CORSO DI FORMAZIONE (pontificio Collegio Leoniano Anagni

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CORSO DI FORMAZIONE (pontificio Collegio Leoniano Anagni
CORSO DI FORMAZIONE
(Pontificio Collegio Leoniano, Anagni – 23/03/2013)
La lavanda dei piedi <Gv. 13,1-15>
(Riflessione di Don Danilo Priori – Vice Assistente Nazionale UNITALSI)
Il tema lungo il quale svilupperemo la nostra riflessione è quello della “lavanda dei piedi”
che la Chiesa celebra il Giovedì Santo e che offre degli spunti per il nostro carisma associativo. Non
lo esaminerò tutto, ma sceglierò liberamente alcuni episodi, alcune parole che possano dire
qualcosa per la nostra vita associativa.
Per quanto riguarda il nostro tema, vorrei intanto contestualizzarlo.
Il testo di questo passo del Vangelo di Giovanni viene inserito ed anticipato da alcune
espressioni che sembrano parlare dei nostri giorni. Dice la Scrittura che siamo in prossimità della
Pasqua, dice ancora che “… essendo giunta l’ora per Gesù”, il Signore farà alcune cose, che poi
vedremo insieme, ed allora mi piace pensare alla nostra Chiesa, in particolare alla nostra
Associazione che si prepara in un modo del tutto particolare alla celebrazione della Pasqua, e, però,
non dimentica anche che si tratta <dell’ora>.
Parlare <dell’ora>, nel vangelo di Giovanni, significa parlare di un tempo speciale.
Ricordate? Nelle “Nozze di Cana” c’è quasi una sorta di battibecco fra Gesù e Maria, quando Gesù
quasi seccato dice “che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”, ma Maria
insiste, forzando un po’ la mano di Gesù <<Fate tutto quello che Egli vi dirà>>.
Questa volta l’ora è arrivata e per Giovanni l’ora comincia direttamente dalla Croce, la
Croce del Signore, tutti gli eventi legati alla Passione di Gesù che già dicono, avviano alla
glorificazione del Signore stesso. Poi, dice ancora questo vangelo: quando era il momento che Gesù
faceva questo passaggio dalla vita terrena verso il Padre e, dunque, l’idea del cammino, del
passaggio, del pellegrinaggio, tutti elementi che ci verranno forniti per cogliere meglio la lavanda
dei piedi.
Intanto due parole sulla Pasqua. So che vado a toccare un tema che tutti conosciamo, ma mi
permetto di inserire alcune indicazioni per meglio cogliere quello che fa Gesù.
Noi spesso abusiamo di questa parola quando diciamo: celebriamo la Pasqua, la Pasqua di
Resurrezione, ma in quel momento che significava <Pasqua>? Nella parola <Pasqua> si associano
diversi significati, certamente c’è l’idea del passaggio e, dunque, l’andare verso qualcos’altro, è
evidente e chiaro che indica un passaggio fondamentale che è l’istituzione della Pasqua ebraica,
quando il Signore durante i giorni della schiavitù in Egitto chiede a questo popolo d’Israele di
prendere un agnello, prepararlo lì, legarlo, precisamente dice la scrittura, e poi immolarlo nella
notte del passaggio, per, poi, fare questo passaggio verso l’Esodo, quindi il passaggio verso la
liberazione. Dunque, sicuramente c’è questo salto, passaggio, Pasqua che significa fare questo
passaggio dalla schiavitù alla liberazione, per noi dalla schiavitù della morte alla liberazione
della vita eterna.
La parola originariamente significava qualcos’altro, dalla parola ebraica, composta di due
parole: bocca e narrare, dunque la Pasqua è un qualcosa che parla e dice: fa memoria di un evento
straordinario. Dire però memoria sarebbe limitativo, perché la memoria che Israele fa, intanto è un
racconto di tutto ciò che è successo, tuttavia, dice la tradizione ebraica, quel racconto ancora oggi
ha i suoi effetti, ancora oggi noi beneficiamo di quello che viene raccontato e, ancora di più,
attende qualcosa che deve ancora accadere.
Pensate come viviamo la Pasqua e quante di queste sensibilità sono, poi, rientrate, sono
state accolte nella nostra concezione della Pasqua. Dunque Pasqua intesa, sicuramente, come
racconto degli eventi che sono accaduti, Pasqua come qualcosa che ancora dice ed ha significato
per la nostra vita, Pasqua che ci proietta nella speranza verso il futuro.
Per Israele il futuro è l’attesa del Messia promesso e ad annunciarlo sarà il profeta Elia, il
profeta che era stato rapito, dice la Scrittura. Pensate che quando viene celebrata la Pasqua
ebraica gli Ebrei tengono la porta socchiusa, perché attendono simbolicamente la venuta di Elia,
Elia che annuncia la venuta del Messia.
Chiaramente per noi che celebriamo la “porta della fede” quel Messia lo riconosciamo in
Gesù.
E, poi, alcune altre indicazioni che mi piacerebbe dare riguardo alla Pasqua, giusto per
intenderla, perché è talmente ricco il rituale sia nelle preghiere che nella sequenza che intanto ci
aiuta a cogliere il banchetto eucaristico che viviamo.
Noi siamo abituati ai gesti che fa Gesù: lo spezzare il pane, il consegnare il calice ai suoi, ma
certamente riflette il pasto della Pasqua ebraica. Pensate che nella Pasqua ebraica ci sono quattro
calici che vengono consegnati, l’ultimo è certamente il più solenne, quello di cui si canta in
maniera, dicono, più vittoriosa e tutto il racconto della Pasqua, durante la notte, viene fatto dalla
famiglia ebraica nella convinzione che bisogna trascorrere tutta la notte insieme, fare memoria di
quella notte di liberazione e ci si alterna in un dialogo in cui il capofamiglia risponde alle domande
che vengono poste, domande che mettono nella condizione di ricordare ciò che è accaduto. Questo
per dirvi la ricchezza e la bellezza del rito della Pasqua che, chiaramente, poi, è andato a finire per
buona parte in quello che noi celebriamo.
Questo per una prima ambientazione.
Accanto al tema della Pasqua c’è certamente il tema dell’ora.
L’ora è il momento specifico, particolare che Gesù inaugura attraverso la sua Passione.
Dice l’evangelista Giovanni che quando era ormai giunta l’ora del suo passaggio Gesù si
riunisce con i suoi, dice alcune cose particolarmente belle, tra cui il discorso dell’addio, e fa
qualcosa di straordinario.
C’è però un particolare che si sorprende, sul quale spesso ci siamo interrogati, mentre gli
altri evangelisti raccontano proprio “l’Ultima Cena”, ciò che Gesù fa, e parole che dice sul pane e
sul vino, ciò che dice ai suoi, l’evangelista Giovanni sembrerebbe quasi disinteressarsi di quel
racconto. Racconta, sì, che c’è una cena; non dice quello che Gesù pronuncia sul pane e sul vino,
ma dice che fa un gesto straordinario che è quello della lavanda dei piedi.
Spesso si dice che ciò che gli altri evangelisti sinottici raccontano sul “l’Ultima Cena”,
Giovanni ne dice in quanto ad effetti, come a dire che ciò che viene celebrato e raccontato dagli
evangelisti, in Giovanni viene detto nei suoi effetti, cioè nel gesto della carità, dell’umiltà, del
servizio, ed è proprio questo gesto, proprio perché si parla di servizio che a noi interessa da vicino
per quello che facciamo nella nostra Associazione.
Il racconto così come ci viene proposto nel vangelo è un racconto che presenta quasi una
sorta di sequenze di gesti che Gesù fa, l’uno dietro l’altro, e ciascuno dice qualcosa, perché come
potete sicuramente ricordare, nel brano del vangelo si racconta che sono a cena, nel mezzo della
cena Gesù fa questo gesto e ciò assume una solennità straordinaria in cui vengono raccontati i gesti
ma non ci sono parole, se non poi la discussione successiva.
Andiamo a vedere da vicino questa pratica che Gesù fa con i suoi.
Gesù lava i piedi ai suoi. Ma, perché vengono lavati i piedi? Quello che Gesù fa è un gesto
insolito oppure qualcosa che il popolo d’Israele si aspettava che facesse, e se lo aspettava che lo
facesse proprio in quel momento?
Qualche indicazione che ci aiuti a comprendere la lavanda dei pedi.
Intanto la lavanda dei piedi, dal racconto che ce ne dà la scrittura, era una pratica igienica,
causa le strade polverose, l’uso di particolari sandali, che mette nella condizione, nella necessità di
lavarsi i piedi quando si arriva in un luogo, in una casa e si veniva accolti. Chi lavava i piedi?
Certamente non il padrone della casa, ma questo servizio era lasciato al servo, cioè colui che
doveva predisporre il catino con l’acqua, versarla sui piedi dell’ospite e lavarli, affinché fosse
refrigerato e pulito in questo incontro.
Noi sappiamo, però, dal racconto della Genesi, che la lavanda dei piedi è anche un gesto di
ospitalità. Pensate a ciò che fa Abramo quando accoglie i “Messaggeri del Signore”. Abramo dà
disposizioni affinché vengano lavati i piedi degli ospiti. Vedremo anche, come, nella storia della
nostra cristianità quanto nella tradizione benedettina, il gesto della lavanda dei piedi diventerà
importante fino al punto che se ne parlerà come addirittura un sacramento. Poi, bisogna anche dire
che la lavanda dei piedi era un atto rituale quando Israele era ancora nel suo cammino dell’esodo e
nella tenda andava ad incontrare il Signore. Chiede il Signore ai sacerdoti che vangano fatte le
abluzioni rituali, cioè vengano lavate le mani e i piedi. Dunque Aronne e i suoi figli dovevano lavarsi
le mani e i piedi prima di poter entrare all’interno di quel luogo dove c’era la Tenda del Convegno,
e dunque un luogo d’incontro con il Signore.
Ciò che, però, sorprende, potremmo dire, che se la lavanda dei piedi come gesto,
solitamente, veniva fatto quando si arrivava a casa di qualcuno, quando si veniva accolti, quello che
qui la Scrittura fa’ è uno spostamento temporale.
Gesù non lava i piedi ai suoi all’inizio. Quindi dovremmo pensare che questo gesto non ha un
significato igienico, cioè non sta facendo il gesto che fa normalmente il servo per accogliere i suoi
ospiti, bensì qualche altro significato.
E quale altra caratteristica che ci lascia sorpresi, chiaramente sono questioni che ci
interrogano, che ci fanno dire qualcosa di importante per il nostro servizio, che solitamente la
lavanda dei piedi, quale gesto di sottomissione ed umiltà, era fatta dal servo, questa volta è Gesù
stesso, Colui che aveva una certa autorità, il Maestro, che invece si china, quasi una sorta, in questo
gesto, di anticipo di abbassamento nel senso della Croce, si china sui piedi dei suoi.
Occorre aggiungere altri due particolari a quello che è il contesto della lavanda dei piedi.
Gesù da un lato va a lavare i piedi ai suoi ma sembrerebbe quasi compiere un gesto, per certi
versi, misterioso (ricordate quando c’è quella contestazione? Comincia Pietro “…non mi laverai mai
i piedi!” e Gesù “…se non ti laverò, non avrai parte con me” “Signore non solo i piedi, ma anche le
mani ed il capo!”), che lega colui che riceve la lavanda dei piedi con il Signore stesso, quindi, un
rapporto strettamente diretto, personale tra Gesù e i suoi.
Aggiunge, poi, Gesù un significato ulteriore quando dice “…se dunque io, il Signore e il
Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri…” come a dire: non
basta la relazione con il Signore, c’è bisogno della relazione tra di voi, dunque, lavatevi i piedi a
vicenda.
Qualcuno ha parlato della lavanda dei piedi come un sacramento, uno dei sacramenti della
Chiesa in quanto c’è l’istituzione da parte di Gesù, è Gesù che dice <fate questo>, e c’è il
significato, la parola che il Signore dice su questo gesto stesso, secondo una definizione classica. A
me non interessa stare a cogliere la questione se si trattasse di un sacramento o meno, la nostra
Chiesa non lo inserisce nei sette sacramenti, anche se poi è una definizione che viene data più tardi.
Vi faccio, però, soltanto un paio di esempi per farvi capire come nella Chiesa questo gesto
rimane avvolto da una sorta di mistero.
Nella chiesa di Milano si diceva che questo gesto era un gesto sacramentale, ed era come fare un
altro battesimo, perché era legato, e Sant’Ambrogio lo riferisce, ad un passo della Genesi, quando
Adamo ed Eva, nel giardino terrestre vengono insidiati dal serpente. Sant’Ambrogio ne fa una bella
ricostruzione, dicendo che, siccome il serpente, secondo quanto detto dal Signore nel momento
della condanna “… e tu le insidierai il calcagno” avrebbe insidiato il calcagno dell’uomo, noi
abbiamo bisogno di un altro sacramento, oltre il battesimo, che è quello della lavanda dei piedi in
cui viene messo al centro dell’attenzione il piede che è il luogo dove simbolicamente l’uomo viene
sempre tentato dal maligno.
Tanto per citare altri due autori che conosciamo.
Sant’Agostino diceva che la lavanda dei piedi è un rito strettamente legato al battesimo,
perché c’è il gesto dell’acqua, della pulizia e, dunque, ciò che veniva lavato con il battesimo, il
peccato originale, veniva completato con la lavanda dei piedi attraverso questa ripetizione rituale.
Un ultimo esempio che porto alla vostra attenzione è San Benedetto. Se prendete la
“Regola” ancora oggi trovate l’importanza che viene data alla lavanda dei piedi come gesto di
accoglienza. L’ospite viene accolto e all’ospite vengono lavati i piedi. Chiaramente, non vi sto a
fare la storia di questo gesto, a noi basta sapere che la nostra Chiesa, ad un certo punto della
nostra storia, qualche anno prima del Concilio Vaticano II°, introduce nuovamente questo rito nella
liturgia del Giovedì Santo e noi lo celebriamo una volta all’anno in questa giornata.
Mi permetto soltanto di aggiungere una persona. Prima abbiamo ricordato il nostro Papa
emerito. Spero che quanto prima ci faccia dono delle sue parole, dei suoi scritti. Intanto mi piace
far riferimento ai documenti di Papa Benedetto XVI°, perché più volte ha affrontato il problema
della lavanda dei piedi ed ha detto qualcosa di straordinario, come soltanto un grande teologo come
lui poteva cogliere. Lui dice: non è un sacramento la lavanda dei piedi, gli rassomiglia molto,
perché c’è la Parola ed il gesto, però non è un sacramento ma, simbolicamente, vuole
rappresentare la pulizia. Mentre nell’antichità Israele per pulirsi aveva bisogno dell’acqua, delle
abluzioni prima di accostarsi al Signore, adesso per accostarsi al Signore ha bisogno, intanto della
Parola, la Parola di Dio che purifica e dunque rende puri davanti a Lui e in questo gesto, in questa
accoglienza della Parola, Papa Benedetto vedeva la purificazione e, poi, aggiungeva che nella vita
a nulla vale quella Parola se non si aggiungeva il sangue di Cristo che è la celebrazione a cui
consegna, poi, il gesto della lavanda, cioè il servizio.
Dunque Parola, sacramento e gesto che ancora una volta ci rimanda al documento “La Porta
della Fede” e, come avremo modo di vedere nelle ultime battute di questa riflessione, inserirà il
documento che è passato un po’ nascosto negli ultimi mesi del suo pontificato, nel mese di
dicembre, quando parla dell’“Intima natura della Chiesa”, dice qualcosa che ci riguarda molto da
vicino.
Detto questo, andiamo al secondo passaggio della lavanda dei piedi, perché c’è un altro
gesto straordinario che fa Gesù.
Dice la Scrittura che Gesù nel mezzo della cena si alza, va a prendere il catino per lavare i
piedi e, dice ancora il Vangelo, si denuda, più esattamente <<… depose le vesti>>. Perché è tanto
importante questa parola? Perché qualche capitolo prima, nel Vangelo di Giovanni, quando Gesù
parla di se stesso, definendosi il Buon Pastore dice che il buon pastore è colui che depone la propria
vita per le pecore (Gv. 10,11), pertanto il gesto del deporre le vesti è legato alla morte. Non ci
sorprende, perché siamo nel contesto della Passione del Signore, nella prossimità dell’ora della
passione, perché, come vi dicevo, la glorificazione del Signore inizia con la sua croce.
Quindi, Gesù depone le proprie vesti, si spoglia e non possiamo, certamente, non fare
memoria di quel passo di San Paolo quando dice: “… pur essendo di natura divina, non considerò un
tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo…”.
Pensate a come i passi del Vangelo riescono bene, poi, a definire quella stessa situazione. Però
vorrei dirvi un’altra cosa. Pensate se in una cena, in una situazione ufficiale quale la celebrazione
della Pasqua, qualcuno si spogliasse, perché la Scrittura dice che Gesù si spoglia proprio, rimane
pressoché nudo di fronte ai suoi. E’ un gesto a dir poco scandaloso, perché in una società come
quella ebraica, e lo sarebbe tutt’ora, mettersi nudo di fronte ad altre persone, era chiaramente un
gesto non socialmente normale o compiuto nella normalità delle situazioni. Perché, allora, Gesù si
mette nudo davanti ai suoi e comincia a lavre i suoi in questo gesto intimo, personale, profondo?
Certamente quando noi pensiamo al vestito, pensiamo a ciò che Gesù toglie. Gesù si toglie la veste
e noi sappiamo che spesso la veste è significativa di quello che siamo o forse di quello che ci
piacerebbe essere. Pensate a quante volte viene data importanza all’abito. Avere un certo abito
dice anche la posizione che la persona riveste. Quante volte, secondo il nostro comune modo di
pensare, nel vedere una persona ben vestita diciamo che fa un lavoro o ricopre una posizione
sociale importante? E dall’altro lato se vediamo una stracciona diciamo è una persona povera.
Dunque il vestito come riferimento anche all’importanza, allo status sociale della persona stessa.
Gesù sembrerebbe quasi annullare questa sorta di affermazione, cioè toglie da sé le vesti in
modo da rendersi in tutto e per tutto simile a coloro che ha davanti. Quando le persone non hanno
le vesti, diremmo che sono nude, vengono poste una accanto all’altra nella totale uguaglianza,
ragione per cui Gesù si fa veramente uomo attraverso anche quel gesto, denudandosi Lui, a dire io
sono esattamente come voi, un semplice uomo, non c’è più Maestro, non c’è più persona
importante, c’è soltanto un uomo esattamente uguale a voi.
Mi piace ricordare un altro passo della Scrittura, visto che ce lo permette Sant’Ambrogio,
come abbiamo sentito facendo riferimento alla Genesi, quando nel giardino dell’Eden Adamo ed Eva
si sentono in difficoltà perché, dopo aver peccato, sono nudi, riconoscono di essere nudi. Ecco,
questo gesto del Signore sembrerebbe anche rimandare ad un recupero di una situazione idilliaca.
Non c’è più colpa dell’essere nudi davanti al Signore, perché se il peccato metteva nella condizione
di essere vergognosi per la propria nudità, adesso il Cristo nudo accolla su sé il peccato dell’uomo e
lo crocifigge sulla croce una volta per tutte e per sempre.
Nel citare i Padri della Chiesa, un po’ come ci ha insegnato Papa Benedetto, San Giovanni
Crisostomo diceva che nel povero, nella persona che non ha nulla, praticamente nella persona nuda,
tu vedi la realtà della Chiesa. Se tu vuoi incontrare Gesù, se tu vuoi incontrare la verità nella
Chiesa non lo incontri nel fasto delle vesti, ma nel povero che bussa alla porta.
Tutte queste provocazioni, chiaramente, ci aiutano a cogliere meglio il senso del gesto che
fa Gesù, denudandosi ed entrando in intimità con i suoi, andando a compiere questo gesto che
irrompe sia a livello temporale, non lo fa all’inizio ma nel mezzo di una cena, sia perché lo fa in
maniera incredibile, si spoglia, con il significato che lo spogliarsi, il deporre le vesti ha, quello di
un’offerta totale del Cristo di fronte ai suoi. Si fa servo, si china su di loro, anticipando il chinarsi,
l’inabissarsi verso la Croce stessa.
Ho fatto prima riferimento ad una affermazione del nostro Papa emerito quando, parlando
del documento dell’“Intima natura della Chiesa” individua tre passaggi: la Parola, la celebrazione
ed il servizio ovvero la carità. Egli diceva: questa è la natura intima della Chiesa. Se voi alla Chiesa
togliete una di queste tre dimensioni, certamente non avremo una Chiesa piena.
Bene, mi piace anche vedere nel gesto di Gesù, così come ci insegnano gli studiosi, visto che
siamo nella prossimità della Pasqua, il senso profondo, quello della Pasqua, di ogni Pasqua che
celebriamo, costituita, certamente, dal racconto di ciò che sono stati gli eventi dell’Incarnazione,
la storia della salvezza e dunque la Parola, quella che è una ritualità che viene compiuta e, quindi,
il rito stesso che noi celebriamo. Poi, però, dice Papa Benedetto, ricordatevi che per prolungare
l’efficacia di quel rito, affinché la Parola non resti muta ed il rito non resti inefficace, c’è bisogno
di un gesto.
Gesù lo fa attraverso la lavanda dei piedi. Lavando i piedi ai suoi gli va ad insegnare,
certamente, l’umiltà, l’obbedienza, la sottomissione, il servizio, come vedremo, nei confronti
dell’altro.
Tutte le volte in cui la lavanda dei piedi, potremmo dire parafrasando questa parola, tutte le
lavande dei piedi nelle quali mettiamo tutti i nostri servizi sarebbero, certamente, inesistenti se
non ci fosse qualcuno che le fa e, non facendole, andremmo ad annullare anche la Parola
annunciata e quanto celebrato.
Apro una piccola parentesi sul rito. Noi lo celebriamo soltanto il Giovedì Santo, non era così
nell’antichità. Giorni fa mi è capitato di ascoltare una riflessione molto bella durante un Convegno
su “Catechesi e disabilità”, una riflessione su quello che è il rito. Il relatore, Professor Bonaccorso
dell’Istituto di Santa Giustina diceva: guardate che il rito non è solo parola, non è soltanto il
gesto che fa il sacerdote quando sta sull’altare. Il rito, perché abbia la sua efficacia ha
bisogno del corpo. E’ il corpo che dice il tipo di rito che facciamo, non il contrario. Noi
pensiamo che semplicemente attraverso il rito riusciamo a plasmare quelle che sono le nostre vite.
Lui, invece, ci invitava a riflettere sul fatto che il rito è espressione di una corporeità che
partecipa e, dicendo questo aggiungeva: pensiamo a che tipo di corporeità viene espressa
quando il corpo è toccato dalla malattia, dalla disabilità, come a dire: se la partecipazione
attiva a cui fa riferimento il Concilio Vaticano II° è qualcosa a cui veramente crediamo,
pensiamo alle nostre celebrazioni e cerchiamo che siano capaci di coinvolgere anche coloro
che, per motivi particolari di corpo, non possono partecipare. Lei è un tipico esempio, rivolto
alla ragazza che era accanto a lui e che traduceva nel linguaggio dei segni. Se lei non ci fosse stata,
tutto ciò che io ho detto, per loro sarebbe stato un semplice muovere la bocca, e dall’altro
lato, però, se in sala ci fossero delle persone non vedenti, tutto ciò che lei fa con i gesti e
tutto ciò che io, in qualche modo, comunico attraverso la gestualità, e soltanto una piccola
parte attraverso il contenuto, rimarrebbe vana. Il tutto per arrivare a dire che il rito è un
armonia di linguaggi in cui ciascuno è importante. Invitava ciascuno di noi a fare in modo che
tutti i linguaggi possano dire un’unica persona, Gesù Cristo, al centro dell’attenzione sempre
Lui, facendo sparire tutto ciò che è superfluo, mondano e via dicendo. Questo per capire anche
il senso della lavanda dei piedi.
Vorrei, ora, riportare queste riflessioni, prendendole nella sequenza in cui ve ne ho parlato,
riportarle nella nostra esperienza di Associazione e vedere che cosa potrebbero dire.
Il primo riferimento va fatto alla Pasqua e all’ora di Gesù. Perché questo? Perché
credo che ogni volta che accostiamo una persona malata, una persona sofferente, i
nostri amici che portiamo in pellegrinaggio, non dovremmo mai dimenticare che
anche quando siamo in quaresima, anche quando siamo in clima penitenziale, ciò che
noi annunciamo è un Cristo Risorto, altrimenti, come dice San Paolo <vana è la nostra
fede>. Quindi, la nostra speranza non viene dal nostro essere bravi barellieri, dal
nostro essere persone capaci, in maniera impeccabile, di accudire il malato, ma la
nostra speranza viene dall’annunciare Cristo Risorto e questo dovremmo dire alle
persone che incontriamo, senza dimenticare che la lavanda dei piedi, come vi dicevo,
si svolge in prossimità dell’ora, cioè della Croce che è tutt’uno con la Resurrezione
del Cristo. Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione è un unico mistero.
Possiamo, magari, vedere in questo mistero un aspetto piuttosto che l’altro,
ricordandoci, però, che l’uno non può mai escludere l’altro.
Il secondo riferimento è una riflessione sulle indicazioni sull’igiene. La lavanda dei
piedi nasce come gesto di igiene e, forse, non per dire delle cose banali, quanto
importante per il servizio che uno fa è l’igiene! Vi sono, spesso, delle difficoltà che
non mettono nella condizione di poter curare il proprio igiene e mettono, dall’altro
lato, la persona nella condizione di mettere mano, chiaramente, a situazioni
particolari. La dimensione dell’igiene che nella lavanda dei piedi, poi, rinvia anche a
quella che è un’igiene spirituale, e che nel nostro servizio sta a significare intanto la
cura, l’attenzione verso il nostro fratello. Che piacere accompagnare i nostri amici!
Accompagnarli, però, così come vogliamo essere noi, cioè puliti e nella condizione
giusta, perfetta. Vi dicevo da un lato, dunque, l’igiene corporale, dall’altro, però,
anche l’igiene spirituale a cui la lavanda dei piedi accenna.
Papa Benedetto ci ha insegnato che la lavanda dei piedi è pulizia intesa nel senso di
partecipazione alla Parola ed al Sacramento.
Allora, forzerei un po’ la mano, dicendovi, che come vi preoccupate dell’igiene fisico
delle persone, così vi dovreste preoccupare anche del loro <<igiene spirituale>>.
Fate in modo che la Parola possa purificarli e che l’incontro con i Sacramenti
possa continuare questo percorso.
Solo così potremmo avere quell’<intima natura della Chiesa> di cui parla Papa
Benedetto.
Il terzo riferimento, per il nostro servizio, è il gesto dell’accoglienza. Se la lavanda
dei piedi era nella tradizione ebraica, la tradizione della nostra Scrittura, un gesto di
accoglienza nei confronti dei pellegrini, e così veniva riaccolto e ripetuto, ad esempio,
nella tradizione benedettina, allo stesso modo lo è nella nostra Associazione. Il
servizio inteso come accoglienza, come incontro con l’altro. Il tentativo di Gesù,
quando approccia i suoi nella lavanda dei piedi, è incontrarli, intanto, personalmente,
perché a ciascuno lava i piedi, personalmente e singolarmente, poi, chiede di farlo
ciascuno di loro in modo che alla dimensione, alla relazione personale consegua una
necessaria relazione comunitaria.
Il quarto riferimento è legato alla sacerdotalità di Aronne e dei suoi figli nell’A.T.
Il gesto della lavanda dei piedi era riservato ai sacerdoti. Qualcuno, addirittura, tra
gli studiosi è arrivato a dire che non avevamo bisogno del Sacramento dell’Ordine,
sarebbe bastata la lavanda dei piedi in quanto gesto che prolunga l’abluzione rituale
del sacerdote dell’A.T., rendendo sacerdote colui a cui venivano lavati i piedi. In
poche parole, questa la tesi: attraverso la lavanda dei piedi Gesù li aveva fatti
sacerdoti. Noi accogliamo, giustamente, quello che ci insegna la Chiesa, abbiamo un
Sacramento che è quello dell’Ordine per il sacerdozio. Però, ciascuno di noi deve
ricordare quello che ci ha insegnato il Concilio Vaticano II: che anche noi siamo un
popolo di sacerdoti in virtù del nostro battesimo e, quindi, legati alla lavanda dei
piedi, che usando come sinonimo del nostro servizio ci deve portare, sempre, a fare
memoria del nostro battesimo e ricordarcene come un dono bello che ci rende
partecipi di quella sacerdotalità dell’essere popolo di sacerdoti guidati dal Signore e
diretti verso il Regno dei Cieli.
Il quinto riferimento: la sottomissione del Signore. Lo abbiamo sottolineato
parlando della Pasqua. Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, si sottomette
totalmente, usando le parole del profeta <come agnello muto condotto al macello>,
accoglie su di sé quello che sarà un certo indirizzo, lo accoglie consapevole di ciò che
va a fare. Potremmo vedere in questo gesto del Signore, cogliere in esso il senso della
sottomissione, dell’abbassamento. Credo che nessuno, in alcune situazioni, si trovi
esaltato dal compiere certi servizi. Però, la scelta, l’indicazione che viene data, il
suggerimento di compiere un servizio piuttosto che un altro è, in qualche modo,
anche il gesto di accostarsi all’altro e accogliere le indicazioni che vengono date in
parallelo con le indicazioni ben precise che il Padre dà al Figlio.
Il sesto riferimento. Il Signore si appresta al servizio della lavanda dei piedi non con
approssimazione, ma con ferma precisione, seguendo una ritualità ben precisa e,
dicendo, poi, ai suoi delle parole specifiche. Sarebbe bello se ciascuno di noi
invitasse le persone che accudisce, verso le quali rivolge il proprio servizio, a
curare la loro formazione e la loro preghiera. Gesù prega, come ben sapete, prima
della sua passione ed è preparato, perché obbedisce alla parola del Padre, è
preparato a ciò che va a fare. Questo vale, a maggior ragione, per ciascuno di noi,
personalmente. E’ assurdo pensare che ci sia qualcuno che fa servizio senza preghiera
e senza formazione. Quando parlo di formazione non mi riferisco all’addestramento
tecnico, come aprire o come chiudere una carrozzina, pur certo importante, poiché è
chiaro che ci vogliono delle competenze specifiche per determinate patologie, ma
intendo, soprattutto, fare un cammino di fede. Senza questo cammino di fede è
inutile il nostro servizio, diventa un semplice fare, che annulla la dimensione
dell’ascolto, della Parola e l’efficacia del rito che celebriamo. Formazione e
preghiera sono i cardini del nostro servizio.
Altra riflessione: il Signore si denuda prima di fare il suo servizio. Mi verrebbe da
dire: noi non ci denudiamo, anzi, ci rivestiamo. Pensate soltanto a quando il
sacerdote celebra, certamente, non va nudo all’altare, sarebbe chiaramente
improprio, ma lo fa in un certo modo e con determinate vesti. E noi, come lo
facciamo il nostro servizio? Con la divisa. Allora qual è il senso della divisa? Se il senso
profonde della lavanda dei piedi, quando Gesù si denuda, è quello di rendere tutti
uguali, pensate che nel servizio anche noi siamo tutti uguali. Quando ciascuno di noi
è vestito allo stesso modo dell’altro, lì non esiste più direttore del personale, operaio,
ingegnere, tutti sono sullo stesso livello. Potremmo dire che il fatto di indossare la
divisa, un qualunque abito che metta nella condizione di essere tutti uguali, ci rende
certamente uguali nel servizio che facciamo e, al tempo stesso, direttamente
specifici, importanti per il Signore nel servizio che facciamo. E, dunque, rivalutare
anche il senso del nostro avere un certo abbigliamento, non per avere una veste
scomoda, ma soltanto per avere qualcosa che ci accomuna nel servizio che ciascuno
di noi fa con il proprio slancio, con le proprie passioni e con i propri sentimenti.
Ancora una riflessione sul fatto di denudarsi. Il Signore depone la veste. Dicevamo
che nel deporre la veste, depone la vita, per cui, tutte le volte che mi accosto ad una
persona, anch’io sto deponendo la mia vita ai piedi di quella persona. La depongo,
perché metto il servizio nei confronti di quella persona prima dei miei interessi, lo
metto prima di quello che sono i miei desideri, i miei bisogni. Prima viene l’altro e,
quindi, un’apertura che dà delle priorità, prima il prossimo e poi le mie questioni
personali. E’ un po’ mettersi da parte per far largo al prossimo.
Toccare i piedi, lavare i piedi, da parte di Gesù è il gesto più basso che Lui poteva
fare; ed, allora, penso a tutte le situazioni, tra virgolette, <basse> nelle quali voi
continuate a mettere le mani. Ogni volta che avvicinate le vostre mani ad una
situazione, chiamiamola <bassa> per intenderci, spero davvero che possiate cogliere
la stessa intensità con la quale Gesù si china per mettere, per appoggiare le mani sui
piedi dei suoi discepoli.
Ultima considerazione: la carne nuda che Cristo mostra ai suoi è destinata da lì a
poco ad essere crocifissa sulla Croce. E’ come quella stessa carne nuda che voi
incontrate, la nudità della persona che incontrate quando lo andate a vedere.
Tra voi ed il malato si instaura lo stesso legame di intimità, perché si svolgono
funzioni intime, perché, chiaramente, si crea quel legame personale e, dunque
vedere nel malato la figura del Cristo stesso, il Cristo denudato prossimo alla
Passione. La persona che avete di fronte è una persona che prolunga, aggiunge alla
Passione del Cristo, come dice San Paolo, quello che manca, aggiunge ai patimenti
del Cristo quelli che vive sul proprio corpo.
Speriamo davvero che la “Lavanda dei piedi” la possiamo vivere, d’ora in poi, con maggiore
intensità, con maggiore ampiezza, magari ricordandoci qualche spunto di riflessione. Speriamo,
soprattutto, che possa essere di esempio, di insegnamento per la nostra vita associativa e per il
nostro servizio.