la figura dell`amministratore di sostegno
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la figura dell`amministratore di sostegno
LA FIGURA DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO nel BIELLESE. Legge 9.1.2004 n. 6 Breve relazione tenuta nell’ambito del convegno “oltre noi si può” in Biella, sala convegni Biverbanca, sabato 23 ottobre 2004. Nel ringraziare tutti i relatori che mi hanno preceduto per la chiarezza espositiva e per i contributi forniti alle problematiche oggetto di questo incontro, mi vorrei per un attimo riallacciare a quanto magistralmente riferito da Don Giovanni Perini circa la centralità della persona, che sembra essere stato il filo conduttore della legge 9.1.2004, n. 6, dal momento che la filosofia della legge stessa e la terminologia usata fanno continuo riferimento alla persona destinataria del provvedimento di amministrazione di sostegno e ai suoi bisogni, tanto che si parla di ‘beneficiario’. Si pone dunque in primo piano non la tutela della collettività o la sicurezza dei traffici giuridici, ma la persona che ha delle difficoltà a gestire la propria vita, i propri interessi, i rapporti con gli altri, la propria persona e anche il proprio patrimonio. Dico subito che non dobbiamo però essere colti da facili entusiasmi e ritenere che tutto possa essere risolto attraverso l’istituto dell’amministratore di sostegno. Qui mi pongo evidentemente in un’ottica diversa da Giovanni Gelmuzzi, che poco fa ha auspicato un’abrogazione delle figura dell’interdizione e dell’inabilitazione. Io comprendo lo slancio ideale che sorregge questo tipo di impostazione, ma devo anche esortare alla massima cautela; infatti un amministratore di sostegno che esercita male il proprio compito può nuocere al beneficiario molto di più di un tutore che si comporta male: ciò per la diversità dei controlli e per la diversa configurazione giuridica delle due figure. Ritornerò successivamente su questo argomento. Giova comunque osservare fin d’ora che gli orientamenti dottrinari sul punto hanno registrato, impostazioni anche radicalmente opposte fra chi riteneva la necessità di abrogare l’interdizione e l’inabilitazione, utilizzando il nuovo istituto come l’unico contenitore nel quale inserire qualsiasi situazione, dalla incapacità totale alla parziale alla semplice e temporanea impossibilità, e chi riteneva di mantenere, accanto ad una forma più attenuata e flessibile d’intervento, lo schema della rappresentanza integrale quale espresso nell’interdizione. Va altresì fatto un cenno al fatto che nella prassi giurisprudenziale si assiste già ad una qualche differenza: mentre l’indirizzo torinese (cui io sostanzialmente mi riallaccio) è più restrittivo e lascia ancora uno spazio residuo ai precedenti istituti previsti dal codice civile, quello milanese è più ampio e sembra consentire ogni possibile spazio al nuovo istituto. § Benché la premessa sia nel senso di individuare una relazione di autonomia fra i tre istituti (interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno), la questione non è di palese evidenza. In merito alle caratteristiche che il legislatore ha tracciato per l’amministratore di sostegno, l’avv. Sella, che mi ha preceduto, ha già delineato un quadro pressoché completo; io cercherò di ripercorrere solo i tratti salienti della legge mettendo anche in evidenza gli aspetti critici e problematici, aspetti sui quali, inutile dirlo, la giurisprudenza dovrà sforzarsi di trovare soluzioni pratiche nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento e il più possibile conformi allo spirito della legge. Occorre partire dal principio che sta alla base dell’intervento espresso nell’art. 1 della legge : “La presente legge ha la finalità di tutelare con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Qualcuno potrebbe dire che si sia finalmente formalizzato il principio che l’intervento pubblico debba avere la sua priorità nell’interesse di protezione di un soggetto, di quel particolare soggetto e, solo in via residuale, di quello, generale, alla stabilità dei rapporti giuridici fra i consociati (il che significa che il contrattare con un incapace può comportare, in presenza di alcune circostanze, effetti quali l’annullamento del contratto ad es. di vendita o di un atto ad es. l’accettazione di un’eredità, con una serie di effetti a catena e a ricaduta sui terzi). Altri potrebbero dire che “solo ora al centro dell’attenzione vi è l’incapace, la sua persona i suoi bisogni, le sue difficoltà” come se prima nulla di ciò fosse praticabile. L’affermazione così posta non è veritiera, perché “il nuovo” consiste nel fatto che oggi ci sono più soggetti cui l’ordinamento assicura una protezione, protezione che per le stesse (variabili e diversificate) condizioni dei destinatari non può che essere graduata e graduale a seconda della tipologia della difficoltà presentata. § La legge 9.1.2004 n.6 ha dunque introdotto fra gli istituti a protezione degli incapaci, ed accanto all’interdizione e alla inabilitazione, l’amministrazione di sostegno. La scelta di modificare e integrare il titolo XII del I libro del codice civile sotto la rubrica “ Delle misure di protezione delle persone prive tutto o in parte di autonomia” è il risultato di un lungo ed accidentato percorso che ha registrato, nel tempo, anche radicali mutamenti di posizioni ma che infine, ha optato per inserire il nuovo istituto accanto a quelli tradizionali, pur auspicandone un’applicazione privilegiata (Capo I -Amministrazione di sostegno; capo II Interdizione, inabilitazione, incapacità naturale). Fin dai primi commenti della legge 6/2004 si è detto che la figura dell’amministratore di sostegno si contraddistingue per la sua duttilità e il provvedimento del giudice dovrebbe essere ritagliato secondo le necessità della persona. La nuova normativa non ha tanto voluto eliminare le forme di protezione degli incapaci già esistenti e ritenute utili, se non indispensabili, per precisi casi, ma ha inteso proprio colmare un vuoto, scegliendo di dare in più una protezione avanzata. Ma io ritengo che vi siano alcuni casi in cui l’interdizione deve mantenere, vista la scelta effettuata dal legislatore, un ambito di applicazione che l’Amministrazione di Sostegno non può coprire . E’ stato messo in evidenza in più occasioni come il solo binomio interdizione/inabilitazione fosse inadeguato a gestire il fenomeno sempre più variegato e complesso dell’incapacità totale e parziale, ma nello stesso tempo, si è posto in luce che l’interdizione, non solo mantenesse una sfera di operatività (peraltro non ridotta) ma che, in determinate situazioni, fosse l’unico strumento che consentisse l’esercizio di poteri sostitutivi rispetto alla coscienza e volontà di un soggetto che una sentenza aveva dichiarato viziate (si pensi al consenso agli interventi chirurgici). Secondo il sistema delineato dal codice civile del 1942 l’intervento di protezione giuridica doveva avvenire non in tutti i casi d’incapacità di un soggetto ma solo nei casi sussumibili nelle due ipotesi di incapacità quali interdizione e inabilitazione; tutto quanto rimaneva al di fuori (incapacità meno gravi o disabilità diverse) vedeva una protezione occasionale attraverso l’annullamento degli atti negoziali posti in essere dall’ incapace (art. 428 c.c.). Del sistema codicistico resta in ogni caso il punto fermo secondo cui ogni soggetto deve ritenersi capace fino a che non intervenga una pronuncia (sentenza) che modifichi la sua capacità d’agire, attraverso una procedura giurisdizionale, in contraddittorio con l’interessato. Ai soggetti privati in tutto o parte della capacità di agire non si rivolge l’amministrazione di sostegno. L’istituto dell’amministratore di sostegno ha preso atto che oggi il sofferente psichico è sul territorio, e che questa collocazione ha ampliato la necessità di poterlo aiutare nell’accedere a strumenti, che ne consentano l’inserimento sociale, attraverso atti che sono necessariamente giuridici ( riscuotere la pensione, prendere in affitto un alloggio, pagare le tasse, avviare una pratica per un sussidio, comprarsi gli arredi ecc.). Dunque l’amministratore di sostegno si rivolge a tutte quelle situazioni nelle quali l’infermità non sia abituale o non sia così grave da compromettere integralmente le facoltà del soggetto ovvero vi siano patologie cicliche. E’ sempre più frequente che un anziano con il progredire dell’età o un disabile psichico mantengano integre talune abilità (come le attività lavorativa, relazionali, sociali) nella gestione quotidiana essendo loro necessario solo un supporto per la cura della propria persona o per taluni atti patrimoniali, anche soltanto in alcuni momenti. A questi soggetti dovrebbe rivolgersi l’amministrazione di sostegno come disegnata dal legislatore. E veniamo dunque a delineare l’ambito applicativo della legge in questione: Le norme che dovrebbero individuare le figure dell’A.S. e dell’interdizione sono: l’art. 404 c.c.: “la persona che per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore”. L’art. 414 c.c.: “possono essere interdette le persone che si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li renda incapaci a provvedere ai propri interessi quando ciò sia necessario per assicurare loro un’adeguata protezione”. Occorre rilevare come quest’ultimo aspetto e quindi il riferimento, nell’art. 404 c.c. all’infermità o menomazione anche parziale e temporanea, venga utilizzato da alcuni interpreti come elemento per sostenere che sia applicabile l’amministrazione di sostegno anche in presenza di menomazioni totali e per ritenere che i due istituti siano di fatto interscambiabili salvo doversi ricorrere all’interdizione ove ciò sia reso necessario per assicurare un’adeguata protezione. Per raggiungere l’interpretazione più conforme allo spirito della legge, occorre leggere tutto il corpo normativo nel suo complesso. Già il fatto che l’art. 405 n. 3 c.c., il quale nel rappresentare il contenuto del decreto, prevede che il Giudice Tutelare debba fare espressa indicazione degli atti, solo quelli, che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del destinatario dimostra che l’istituto non sia interscambiabile, sul piano degli effetti, con quello dell’interdizione; e così al n. 4 dello stesso articolo, dove si fa menzione agli “atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno”. Dirimente pare il dettato dell’art. 409 c.c.: il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore; Il beneficiario può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Ancora all’art. 410 c.c. “Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. L’amministratore deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il Giudice Tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso”. Dal tenore delle norme sopra richiamate si deve concludere che l’amministratore di sostegno non possa prescindere da una capacità residua della persona che, invece, da quanto risulta dallo stesso tenore letterale della legge, dovrebbe esserne una condizione necessaria. Anche i termini usati dal legislatore sono indicativi: a fronte di “un’abituale infermità che rende incapaci” di cui all’art 414 c.c., nell’art. 404 c.c. si parla di “infermità ovvero menomazione fisica o psichica, di persona si trovi nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi”; lo stesso significato etimologico del termine impossibilità indica la situazione di un soggetto che non sia in grado di attivare delle potenzialità di cui dispone. Si osserva come nell’art. 404 c.c. non si parli di incapacità bensì di impossibilità a curare i propri interessi; come l’impossibilità sia concetto che esprime una condizione che ben può coesistere con la capacità di agire, solo temporaneamente paralizzata o diminuita e che può prescindere da un’infermità (persona immobilizzata per intervento chirurgico, paraplegico). Con l’A.S. siamo in presenza una terza ipotesi di incapacità legale: un’incapacità relativa in quanto riferita solo ad alcuni atti. Salvo situazioni eccezionali dietro all’Amministrazione di sostegno c’è una persona capace al più “inabilitata” a realizzare alcuni atti. Per giungere ad un risultato interpretativo, occorre completare l’esame di tutti i punti di possibile differenziazione fra l’istituto dell’amministrazione di sostegno e della tutela partendo dai poteri sulla persona. Non penso possano esserci dubbi sul fatto che l’amministratore abbia la cura della persona (diversamente rientreremmo de plano nell’inabilitazione della quali conosciamo le limitate applicazioni) perché non solo ve ne è un esplicito accenno all’art 405 c.c. sia pure con riferimento alle misure urgenti ma perché vi sono altre norme che confermano, il sussistere in capo all’amministratore, di un potere e facoltà di cura secondo quanto indicato nel provvedimento del Giudice, così: l’art 405 n. 6: l’amministratore deve riferire al Giudice circa l’attività svolta e circa le condizioni personali e sociali del beneficiario; l’art 408 c.c.: la scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario; l’art. 410 c.c.: Doveri dell’amministratore di sostegno: deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del destinatario; l’amministratore deve informare il GT in caso di dissenso con il beneficiario. In tal senso i lavori preparatori. Ma quali sono i limiti di tale potere di cura visto che il beneficiario è un soggetto che mantiene capacità di agire ? Per affrontare la questione partirei nuovamente dalla figura del tutore richiamando gli aspetti che caratterizzano la relazione tutelato/tutore. Abbiamo già ricordato che il tutore (art 357 c.c.) ha non solo la mera rappresentanza (patrimoniale, di amministrazione) ma ha la cura della persona a 360 °. Quello del tutore è un ruolo eccezionale perché a nessun altro soggetto è consentito, in ipotesi di incapacità, di sostituirsi ad un altro soggetto, un altro che non è autonomo e che dipende integralmente dal primo. Ma tutto ciò può avvenire in quanto il tutore trae la sua legittimazione da una pronuncia giurisdizionale che acclara come il processo patologico (infermità) stabile (abituale) che interessa quella persona, infici la sfera cognitiva e/o volitiva del medesimo al punto che, ove riesca ad esprimere una sua volontà, questa debba ritenersi viziata a causa della patologia che lo affligge. Da questa premessa discendono dei corollari fondamentali: - il tutore ha il dovere di prendersi cura del tutelato di reperire un adeguata collocazione, individuare modalità di assistenza anche contro la volontà del soggetto (che per quanto sopra detto deve ritenersi viziata): art 371 c.c.; - il tutore non può disinteressarsi di un soggetto dichiarato incapace di gestire i propri interessi perché ne ha la responsabilità e ad una responsabilità devono corrispondere poteri adeguati. L’interdizione ha grossi limiti ma ha un pregio: quello di sancire questo tipo di relazione fra Rappresentante e il rappresentato; di rendere giuridicamente rilevante il dovere di preoccuparsi di un altro soggetto (non una generica e indefinibile “presa in carico”) analogamente al genitore nei confronti di un minore. Queste situazioni sono molte: alzheimer, psichiatrici, persone con ritardi disabili mentali gravi e, pacificamente, senza alcuna capacità residua. Tutto ciò ci porta diritti ad individuare un potere/dovere del tutore in termini di collocazione che trova la sua formalizzazione nell’art 371 c.c. e negli artt. 358 c.c. 44 disp.att c.c., trae il fondamento del potere d’intervento e di attuazione del Giudice Tutelare e di quella che viene definita come collocazione indotta. La tutela è l’unico strumento che legittimi una collocazione indotta e protratta, anche contro la volontà dell’interessato perché il soggetto non è stato ritenuto in grado di provvedere a se stesso. (es.: signora Maria che vive nell’immondizia e non accetta l’assistenza domiciliare o il signor Giovanni che ha sigillato ogni fessura della sua casa e urla tutta la notte). Ma l’amministratore fino a che punto può arrivare con l’intervento sulla persona, attesa la capacità del destinatario della misura? E’ difficile contestare che questo sia un intervento, un potere molto difficile da disegnare e da attuare; ritengo che, posti alcuni criteri generalissimi, solo l’esame dei casi, e la giurisprudenza che si formerà su di un numero significativo di essi, potrà dare una risposta più articolata; certo si dovrà partire da una negoziazione con la persona interessata-capace; certo occorrerà raccogliere le aspirazioni del beneficiario; probabilmente ci si troverà di fronte alla prevedibile opposizione di quest’ultimo rispetto ad indicazioni non di suo piacimento; sicuramente sarà difficile elidere, in modo stabile, la volontà del beneficiario in punto collocazione/residenzialità, con un’unica eccezione: l’URGENZA di provvedere (art. 405 c.c.). L’urgenza, in generale, è istituto che legittima quanto in un situazione normale, ordinaria, non può esserlo ma proprio per questo deve mantenersi in limiti, interpretativi e temporali, rigorosi. Dall’art. 405, 4° comma, c.c. pare di poter dedurre che solo in tale caso l’amministratore possa esercitare poteri invasivi legati alla cura della persona, analoghi a quelli del tutore; si pensi al soggetto portatore di patologia psichiatrica che alterni momenti di lucidità a momenti di delirio e in dati momenti di scompenso venga a trovarsi nell’impossibilità di gestirsi (situazione da non confondersi con quella che legittima un TSO, ancorata a esigenze terapeutiche di cura.). In tale caso potrebbe il Giudice Tutelare con un Amministrazione di sostegno temporanea, autorizzare anche un collocamento, senza il consenso della persona in un luogo di cura fino a che si verifichi una situazione di relativo compenso, utilizzando il massimo rigore sia quanto ai termini di durata del provvedimento sia di monitoraggio delle reali condizioni (appena di realizza una situazione di compenso il provvedimento dovrà essere modificato). Questa mi parrebbe l’unica, (oltre che temporanea) ipotesi in cui si possa verificare il caso di incapacità anche totale gestibile con l’amministrazione.; finita l’emergenza (in situazione di compenso) pur potendosi prevedere in punto cura della persona, non ritengo che un eventuale dissenso del beneficiario, nuovamente capace (compensato), possa essere gestito con poteri coercitivi. Una collocazione residenziale protratta è pensabile solo ove, in assenza del consenso del paziente, le condizioni acquistino i caratteri dell’infermità abituale rientrandosi allora, nella fattispecie della tutela con quanto sopra richiamato. Di qui una possibile interpretazione dell’art 414 c.c. nuova formulazione nella parte in cui indica la necessità di ricorrere all’interdizione “quando ciò sia necessario per assicurare adeguata protezione”. Quanto alla gestione patrimoniale, la legge è chiara nel prevedere da parte dell’amministratore solo la gestione di alcuni atti sia di natura ordinaria che straordinaria; è evidente che più questi aumentano e si avvicinano alla generalità degli atti, più si evidenzia come l’amministrazione possa non essere più lo strumento adatto. Di conseguenza non pare condivisibile l’interpretazione secondo la quale l’A.S. potrebbe ugualmente disporsi ove il soggetto sia totalmente incapace ma non abbia patrimonio (nel senso che vi siano pochi atti da compiere (es. sola pensione d’invalidità e indennità di accompagnamento), dovendosi procedere a meri (e pochi) atti di gestione del reddito. La questione pare mal posta in quanto il presupposto per l’applicabilità dell’A.S. o dell’interdizione deve individuarsi nelle condizioni personali del soggetto; il criterio discretivo non può certo essere quello del patrimonio perché in quest’ottica si avrebbe l’effetto paradossale, oltre che inaccettabile, che a parità di condizioni soggettive, chi ha patrimonio verrebbe interdetto e chi non ha patrimonio, amministrato. § Nella prassi seguita dal Tribunale di Biella dall’entrata in vigore della legge ad oggi la linea guida è stata appunto questa, ovvero di provvedere con l’amministrazione di sostegno o nei casi urgenti, in cui un provvedimento di interdizione o inabilitazione avrebbe compromesso l’esecuzione di alcuni atti oppure quando il soggetto manteneva una residua capacità di interagire e quindi autorizzava il compimento di determinati atti o riconosceva di necessitare dell’assistenza di una figura di supporto quale l’amministratore di sostegno. C’è poi stato un caso in cui, pur in mancanza totale di capacità di interagire (il soggetto era affetto da demenza senile e ricordava bene fatti del passato remoto e non le cose quotidiane), per ragioni di mera opportunità e in considerazione del fatto che il beneficiario era già comunque soggetto ultra ottantenne, di fatto già amministrato in toto dall’unico figlio, si è ritenuto di accogliere la richiesta di amministrazione di sostegno e di non far luogo all’interdizione. Finora i ricorsi non hanno superato la decina, ma, devo dire, l’istituto sembra aver dato buona prova di sé. Ciò sia perché le ipotesi erano molto diverse tra loro (ad esempio: individuo giovane con problemi di gestione dell’impresa e grave intervento chirurgico con postumi importanti; soggetto affetto da sindrome di Down con necessità di assistenza; soggetto anziano con patrimonio da gestire, ma con una residua buona capacità di interagire con il proprio amministratore) e con ciò si manifesta la duttilità dell’istituto, sia perché in alcuni casi si è provveduto solo per un tempo limitato all’amministrazione di sostegno e con un successivo ritorno allo stato iniziale o con l’intesa di promuovere il giudizio di interdizione. Sempre nella prassi di questo Tribunale, si sono riscontrati alcuni problemi circa il modo di radicare la procedura per l’amministrazione di sostegno: invero sorge la questione se le notifiche ai parenti dell’interessato debbano essere effettuate dal richiedente il provvedimento o dalla cancelleria (è chiaro che quest’ultima ipotesi è comoda per l’utenza, ma cozza con i problemi di personale dell’ufficio); ancora, la legge esclude dai soggetti che possono ricoprire l’incarico di amministratore di sostegno gli assistenti sociali o quei soggetti che ‘hanno in carico’ l’assistito: ma si tratta proprio, a parere di chi vi parla, dei soggetti che meglio conoscono i beneficiari del provvedimento e che meglio potrebbero seguirlo. E’ chiaro però che contro il dato letterale della legge non si può andare. Non pare però che il divieto rigurdi i direttori delle strutture che hanno in carico il beneficiario. § Vorrei ancora, ritornando sul piano più teorico, sottolineare come la legge n. 6 del 2004 abbia seguito il trend evolutivo delle riforme del diritto processuale, avendo posto al centro della procedura di nomina dell’amministratore di sostegno il giudice monocratico, il giudice tutelare, mentre gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione prevedono un procedimento collegiale. Però ciò non significa che il legislatore ha chiaramente abbia previsto con la nuova legge una drastica limitazione delle figure preesistenti, bensì soltanto un avanzamento della linea di protezione. L’interdizione diventa sì residuale, ma nel senso che la nuova legge richiede che in tutte le situazioni nelle quali la protezione sia affrontabile con l’Amministrazione di sostegno, questa debba avere priorità applicativa, sempre però che ne sussistano i presupposti. Infine, vorrei ancora aggiungere un ultimo aspetto che non è dirimente, ma sicuramente molto importante al fine di differenziare l’A.S. dall’interdizione: la necessità che non vi sia confusione nell’individuare i destinatari dell’A.S., perché al di là di ovvie esigenze di certezza del diritto, l’incertezza crea emarginazione. Se il terzo non sa se il suo interlocutore sia persona capace d’agire o persona totalmente incapace ( secondo la tesi che qui non si condivide) sarà portato a diffidarne. Una delle finalità della legge, indiscutibilmente quella di evitare lo stigma della diversità, sarebbe assolutamente vanificato (tralascio per ora il problema della conoscibilità per i terzi del provvedimento di AS); la confusione e l’incertezza sulle condizioni del beneficiario non devono diventare una nuova “gabbia”. Il messaggio per i terzi deve essere chiaro: l’Amministrazione di Sostegno non certifica nessuna incapacità, l’amministrato è un soggetto capace che deve essere sostituito o affiancato solo per determinati atti. Ma ancora più importante è la percezione che ne abbiano i destinatari del provvedimento: alla persona interessata (e penso in particolare al paziente psichiatrico) si deve poter dire che la misura è disposta nel suo interesse e soprattutto che non lo presenta al mondo come un soggetto incapace perché così non è: è anche una questione di immagine. Un immagine positiva, di supporto, aiuta nel recupero nell’inserimento, l’immagine opposta esclude, rende troppo diversi per essere accettata dai destinatari; anche questa è una finalità della legge n. 6/2004. La giurisprudenza ha faticato moltissimo a riabilitare l’interdizione come strumento di protezione da piegare nell’interesse del tutelato pur con le premesse negative storiche e culturali di fondo e soprattutto con un termine etimologicamente squalificante. Con i giudici tutelari e molti interpreti sono riusciti a far emergere la priorità della cura della persona, senza incorrere in giurisprudenze creative posto che già il codice del 1942 indicava esplicitamente fra i compiti del tutore appunto la cura della persona. Con l’A.S. le premesse sono stimolanti e radicalmente diverse e sarebbe davvero una scommessa persa se nel sentire comune di affacciasse il dubbio, l’incertezza sul fatto che l’amministrato non sia soltanto una persona con qualche difficoltà ma un potenziale incapace con il quale è opportuno non interloquire.