Le collaborazioni nei Call center

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Le collaborazioni nei Call center
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Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
- dicembre 2012 - n. 12, pag. 964
LAVORO A PROGETTO E CALL CENTER: L'ESECUZIONE DELLA PRESTAZIONE DIVIENE NUOVA VOLONTÀ
CONTRATTUALE
di Iarussi Daniele
1. - I call center, come noto, possono considerarsi il luogo dove si misurano le attuali complessità dell'organizzazione del lavoro e delle tutele dei lavoratori, dinnanzi all'ondata di tecnologia ed ai nuovi modi di produrre e di organizzare il lavoro, anche attraverso forme di esternalizzazione.
Spesso le imprese che offrono questo servizio operano, infatti, su richiesta di committenti che esternalizzano la gestione del call center (1). Così, per via della stessa natura del servizio, nonché per la stretta correlazione tra risultato delle commesse e costo ed organizzazione del lavoro, l'impresa che gestisce il call center ha senza dubbio necessità di una notevole flessibilità nell'uso delle risorse umane, con modulazioni degli orari di lavoro e delle retribuzioni collegate alle prestazioni svolte dal lavoratore.
Definiti, dunque, come l'equivalente attuale dell'operaio nella catena di montaggio dell'impresa fordista, pare che i consulenti/operatori telefonici
siano tra i soggetti che oggi più subiscono le disfunzioni di allocazione delle tutele del lavoro caratterizzanti la realtà produttiva del nostro Paese (2). A fronte della flessibilità richiesta dalle imprese, oltretutto, questi lavoratori non sono sempre in grado di far valere i propri interessi per l'eterogeneità dei percorsi e dei differenti interessi tra chi ritiene transitoria la propria posizione di lavoro e chi, invece, la interpreta come permanente (e magari ha un interesse specifico ad una stabilizzazione ed alla progressione di carriera) (3).
Una delle risposte alle esigenze di flessibilità da parte delle imprese è stata proprio quella di reclutare un consistente numero di consulenti telefonici attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa, prima dell'intervento del d.lgs.
n. 276/2003, e di riallocarli, dopo la riforma, con contratti di collaborazione a progetto. È indubitabile, infatti, che il contratto di collaborazione a progetto integri una tipologia contrattuale che offre particolari caratteristiche, contrassegnandosi per mantenere tra il lavoratore ed il
committente un certo collegamento funzionale, seppur a fronte di una prestazione resa in autonomia, rappresentando uno strumento di
abbattimento del costo del lavoro dal punto di vista sia contributivo che della flessibilità (4). Tuttavia, la riconduzione delle collaborazioni coordinate e continuative ad un progetto (5) era proprio finalizzata ad accentuare il carattere autonomo della prestazione dedotta in contratto al
fine di contrastare comportamenti elusivi della disciplina del lavoro subordinato (6), come è ora confermato dalla disciplina ancora più restrittiva stabilita dalla legge n. 92/2012. Ed il settore dei call center non era certo esente da utilizzazioni improprie delle forme di collaborazione coordinata
e continuativa. In ragione di ciò sono intervenuti, prima il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale attraverso regole di interpretazione uniforme rivolte ai servizi ispettivi, poi le Parti sociali e il Parlamento, questo con una manovra ad ampio raggio, non circoscritta dunque ai soli call
center, per la stabilizzazione dei lavoratori la cui attività non era tale da rispecchiare le caratteristiche di una collaborazione coordinata (7).
Un dato va, comunque, considerato sin da subito. A fronte di un consolidato orientamento giurisprudenziale, è certo che ogni attività lavorativa può essere svolta in forma autonomao subordinata (8). È, pertanto, indubbio che anche nel settore dei call center sarebbe arbitraria ogni
aprioristica esclusione di una forma contrattuale di lavoro: autonomo, coordinato o subordinato (9). C'è da chiedersi, piuttosto, se la scelta di
reclutare un consulente/operatore telefonico, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ora nella modalità «a progetto», non sia
figlia dello scarso utilizzo di forme di lavoro maggiormente confacenti al tipo di attività espletata in questo settore, come la somministrazione a tempo indeterminato o il contratto di lavoro intermittente. Ad ogni modo, prima ancora di esaminare i provvedimenti amministrativi e normativi
che riguardano il lavoro nei call center è opportuno ricordare che al progetto occorre dare valenza di «contenitore», all'interno del quale la
prestazione lavorativa del collaboratore deve essere eseguita (10).
2. - Già la circolare del Ministero del Lavoro, 8 gennaio 2004, n. 1 (11), all'indomani dell'entrata in vigore della disciplina, identificava il progetto come «attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione», che oltretutto «può essere connessa all'attività principale o accessoria dell'impresa». Sulle caratteristiche del
progetto è interessante notare come la giurisprudenza di merito ha poi chiarito come questo debba individuarsi per specificità (art. 61, co. 1), non potendo identificarsi con l'attività propria dell'organizzazione aziendale cui è funzionalmente collegato in modo più o meno stretto, altrimenti verrebbe meno la ragion d'essere del progetto stesso (12). Sempre secondo le interpretazioni della giurisprudenza di merito non si richiede, in
assoluto, una individualizzazione del progetto per ogni singolo collaboratore, anche perché l'attività espletata potrebbe possedere caratteri di UNICOLAVORO24 - Gruppo 24 ORE
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identicità con quello dei dipendenti (13), ma non si ritiene accettabile la standardizzazione dei progetti per i collaboratori in impresa (14). Nel settore dei call center, perciò, ben è possibile il ricorso del contratto a progetto ove si identifichi questo ultimo con una particolare e specifica commessa o «campagna», la realizzazione della quale sarebbe, appunto, affidata in tutto o in parte, a lavoratori reclutati con questa tipologia
contrattuale.
3. - Per ciò che concerne le modalità esecutive della prestazione, appurato che esse debbano rispecchiare i caratteri propri della coordinazione e che la prestazione non dovrà essere correlata al tempo di lavoro (art. 61, co. 1), merita segnalare come la giurisprudenza, soprattutto di merito, abbia ammesso che l'obbligazione assunta dal collaboratore possa identificarsi come obbligazione di mezzi, pur tuttavia escludendo come contenuto
dell'obbligazione la mera messa a disposizione di energie lavorative (15).
Un'impresa di servizi di call center può, pertanto, ricorrere al lavoro a progetto secondo le forme di coordinamento che saranno indicate per iscritto nel contratto di lavoro (art. 62, lett. d)). Coordinamento che, come si vedrà in seguito, non esclude la presenza di personale di sala ai soli fini di assistenza degli operatori, nonché la predisposizione di fasce orarie da rispettare, trattandosi di forme legittime di coordinamento (16). Sotto il profilo del tipo di attività dedotta nel contratto di lavoro a progetto, la giurisprudenza ha inoltre evidenziato come si possa ricorrere a tale contratto anche per attività che non hanno carattere particolarmente specialistico o di elevato contenuto professionale (17). Ciò conferma, nuovamente, la possibilità di ricorrere a questa forma contrattuale anche nelle attività di call center per specifiche commesse o « campagne».
D'altra parte, lo stesso dato normativo non preclude l'utilizzo del lavoro a progetto per determinati tipi di attività (18). Piuttosto, occorre rilevare come, a fronte delle caratteristiche menzionate, la fattispecie in questione possa considerarsi come una alternativa al ricorso al lavoro subordinato,
nell'accezione consolidata dalla giurisprudenza quale soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Indipendentemente, infatti,
dal mancato superamento della dicotomia subordinazione-autonomia ovvero dalla creazione o riconoscimento di un tertium genus (19), è pressoché indubbio che la regolamentazione del contratto a progetto, seppure non scevra di criticità, favorisca il ricorso a questa tipologia contrattuale. Dall'analisi delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, nel caso oggetto della pronuncia in esame, emerge un quadro piuttosto univoco a favore della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. In proposito, la Corte di appello ripercorre, senza vizi
motivazionali passibili di revisione ad opera della Corte di Cassazione, i tradizionali indici di subordinazione, seppure, almeno apparentemente, in
ordine piuttosto sparso e non dunque secondo la gerarchia messa a punto nel corso dei decenni dalla giurisprudenza (20). Vengono così citati, in prima battuta, l'indice c.d. «essenziale esterno» dell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale (21), l'assoggettamento dei lavoratori
ad istruzioni specifiche ed a puntuali ordini di servizio (22), l'invasivo controllo informatico sul dipendente, nonostante la mancata prova di un
preciso orario di lavoro.
Le modalità di esecuzione della prestazione conducono il giudice territoriale, in concreto, a ritenere sussistente l'esercizio del potere direttivo e di controllo sul lavoratore, il quale, come noto, costituisce l'indice più rilevante, e dunque gerarchicamente superiore, di subordinazione (23).
4. - Da ultimo, nella sentenza in commento si richiama un altro degli indici giurisprudenziali di subordinazione in merito alla rilevanza del quale v'è stato, specie in passato, un dibattito piuttosto acceso (24). Ci si riferisce al c.d. nomen iuris, ovvero alla qualificazione formale del rapporto operata
dalle parti al momento della stipula del contratto di lavoro: in proposito, viene ribadito l'orientamento, ad oggi piuttosto consolidato, secondo il
quale il fatto che le parti abbiano formalmente stipulato un contratto di lavoro a progetto non ha alcun valore qualificatorio nel momento in cui sia
provato che il relativo rapporto ha in concreto assunto le caratteristiche tipiche della subordinazione (25). Del resto, deve qui applicarsi quella
norma in materia di interpretazione dei contratti (di cui all'art. 1362 c.c.) - peraltro esplicitamente richiamata dalla Suprema Corte - secondo la
quale, se è vero che, appunto, nell'interpretare un contratto deve prendersi in considerazione la comune intenzione delle parti (co. 1), è altrettanto vero che, per determinare tale comune intenzione, è altresì necessario valutare (specie in rapporti contrattuali di durata, quali sono quelli di lavoro), «il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto» stesso (co. 2). Di conseguenza, è del tutto condivisibile l'orientamento avallato dalla pronunzia in esame secondo cui «non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti ( cosiddetta «autoqualificazione»), il quale, pur costituendo
un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo» (26). Tale acquisizione dottrinale, peraltro risalente, è stata validata anche dalla Corte costituzionale (27), la quale ha sancito che la sola dichiarazione contrattuale delle parti non è idonea ad escludere l'applicabilità della normativa lavoristica di tutela in presenza di modalità esecutive del rapporto proprie del lavoro subordinato.
Non vi è dubbio che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, essendo l'iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, come giustamente afferma la pronuncia, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti.
L'esecuzione, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all'attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, diviene non solo strumento d'interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro (ai sensi dell'art. 1362 c.c., co. 2, cit.),
bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, «in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale» (28). L'opinione, di natura sostanzialistica, non può non esser condivisa perché idonea a contrastare il fenomeno dell'abuso degli strumenti contrattuali, particolarmente sentito nel settore dei call center, ma anche perché riscopre la vera ratio dell'istituto
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giuridico che, se ben impiegato, può rappresentare un'opportunità anche per il mondo imprenditoriale. Dal punto di vista strettamente giuridico, inoltre, l'interpretazione è in perfetta sintonia con l'ordinamento civile dal quale il diritto del lavoro nasce e trova, spesso, «conforto
interpretativo».
La rilevanza dei fatti concludenti, non trascurati dal diritto, a divenire modifica della volontà negoziale emerge
con forza qualora le parti mostrino, ex facto, di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a
quello della subordinazione. In tale circostanza il giudice di merito, come avvenuto nel caso di specie, deve attribuire valore prevalente - rispetto al
nomen iuris adoperato in sede di conclusione del contratto - al comportamento tenuto dalle parti nell'attuazione del rapporto stesso (29).
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(1) Si consideri che esistono differenti modalità organizzative alle quali si ricorre per fruire dei servizi di call center: in house, se l'attività è erogata dall'impresa stessa che utilizza queste unità (vedi al riguardo il modello Vodafone descritto da N. BENEDETTO, F. DE VESCOVI, Il lavoro nei call
center: il caso Vodafone, in «Dir. rel. ind.» 2007, 3, sezione Relazioni industriali e Risorse umane); in outsourcing, come nella maggior parte dei
casi, quando il servizio è esternalizzato; co-sourcing che è sostanzialmente il risultato di un incontro tra le due precedenti modalità organizzative. È interessante rilevare come le imprese che gestiscono il servizio dietro commesse si siano specializzate secondo quattro macrosettori: telefonia,
televisioni, recupero crediti e pubblica amministrazione.
(2) In tal senso, e per una bibliografia di carattere sociologico sull'argomento, E. COMO, Neo Taylorismo e organizzazione del lavoro nei call
center, in «Quad. rel. sind.», 2006, 3, spec. 77-78, che parla, con riferimento al settore dei call center, di taylorismo digitale individuando quegli
strumenti e metodi di controllo e di misurazione dei risultati dematerializzati che, grazie alle nuove tecnologie, permettono la trasformazione dei
poteri del datore di lavoro, propri del lavoro subordinato, in modalità de-materializzate di direzione e controllo.
(3) G. ALTIERI, Dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto: cosa cambia nel mercato del lavoro italiano, in M. Pallini
(a cura di), Il lavoro a progetto in Italia e in Europa, Bologna 2006, 58.
(4) Per una ricognizione sull'utilizzo nel settore dei call center di altre tipologie contrattuali flessibili, quali contratto a tempo determinato e
somministrazione di lavoro, si suggerisce la lettura di F. ROTONDI, Lavoro flessibile nei call center, in «Dir. prat. lav .» 2007, 7. Va rammentato
che, sul piano contributivo, tale precisazione è sempre meno vera; cfr G. DONDI, Il lavoro a progetto dopo la Finanziaria per il 2007, in «Arg.
dir. lav.» 2008, 6, nonché si vede la c.d. riforma Fornero (l. 28 giugno 2012, n. 92).
(5) Per un approfondimento dei quali si rinvia ai numerosi studi di seguito riportati: G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro parasubordinato,
lavoro coordinato, lavoro a progetto, in R. DE LUCA TAMAJO, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema,
Napoli 2004, 187; E. GHERA, Sul lavoro a progetto, in «Riv. it. dir. lav.» 2005, 193; G. PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di
lavoro, in «Arg. dir. lav.» 2003, 665; P.G. ALLEVA, Per una vera riforma del lavoro a progetto, in G. Ghezzi (a cura di), Il lavoro tra progresso
e mercificazione, Roma 2004, 333, ove anche A. VISCOMI, Lavoro a progetto e occasionale: osservazioni critiche, 313; L. CASTELVETRI, Il
Lavoro a progetto: finalità e disciplina, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Milano 2004, 137; AA.VV., Il
lavoro a progetto: opinioni a confronto, in «Lav. giur.» 2004, 653; M. PALLINI, Il lavoro a progetto: ritorno al ... futuro?, in «WP C.S.D.L.E.
M. D'Antona» 2005, 70; M. PEDRAZZOLI, Commento al titolo VII. Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in AA.VV. (a cura di), Il
nuovo mercato del lavoro, Bologna 2004, 657; V. PINTO, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. Curzio (a cura
di), Lavoro e diritti. A tre anni dalla legge 30/2003, Bari 2005, 431, 540; G. SANTORO PASSARELLI, La nuova figura del lavoro a progetto, in
«Arg. dir. lav.» 2005, 95; A. PERULLI, Teoria e prassi del lavoro a progetto, in «Riv. giur. lav.» 2005, 713; D. MEZZACAPO, La fattispecie
«lavoro a progetto», in «WP C.S.D.L.E. M. D'Antona» 2004, 25, 393. A. LEPORE, Questioni in tema di lavoro a progetto, in «Dir. lav.» 2006,
305.
(6) M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto: profili teorico-ricostruttivi, in AA.VV., Le nuove collaborazioni, in «Giur. lav.» 2004, 1 e ss., spec.,
14.
(7) Si veda la documentazione reperibile sul sito della Fondazione Marco Biagi, www.fmb.unimore.it, indice A-Z, voce Call center; vedi anche, allo
stesso indirizzo, L. CAROLLO, M. MAROCCO, La stabilizzazione nei call center : primo bilancio, Dossier Adapt 31 luglio 2007, n. 25.
(8) Ex pluribus Cass. 3 ottobre 2005, n. 19265, in «Guida dir.» 2005, 43, 77. Si veda, in dottrina, R. ROMEI, Prestatore di lavoro subordinato art. 2094, in G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca (a cura di), Il diritto del lavoro, Milano 2009, I, 507, che rinvia a L. MENGONI, Lezioni sul
contratto di lavoro, Milano 1971.
(9) A. MARESCA, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative: profili generali, in Le nuove collaborazioni, in «Giur. lav .»
2004, 1 e ss., spec., 8. Incisiva, sul punto, Cass. 28 settembre 2006, n. 21028, in «Boll. Adapt» 2007, 28, in cui la Suprema Corte, proprio con
riferimento alla qualificazione di un rapporto di lavoro di una operatrice telefonica, ammette la natura autonoma di simile attività lavorativa, UNICOLAVORO24 - Gruppo 24 ORE
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sottolineando, altresì, che ove le parti abbiano dichiarato di voler escludere la natura subordinata di un rapporto di lavoro, è possibile pervenire ad una diversa qualificazione solo se si dimostra in concreto l'elemento della subordinazione (conforme, Cass. 22 novembre 1999, n. 12926, in «Riv. it.
dir. lav.» 2000, II, 633 nota di B. GRANATA).
(10) A. MARESCA, op. loc. ult. cit., 9, in cui si è già evidenziato il collegamento funzionale tra progetto (determinato dal committente) e la prestazione, e non una compenetrazione reciproca tra questi; M. TREMOLADA, Opinione, in AA.VV., Il lavoro a progetto: opinioni a confronto,
in «Lav. giur .» 2004, 653.
(11) Consultabile alla voce Lavoro a progetto, in indice A-Z, sul sito www.fmb.unimo.it, nonché per un commento, V. D'ORONZO, Primi
chiarimenti ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, in «Guida lav.» 2004, 3, 10.
(12) Trib. Torino 15 aprile 2005; Trib. Torino 17 maggio 2006 e Trib. Ravenna 24 novembre 2005, reperibili sul sito della Fondazione Marco
Biagi, www.fmb.unimo.it, alla sezione riservata all'Indice A-Z, voce Lavoro a progetto. In dottrina, vedi anche specificatamente l'opinione di G.
SANTORO PASSARELLI, in AA.VV., Il lavoro a progetto: opinioni a confronto, cit., 664, il quale ammette che il progetto debba avere il
carattere dell'originalità, non dell'eccezionalità e che riguardi, quindi, anche attività dei dipendenti, purché non risulti una reiterazione continua al ricorso di tali attività; tuttavia ne sarebbe possibile l'utilizzo per integrazione oraria. Contra, G. PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali
di lavoro, in «Arg. dir. lav.» 2003, 669.
(13) Trib. Modena 21 febbraio 2006, in «Lav. giur.» 2006, 477, con nota di M. MISCIONE.
(14) Trib. Torino 15 aprile 2005, reperibile sul sito della Fondazione Marco Biagi, www.fmb.unimo.it, alla sezione riservata all'Indice A-Z, voce
Lavoro a progetto.
(15) Infatti, che il legislatore stabilisca che il progetto debba essere gestito autonomamente in funzione del risultato (art. 61, co. 1) non significa che
l'obbligazione dedotta in contratto sia di risultato. Avvalorano questa ipotesi le norme relative al compenso del collaboratore, ove si chiede che lo
stesso sia individuato proporzionalmente a seconda della quantità e la qualità del lavoro (art. 63), nonché le disposizioni che prevedono la sospensione del rapporto di lavoro in caso di maternità, infortunio o malattia, con contestuale mancata erogazione del compenso (art. 66, co. 1). Sul punto si v. A. MARESCA, op. cit., 10. Della stessa opinione A. VALLEBONA, Lavoro a progetto: incostituzionalità e circolare di pentimento, in
«Arg. dir. lav.» 2004, 296; D. MEZZACAPO, op. cit., § 4; M. TREMOLADA, op. cit., 655, che vede nell'attività lavorativa del collaboratore l'oggetto del contratto di lavoro. Mentre Trib. Modena 21 febbraio 2006, op. cit., qualifica l'obbligazione del collaboratore a progetto come
obbligazione di risultato. Così anche l'opinione di G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., 664. L'A. afferma che il progetto indica il risultato della
prestazione lavorativa «e cioè le caratteristiche dell' opus o degli opera o del servizio o dei servizi». Per una analisi sul punto M. PALLINI, Il
lavoro a progetto: ritorno al ... futuro?, in M. Pallini (a cura di), op. cit., 8. Tuttavia, è d'obbligo menzionare come la differenza tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato non appare, invero, consona a discernere puntualmente il lavoro autonomo dal lavoro subordinato, dato che
oggetto del contratto, tanto autonomo, quanto subordinato, è sempre la prestazione lavorativa, l'attività umana, sia ove questa sia indirizzata ad un opus perfectum, sia quando sia posta in essere come mera messa a disposizione delle energie lavorative, con ogni esclusione dal rischio.
(16) Si v. Trib. Roma 22 maggio 2006, n. 10116, a quanto consta inedita, secondo cui la forma della collaborazione coordinata e continuativa è compatibile «con l'addetto ad una centrale telefonica per attività di ricerca di clientela, telemarketing e promozioni commerciali l'assoggettamento
del collaboratore al potere di direzione del committente, se esercitato soltanto per la soddisfazione dell'esigenza di continuità del servizio e non in senso conformativo alle proprie mutevoli esigenze; così come sono compatibili le sollecitazioni rivolte al collaboratore dai preposti del datore di lavoro per ridurre od eliminare i tempi morti, le quali possono considerarsi espressione del potere del committente di verificare, in sede di
esecuzione del contratto, la rispondenza della prestazione adempiuta a quella oggetto dell'obbligazione assunta dal collaboratore».
(17) Trib. Torino 15 aprile 2005, cit.
(18) M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto: profili teorico-ricostruttivi, cit., 12.
(19) Per maggiori riferimenti a tale proposta si rinvia a R. DE LUCA TAMAJO, R. FLAMMIA, M. PERSIANI, Nuove forme di lavoro tra
subordinazione, coordinazione, autonomia, Atti convegno Cnel, Roma 1998. Nel senso, però, dell'esclusione di questa ipotesi nella regolamentazione del lavoro a progetto, M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto e le collaborazioni occasionali, in «Giur. lav.» 2003, 4, 107;
contra, R. DE LUCA TAMAJO, Dal lavoro parasubordinato al lavoro «a progetto», in «WP C.S.D.L.E. M. D'Antona» 2003, 9, 12.
(20) Per una ricostruzione dell'approccio della giurisprudenza al tema della qualificazione del rapporto di lavoro cfr. L. MENGHINI,
Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza, in «Quad. dir. lav. rel. ind.» 2000, 143 e ss.; F. LUNARDON, L'uso giurisprudenziale
degli indici di subordinazione, in «Giorn. dir. lav. rel. ind.» 1990, 403 e ss.
(21) Cfr., su questo punto, F. LUNARDON, La subordinazione, in Carinci (diretto da), Diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro subordinato:
costituzione e svolgimento, C. Cester (a cura di), Torino 1998, 3 e ss.
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(22) Cass. 7 settembre 2006, n. 19231; Cass. 23 luglio 2004, n. 13884.
(23) Cass. 28 settembre 2006, n. 21028, Cass. 16 giugno 2006, n. 13935; Cass. 7 ottobre 2004, n. 20002, in «Foro it.» 2005, I, 2429 e ss.
(24) Il ruolo della «volontà delle parti» nell'ambito del processo di qualificazione del rapporto di lavoro ha fatto discutere la dottrina perché involge il tema, più generale, dello spazio riservato all'autonomia privata individuale in un ordinamento che si caratterizza per la presenza di un apparato di norme di tutela inderogabili, eteronomamente poste dalla fonte legale e contrattuale collettiva. Cfr. I. MARIMPIETRI, Il lavoro subordinato, in
A. Vallebona (a cura di), Trattato dei contratti - I contratti di lavoro, Torino 2009, 52 e ss.; sul tema si vedano anche P. ICHINO,
Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano 1989, 9 e ss.; L. NOGLER, Lavoro a domicilio, in Schlesinger (diretto da),
Commentario al codice civile, Milano 2000, 482 e ss.
(25) Cass. 5 luglio 2006, n. 15327; Cass. 19 novembre 2003, n. 17549, Cass. 27 ottobre 2003, n. 16119. (26) Sul punto si era già pronunciata Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500.
(27) Corte cost. 31 marzo 1994, n. 115.
(28) Cass. 5 luglio 2006, n. 15327. (29) Sul punto si v. Cass. 10 aprile 2000, n. 4533; Cass. 21 luglio 2000, n. 9617; Cass. 26 giugno 2001, n. 8407.
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