Procedura di mobilità per riduzione di personale: l`accordo

Transcript

Procedura di mobilità per riduzione di personale: l`accordo
Procedura di mobilità per riduzione di personale: l'accordo sindacale si
estende anche al personale non in esubero
Il licenziamento di coloro che sono in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di
anzianità o di vecchiaia non presuppone necessariamente la individuazione di lavoratori
in esubero in relazione alle esigenze tecniche organizzative aziendali: il riferimento ai
profili professionali da prendere in considerazione sono anche quelli propri di tutti i
dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all'esito
della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità. L’accordo
sindacale sottoscritto, quindi, si applica alla generalità dei lavoratori tra i quali operare poi
la scelta nel rispetto dei criteri indicati nell’accordo.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 1.3.2013 n. 5143
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente Dott. MAISANO Giulio - Consigliere Dott. BERRINO Umberto - Consigliere Dott. FERNANDES Giulio - rel. Consigliere Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso 7645-2008 proposto da;
POSTE ITALIANE S.P.A. - ricorrente contro
V.A., - controricorrente avverso la sentenza n. 6784/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 06/03/2007 r.g.n.
6565/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2012 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l'Avvocato FIORILLO LUIGI per delega CARRIERI;
udito l'Avvocato ANTONIO VALLEBONA per delega DI BACCO LORENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso
per l'inammissibilità del ricorso.
FATTO
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 6 marzo 2007, accogliendo l'impugnazione proposta
da V.A. avverso la decisione del Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro del 6.2.2003, dichiarava
l'illegittimità del licenziamento intimato all'appellante in data 18.11.2001 da Poste Italiane spa a seguito di
una procedura di riduzione del personale ai sensi della L. n. 223 del 1991 condannando la società a
reintegrare il dipendente nel posto di lavoro nonchè al risarcimento del danno nella misura pari alla
retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegra, oltre gli accessori di
legge.
Ad avviso della Corte territoriale il criterio convenzionalmente adottato dalle parti collettive di consentire il
licenziamento di coloro che erano in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di
vecchiaia presupponeva la individuazione di lavoratori in esubero in relazione alle esigenze tecniche
organizzative aziendali non potendo ritenersi legittimi i licenziamenti di quei dipendenti che, seppur in
possesso del predetto requisito, tuttavia risultavano estranei alle posizioni lavorative eccedenti, come
accaduto nel caso in esame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso le Poste Italiane spa affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso V.A. che ha anche presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
DIRITTO
Con l'unico articolato motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a.
denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, nonchè insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla determinazione
dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei
settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4.
La ricorrente contesta il ragionamento del giudice d'appello secondo il quale il requisito della maturazione
del diritto alla pensione, prescelto dalle parti sociali nell'accordo dell'ottobre del 2001, non può prescindere
dall'esistenza di posti di lavoro in esubero.
Secondo la tesi della Corte d'appello di Roma l'individuazione dei lavoratori da porre in mobilità dovrebbe,
quindi, avvenire in modo che essi siano individuati nell'ambito dei settori o dei reparti in relazione ai quali
siano prospettate e riscontrate le situazioni di eccedenza, così da esprimere un nesso eziologico tra le
esigenze tecnico - produttive e la scelta del personale, mentre attraverso il criterio concordato le parti
avrebbero solo inteso limitare la scelta ad una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla
preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi.
Nel censurare tale ragionamento la ricorrente evidenzia che, in spregio alla "ratio" della L. n. 223 del 1991, il
giudice d'appello ha in realtà fornito una interpretazione che contempla una compressione della possibilità
per le parti sociali di raggiungere un accordo e che finisce per precludere alle stesse, coinvolte nella
procedura di cui all'art. 4 della predetta legge, la disamina della situazione economica ed organizzativa
dell'intero complesso aziendale o, almeno, l'utilità di quella disamina, dal momento che, nell'interpretazione
fatta propria dal medesimo giudicante, l'accordo non potrebbe mai riguardare settori non dichiarati
eccedentari dal datore di lavoro . In definitiva, secondo la ricorrente, la tesi adottata dalla Corte territoriale si
pone in violazione, oltre che della L. n. 223 del 1991, art. 5 anche dell'art. 39 Cost., comma 1 che contiene una
garanzia della libertà di contrattazione collettiva, tanto più rilevante ove, come nella specie, è lo stesso
legislatore a delegare all'autonomia collettiva un intervento regolamentare. Basti pensare, aggiunge la difesa
delle Poste, che ove il criterio di scelta della prossimità alla pensione dovesse essere applicato solo su alcuni
settori aziendali e non su tutta l'azienda, come espressamente chiarito negli accordi sindacali, il numero dei
lavoratori da porre in esodo sarebbe considerevolmente inferiore a quello necessitato e preventivato.
Si assume, altresì, che l'impugnata decisione è errata in quanto valorizza eccessivamente il sindacato
giurisdizionale sul profilo causale del licenziamento collettivo, senza considerare che, nella giurisprudenza e
nella dottrina dominante, tale sindacato sfuma nella verifica del rispetto della procedura e dei criteri di scelta
convenuti. A riprova di tale assunto la stessa difesa si riporta alla lettera di apertura della procedura L. n. 223
del 1991, art. 4 del 25 giugno 2001, che prevedeva esplicitamente che l'esigenza di riduzione del personale si
sarebbe riverberata in tutto il contesto nazionale ed avrebbe riguardato tutto il personale, poichè trovava
fondamento nell'esigenza indifferibile di ricondurre il costo del personale nelle sue varie componenti,
attraverso sia la ridistribuzione territoriale delle risorse in relazione alle esigenze organizzative, sia,
comunque, attraverso la riduzione del numero di addetti, entro livelli più coerenti con la propria situazione
economica e gestionale. E rispetto a quest'esigenza, conclude la ricorrente, che doveva essere valutato
l'ambito di operatività dei criteri di scelta e la sussistenza del nesso causale.
Viene, quindi, posto il seguente quesito di di ritto: "Avuto riguardo al fatto che nell'accordo di definizione
della procedura ex L. n. 223 del 1991 le parti abbiano convenuto la licenziabilità di tutto il personale in
possesso dei requisiti pensionistici, è necessario che l'applicazione del predetto in fase di attuazione dei
recessi tenga comunque conto di un necessario nesso eziologico tra le esigenze tecnico-produttive e la scelta
del personale e che quindi i soggetti da porre in mobilità siano individuati nell'ambito di settori o reparti in
relazione ai quali siano state prospettate e riscontrate situazioni di eccedenza o è possibile l'applicazione del
criterio a tutto l'organico aziendale, ovunque esso risulti applicato?".
Preliminarmente, va rilevato che il motivo è ammissibile, contrariamente a quanto eccepito dal resistente, in
quanto i profili relativi alla denunciata violazione di norme di diritto sono stati correttamente delineati e
risultano sintetizzati anche nel quesito diritto richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. "ratione temporis" ancora
applicabile al ricorso in esame. Quanto al lamentato vizio di motivazione si osserva che avendo un diverso e
specifico oggetto per investire il solo iter argomentativo della impugnata decisione, richiede una
illustrazione, che sia libera da qualsiasi rigidità formale, ma che nello stesso tempo si concretizzi in una
esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o
contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. n. 4556 del 25/02/2009;
Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. 7 aprile 2008 n. 8897; Cass. 20 febbraio 2008 n. 4309).
Orbene, nel caso in esame risulta bene individuato il fatto controverso rispetto al quale la motivazione di
assume essere insufficiente.
Nel merito il motivo è fondato.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. n. 6284 del 18.3.2011; Cass. n. 4653 del
26/2/2009) "in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per
riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio
1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che
restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a
ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro ,
l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i
diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, senza che
occorra l'indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del
controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura che,
nell'ambito delle misure idonee a ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del
possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione".
Tra l'altro questi precedenti ribadiscono un orientamento costante di questa Corte in tema di controllo
giudiziale da esercitarsi sulla regolarità procedimentale del licenziamento collettivo e sul rispetto dei principi
di non discriminazione, di razionalità e di obiettività dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nella
determinazione negoziale degli stessi criteri. Si è, infatti, precisato (Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006)
che "in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli
artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in
mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo
giurisdizionale, esercitato "ex post" nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa
imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto "ex ante" alle organizzazioni
sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata
in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non
riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in
relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell'operazione (ivi
compresa la sussistenza dell'imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli
provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte
quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e
5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle
procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l'autorità
giudiziaria di un'indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività
produttiva.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato complessivo principio, ha confermato la sentenza impugnata
con la cui congrua e logica motivazione era stata adeguatamente rilevata la sussistenza delle condizioni
procedimentali per far luogo alla procedura di licenziamento collettivo in dipendenza dell'emergenza delle
esigenze oggettive, richieste dalla legge, di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro , il cui
accertamento di fatto sfuggiva alle censure del ricorrente fondate essenzialmente sul rilievo della divergenza
tra la situazione rilevata con la comunicazione iniziale di apertura della procedura di mobilità e quella di fatto
sussistente al momento conclusivo, in cui furono adottati i provvedimenti di recesso)". Si è, inoltre, chiarito
che "in materia di licenziamenti collettivi - come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268
del 1994 - la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in
accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le
associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell'approvazione dell'unanimità), poichè
adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non
discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di razionalità, alla stregua
del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità oltre a dover essere
coerenti con il fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi
razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di "mobilità
lunga", oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione
costituita dal minore impatto sociale dell'operazione e il potere dell'accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art.
5, comma 1, di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il
criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro" (Cass. sez. lav. n. 9866 del 24/4/2007)
Si è, ulteriormente, ribadito (Cass. sez. n. 21541 del 6/10/06 conforme a Cass. sez. n. 20455 del 21/9/06) che
"in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell'accordo
sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l'individuazione dei destinatari del licenziamento
può anche essere unico e consistere nella prossimità a pensionamento, purchè esso permetta di formare una
graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del
datore di lavoro". D'altronde, nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi l'assenza di qualsiasi elemento
suscettibile di far paventare l'esistenza di un intento discriminatorio da parte della società datrice di lavoro,
essendo innegabile l'equità di un sistema di riduzione del personale incentrato sull'esigenza di una più
efficiente riorganizzazione dell'impresa non disgiunta da quella di addossare la ricaduta degli effetti negativi
della riduzione stessa sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica di
ammortizzare meglio detti effetti, ed essendo certo che la società aveva prospettato che l'individuazione dei
lavoratori da verificare doveva avvenire in relazione alle esigenze tecnico - produttive dell'intero complesso
aziendale.
Alla luce di tali precisi e costanti orientamenti della Corte deve, quindi, osservarsi che il controllo
giurisdizionale esercitato da giudice d'appello è andato oltre i limiti delineati dalla L. n. 223 del 1991, in
quanto il medesimo non ha limitato la propria indagine alla correttezza procedurale dell'operazione, ma si è
spinto a punto di esigere, contrariamente al contenuto degli accordi sindacali, che non aveva alcuna rilevanza
il fatto che in tali accordi fosse stato previsto il licenziamento di tutto il personale che, alle date fissate nel
detto accordo, si fosse trovato nel possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia
(come per il V.), in quanto tale prescrizione riguardava l'applicazione del criterio concordato e non
l'individuazione dei settori eccedenti in cui il criterio stesso avrebbe dovuto operare.
In particolare tale ragionamento, che finisce per parcellizzare il concetto stesso dell'intero ambito aziendale,
è contraddetto proprio da un precedente di questa Corte che ha avuto modo di affermare che "in tema di
collocamento in mobilità, l'individuazione dei lavoratori da verificare deve avvenire in relazione alle esigenze
tecnico - produttive dell'intero complesso aziendale, e ciò anche in base alla definizione di "personale
abitualmente impiegato" - aggiunta, significativamente, al testo originario del D.Lgs. n. 151 del 1997, art. 1 (in
attuazione della direttiva del Consiglio CEE n. 175/129 del 17 febbraio 1975, aggiornata dalla successiva
direttiva n. 92/56 del 24 giugno 1992), secondo cui il riferimento ai profili professionali da prendere in
considerazione sono anche quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla
mobilità, tra i quali potrà, all'esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità L.
n. 223 del 1991, ex art. 5" (Cass. sez. lav. n. 12719 del 29/5/2006).
Alla luce di quanto esposto il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito ai sensi dell'art.
384 c.p.c., comma 2, per cui la domanda del lavoratore va rigettata.
Motivi di equità, dovuti sia alla natura della lite che alla qualità di parte più debole del rapporto rivestita
dall'intimato, inducono la Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda
dell'originario ricorrente, compensa tra le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013