I limiti all`accertamento giudiziale dei presupposti dimensionali per l

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I limiti all`accertamento giudiziale dei presupposti dimensionali per l
Enrico Maria Terenzio*
I
limiti
all’accertamento
giudiziale
dei
presupposti
dimensionali
per
l’applicazione dell’art. 18 della Legge n. 300/70
Una recente sentenza del Tribunale di Torino1, riformata quasi completamente in appello2,
nell’affrontare l’annoso problema del periodo temporale e dei criteri di valutazione cui fare
riferimento per il computo del personale occupato, al fine di discernere quale tutela applicare
nell’ipotesi di licenziamento, in senso lato, illegittimo3, offre lo spunto per alcune riflessioni.
In primo luogo, sulla congruità del metodo adottato, rispetto agli orientamenti interpretativi
dominanti in materia e, secondariamente, sull’ampiezza dei poteri del giudice del lavoro nella
ricerca della verità processuale; e cioè se sia legittimo travalicare le allegazioni delle parti, per
giungere a degli accertamenti “incidentali” che, ancorchè indirettamente, finiscono, tuttavia, per
coinvolgere anche terzi estranei al giudizio.
Ora, partendo dal requisito dimensionale, è noto come, sin dalle origini, già l’art. 11, L. n.
604/66 prevedesse tra i vari criteri d’applicazione della legge stessa quello oggettivo, riferito ai
*
Avvocato in Roma e Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro.
Trib. Torino, Sez. Lav., 3 dicembre 2009, inedita a quel che consta, la cui massima può così di seguito essere
riassunta: “Al fine di determinare il numero dei dipendenti che concorrono ad integrare il requisito dimensionale per
l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, è ammissibile l’accertamento, incidenter tantum, dell’inserimento nella
struttura
dell’azienda di lavoratori formalmente non regolarizzati come subordinati, di lavoratori subordinati assunti con
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riassunta: “Al fine di determinare il numero dei dipendenti che concorrono ad integrare il requisito dimensionale per
l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, è ammissibile l’accertamento, incidenter tantum, dell’inserimento nella
struttura dell’azienda di lavoratori formalmente non regolarizzati come subordinati, di lavoratori subordinati assunti con
orario part-time ma di fatto chiamati ad osservare un orario superiore, o di lavoratori assunti con clausola di durata
nulla, quando si tratti di personale necessario a garantire la nomale attività produttiva dell’impresa, essendo opportuno,
a tal fine, considerare i sei mesi anteriori alla data del licenziamento”.
2
C. App. Torino, Sez. Lav., 14 ottobre 2010, n. 778, inedita a quel che consta, la cui massima può così di seguito essere
riassunta: “Al fine di determinare il numero dei dipendenti che concorrono ad integrare il requisito dimensionale per
l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, non è ammissibile alcun accertamento giudiziale, incidenter tantum, se viola il
principio della corrispondenza del chiesto e del pronunciato, così da integrare un arbitrario superamento della domanda
e un illegittimo ampliamento del thema decidendum, e se, con esso, si finiscono per applicare erroneamente i criteri di
computo, includendovi, ad esempio, i lavoratori apprendisti”.
3
V. tra i molti contributi: VACCARO, Sul criterio per il calcolo dei dipendenti dell’azienda, in Mass. giur. lav., 1973,
167 e ss.; DONDI, Calcolo dei dipendenti dell’unità produttiva e computabilità degli apprendisti, in RDL, 1974, , II, 195
e ss.; GRAMICCIA, Dimensioni dell’impresa e personale normalmente occupato, in Mass. giur. lav., 1975, 503 e ss.;
PERA, La cessazione dei rapporti di lavoro, Padova, 1980, 30 e ss.; FERRARO, I licenziamenti individuali, Commento
alla legge 11 maggio 1990, n. 108, 36 e ss.; ALLEVA, L’ambito di applicazione della tutela, in CARINCI (a cura di), La
disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/90 e 223/91, Padova, 1991, vol. I, 30 e ss.; MAZZOTTA, I Licenziamenti,
Commentario, Milano, 1999, 759 e ss.; AMOROSO, Reintegrazione nel posto di lavoro, in AMOROSO, DI CERBO,
MARESCA, Il diritto del lavoro, Statuto dei lavoratori e disciplina dei licenziamenti, vol. II, Milano, 2001, 506 e ss.
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1
datori di lavoro, del dato numerico dei dipendenti occupati, che dovevano essere più di
trentacinque4, senza fornire alcuna indicazione sul metodo di computo da applicare.
Lo stesso criterio dimensionale, parimenti basato sul numero degli occupati, era stato
successivamente adottato dall’art. 35, L. n. 300/70, ove era previsto che l’art. 18, unitamente alle
norme contenute nel Titolo III, sull’attività sindacale, andava applicato alle imprese industriali e
commerciali che, in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, occupassero
più di quindici dipendenti ovvero alle imprese agricole che ne avessero più di cinque; inoltre, era
sufficiente che gli occupati fossero più di quindici nell’ambito dello stesso comune o più di
cinque nello stesso ambito territoriale, per le imprese agricole5.
La L. n. 108/90, nell’estendere l’applicazione della L. n. 604/66 a tutti i datori di lavoro, e
nel prevedere la tutela di cui all’art. 18, L. n. 300/70, per i non imprenditori, oltre che nelle ipotesi
già disciplinate dall’art. 35 cit., anche nel caso di datore con più di sessanta dipendenti sul
territorio nazionale, ha confermato il criterio di ancorare il requisito dimensionale delle aziende al
numero dei lavoratori occupati, senza specificarne le modalità di calcolo, così da rinviare, ancora
una volta, all’intervento suppletivo della dottrina e della giurisprudenza.
In tal senso, si è andato affermando il principio secondo il quale, ai fini dell’applicabilità del
regime di stabilità reale, il numero dei lavoratori va accertato con riguardo non già al criterio del
numero dei lavoratori occupati alla data dell’intimazione del licenziamento, ma a quello della
“normale occupazione”, quale risultante dall’organigramma aziendale nel periodo antecedente la
data del licenziamento, senza tenere conto di contingenti ed occasionali riduzioni di personale,
salvo che non siano determinate da ragioni organizzative, tali da mutare effettivamente le
dimensioni dell’azienda6.
In sostanza, si è escluso che il numero dei dipendenti possa essere computato in funzione
giornaliera e sulla scorta di licenziamenti quotidiani, proprio per non consentire facili operazioni
elusive, mediante drastiche riduzioni di organico, preordinate all’allontanamento di personale
scomodo7.
4
Per l’esattezza, la formulazione dell’art. 11, L. n. 604/66 era in negativo, in quanto il I co., così recitava: “Le
disposizioni della presente legge non si applicano ai datori di lavoro che occupano fino a 35 dipendenti…”; per una
ricostruzione del dibattito parlamentare in ordine all’ approvazione della predetta norma: PERA, La Nuova disciplina del
licenziamento individuale, Ist. di Scienze Sociali, Genova, 1967, 43 e ss; NAPOLETANO, I licenziamenti dei lavoratori,
Torino, 1966, 21 e ss.
5
V. FLAMMIA, sub Art. 35. Campo di applicazione, in PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello statuto dei
lavoratori, Milano, 1975, 1167 e ss.
6
V. tra le molte: Cass., 10 febbraio 2004, n. 2546, in Rep. giur .lav., 2005, 98, 388; Cass., 8 maggio 2001, n. 6421, in
Mass. giur. lav., 2001, 852 e ss., con nota di MARETTI, ove si fa riferimento anche alla “normale produttività”; Cass.,
29 luglio 1998, n. 7448, in Notiz. giur.lav., 1998, 744; Cass., 27 marzo 1996, n. 2756, in Il Foro it., 1996, I, 2427.
7
Cfr. Cass., 27 marzo 1996, n. 2756, cit., nella cui fattispecie concreta si era verificato il passaggio da 18 a 13
dipendenti nell’arco di un solo giorno; contra Cass, 17 maggio 1984, n. 3040, in Giur. it., 1985, I, 1, 788, con nota di
2
Ciò che rileva è, infatti, la dimensione strutturale dell’azienda in un’ottica di durata
temporale parametrata alle effettive esigenze produttive, non potendo rilevare transeunti ed
occasionali modifiche di organico.
Si è, quindi, fatto riferimento alla reale struttura dell’organigramma, inteso come quel
disegno organizzativo realizzato dall’imprenditore, che dà ragione delle posizioni di lavoro
normalmente necessarie all’andamento dell’apparato produttivo ovvero a quelle posizioni di
lavoro necessarie con riguardo alla normale produttività valutata nel periodo antecedente il
licenziamento8.
A tal fine, il giudice è chiamato ad accertare l’eventuale simulazione di atti posti in essere
dall’imprenditore allo scopo fraudolento di sottrarsi agli obblighi scaturenti dal regime di stabilità
reale9.
Inoltre, sempre in forza del predetto criterio, si è ritenuto che debbano computarsi i
lavoratori temporaneamente assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, ma non già
quelli che li sostituiscono o che prestano occasionalmente e saltuariamente attività in azienda10.
Il criterio della nomale occupazione e/o del c.d. “organico oggettivo” basato sulla pianta
organica, se, tuttavia, può risultare coerente con l’organizzazione degli enti pubblici, difficilmente
appare praticabile nelle piccole e medie imprese private, ove il più delle volte, manca un vero e
proprio organigramma, dotato di un certo grado di stabilità.
Inoltre, in alcuni tipi di attività, come quella alberghiera e/o turistica in generale, la
consistenza numerica dei dipendenti è soggetta a marcate fluttuazioni stagionali; di qui la difficoltà
anche di stabilire il momento al quale ancorare la verifica del dato numerico11.
Di tal che, un indirizzo risalente nel tempo12 aveva già fatto riferimento alla media del
personale occupato nell’arco dell’anno in cui è stato intimato il licenziamento; media che, però, non
deve essere rigidamente quantitativa, ma deve approfondire gli aspetti economici e congiunturali
della produzione sì da identificare, di volta in volta, la reale ed oggettiva dimensione dell’impresa13.
BUONCRISTIANO, che invece ha accolto un criterio diverso da quello della normale occupazione, ritenendo che il
numero dei lavoratori occupati dal datore di lavoro debba essere accertato con esclusivo riferimento al momento in cui è
intimato il licenziamento.
8
V. già in epoca risalente: Cass., 9 settembre 1982, n. 4864, in Giust. civ., 1983, 904.
9
V. Cass., 3 novembre 1989, n. 4579, in Il Foro it., 1989, I, 3420, con nota di AMOROSO; sulla rilevabilità d’ufficio
dell’esistenza o meno dei requisiti dimensionali per l’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti
individuali: v. Cass., 22 ottobre 1986, n. 6202, in Giur. it., 1987, I, 1, 1695.
10
V. Cass., 20 ottobre 1983, n. 6165, in Il Foro it., 1984, I, 139, con nota di PRESTIPINO, Cass., 3 ottobre 1980, n. 5861,
in Il Foro it., 1981, I, 46.
11
V. ALLEVA, L’Ambito di applicazione della tutela reale, op. cit., 31 e ss.
12
Cfr. Cass., 30 dicembre 1974, n. 4394, in Giur. it., 1975 I, 1, 1045.
13
V. AMOROSO, Statuto dei lavoratori e disciplina dei licenziamenti, op. cit., 509 e ss., ove si richiama anche Cass., 22
aprile 1997, n. 3450.
3
Con riferimento, ad esempio, alle imprese agricole, si è affermato che, al fine di verificare il
requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale, devono essere computati tutti i
dipendenti, che, riguardo alla struttura dell’impresa considerata, svolgono delle attività che, pur non
essendo continuative, si considerano rilevanti per un periodo consistente dell’annata agricola e
perciò indispensabili al ciclo produttivo dell’azienda, con la conseguente inclusione, nella base di
computo, anche dei lavoratori a tempo determinato14.
Invero, anche il criterio della media dei dipendenti da calcolarsi in un arco temporale non
definito dal legislatore, è sembrato censurabile sia perché non è chiaro, per non essere indicato
legalmente, se si debba fare riferimento ad una media strettamente aritmetica, sia perchè l’adozione
di un termine rigido non sempre garantisce una misurazione valida per tutte ed indistintamente le
diverse attività aziendali; ben potendo il termine di un anno, ad esempio, risultare congruo, per le
imprese agricole, ed essere, invece, inadeguato per altre realtà produttive con diverse
caratteristiche15.
Anche la dottrina maggioritaria16 aderisce al criterio del c.d. “organico oggettivo” elaborato
dalla giurisprudenza, escludendo che possa farsi riferimento a quello del c.d. “organico soggettivo”,
per le stesse esigenze antielusive rappresentate dalla giurisprudenza, sebbene sia poi quest’ultimo
criterio ad essere, invece, considerato, ai fini della decorrenza dei termini della prescrizione dei
crediti retributivi, richiedendosi la presenza di elementi certi17.
Un’ ulteriore questione si è posta riguardo alle varie tipologie di contratto di lavoro
subordinato da considerare nel computo dei dipendenti, ai fini del raggiungimento delle soglie di
applicazione della tutela reale18.
E’ noto che, ai sensi dell’art. 18, co. 2°, L. n. 300/70, rientrano nella base di computo i
lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, ancorchè, attualmente, non sia più
14
V. Cass., 17 novembre 1987, in Sett. giur., 1988, II, 736; ma anche Cass., 3 marzo 1987, n. 2241, in Nuovo dir. agr.,
1987, 368, nella quale si afferma l’inclusione nella base di computo per il raggiungimento della soglia dimensionale per
l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, anche dei c.d. braccianti avventizi se inclusi nell’organigramma dell’azienda,
necessario ad assicurare la normale produttività per l’intera annata agraria o per un rilevante periodo di essa.
15
Così Cass., 8 maggio 2001, n. 6421, cit., ove si afferma che, se da un lato il riferimento al mero dato numerico degli
occupati appare in contrasto con la ratio della norma, dall’altro, si deve fare riferimento a significativi spazi temporali,
idonei a dimostrare la normale produttività dell’impresa dalla quale sia possibile desumere l’abituale rapporto tra
esigenze produttive ed indici occupazionali; v. anche Cass., 10 febbraio 2004, n. 2546, cit., la quale ha recentemente
ribadito che, nell’ipotesi di attività alberghiera, il criterio di riferimento più idoneo deve essere quello medio – statistico
della normale occupazione, da valutarsi nell’arco di un anno; nonché Cass., 10 settembre 2003, n. 13274, inedita a quel
che consta, che nel riaffermare l’adozione del criterio della normale occupazione, ha escluso che le dimissioni di una
dipendente poco prima di un licenziamento, fossero idonee ad escludere il raggiungimento della soglia dei limiti
dimensionali per l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70.
16
V. tra i molti contributi già cit.: ALLEVA, l’ambito di applicazione della tutela reale, op. cit., 24; PERA, La cessazione
dei rapporti di lavoro, op. cit., 30.
17
V. Cass., 8 novembre 1995, n. 11615, in Mass. giur. lav., 1995, 741.
18
V. Cass., 11 dicembre 1997, n. 12548, in Notiz. giur. lav., 1998, 201, nella quale si afferma che la norma si riferisce
solo ai lavoratori subordinati.
4
stipulabile, i lavoratori a tempo indeterminato parziale, in proporzione dell’orario svolto, e, secondo
quanto previsto dall’art. 39, D.Lgs. n. 276/03, i lavoratori intermittenti, in proporzione dell’orario
effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
Sono, invece, esclusi, ex art. 18, 1°e 2° co., L. n. 300/70, il coniuge ed i parenti entro il
secondo grado del datore di lavoro, i lavoratori assunti con contratto di reinserimento, ex art. 20, L.
n. 223/91, quelli assunti con contratto di apprendistato, per tutte e tre le tipologie previste dalla
legge, ex art. 53, 2° co., D.Lgs. n. 276/03, nonché quelli assunti con contratto di inserimento,
secondo quanto stabilito dall’art. 59, co. 2°, D.Lgs. n. 276/03.
Per quanto concerne, invece, i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, tra i
quali si possono far rientrare i lavoratori part-time a termine, la giurisprudenza antecedente al
D.Lgs. n. 368/01, nel silenzio della legge, si era attestata nel senso di ritenerli computabili, solo se
inseriti nel normale ciclo produttivo, in quanto rientranti, seppure pro-tempore, nell’organigramma
aziendale.
Al contrario, non erano computabili se l’assunzione era destinata a soddisfare esigenze del
tutto momentanee ed eccezionali, ovvero se erano adibiti a mansioni non rientranti nella normale
attività dell’impresa19.
L’art. 8, D.Lgs., n. 368/01, stabilisce, ora, che, ai fini dell’art. 35, L. n. 300/70, i lavoratori
con contratto a tempo determinato sono computabili ove il contratto abbia durata superiore a nove
mesi.
Il riferimento al solo art. 35, L. n. 300/70, ha suscitato non pochi dubbi interpretativi, posto
che dopo la L. n. 108/90, il requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale non è più
disciplinato dall’art. 35 cit., ma direttamente dai primi due commi dell’art. 18, L. n. 300/70.
Ne discenderebbe, secondo una parte della dottrina, l’esclusione dei contratti a termine dalla
base di computo degli occupati ai fini dell’applicazione della tutela reale20.
Si è anche affermato che il legislatore ha voluto recepire e quantificare senza alcuna
delimitazione, il concetto di normale occupazione identificandolo nei contratti di durata superiore a
nove mesi21.
Il rischio di tale assunto sarebbe quello di incentivare contratti di durata inferiore a nove
mesi, mentre, in fin dei conti, non sembra potersi escludere l’applicazione analogica dell’art. 8,
19
V. Cass., 20 ottobre 1983, n. 6165, in Riv. giur. lav., 1984, II, 98; Cass., 3 novembre 1980, n. 5861, in Mass. giur.
lav., 1981, 604, che escludono in sostanza i lavoratori a termine soltanto occasionalmente occupati in azienda. In
dottrina: v. FERRARO, I licenziamenti ...., op. cit., 36.
20
Così: VALLEBONA - PISANI, Il nuovo contratto a termine, Padova, 2001, 55; CESTER, Criteri di computo dei
lavoratori, in MENGHINI (a cura di), La nuova disciplina del lavoro a termine, Milano, 2002, 55.
21
V. FERRARO, Tipologie di lavoro flessibile, Torino, 2004, 49; MONTUSCHI, Ancora nuove regole per il lavoro a
termine, in Arg. dir. lav., 2002, 1, 55.
5
D.Lgs. n. 368/01 anche con riferimento alla tutela reale, giacchè sarebbe illogico differenziare i
criteri di computo per verificare il raggiungimento dei limiti dimensionali, utili alla costituzione
delle RSA, da quelli per l’applicazione della tutela reale, essendo stati sempre, fino ad oggi, trattati
in maniera uniforme22.
Quanto poi alla compagine aziendale, entro cui delimitare l’indagine sui requisiti
dimensionali, e tralasciando l’ampio dibattito sviluppatosi sulla definizione di unità produttiva, la
giurisprudenza dominante ha affermato che il collegamento economico funzionale tra imprese
gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno della autonomia delle singole
società, se dotate di distinte personalità giuridiche.
Non è, perciò, di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto
di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore ed una di tali società, si estendano alla società
madre o ad altre società dello stesso gruppo, salvo che non sia ravvisabile un unico centro di
imputazione del rapporto di lavoro, ogni qualvolta vi sia una simulazione o una preordinazione in
frode alla legge degli atti costitutivi delle società del gruppo, mediante interposizioni fittizie o
viceversa reali, ma fiduciarie23.
Il Tribunale di Torino, nella sentenza cit.24, accertata l’illegittimità del licenziamento
impugnato, in assenza di alcuna giustificazione causale, e rilevata l’insussistenza del prospettato
collegamento societario, ha disposto la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, ex art.
18, L. n. 300/70, in capo ad una soltanto delle tre società convenute, in quanto ne ha escluso
l’assoggettamento alla tutela obbligatoria, sebbene quest’ultima avesse dedotto e allegato di
contare alle proprie dipendenze, alla data del licenziamento, in tutto quattro lavoratori, compresa
la ricorrente.
Nel giungere a tale conclusione, il Tribunale ha affermato di aderire al criterio del c.d.
“organico oggettivo”, a mente del quale, come visto, il dato numerico dei lavoratori occupati va
verificato in base all’organigramma produttivo e/o alle unità lavorative necessarie ad assicurare la
normale produttività dell’impresa, nel periodo antecedente al recesso25.
22
V. ad es. Cass., 20 gennaio 2000, n. 609, in Notiz. giur. lav., 2000, 356.
V. ex plurimis: Cass., 25 ottobre 2004, n. 20701, in Rep. giur. lav., 2005, 102, 389; Cass., 1 aprile 1999, n. 3136, in
Notiz. giur. lav., 1999, 467; Cass., 19 giugno 1998, n. 6137, in Notiz. giur. lav., 1999, 228; Cass., 27 febbraio 1995, n.
2261, in Notiz. giur. lav., 1995, 381; sul collegamento tra due società per azioni: Cass., 17 giugno 1988, n. 4142, in
Notiz. giur. lav., 1988, 481.
24
V. sub nota 1.
25
V. giurisprudenza sub nota 4: tra le più recenti in tal senso, si segnala Cass., 1 settembre 2008, n. 22003, in Notiz.
giur. lav., 2009, 1.
23
6
Inoltre, sebbene la prova del requisito dimensionale gravi sul datore di lavoro26, nella specie,
peraltro, assolta mediante l’allegazione del numero dei dipendenti alla data del recesso, viene
riaffermata la facoltà per il giudice di indagare sull’esistenza di eventuali atti simulatori posti in
essere dall’imprenditore, al fine di sottrarsi, con la diminuzione della consistenza numerica, agli
obblighi scaturenti dall’applicazione della tutela reale27.
In tal senso, il Tribunale ha ritenuto di poter operare un accertamento incidentale, al fine di
verificare l’inserimento nella struttura aziendale di lavoratori formalmente non regolarizzati come
subordinati28 ovvero anche di lavoratori assunti con clausola di durata di cui venisse accertata la
nullità, spingendo la propria indagine fino a sei mesi prima la data del licenziamento29.
L’esito è stato quello di considerare, come dipendenti, ai fini del raggiungimento della
soglia dimensionale di cui all’art. 18, L. n. 300/70: tre lavoratori il cui contratto a tempo
indeterminato era cessato nei sei mesi antecedenti il licenziamento; sei dipendenti a tempo
determinato, per asserita nullità del termine, non avendo l’azienda prodotto copia dei relativi
contratti; ulteriori tre lavoratori a termine, in quanto i contratti non avrebbero specificato le
esigenze poste a base dell’apposizione del termine: l’inclusione di tali lavoratori nella base di
computo faceva, quindi, lievitare l’organico a sedici dipendenti alla data del licenziamento30.
26
V. Cass., Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141, in Lav. giur., 2006, 3, 265, con la quale è stato risolto il contrasto che si
era creato in seno alla Suprema Corte in ordine al riparto dell’onere probatorio sui requisiti dimensionali, mediante
l’affermazione del principio che il lavoratore è tenuto soltanto a dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro e
l’illegittimità del recesso, quali fatti costitutivi della domanda, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti di
cui all’art. 18, L. n. 300/70, costituendo, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del diritto
soggettivo del lavoratore a riprendere servizio, devono, invece, essere provati dal datore di lavoro; cfr. Cass., 17 maggio
2002, n. 7227, in Il Foro it., 2002, I, 2345; Cass., 22 gennaio 1999, n. 613, in Mass. giur. lav., 1999, 323, con nota di
BOGHETIC e in Riv. giur. lav., 2000, II, 83, con nota di TERENZIO; contra tra le tante: Cass., 1 settembre 2003, n. 12747,
in Riv. crit. dir. lav., 2004, 155, con nota di MUGGIA, Cass., 10 novembre 1999, n. 12492, in Mass. giur. lav., 2000, 81,
con nota di BOGHETIC.
27
V. Cass., 3 novembre 1989, n. 4579, cit.
28
V. Cass., 16 gennaio 2001, n. 519, Dir. giust. 2001, 6, 58 con nota di BELLOMO, in Riv. giur. lav., 2002, II, 73, con
nota di FATONE, con la quale si afferma che non possono essere considerati tra i dipendenti, ai fini dell’art. 35, L. n.
300/70, tutti coloro che prestano stabilmente la propria attività lavorativa per l’azienda, prescindendo dalla
qualificazione del rapporto che ad essa li lega.
29
Di seguito uno stralcio della motivazione, Trib. Torino, 3 dicembre 2009, cit.: “La giurisprudenza di legittimità
afferma che il numero dei lavoratori occupati vada accertato con riguardo al criterio della normale occupazione…, che
implica il riferimento all’organigramma produttivo o, in mancanza, alle unità lavorative necessarie secondo la normale
produttività dell’impresa, valutata con riguardo al periodo occupazionale precedente l’intimazione del recesso. La
Suprema Corte ritiene che si debba valutare anche l’eventualità di atti simulatori posti in essere dall’imprenditore al fine
di sottrarsi, con la diminuzione della consistenza numerica del personale, agli obblighi scaturenti dall’applicazione della
tutela reale, tenendo peraltro conto di eventuali ragioni contingenti che, per breve periodo, hanno determinato il
superamento del limite”.
30
Di seguito ancora uno stralcio della motivazione, Trib Torino, 3 dicembre 2009, cit.: “Per quel che riguarda i
lavoratori assunti a termine l’art. 8 del D.Lgs. n. 368/01, prevedeva che, ai fini di cui all’art. 35, L. n. 300/70, i
lavoratori a tempo determinato siano computabili solo ove il contratto abbia durata superiore a nove mesi: il rinvio alle
norme in materia di attività sindacale consente di escludere l’applicabilità di tale ultima norma alla materia dei
licenziamenti. Ciò nonostante, devono essere considerati i lavoratori assunti a termine con contratto privo di causale,
oppure con causale che non soddisfa i requisiti di specificità richiesti dalla legge”.
7
Ebbene, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati, non può non
evidenziarsi come, in primo luogo, la soluzione cui è pervenuto il Tribunale sembra tradire il
criterio del c.d. “organico oggettivo”, anzichè aderirvi, come, invece, precisato in premessa.
Tanto è che, nella motivazione, non risulta alcun accenno alla pianta organica e/o
organigramma della società convenuta, né al tipo di attività dalla stessa svolto, anche al fine di
verificarne la “normale produttività” nei sei mesi antecedenti31; limite temporale, questo, adottato,
piuttosto acriticamente, per svolgere l’indagine sul dato occupazionale32.
Inoltre, non si comprende, neppure, come il Tribunale di Torino possa aver proceduto ad un
accertamento incidentale sulla possibile sussistenza di atti simulatori, finalizzati ad eludere
l’applicazione della tutela reale del posto di lavoro, con riguardo al dato occupazionale, senza
aver accertato, preliminarmente, quale dovesse essere, anche solo ipoteticamente, la normale
occupazione da dissimulare.
Il rischio è, infatti, quello di applicare, erroneamente, il criterio del c.d. “organico
soggettivo”, contando tutti e indistintamente i lavoratori presenti in azienda, anziché al momento
del licenziamento, come dovrebbe essere con il suddetto criterio, nei sei mesi antecedenti, così da
pervenire a conclusioni a dir poco discutibili.
Invero, al fine di applicare correttamente il criterio dell’“organico oggettivo”, sarebbe stata
auspicabile un’indagine preliminare sulla natura dell’attività svolta in azienda, se, ad esempio,
stagionale o non, e sull’organico che mediamente può assicurarne la normale produttività nell’ipotesi di assenza di una pianta organica cui fare espresso riferimento - giustificando così,
anche la scelta di adottare, come termine per l’indagine, i sei mesi antecedenti il recesso e non già
un termine diverso, magari di tre mesi o un anno, egualmente possibile, in assenza di indicazioni
normative al riguardo33.
In secondo luogo, appare altrettanto discutibile, la premessa di aver escluso i lavoratori a
termine dal computo dei requisiti dimensionali di cui all’art. 18, L. n. 300/70, affermandosi che
l’art. 8, D.Lgs. n. 368/01 è riferibile al solo art. 35, L. n. 300/70, limitatamente, cioè, al
raggiungimento dei requisiti numerici per l’esercizio delle prerogative sindacali di cui agli artt. 19
31
Sul punto: Cass., 8 maggio 2001, n. 6421 cit., ha affermato che la normale produttività si evince da vari elementi
significativi, quali la consistenza numerica del personale in un periodo di tempo anteriore al licenziamento, congruo per
durata in relazione all’attività e alla natura dell’impresa.
32
Ancora uno stralcio della motivazione, Trib. di Torino, 3 dicembre 2009, cit.: “Nel caso di specie, al fine di valutare
il dato occupazionale dell’impresa in relazione alla normalità delle sue esigenze, appare opportuno considerare i sei
mesi anteriori alla data del licenziamento della ricorrente”.
33
V. ad esempio: Cass., 10 febbraio 2004, n. 2546 cit.,con la quale si è affermato che nell’attività alberghiera, ove si
richiede normalmente il ricorso al contratto a termine o al part-time verticale, il criterio medio statistico della normale
occupazione va calcolato nell’arco dell’anno.
8
e ss., L. n. 300/70, per poi procedere, subito dopo, al loro computo in base ad un accertamento
incidentale sulla nullità del termine apposto a ciascun contratto.
Se è vero, infatti, che l’art. 8, D.Lgs. n. 368/01, non è applicabile alla materia dei
licenziamenti, due dovrebbero essere le conseguenze: o non si considerano affatto i lavoratori a
termine al fine di verificare il dato numerico per l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, ovvero,
seguendo la giurisprudenza antecedente al 2001, s’imporrebbe un’indagine sulle ragioni del loro
inserimento in azienda34; dovendo distinguere coloro che sono inseriti, sia pure pro tempore, nel
normale ciclo produttivo, rientranti a pieno titolo nell’organigramma aziendale, da coloro che,
invece, sono stati assunti per esigenze del tutto momentanee ed eccezionali35, e, perciò, esclusi dal
normale organico.
Inoltre, ciò che è apparso ancor più discutibile, dopo tali premesse, è stata la declaratoria di
nullità delle clausole appositive del termine, ai contratti conclusi negli ultimi sei mesi antecedenti
al licenziamento, sia a causa del mancato deposito delle lettere di assunzione da parte
dell’azienda, sebbene onerata in tal senso da un ordine del giudice, sia per la genericità delle
ragioni ivi indicate; il tutto in virtù di un accertamento incidentale36.
Come noto, l’accertamento incidentale è disciplinato dall’art. 34 c.p.c. e si verifica quando,
per legge o per esplicita domanda di una delle parti sia necessario decidere con efficacia di
giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un
giudice superiore, dinanzi al quale deve essere rimessa la causa, con assegnazione alle parti di un
termine perentorio per la riassunzione37.
Se, invece, la questione pregiudiziale non è destinata ad ampliare l’oggetto del giudizio e la
parte della controversia pregiudicata non ha titolo, legittimazione o interesse per agire in relazione
al rapporto giuridico pregiudiziale, l’art. 34 è inapplicabile, non potendosi generare una
controversia autonoma, suscettibile di produrre un giudicato autonomo, giacchè la questione resta
assorbita nell’oggetto della domanda di parte38.
Ora, l’accertamento e la conseguente declaratoria di nullità di ben undici clausole appositive
del termine ad altrettanti contratti a tempo determinato, così come operata dal Tribunale di
Torino, difficilmente sembra poter essere relegata al ruolo di semplice questione logica,
34
V. giurisprudenza sub nota 17.
Sul punto v. AMOROSO, Statuto dei lavoratori e disciplina dei licenziamenti, op. cit., 515 e ss.
36
Di seguito uno stralcio della motivazione, Trib. di Torino, 3 dicembre 2009, cit.: “… la convenuta non produceva il
contratto di assunzione: deve pertanto ritenersi la nullità del termine apposto ai predetti contratti … anche i predetti
lavoratori devono computarsi ai fini dell’applicabilità della tutela reale, poiché i contratti individuali non specificavano
le esigenze poste a base dell’apposizione del termine”.
37
V. VACCARELLA - VERDE, sub art. 34, in Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, 300 e ss.
38
V. VACCARELLA - VERDE, sub art. 34, op. cit., 302.
35
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meramente pregiudiziale all’applicazione della tutela reale, non suscettibile, come tale, di formare
oggetto di un autonomo e distinto giudizio.
Ciò, se non altro per il fatto che tale accertamento, finisce per coinvolgere ben undici diversi
soggetti estranei al giudizio pregiudicato che, in buona sostanza, si vedono costituire ex officio e
senza che lo abbiano mai richiesto un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato,
magari non avendovi alcun interesse (se non quello contrario, ad esempio per mantenere lo stato
di disoccupazione)39.
In altri termini, benchè l’azione di nullità, ivi compresa quella contro la clausola appositiva
del termine al contratto di lavoro40, possa essere esercitata da chiunque vi abbia interesse,
compreso dunque anche da chi voglia, come nella specie, far valere il proprio diritto ad essere
reintegrato, non sembra che la questione possa essere trattata compiutamente, senza estendere il
contraddittorio ai lavoratori direttamente coinvolti, anche solo per consentire un’esaustiva
istruttoria in presenza delle parti interessate, evitando, così, una semplice cognizione incidentale
che, come tale, invece, non necessita di alcuna integrazione di contraddittorio.
Inoltre, se è vero che, ai sensi dell’art. 421, 2° co., c.p.c., il giudice del lavoro può disporre
in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, in deroga al generale principio
dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c., è altrettanto vero che lo stesso deve attenersi al principio della
domanda, inteso come strumento procedimentale di una ricerca le cui fonti sono prefissate dalle
parti41.
Di tal che, se la domanda ha come oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro, l’istruttoria
dovrebbe essere limitata e strettamente funzionalizzata all’accoglimento e/o al rigetto di questa,
non essendo pertinente, se non giustificato da un intento elusivo - di cui, però, non si dà conto
nella motivazione - accertare la nullità delle clausole in parola, mancando, per l’appunto, un
chiaro collegamento logico - giuridico con il petitum.
Le predette irregolarità, infatti, ben potrebbero essere state compiute inconsapevolmente,
cioè senza alcuna intenzione di aggirare la tutela reale del posto di lavoro in vista dell’intimazione
dell’impugnato licenziamento, con la conseguenza di non poter rilevare in alcun modo nel
predetto giudizio, ancorchè sussistenti.
39
V. art. 4, D.Lgs. n. 181/2000 che prevede il mantenimento dello stato di disoccupazione a condizione che il contratto
a termine non superi gli otto mesi.
40
Sulla natura dell’azione di impugnazione della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, v. per tutte:
Cass., Sez.. Un., 8 ottobre 2002, n. 14381,in Rep. giur. lav., 2005, 28, 164.
41
V. MONTESANO - MAZZIOTTI, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Napoli, 1974, 107.
10
Diversamente, si finirebbe per aprire la strada ad accertamenti di ogni tipo, anche scollegati
dai fatti principali allegati al petitum, che, in quanto tali, rischierebbero di compromettere il
delicato equilibrio processuale di cui il giudice è arbitro e garante.
Proprio su tale aspetto si è pronunciata la sentenza di riforma della Corte di Appello di
Torino42, la quale ha rilevato che, effettivamente, il Tribunale aveva violato l’art. 112 c.p.c. - che,
come noto, impone al Giudice di pronunciarsi sulla domanda e non già oltre il limite di essa finendo per ampliare illegittimamente il thema decidendum, che, invece, era circoscritto dalla
richiesta di reintegrazione, basata sul solo dato dimensionale del gruppo societario, e dalla
subordinata domanda di applicazione, nei confronti di una sola delle Società del gruppo, della
tutela obbligatoria, ex art. 8, L. n. 604/66; con ciò riconoscendo, già la stessa ricorrente, che la
singola società, da sola, non avrebbe potuto raggiungere il dato dimensionale per l’applicazione
della tutela reale43.
In secondo luogo, la Corte di Appello ha comunque considerato assorbente la circostanza
che il Tribunale aveva erroneamente considerato nel numero dei dipendenti subordinati, per
l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70, anche un apprendista, sebbene la sua qualifica emergesse
incofutabilmente dal libro matricola, depositato in atti, con conseguente violazione dell’art. 53,
co. 2°, D.Lgs. n. 276/03.
In conclusione, qualora il legislatore volesse continuare a parametrare l’applicazione di
alcune fondamentali tutele del diritto del lavoro al dato numerico degli occupati, sarà opportuno
che intervenga, un volta per tutte, definendo i criteri di computo da utilizzare, così da eliminare
tutte quelle incertezze che, ad oggi, la sia pur meritoria opera supplente della dottrina e della
giurisprudenza, da sola, non ha potuto dissipare, come dimostrano le due recenti sentenze dalle
quali ha preso spunto la presente riflessione.
42
V. sub nota 2.
Così di seguito uno stralcio della motivazione, C. App. Torino, 14 ottobre 2010, n. 778, cit.: “È opportuno aggiungere
che l’arbitrario superamento dei limiti della domanda si è reso ancor più palese in ordine alle successive operazioni
adottate dal primo giudice, che ha ritenuto di sollevare d’ufficio la questione di nullità dei contratti a termine conclusi
dalla R.T. e di pervenire ad una valutazione incidenter tantum di nullità non solo per i contratti a termini presenti agli
atti (per causale non specifica), ma pure per i rapporti per i quali la R.T, non aveva prodotto la pattuizione scritta”.
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