riportare il consumo effettivo a quello teorico del 50%.
Si ha quindi:
Numero KAPPA = fattore di correzione * consumo permanganato
peso pasta
Il consumo di permanganato dipende fortemente dalle condizioni operative e
soprattutto dalla quantità di reattivo non consumato che a sua volta è funzione
inversa della quantità di lignina. Per questo è stato introdotto l’accorgimento di
mantenere costante la quantità di permanganato, ma di far variare la quantità di
pasta in modo da consumare esattamente il 50% del reattivo applicato.
Un altro metodo per determinare la lignina residua è quello gravimetrico di
KLASON descritto dalle norme TAPPI STANDARD T 222 -83; la relazione che
lega il numero KAPPA alla lignina residua di KLASON è la seguente:
lignina KLASON = 0.15 * numero KAPPA
Nell’impianto il grado K viene misurato sulla cellulosa grezza da un analizzatore in continuo e deve essere mantenuto pari a 9 gradi K.
Il grado di cottura della pasta greggia può essere determinato in laboratorio
mettendo a confronto varie fibre di cellulosa sottoposte a diverse condizioni di
cottura. Preparando dei vetrini con le diverse fibre ed usando dei reattivi, si può
notare la diversa colorazione assunta dalle fibre secondo il loro contenuto di lignina o il loro grado di cottura. Con il reattivo di Lofon-Merrit la pasta chimica
al solfito assume un colore violetto intenso che diminuisce gradualmente
all’aumentare del grado di cottura. Con il reattivo di Bright si osserva che
all’aumentare del grado di cottura il passaggio graduale delle fibre attraverso le
colorazioni: blu (pasta chimica dura) giallo-blu, rosso-blu, rosso (chimica ben disincrostata). Con il reattivo C le fibre dure si colorano in giallo verdastro mentre
quelle cotte sono in giallo violetto.
Mediante questo esame al microscopio si nota che con lo stesso reattivo le fibre dello stesso vetrino si colorano in maniera leggermente diversa; questo sta ad
indicare che il grado di disincrostazione è diverso e quindi siamo in grado di stabilire se una cellulosa è cotta in maniera più o meno uniforme.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
5. Lavaggio ed assortimento
5.1 Processo
In questo impianto la pasta grezza viene lavata, separata da eventuali impurità (sabbia, schegge, cortecce, incotti) e preparata alla successiva fase di delignificazione per opera dell’acido monopersolforico.
La pasta scaricata dai bollitori nel “blow tank” avente densità da 4-5% viene
portata a 1.5-2%, si presenta ancora sotto forma di chip che però sono facilmente
spappolati e vengono aperti da due epuratori di cui normalmente uno in funzione
ed uno in lavaggio. L’epuratore (SOUND) chiamato anche apritore è formato da
una carcassa esterna al cui interno è fissato un cestello a fori ed un rotore a pale
centrale che sfiorando la superficie interna del cestello riesce a schiacciare e aprire i chips liberando le fibre.
Nella pagina seguente è illustrata la struttura di un apritore.
L’accettato (fibra) passa attraverso il cestello e viene mandato in ingresso al
primo filtro RR mentre lo scarto composto da nodi, incotti o schegge è mandato
in caduta su due vibrovagli che selezionano ulteriormente le fibre dai nodi. Per
nodi si intendono quei chips che per la particolare resistenza alla penetrazione del
liscivio, durante la cottura, non subiscono un efficace disincrostazione e conservano una parte della loro resistenza.
Nell’albero i nodi costituiscono la zona di diramazione dei rami e si presenta
con una colorazione più scura e una maggiore compattezza delle fibre. Gli incotti
sono dei normali chips che però non sono stati trattati completamente dal liscivio
a causa delle loro dimensioni. Lo scarto (nodi, incotti, schegge) viene trattato da
due apparecchiature chiamate “macinanodi” che per mezzo di un cilindro rotante
dentato rompono, spappolano i nodi.
Questo scarto rappresenta una prima selezione-assortimento della pasta grezza per quanto riguarda le parti grossolane rispetto alla fibra.
L’accettato dei SOUND o apritori viene inviato a due filtri (RAUMA- REPOLA) lavoranti in serie. In essi la pasta arriva ad una densità del 2.5% e viene
addensata e lavata con acqua che procede in contro corrente rispetto ad essa. Il
funzionamento di questo tipo di filtro si può così riassumere: la pasta in ingresso
viene raccolta da un tamburo con superficie a rete il quale forma, grazie alla differenza di pressione tra la parte interna ed esterna del tamburo, un pannello fibroso spesso un paio di centimetri. Il pannello durante la rotazione percorre un arco
che potremmo idealmente dividere in tre settori ove in ognuno viene spruzzata
dell’acqua che esercita un effetto pulente verso la pasta andando ad attraversarla
e a scaricarsi in uno dei tre settori di raccolta interni al tamburo.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
L’acqua raccolta nel settore andrà a scaricarsi in un serbatoio dedicato al filtro di raccolta acque, nel settore ad essa dedicato. Ogni settore e quindi ogni serie
di spruzzi riceve l’acqua di lavaggio dalla serie precedente fino alla terza che riceve l’acqua dalla prima serie del secondo filtro. L’acqua lavorando in contro
corrente rispetto alla pasta si arricchisce sempre di più di liscivio lavato dalla pasta sul tamburo. Nella pagina seguente è sintetizzato il funzionamento di un filtro
di lavaggio a pressione (RAUMA-REPOLA).
Il primo filtro è fornito di tre settori di lavaggio con tre serie di spruzzi mentre il secondo ha due settori di lavaggio con due serie. L’acqua più pulita entra
dalla seconda serie del secondo filtro ad una temperatura di 40 gradi centigradi in
modo da ottenere un maggior effetto pulente mentre l’acqua più sporca, ricca di
liscivio si trova al primo settore del filtro di testa. L’acqua sporca esce dal ciclo
di lavaggio per andare a riscaldare tramite due scambiatori a piastre l’acqua in
entrata al secondo filtro portandola a 42-43 gradi per poi essere pompata negli
RT (Tank di Recupero) per il lavaggio dei bollitori. I filtri sono ermeticamente
chiusi e la differenza di pressione tra l’esterno e l’interno del tamburo è garantita
da un ventilatore che preleva l’aria dalla zona interna e di scarico pasta, comprimendola sulla parte esterna del tamburo garantendo un efficace spremitura del
pannello fibroso. Il pannello dopo aver superato i tre settori di lavaggio del filtro
di testa, viene separato dal tamburo per mezzo dell’aspirazione del ventilatore
permettendone la fuoriuscita dal filtro ed il trasferimento al ingresso del secondo
filtro, dove dopo aver riformato il pannello lo scaricherà nella tina eski.
I vantaggi di questo tipo di filtro a pressione differenziale positiva possono
essere così riassunti:
- circolazione aria a circuito chiuso;
- alto effetto pulente;
- buon funzionamento anche con basse portate di pasta da lavorare;
- l’alta temperatura di funzionamento aumenta l’efficienza;
- è isolato dall’esterno e quindi non presenta problemi di vapori acidi;
- costruzione mediante acciaio inossidabile, quindi alta resistenza ad agenti acidi.
La cellulosa diluita prosegue verso un’altra fase di epurazione per mezzo di
uno screen a cestello verticale a fori. Esso, grazie alle pale rotanti esternamente al
cestello ed alla differenza di pressione tra ingresso e uscita, riesce a separare
quelle impurità che gli apritori e vibrovagli non riescono a separare, come per esempio i fasci di fibre o i resti di corteccia del tronco.
L’accettato è pompato in tina cleaners mentre lo scarto viene lavorato da quattro eski di cui tre lavoranti in parallelo ed il loro scarto lavorato dal quarto in serie.
Il termine ESKI identifica un particolare tipo di epuratore costituito da un cestello centrale a fessure vibrante, un alimentazione pasta e scarico dello scarto esterni al cestello, uno scarico “accettato” dall’interno del cestello. La pasta viene
inviata allo scarico “accettato” solo se passa attraverso le fessure, altrimenti percorre tutta la sella dell’Esko e si scarica dall’altro lato del cestello.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Dalla tina cleaners la pasta è pompata a quattro batterie di epuratori a vortice
operanti con un salto di pressione fra l’ingresso e l’accettato di 2.8 bar.
L’accettato viene prelevato dalla prima batteria mentre il suo scarto viene lavorato dalle altre tre che ricircolano su di essa.
I cleaners permettono di separare dalla pasta le impurità più fini e con peso
specifico più alto, per esempio le sabbie. La pasta viene successivamente inviata
ad un preaddensatore a gravità che la porta ad una densità del 1% e la manda al
terzo filtro (KAMIR) di coda. Questo filtro non ha la funzione di addensare la
pasta al 10-12% preparandola a ricevere l’acido monopersolforico. Nella pagina
seguente è illustrato un filtro addensatore con vuoto. Esso, a differenza del filtro
1 e 2 non è chiuso ermeticamente da un coperchio, ma è aperto; la pasta viene
addensata sfruttando il vuoto (0.2-0.3 metri di colonna d’acqua) che si crea
all’interno del tamburo per effetto di una gamba barometrica da cui si scarica
l’acqua di spremitura.
La pasta in ingresso ha una densità del 1%, si raccoglie sul fondo del filtro esternamente al tamburo e viene aspirata sulla rete andando a formare un pannello di
pasta a cui il vuoto toglierà l’acqua nell’arco di tempo necessario a compiere mezzo
giro al tamburo. Il pannello, una volta separato dal tamburo, viene raccolto in una
tramoggia ove riceverà l’AMP (acidomonopersolforico) che, mescolandosi alla pasta nella torre TP1 (torre di stazionamento pasta intermedia tra impianto di lavaggio
e imbianchimento) la preparerà ad un ulteriore attacco verso la lignina presente.
5.2 Caratteristiche dell’acido monopersolforico
L’acido monopersolforico (formula chimica H2SO5) viene ottenuto mescolando
acqua ossigenata H2O2 (60% in volume) e acido solforico (96% in volume) nel
rapporto 1: 2.13 in volume, secondo la reazione:
H2O2 + H2SO4 → H2SO5 + H2O + H2SO4 + O2 + CALORIE
La resa della reazione può essere variata dall’utilizzo di H2O2 a diversa concentrazione, per esempio con il 60% c.a. si ha una resa del 60% mentre con H2O2
al 70% si raggiunge 80% e si aumenta così la potenza delignificante. Generalmente si lavora ad una temperatura compresa tra 15-20 gradi in quanto a 25 gradi
inizia la decomposizione dell’AMP e sopra i 30 la decompopsizione.
La reazione è fortemente esotermica per cui la temperatura deve essere controllata e mantenuta inferiore a 35 gradi: al disotto di questa soglia la reazione
può essere controllata senza risultare violenta ed esplosiva. L’impianto di preparazione AMP deve essere realizzato con materiali resistenti all’azione corrosiva
dell’acido solforico. L’AMP si mescola con l’acido diluito recuperato dalla sala
di imbianchimento e viene dosato nella coclea del Filtro 3 KAMYR.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Dal filtro la pasta è pompata alla torre TP1 ove si impregna di acido che è
ancora stabile ad un pH di 1-1.3.
5.3 Parametri fondamentali
In questo impianto si devono controllare alcuni parametri fondamentali che
permettono di stabilire se la pasta è stata lavata a sufficienza, altri permettono di
valutare se l’AMP dosato nella pasta ha portato nelle successive fasi di lavorazione all’ottenimento delle caratteristiche volute.
Per quanto riguarda il lavaggio, questa valutazione viene eseguita controllando l’acqua di spremitura in uscita al secondo filtro RR e confrontandola con una
scala cromatica da cui si può definire la qualità di lavaggio. La portata d’acqua di
lavaggio viene impostata in base alla portata di pasta lavorata e viene poi modificata in caso di lavaggio più o meno sufficiente.
La portata d’acqua è anche impostata in funzione del quantitativo di solfiti
che accompagnano la pasta, il cui valore è riscontrato analizzando l’acqua di
spremitura in uscita al filtro 3. Questo valore deve essere inferiore a 150 p.p.m.;
se fosse superiore si procede ad aumentare la portata di acqua di lavaggio. Il dosaggio dell’AMP viene impostato in modo da garantire nell’acqua di recupero
dalla sala di imbianchimento una presenza di residuo chimico, in modo che la pasta si mescoli con un quantitativo sempre sufficiente di acido.
In generale l’impianto lavora circa 200 m3 di pasta grezza al 2.5% di concentrazione all’ora, ed ha uno scarto del 3-4% dovuto alla fase di assortimento e di
lavaggio (fibre non trattenute dai tre filtri e disperse in acqua di lavaggio).
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
6. Imbianchimento ed epurazione
6.1 Teoria dell’imbianchimento
L’imbianchimento è inteso come la sequenza di trattamento della pasta per
decolorarne le fibre.
Nei processi di trasformazione del legno, la lignina che è uno dei suoi maggiori componenti subisce alterazioni nella struttura molecolare più o meno profonde, a
seconda del processo che le ha provocate; questa modifica determina nelle paste
delle colorazioni che vanno dal giallo al marrone. Per cui la colorazione impartita
alla pasta è dovuta principalmente alla presenza dei residui della lignina degradata.
Lo scopo dell’imbianchimento è quello di raggiungere un accettabile livello di
bianco procedendo attraverso la rimozione e quindi l’allontanamento o trasformazione di tali composti colorati.
Questo può avvenire mediante due sistemi di imbianchimento;
- per ulteriore modifica con allontanamento dei residui della lignina; esso consiste nella rimozione dei residui della lignina dalle paste; è di norma conseguito
con cloro e i suoi derivati oppure ossigeno, ozono.
- per ulteriore modifica senza allontanamento dei residui della lignina.
Questo procedimento contempla l’uso di idrosolfiti o perossidi la cui azione
riducente od ossidante provoca sulla lignina la modifica solo senza ulteriore degradazione della struttura.
Il processo migliora il grado di bianco mentre la resa non subisce variazioni
sostanziali.
6.2 Imbianchimento usato in questo processo
Il tipo di imbianchimento usato nel processo al BISOLFITO DI CALCIO si è
portato verso il disuso dell’agente ossidante CLORO e ciò a motivo dell’inquinamento provocato dalla formazione di numerosi prodotti di degradazione della
lignina clorurata. Attualmente viene utilizzato l’agente ossidante perossido
d’idrogeno che non dà problemi di carattere ambientale. Oltre al perossido,
l’imbianchimento viene effettuato mediante altri agenti imbiancanti ed in fasi
successive, ognuna delle quali è caratterizzata da condizioni tipiche che sono
funzione del grado di bianco e del tipo di pasta, in modo da ottenere i migliori risultati sia ottici che meccanici di imbianchimento. Di norma le sequenze d’imbianchimento vengono contraddistinte con delle lettere, nel caso del processo in
esame è la seguente: (EPH).
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
La lettera E indica una fase alcalina cioè l’introduzione nella pasta impregnata
di acido monopersolforico di idrossido di sodio NaOH che opera l’innalzamento
del pH a 11-11.5 ed il passaggio dell’acido da stabile a reattivo (ossidante) andando a distruggere la lignina abbattendola del 45-50%. Questa operazione permette
di portare in soluzione le resine (steroli, acidi e grassi) oltre ad aumentare il grado
di bianco e conferire alla cellulosa una maggiore stabilità nel tempo.
La reazione di delignificazione è la seguente:
H2SO5 + 2NaOH → NaSO4 + OOH- (perossidrile)
La lignina viene attaccata e distrutta dallo ione perossidrile formatosi dalla
reazione e porta alla produzione di molecole organiche, CO2 e acqua.
Il consumo di idrossido di sodio dipende dal numero KAPPA della cellulosa
greggia e quindi dalla quantità di lignine da porre in soluzione e, comunque, un
eccesso abbasserebbe l’ingrassabilità e la resistenza alla lacerazione. Un trattamento in eccesso potrebbe essere favorevole nei confronti della resistenza allo
scoppio, alla piegatura e così dicasi per l’opacità. La lettera P indica l’utilizzo in
una fase dell’agente ossidante perossido d’idrogeno (acqua ossigenata). Questa
fase ha lo scopo di aumentare e stabilizzare il grado di bianco. La perdita di ossigeno da parte del perossido è influenzata dalla temperatura, dal pH, dalla presenza di tracce di metallo, da polveri e da sostanze organiche. La reazione di decomposizione è la seguente:
1) 2H2O2 → 2H2O + O2
Questa è esotermica e provoca combustione o deflagrazione, può essere limitata mediante l’utilizzo di sostanze stabilizzanti quali silicato di sodio o solfato di
magnesio che permettono di inibire l’effetto catalizzante degli ioni metallici contenuti in piccola parte nella cellulosa quali: rame, ferro, manganese e nichel. In soluzione acquosa il perossido è dissociato comportandosi come un acido debole:
2) H2O2 → H+ +HOOOve lo ione HOO- è l’agente attivo dell’imbianchimento ed agisce secondo la
reazione:
3) HOO- + COLORE → COLORE OSSIDATO + HOPertanto per usare il perossido come imbiancante bisogna favorire la reazione
3) mediante la formazione di ioni perossidrile OHH- come nella reazione 2) e sottraendo dall’equilibrio della stessa gli ioni H+ mediante alcali.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
6.3 Processo
La cellulosa greggia dopo aver sostato per circa un ora nella torre TP1
dell’impianto di lavaggio viene pompata in ingresso al primo filtro BELLMER
dell’impianto di imbianchimento ed epurazione. Questo non è altro che un addensatore avente la funzione di separare la pasta dall’acqua acida che non è stata
impregnata nelle fibre della cellulosa per poi procedere nella successiva fase di
imbianchimento. L’acqua acida viene recuperata e rimandata all’impianto di lavaggio.
Il pannello formato sul tamburo del filtro per mezzo del vuoto creato dalla
gamba barometrica viene poi separato ed impregnato da soda caustica in modo
che il pH passi da acido ad alcalino (11.5).
La soda viene mescolata omogeneamente alla cellulosa mediante l’utilizzo,
in serie al filtro, di un MESCOLATORE a vapore che per mezzo di due coclee
rotanti in senso inverso riesce a omogeneizzare il dosaggio di soda. Inoltre,
all’interno, viene insufflato vapore che permette di avere una temperatura della
pasta costante a 35 gradi e contribuisce ad una maggior resa delle reazioni successive nella torre alcalina.
La prima torre di alcalinizzazione permette all’acido monopersolforico e soda di innescare la reazione di delignificazione della fase E o fase alcalina. Il contenuto della torre (80 m3 circa) viene estratto dalla parte inferiore tramite pompa
centrifuga dopo essere stato diluito mediante due serie di spruzzi poste ad anello
sulla superficie della torre. La cellulosa vi staziona per un’ora dal momento in cui
viene inserita dall’alto a quando viene prelevata e diluita dal basso.
Dalla prima torre la pasta viene pompata al filtro 3 BELLMER in cui viene
addensata e additivata con perossido d’idrogeno, idrossido di sodio e silicato di
sodio in soluzione acquosa. La pasta, passando attraverso un altro mescolatore a
vapore a doppio albero, viene riscaldata a 75 gradi e successivamente scaricata
nella torre 3 ove si completerà la fase P con perossido. La densità nella torre è del
10-11% ed il tempo di stazionamento dipende dalla portata dell’impianto (circa
un’ora). All’uscita dalla torre la pasta viene di nuovo diluita al 1.5% per essere
inviata al filtro 4 BELLMER ove si prepara ad essere inviata alle vasche olandesi
per la fase finale di sbianca.
Dal filtro 4 la cellulosa entra nelle vasche olandesi ove subirà l’ultima fase
d’imbianchimento.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
neutralizzata con liscivio vergine o condensati acidi. Questa fase è necessaria per
fermare l’affetto sbiancante dell’ipoclorito che se lasciato ulteriormente reagire
andrebbe ad intaccare le fibre degradando troppo la cellulosa compromettendone
le caratteristiche di resistenza meccanica.
Un’altra funzione della neutralizzazione consiste nell’abbassare il pH da 11 a
6-6.5 per un uso in impasto. Se il pH fosse fuori dagli standard si modificherebbero le caratteristiche di durata nel tempo della carta. A questo punto la cellulosa
ha raggiunto il grado di bianco voluto ed è pronta ad essere depurata.
6.4 Epurazione
Questa fase consente di separare le particelle di resina coagulata tramite
l’utilizzo di TALCO e le impurità residue attraverso l’uso di cleaners, eski, screen e vibrovaglio.
La cellulosa viene trattata da quattro Eski lavoranti in parallelo il cui scarto è
selezionato tramite uno screen mentre l’accettato viene trattato da quattro stadi
cleaners che inviano la cellulosa ad un addensatore che la scarica nella tina della
pasta depurata ad una concentrazione di 5.5%.
La cellulosa è pronta per un suo utilizzo in impasto.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
7. Caratteristiche della cellulosa ed utilizzo in impasto
La pasta chimica da noi prodotta viene identificata con la sigla “SF”, le sue
caratteristiche meccaniche sono leggermente inferiori alle paste estratte con altri
processi di estrazione di fibra lunga, ma questo è dovuto al processo acido.
Le caratteristiche che contraddistinguono questa pasta dalle altre a fibra lunga sono: l’elevata flessibilità e lo spessore delle fibre.
Queste due caratteristiche conferiscono all’impasto, quindi al prodotto finito,
una maggiore resistenza alle doppie pieghe, inoltre viene sempre garantito un
certo spessore alla carta dato proprio dalla fibra lunga.
È da sottolineare come l’utilizzo in impasto di questa cellulosa consenta un
ridotto consumo di colla.
La cellulosa “SF” viene utilizzata in impasto in ognuna delle tre linee di produzione dello stabilimento. Certamente l’impasto non è costituito totalmente da
questo tipo di cellulosa ma solo in una certa percentuale che varia a seconda del
tipo di carta prodotta e quindi dalle sue caratteristiche principali.
La linea 1a produce carte alimentari di bassa grammatura, la linea 2a produce
carte alimentari e da imballo, mentre il maggior volume di produzione è dato dalla linea 3a in cui le carte prodotte possono essere divise a seconda del loro utilizzo sul mercato:
- carte per quaderni;
- carte per fotocopiatrici;
- carte per moduli continui.
Le carte per fotocopiatrici richiedono principalmente le caratteristiche di
macchinabilità, imbarcamento, umidità e la tinta; le caratteristiche principali delle carte per quaderni sono: collatura, resistenze superficiali (stampabilità) e la tinta.
Le caratteristiche delle carte utilizzate per moduli continui, sia con processo
xerografico che meccanico sono: le resistenze meccaniche, superficiali,
l’orientamento delle fibre (TSO) per la laser.
Per ottenere queste caratteristiche viene normalmente utilizzata in impasto
cellulosa a fibra corta, mentre nella nostra produzione si utilizza in impasto
un’elevata quantità di fibra lunga sia di acquisto che di nostra produzione (SF).
L’Italia è un paese privo di materie prime arboree sicché è costretto ad importare la maggior parte della cellulosa. In questo contesto risulta estremamente
importante dal punto di vista economico la possibilità di fruire di un ciclo industriale integrato.
Autoprodurre cellulosa permette una riduzione notevole dei costi della carta.
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Cellulosa al solfito parametri e processo per il suo utilizzo in impasto
Bibliografia
• Enrico Gianni - “L’industria della carta”
(Editore Ulrico Hoepli - Milano)
• Prof. Franco Scandolara - “Appunti di chimica generale”
(SIC – Verona, 1998/1999)
• Dott. Dino Nisi - “Le paste per carta”
(SIC – Verona, 1998/1999)
• “Imbianchimento paste”
(Aticelca)
• Documentazione da reparto cellulosa Burgo di Tolmezzo
• “Appunti di tecnologia cartaria”
(Paolo Zaninelli)