Rezension über: Oliver Janz, Das symbolische Kapital

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Rezension über: Oliver Janz, Das symbolische Kapital
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Caglioti, Daniela Luigia: Rezension über: Oliver Janz, Das
symbolische Kapital der Trauer. Nation, Religion und Familie im
italienischen Gefallenenkult des Ersten Weltkriegs, Tübingen: Max
Niemeyer Verlag, 2009, in: Il Mestiere di Storico, 2010, 2, S. 219,
http://recensio.net/r/3879a3b2e07e4fd16b62a9b2662f73c1
First published: Il Mestiere di Storico, 2010, 2
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i libri del
2009 / 2
219
Oliver Janz, Das symbolische Kapital der Trauer. Nation, Religion und Familie im italienischen Gefallenkult des Ersten Weltkriegs, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 514 pp.,
€ 74,95
Rielaborazione della tesi di Habilitation dell’a., questo libro aggiunge un importante
tassello alla storiografia sulla prima guerra mondiale e in particolare a quella ormai vasta letteratura che, a partire dagli studi di George Mosse, di Jay Winter, di Reinhart Koselleck, si è
occupata del culto dei morti. La morte in guerra e il culto dei soldati caduti, come scrive lo
stesso a. nell’introduzione, sono temi che attraversano i campi della memoria, della politica,
della religione, del genere e delle emozioni e soprattutto – è ancora l’a. a sottolinearlo – si
intrecciano con quelli del Nation building, della cittadinanza, dei processi di democratizzazione (p. 1). Se però la maggioranza degli studi si è occupata del culto dei morti e della
elaborazione del lutto nella loro dimensione pubblica e collettiva, indagandone le cerimonie
(quella del milite ignoto soprattutto) e i luoghi della memoria (cimiteri, targhe, monumenti
ecc.), la novità del libro di Janz consiste nel guardare ai rituali privati del cordoglio, al modo
cioè in cui familiari e amici ricordano i propri cari, elaborano e socializzano il dolore. Janz
analizza così una fonte poco nota e cioè gli oltre 2.300 opuscoli pubblicati in ricordo di
singoli soldati, fatti stampare dalle famiglie e destinati alla circolazione nella ristretta cerchia
dei parenti e degli amici, contenenti necrologi, testimonianze, spesso anche frammenti di
lettere. Protagonisti di questi scritti sono giovani ufficiali di estrazione borghese ed è la
borghesia italiana nazionalista a rappresentarsi in questi attraverso il ventaglio variegato –
dall’irredentismo alla guerra in nome della «grande Italia» e via di questo passo – delle motivazioni della sua adesione alla guerra. La nazione (e il nazionalismo), la religione (per lo più
civile e politica) e la famiglia sono i pilastri attorno a cui ruotano i testi e l’analisi che Janz
ne compie. Gli autori di questo rito privato del cordoglio, che tuttavia ambisce a diventare
pubblico, sono padri, fratelli e soprattutto amici, colleghi, commilitoni e più marginalmente madri, mogli e sorelle, che reagiscono alla perdita in guerra mettendo in scena l’eroismo
dei propri cari ricorrendo a tutto l’armamentario del discorso nazional-patriottico declinato
in chiave civil-religiosa: i soldati ricordati negli opuscoli sono morti per la patria, il loro atto
è eroico sacrificio e le loro madri sono a loro volta eroine che hanno donato alla nazione i
propri figli. Dentro questo «genere» commemorativo non c’è ovviamente spazio per la rabbia, per il pacifismo, per la protesta contro la guerra ingiusta, per il rifiuto della violenza, per
il dissenso, per l’invettiva contro i governanti o gli alti comandi dell’esercito.
Janz analizza questi scritti con acribia e precisione, ne fa una puntuale e interessante
disamina sia quantitativa (si veda la ricca appendice statistica) che qualitativa, non convince però fino in fondo quando, per spiegarne la diffusione in Italia, ricorre alla categoria del «familismo». Chissà se invece, e senza nulla togliere al valore di questa ricerca,
non convenga disfarsi di Banfield per prendere in mano Bourdieu e le sue strategie della
«distinzione».
Daniela Luigia Caglioti
Il mestiere di storico, II / 2, 2010