Giornale del 30/11

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Giornale del 30/11
www.andropos.eu
Notiziario
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O tu che addestri a modular con flessibile voce (Parini)
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http://rosemaryok.skyrock.com/
Sommario:
* Flessibie è bello
* Parlare gnomico
* Il frutto degli angeli
* La matrona di Efeso
* Detti e modi di dire
* Come ragionano …
* Parole difficili
* Ovidio:Ars amandi
* Mercato S.Severino
* I lirici greci
* Mitologia: Ade
* Piatti Tipici campani
* Vero o falso
* Mutter der toten
* Esopo
* Leviora
* Angolo d. riflessione
Giornale n.ro 21
del 30/11/08
Quand’ero giovane e forte non ero flessibile: l’oraziano frangar, non
flectar era il mio motto. Col passar inesorabile degli anni non ho potuto,
però, impedirne l’inversione: ora, purtroppo, son diventato flessibile …
mi piego. Ma sono fortunato, perché m’è capitato di vivere un fine
millennio, un’ère nouvelle che ha per categoria suprema proprio la flessibilità. Di questi tempi del doman non v’è certezza: tutto è flessibile.
E’ flessibile il lavoro, nel senso che le assunzioni avvengono senza
vincoli, con possibilità cioè di licenziamenti o mobilità coatta; è flessibile
la retribuzione, che può essere ridotta (mai aumentata!); è flessibile la
legge, che per gli amici si interpreta e per i nemici si applica; è flessibile
anche la morale, per cui puoi fare sia il bene che il male con la
coscienza tranquilla.La scuola che è aperta a tutti e a tutto e che vuol
essere à la page ad ogni costo non poteva che assumere la flessibilità a
primo indicatore della sua qualità. Qui è flessibile tutto, dai valori alle
norme alla didattica; son flessibili le finalità e gli obiettivi, la struttura,
l’organizzazione, l’orario, il curricolo, il calendario scolastico, l’articolazione del gruppo classe, le riunioni, i rientri, i saperi, le decisioni, i progetti, la programmazione, la verifica e la valutazione, la durata delle
lezioni, l’uso degli spazi, il piano delle attività, la Carta dei servizi, il
Piano dell’offerta formativa, il Regola-mento interno, i doveri (i diritti
fanno eccezione), i premi ( i castighi non esistono più), la gestione delle
risorse, i progetti, la sperimentazione e quant’altro vi si svolge.
Son flessibili, e come potevano non esserlo, i docenti e tutto il
personale scolastico; i genitori lo sono sempre meno. Il più flessibile di
tutti è naturalmente il Dirigente scolastico, il quale, se è vero che dovrà
essere – dolori reumatici permettendo – un vero contorsionista, può
affermare impunemente il suo "ego", a lungo frustrato, spesso a dispetto e contro ogni norma o dottrina pedagogico-didattica .Al corso per
dirigenti, che frequentai perché secondo il Qohèlet vi è anche un tempo
da perdere, ci consegnarono in fotocopia anche un " Repertorio delle
Competenze manageriali e relativi indicatori comportamentali". E ti pareva che tra questi non comparisse la flessibilità! Al punto 6, infatti, si leggeva che essa " consiste nell’adattarsi a circostanze mutevoli o alterare
un comportamento per adeguarsi meglio alle situazioni. E’ spesso associata alla tolleranza per l’ambiguità e l’incertezza".
A parte il fatto che questa capacità, così com’è definita, è propria dei
politici d’oggi che cambiano più partiti loro che camicie io, non mi
convince l’associazione con la tolleranza: per quanto ricordi, esistevano
le case di tolleranza e non quelle di flessibilità. Eppure, in un vecchio vocabolario trovi che la flessibilità è "la proprietà dei corpi di potersi
piegare e di poter tornare poi, senza rompersi, alla forma o posizione
originaria".Alla posizione originaria? Ma quando mai!
1
IL PARLARE SENTENZIOSO E GNOMICO
DELLE PERSONE DI UN TEMPO CHE FU
DI ALBERTO MIRABELLA
(Seconda parte) Quando in casa si parlava di certe persone e delle loro problematiche
comportamentali derivanti dalla nascita, il detto era:
VRUOCCULE, FIGLIE 'È FOGLIE, 'A SEMMENTA NUN PO' FALLI'.
SECONDO IL SEME SARÀ IL FRUTTO:
NON PUOI ATTENDERTI DIVERSARMENTE
Aniello Langella, nella pubblicazione on line dal titolo A Lenga Turrese, che si trova su vesuvioweb.com così scrive con riferimento a tale proverbio:
perché chi semmena luoglio non poì metere
grano e chi chianta titomaglie non po’
ricogliere vruoccole spicate
La fine di una festa con rammarico così veniva presentata:
SE SO' STUTATE 'E LLAMPIUNCELLE.
Così sottolinea su tale espressione Lello Brak sul sito:
http://lellobrak.blogspot.com/2008/07/proverbi-e-locuzioniLetteralmente: si sono spente le luminarie. Id est: siamo alla fine, non c'è piú rimedio, non c'è piú
tempo per porre rimedio ad alcunché, la festa è finita.Da notare che la parola lampiuncelle è il
plurale della voce femminile lampiuncella derivata dal fr. lampe, che è dal lat. lampada; e come
tale se preceduta dall’articolo ‘e (le) va correttamente scritta con la geminazione della elle
iniziale ‘e llampiuncelle esiste poi una voce simile maschile lampiunciello che al plurale fa
lampiuncielle ma che preceduto dall’art. ‘e (i) non comporta geminazione della elle iniziale;
pertanto in napoletano ‘e llampiuncelle (voce femminile) sono le luminarie,oggi elettriche ed
anticamente a gas e/o petrolio, mentre ‘e lampiuncielle (voce maschile) sono i lampioncini di
carta colorata.
Anche l’ espressione seguente era particolarmente efficace in quanto costituiva una minaccia
e voleva intendere che raggiungere lo scopo prefissato era soltanto una questione di tempo:
DICETTE 'O PAPPECE VICINO' A NOCE: DAMME TIEMPO CA TE SPERTOSO... E MÒ
CA LL' AGGIO SPERTUSATA, 'STA NOCE D'A VITA MIA, 'NCE TRUOVO TUTTO
DISSE IL TARLO VICINO ALLA NOCE DAMMI TEMPO CHE ARRIVERO’ DOVE VOGLIO IO.
Infine, nel periodo di fidanzamento con mia moglie ella era solita ripetere per metterla in guardia
che:
A’ PAGLIA VICINO O’ FFUOCO S’APPICCIA
LA PAGLIA VICINO AL FUOCO S'INCENDIA.
Vedete l’efficacia di tale espressione dove la paglia ero io pronto ad infiammarmi in tutti i
sensi accanto al fuoco, sua figlia. E che dire? Che forse non fosse vero vero? La frase
ovviamente fa riferimento al tema del sesso e sottolinea l’attrazione, senza ombra di dubbio,
della femmina sul maschio.
Pochi giorni prima della sua dipartita mia moglie ricorda l’espressione della madre riferita a
quelle donne che vogliono apparire delle “santarelle” mentre la loro vita è tutt’altro da un punto di
vista etico:
2
A’ MONACA RO BAMBINIELLO OGNI NOVE MISI FASC’ E SAVANIELLI1
LA SUORA DEL BAMBINELLO OGNI NOVE MESI ERA PRONTA PER UN NUOVO
PARTO
La persona avara e perciò maligna era da lei così ricordata:
TENÈ' 'NA BBELLA MANO A FFÀ 'E ZEPPOLE! ..
Ovvero SCORRETTO NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI, PER METAFORA COME IL
ROSTICCIERE DISONESTO CHE CERCA DI RISPARMIARE SULL'IMPASTO DEI CALDI
MANUFATTI DA VENDERE
Quando poi si verificava un imprevisto, qualcosa di inaspettato, insolito ella sottolineava con
disappunto il tutto con le seguenti parole:
CHELLO CA NUN VO’ LL’UÓRTO, CHELLO TE NASCE
CIO’ CHE NON VUOLE L’ORTO E’ CIO’ CHE TI NASCE
E per chiudere non posso, passando al campo culinario, non ricordare i manicaretti o le
leccornìe che ella sapeva preparare in maniera molto particolare a cominciare dalla indimenticabile zuppa di soffritto di maiale con la salsa forte, con qualche foglia di alloro, con sugna
rigorosamente preparata personalmente da lei. Con i cigoli ricavati dalla sugna veniva
preparato, nel periodo pasquale. il “tortano”, ovvero casatiello o torta rustica pasquale. Altre
pietanze erano la trippa al sugo, gli gnocchi, i panzarotti, la pizza al pomodoro o con la scarola, le pizze fritte, e l’insuperabile pastiera di grano di spessore alto e non affatto comparabile
per la sua eccellenza con quelle dei pasticcieri, che pure non sono da meno. Ma qui c’era da
ridere perché mia suocera, dopo averle cotta e sfornata, aveva sempre nel suo perfezionismo
culinario il dubbio amletico che la suddetta pastiera fosse un po’ umida sotto…..”Eppur sta’
pastier me par ch’è venut úmmeto sott” e a noi familiari ci veniva da ridere….
Tocco semantico:
VRUÒCCHELE: broccolo, usato anche nel senso di sciocco; da brocco: germoglio, al dimin.
STUTÁTE:smorzare, spegnere; dal latino volgare ex-tutāre, estinguere.
PÁPPECE:dall’acc. lat. volg. pāppice(m), usato anche in senso traslato: che divora.
ZÈPPELE:dall’acc. lat. zippula(m); per altri, da cymbula(m) : una sorta di imbarcazione piatta
ed arrotondata; ma certamente è da scegliere la derivaz. da sérpula(m) perché, in effetti, la
zeppola è come una piccola serpe arrotolata.
SPERTOSARE:traforare,bucare; dal lat.volg. pertusiare, preceduta da “s” rafforzativa.
Tocco etnoantropologico:
Proverbi e detti, tramandati da una memoria collettiva, rappresentano la filosofia di una terra
che, tra innumerevoli vicissitudini, ha affinato, con le armi della tenacia, una sorta di “criticismo
esistenziale”, che si esprime in un “parlare gnomico” inteso come comunicazione identificante
e caratterizzante. I modi di dire rispecchiavano una complessità spirituale, continuamente
arricchita da rappresentazioni sentenziose, piene di colore e di materia esperienziale, che
stemperavano il dolore in un “panta rei” naturale ed inevitabile.
Riferimenti bibliografici essenziali
ARTHABER AUGUSTO,Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali in sette lingue,Hoepli,Mi 81
MARCIANO FELICE et ALII, ‘E parole ca rìcéva nònnemo, Pro Loco Striano 2007
MARCIANO FRANCESCO, ‘A Grazia Vosta, Editrice l’Arca, S. Giuseppe V. 2007
SALERNO RAFFAELE, Dizionario del parlare sarnese d’altri tempi, a cura di Nunzia Cerbone, Emilio
Prisco, Giovanni Salerno, Buonaiuto, Sarno 2004
SALERNO RAFFAELE, Il ruvido peso delle parole, a cura di Franco Salerno, Ferraro, Napoli 1987
ZAZZERA SERGIO, Proverbi e modi di dire napoletani, Newton Compton Editori, Roma 2001
3
papaia
L’Accademia
Internazionale
Il Convivio
indice la IVª Ediz.
2009 del Premio
Artistico
Internazionale
"LiberArte"
per la promozione
dell’arte e la
cultura e del
territorio di
Mattinata (FG).
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ENRICO FOLCI
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PASTORANO
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I segreti del frutto degli angeli, che già nei
secoli scorsi faceva gridare al miracolo
Cristoforo Colombo e Marco Polo
Ai tempi delle grandi esplorazioni, lo scorbuto era una malattia
all’ordine del giorno. Colpiva soprattutto i marinai che, durante i
lunghi periodi in alto mare, non potevano alimentarsi con cibi freschi
e non mangiavano sufficienti quantità di frutta e verdura. Durante i
loro viaggi, mitici esploratori come Cristoforo Colombo e Marco Polo
ebbero un’idea: riempire le stive delle loro navi di papaya, ricca di
sostanze capaci chissà come di mantenere gli equipaggi in salute.
Naturalmente, Colombo e Marco Polo non sapevano dell’esistenza
della vitamina C (che verrà isolata solo nella prima metà del ‘900),
ma avevano avuto una grande intuizione.
Lo scopritore del Nuovo Mondo annotò inoltre nei suoi appunti
l’utilità di quello che ribattezzò il “frutto degli angeli” come prodigioso
digestivo dopo i pasti.
Avevano ragione i grandi avventurieri: la papaya è un vero
concentrato di salute e, diversi secoli dopo, la ricerca scientifica ha
chiarito il perché:
- è una fonte eccellente di vitamine, in particolare A e C
- contiene un enzima chiamato papaina che aiuta a digerire meglio e
a combattere gonfiore addominale e alito cattivo. La papaina contribuisce inoltre a ristabilire nell’organismo il corretto pH, spesso
alterato da una dieta povera di frutta e verdura e da uno stile di vita
fatto di cattive abitudini (fumo, sedentarietà, poco riposo ecc.)
- è uno dei frutti più ricchi di betacarotene, licopene e altri flavonoidi,
in grado di proteggere dall’attacco dei radicali liberi responsabili
dell’invecchiamento. Inoltre è ideale per i momenti in cui l’organismo
è a corto di difese immunitarie, rendendolo più resistente nei
confronti delle malattie infettive, dell’influenza e dello stress
- contiene potassio e magnesio, che potenziano i muscoli e
allontanano la stanchezza
- è povera di sodio, quindi ha un’ottima azione drenante ed è utile
contro ritenzione idrica e cellulite
- ha un effetto positivo sul metabolismo dei grassi, cioè contribuisce
a sciogliere i cuscinetti
- è ricca di fibre, che favoriscono il senso di sazietà, depurano,
riequilibrano la flora batterica intestinale, combattono la stitichezza e
la gastrite
Per la sua azione “ferma-tempo” e i suoi fantastici effetti sulla
linea, tra le più grandi consumatrici di papaya ricordiamo Claudia
Schiffer, Simona Ventura, Angelina Jolie e Jessica Simpson. Il loro
aspetto ci dice tutto: se gli obiettivi sono depurarsi, tirarsi su,
dimagrire e mantenersi giovani e in salute, la papaya è proprio il
frutto che fa al caso nostro.
(Da FARMASALUTE.IT)
4
LA DONNA NELLA LETTERATURA
LA MATRONA DI EFESO
Il sogno di un miles
C'era una volta ad Efeso una matrona di così rinomata pudicizia che
accorrevano ad ammirarla anche le donne dei paesi vicini. Ora questa
donna, dopo aver perduto il marito, non soddisfatta di accompagnarne il
feretro, come si usa comunemente, con i capelli sciolti e di battersi il
petto nudo sotto gli occhi della folla, volle seguire il defunto anche nella tomba e,
dopo che il suo corpo fu deposto in una camera sotterranea secondo l'usanza greca,
incominciò a custodirlo e a piangerlo giorno e notte senza mai smettere. Così si
affliggeva e si ostinava a lasciarsi morire d'inedia e né i genitori né i parenti
riuscirono ad allontanarla da lì. Da ultimo perfino i magistrati, respinti, se ne
andarono e quella donna, esempio di singolare virtù, compianta da tutti, non
toccava cibo ormai da cinque giorni.
Assisteva quella poverina una fedelissima ancella che piangeva insieme a lei e che
tutte le volte che la lampada posta dentro la tomba si affievoliva, la ravvivava. In
tutta la città pertanto non si parlava d'altro e gli uomini di ogni ceto sociale
riconoscevano che non c'era mai stato esempio più fulgido di vera pudicizia e di
vero amore. Quand'ecco che, nel frattempo, il governatore della provincia fece
crocifiggere dei ladroni, proprio vicino a quell' edicola in cui la matrona piangeva il
cadavere ancora fresco del marito. La notte seguente, dunque, un soldato che faceva
la guardia alle croci per evitare che qualcuno sottraesse i corpi e desse loro sepoltura, avendo notato una luce che risplendeva sempre più vivida tra i monumenti
funebri e avendo udito il gemito di qualcuno che piangeva, per umana curiosità fu
preso dal desiderio di sapere chi fosse o che cosa facesse. Scese quindi nel sepolcro
e, vista una donna bellissima, in un primo momento si fermò sbigottito come davanti
ad un fantasma o ad un'apparizione infernale, ma poi, quando vide il corpo del
morto e considerò quelle lacrime e quel volto graffiato dalle unghie, resosi conto
della situazione reale, del fatto cioè che la donna non poteva sopportare la perdita
del marito, portò nel sepolcro la sua cenetta e incominciò ad esortare la donna in
lacrime a non perseverare in un dolore del tutto inutile e a non rompersi il petto con
singhiozzi che non avrebbero portato alcun giovamento. Diceva che tutti gli esseri
umani devono fare la stessa fine e che li attende la stessa dimora e aggiungeva tutte
le altre parole con le quali si consolano gli animi affranti. Ma ella, ferita da quel
tentativo di consolazione per lei senza senso, si lacerò con furia maggiore il petto e,
strappatisi i capelli, li depose sul cadavere del marito lì disteso. Non si arrese tuttavia il soldato, ma, continuando ad esortarla nello stesso modo, tentò di dare del cibo
alla povera donna, finché l'ancella, vinta dal profumo del vino che le pareva un nettare, dapprima proprio lei, senza opporre più resistenza, porse la sua mano verso il
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gentile invito, poi, rifocillata dalla bevanda e dal cibo, incominciò a prendere
d'assalto l'ostinazione della padrona dicendo: "A che ti gioverà tutto questo se ti
lascerai morire di fame, se ti seppellirai viva, se esalerai la tua anima innocente
prima che il destino lo voglia? Credi che le ceneri o i mani sepolti sentano tutto ciò?
Vuoi tu ritornare a vivere? Vuoi sì o no toglierti dalla testa queste stupidaggini da
donnetta e godere della gioia della luce del sole quanto più a lungo possibile? Il
corpo stesso di questo morto qui disteso ti deve ammonire a vivere". Nessuno è
sordo quando viene invitato a mangiare o a vivere e così la donna, indebolita
dall'astinenza di alcuni giorni, lasciò che venisse spezzata la sua ostinazione e si
rimpinzò di cibo non meno avidamente dell'ancella che si era arresa per prima.
Del resto voi sapete quale altra tentazione suole farsi avanti quando la pancia è
piena. Ed ecco che il soldato con quelle stesse lusinghe con cui aveva ottenuto che la
matrona trovasse la voglia di vivere, diede l'assalto anche alla sua virtù. E a quella
casta donna il giovane non sembrava certo brutto o rozzo nel parlare, anche perché
l'ancella cercava di metterlo in buona luce e diceva ripetutamente: "Combatterai
anche contro un amore che già ti ha preso il cuore?"
A farla breve, la donna non tenne a digiuno neppure quest'altra parte del corpo e
il soldato, vincitore, riuscì a piegarla per un verso e per l'altro. Giacquero dunque
insieme non solo quella notte, in cui consumarono le nozze, ma anche il giorno
seguente e quello dopo ancora, naturalmente dopo aver ben chiuso le porte del
sepolcro, di modo che, chiunque si fosse avvicinato al monumento funebre,
conosciuto o sconosciuto che fosse, pensasse che la castissima moglie fosse morta
sopra il corpo del marito.
Epilogo
Intanto il soldato, attratto dalla bellezza della donna e dalla segretezza di
quell'amore, comprava tutto ciò che di buono poteva con i suoi scarsi mezzi e subito,
al calar della notte, lo portava nella tomba. Perciò i parenti di uno dei crocifissi,
come videro che la sorveglianza era diventata meno stretta, una notte tirarono giù il
loro congiunto appeso e gli resero gli estremi onori. Ma il soldato, raggirato mentre
si dava al bel tempo, non appena il giorno seguente vide una delle croci senza
cadavere, temendo di essere giustiziato, spiegò alla donna che cosa fosse successo: e
aggiunse che non avrebbe aspettato la sentenza del giudice, ma avrebbe fatto
giustizia della sua incuria con la spada. Solo, concedesse lei stessa un posto a lui
che stava per morire e rendesse comune al marito e all'amante quel sepolcro fatale.
La donna, non meno pietosa che casta, rispose: "Gli dèi non permettano che io veda
in così breve tempo i due funerali dei due uomini a me più cari! Preferisco appendere alla croce il morto che far morire il vivo". Conformemente a questo discorso,
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ordinò di togliere dalla bara il cadavere di suo marito e di attaccarlo alla croce che
era rimasta libera. Il soldato mise in atto la trovata di quella donna così assennata,
e il giorno dopo la gente si chiese con meraviglia come avesse fatto il morto a salire
in croce. (Petronio, Satyricon, sat.111-112)(1)
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PROLOGO
EPILOGO
Non v’è dolore
che l’amor non cheta,
alcuna donna
muore con Sicheo.(2)
quando matrona,
che già si consumava
per il novello amor
e non le andava
di perdere di nuovo
altra possanza,
ebbe l’idea
di gabbar l’usanza:
Come fece Didone
col prince Enea,
matrona lacrimò,
ma poi fu rea.
volle lenir dolor
con cibo e voce
e prenderne l’onor
per darle pace.
prese lo corpo
del marito amato
e lo fissò al posto
del corpo trafugato.
Con la sua serva
piangea lo sposo amato,
struggendosi
per ciò c’avea perduto,
E mentre che,
in amor, si copulava,
tra baci ardenti
e languide carezze,
Fu noto a tutti:
che, in ogni sorte,
l’amore vince sempre,
anche la morte. (3)
il petto percuotea
con grande strazio,
per altro, nel suo cuor,
non c’era spazio.
Uno di quei corpi,
che stavano lì appesi,
scomparve nella notte,
mentr’eran stesi.
Ma il soldato,
che di guardia stava
ai tre rei uccisi
e messi in croce,
Per questa colpa
prevista era la morte
ed il soldato
già vi poneva mano,
[ Da “Un unico grande sogno” di
Franco Pastore – 2006 ]
__________
1) Petronio – Pur non interessandosi di politica, fu un uomo di potere (proconsole in Bitinia e "consul suffectus" nel
62). La qualità che lo rendeva caro a Nerone era la raffinatezza, l’essere "elegantiae arbiter". Infatti, viveva a corte,
dormiva di giorno e dedicava la notte ai piaceri e alle cose serie; non amava il lavoro, bensì il lusso e l’eleganza,
ostentando vizio e trascuratezza.
2) Sicheo - Marito defunto di Didone, regina di Cartagine ed amante di Enea, che si uccise quando l’eroe troiano
veleggiò per Roma (Virgilio,libro IV dell’Eneide).
3) Il Satyricon - E’ un'opera letteraria latina attribuita a Petronio Arbitro. In considerazione della frammentarietà e
della lacunosità del testo, molti dati su di esso rimangono incerti e costituiscono materia di discussione tra gli studiosi.
7
society.org/users/index.p
?usr=3292
DAGLI APPUNTI DI DORA: DETTI ANTICHI E MODI DI DIRE
- Si ‘o Signore nun cummigliàsse tanta ‘mbruòglie,’mparavise
accugliésse sule foglie
- Signo’ nun mannà bene ‘e pezziènte, ca è perdute!
- ‘O Patatèrne manna ‘e vascuòtte a chi nun tene ‘e diénte.
- Dio te scanza da malo vicino, da ‘mmidia canina e da bucìa
d’omme da bene.
Dora Sirica
ARTCUREL
TRADUZIONE:
Un miscuglio di sacro e profano, un adattamento della religione
alle circostanze ed alle situazioni: il Signore è così misericordioso nel perdonare gli imbrogli che commette l’uomo, quanto è
incauto nel dispensare beni a chi non apprezza. È come dare il
pane duro a chi non ha i denti. Alla fine, ritorna la saggezza
dell’esperienza, per cui non c’è cosa peggiore di un cattivo vicino, o dell’invidia animalesca di certe persone, o degli inganni
che sanno organizzare le persone istruite o che appaiono oneste.
Non è tutto oro quel che riluce.
ASPETTI SEMANTICI, IMPLICANZE GRECO- LATINE:
Antonio della
Rocca
IMPULSEART
[email protected]
B
Bllu
ue
eT
Te
ea
am
m
http://www.bluteam.net
Cummigliàsse:
(verbo transitivo, da cummiglià: coprire, nascondere, celare) dal
latino cum volvere, evoluto in cum voljare con suffisso interativo,
da cui cummoljare; poi mv>mm e lj>gli.
Ommo:
(nap. Òmm, sostantivo maschile) uomo. Etimologia: dal nominativo
latino homo con raddoppio (come in cammìsa). Usato anche in
modalità alterata: omminìcchio (uomo che vale poco), ommenòne (sia
nel senso di uomo grosso, che di grande uomo, uomo di valore). Modi
di dire: ‘a schifèzze ‘e l’uommene – ‘omme quèquere, quacquaraquà –
òmme ‘e mmèrd – ‘a chiàvica ‘e ll’uòmmene – ‘omme e ddùi sorde – ‘o
cazz’e l’uòmmene – òmme senza pall.
‘Mbruòglie:
(sostantivo; imbrogli) dal francese brouiller. Derivati: ‘mbrugliésse,’mbrugliòne.
Pezziénte:
POETILANDIA
http://www.poetilandia.it/
La città dei
nuovi autori
A
AR
RIISST
TO
OT
TE
EL
LE
E
M
Moottoorree ddii
rriicceerrccaa iittaalliiaannoo
(pezzente) dal verbo latino di terza declinazione pētere; al participio presente petiēnte(m). Derivati: pezzentarìa, appezzentùte,
pezzentàmme. Modi di dire: ‘a casa de pezziénte nun mancano
tòzzele; nun c’è pezzentarìa senza difetto.Sinonimo: perecchiùse.
In poesia:
“Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?” (Totò)
8
SITO DEGLI
AUTORI
EMERGENTI
Prof. B. Bruno di
Cava de' Tirreni
___________
http://balbruno.alt
ervista.org/index80.html
PATATÈRNE:
Dio, dalla fusione del latino Pater aeternus > Pataternu(s), da cui
Pataterno.
Vascuòtte:
da biscotto, con adattamento llocale di b in v ed alterazione vocalica della sillaba atona d’avvio. Entrambi dal participio passato
del verbo latino coquěre “coctus”con prefisso bis: biscoctus,
cotto due volte. Usato anche nella forma alterata vascuttiélle.
Scànza:
ALTRA MUSA
c|âvvÉÄÉftÄÉààÉ
c|âvvÉÄÉftÄÉààÉ
ÄxààxÜtÜ|É
http://www.altramusa.com/
REKSTORY
http://www.rekstory.com/public/search/q/franco pastore/c/
http://www.partecipiamo.it
P
A
RT
CIIP
AM
MO
PA
TE
E
PIIA
O..IIT
T
AR
EC
dal verbo transitivo scanzare, evitare. Dal latino campsare,
preceduto da s intensiva, con ns>nz (come ‘nzàlata penzione).
‘Mmidia:
da mmedià, invidiare, con nv>mm; dal latino invǐdǐa.
Derivati: ’mmeriùse.
Modi di dire:- ‘a mmìria se magna ‘o mmeriùse;
- ‘a mmiria nasce ‘ncòrte e more ‘o spitàle;
- a mmiria fa cadé ‘e puntèlle;
- meglie chine ‘e mmìria ca ‘e cumpassiòne;
- ‘o mmeriùse rimane confuso
- ‘o mmeriàte rimane cunsulate;
- schiàtte ‘a mmìria cu sta puntèlla.
Bucìa:
IITTA
AM
MB
BU
UR
RA
AN
NO
OVVA
A
ErmannoPastore
voce e tammorre
Nuccia Paolillo
voce e ballo
Cristiana Cesarano
voce e ballo
Michele Barbato e
Giovanni del Sorbo
chitarre
A. Benincasa
Bassoa custico
Pasquale
Benincasa
percussioni
Enrico Battaglia
mandolino e violino.
U
NC
CO
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UN
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NTTR
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CA
A
D
LA
AN
TR
DEELLL
NO
OSST
RA
A
T
TEER
RR
RA
A
dal provenzale bauzìa (bugia, inganno, astuzia); in portoghese
bujìa; in spagnolo bujèra, il tutto dalla radice latina bauscìa.
Derivati: bugiàre, bugiardo, bugiarderia. Alterati: bugiùzza,
bugiòna. Confronti linguistici: in tedesco bosa, in arabo bogaron, da cui, secondo alcuni, deriverebbe bugiardo.
Modi di dire: -‘E bucìe tenene ‘e cosce corte;
- femmena busciàrda appiénnela cumme ‘o llàrde:
- ‘a bucìa nun tene ‘e scelle;
- ‘a bucìa esce ‘ncòpp’0 nase
PUNTELLA:
ramo di sostegno, dall’ italiano puntello, entrambi da punto, con
suffisso ella/o. Derivati: puntellà ( mettere i puntelli ). Usato anche in senso figurato: mettere il nome del nonno, o del padre, o
di altro parente; in senso metaforico, in riferimento al copulare.
In poesia:
‘Agge viste ‘na bella nennélla,
né grossa e né peccerélla,
‘na cerasa è chélla vunnèlla,
fatta proprie pe’ sta puntélla,
che faccélle, che nennèlla!
Agge viste ‘na bella nennélla… (anonimo)
9
COME RAGIONANO LE DONNE
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Il peggiore degli uomini avrà sempre qualcosa di cui arrossire
Le donne, per la maggior parte, non arrosciscono mai di niente.
L’uomo fa la casa
La donna fa il focolare
Gli uomini coprono il loro diavolo con il più bell’angelo che riescono a
trovare (Margherita di Navarra)
Cosa pensano le donne degli uomini:
- Gli uomini dotati di istintività, di intuito e di delicatezza femminili,
sono uomini completi. (Edna Feber)
- L’uomo è sempre entusiasta delle qualità culinarie di un’altra donna.
- Due cose solleticano fortemente la vanità di un uomo: la vitù della
moglie e la debolezza delle altre donne. (Mary Begovich ).
- Un uomo geloso geloso per natura non cessa mai di esserlo. (B.B.)
- Gli uomini hanno scritto un sacco di scemenze sulle donne (Natalia
Aspesi)
- Le donne voglio avere uomini mediocri e gli uomini le hanno accontentate. (Margaret Mead)
- Gli uomini chiamano difetti della donne quelle qualità che essi non
hanno (Emile Augier)
- Gli uomini non imparano mai nulla sulle donne, ma si divertono tanto
cercando d’imparare
- Per l’ uomo gran parte della vita è amore; per la donna l’ amore è la
vita. (Natalie Gerfaut)
- Dio fece il maschio,poi disse che poteva fare di meglio e fece la donna. (Adela Rogers St.John).
- L’ uomo perdona e dimentica, la donna perdona soltanto. ( Diane
Grenshaw)
- Se la sposa è un possesso dello sposo, il marito è un possesso della
moglie. (Madelaine Bouchet)
- ‘A gallina fa ll’uovo e ‘o gallo l’abbrùce ‘o culo.(proverbio napoletano).
Riflessioni e commenti:
- Sulle vedove spuntano le lacrime; sui vedovi spuntano le pulci.
- In mancanza di maschi, tutte le donne sono caste.( prov. Indiano )
- Un buon gallo non ha mai troppe pollastre
- La gallina riconosce l’ alba, ma attende il canto del gallo.
- Meglio essere gallo per un anno, che gallina per quaranta.
- quando la gallina canta come il gallo, ammazzala!
- Nessuna gallina lascia il gallo per il cappone.
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Pensierino della sera:
Dove canta gallina e gallo tace, è lì che manco l’ ordine, e la pace.
10
L’ARS AMANDI
“L’ARTE DI FAR L’AMORE”
PUBLIO OVIDIO NASONE
Publius Ovidius Naso nacque a Sulmona, il 20 marzo del 43 a.C.. nel suo
tentativo di moralizzazione dei costumi, Augusto cercò di distruggere l’ Ars
amatoria di Ovidio, ma questa sopravvisse. Il disinteresse e l’ignoranza dei
nostri giorni considerano i classici come nozionismo sterile, tuttavia” l’arte di amare”
del No-stro è ancora un bestseller. Ovidio ebbe il coraggio di porre, tra tanti poemi
didascalici, il suo, che scienti-ficamente introduce all’arte del corteggiamento e
dell’amore. In tre libri di distici finissimi, di melodiosa lettura per chi ancora ama il
latino, Ovidio traccia una mappa attenta e completa dei luoghi, degli atteggiamenti,
degli approcci e delle parole che un uomo (libro II) ed una donna (libro III) devono
utilizzare per far breccia nel cuore dell’essere amato. Nulla è lasciato al caso: con
introspezione, egli analizza il comportamento umano, ricercandone quel quid, che
rende sempre attraente qualcuno e sempre repellente qual-cun altro. L’amore non ha
cose impossibili:prima tuae menti veniat fiducia,cunctas posse capi:capies, tu modo
tende plagas.
Liber secundus
“qui sibi notus erit, solus sapienter amabit: solo chi si conosce amerà con sapienza”
(Traductio ad sensum di parti scelte, a cura di Franco Pastore)
415/500 - Non usare stupidi afrodisiaci, sono veleni a mio giudizio. Basta un’alimentazione a
base di mandorle, di uova e di miele. Ma non divaghiamo! […] Vi sono donne per le quali non
si addice un’obbedienza timida, (languet amor, si nulla aemula subest) l’amore langue se non
vi è una rivale; i nostri cuori si fiaccano nella prosperità, (ut ignis adsumptis viribus ipse latet)
Come un fuoco che perde le forze, che si affievolisce ed alla fine (canet cinis) vi biancheggia la
cenere. Ma se vi getti zolfo (admodo estinta flammas) ravvivi le estinte fiamme e ritorna il
primitivo splendore. Fai si che ti sospetti, infiammale la mente tiepida, impallidisca all’indizio di
una tua infedeltà. Ma prima che la sua ira possa degenerare, stringila sul tuo petto, baciale
mentre piange e dalle i piaceri di Venere: tornerà la pace, (hoc uno modo solvitur ira) solo in
questo modo l’ira si scioglie. È sul tuo letto che firmerai il trattato di pace: le colombe prima
s’azzuffano, poi uniscono i becchi e tubano come parlando d’amore. Al principio del mondo
c’era il caos: il cielo, il mare la terra erano tutti insieme; poi, il cielo fu messo sopra la terra
circondata dall’acqua ed il caos si divise in tre parti: l’aria accolse gli uccelli, le foreste le fiere,
voi pesci vi nascondeste entro la limpida acqua. Allora il genere umano errava per le strade
deserte: erano forza bruta e corpi senza cervello; la loro casa era la selva, erba per cibo e
frasche per tetto. Ma quegli animi truci furono raddolciti dai piaceri dell’amore: la femmina del
pesce trova nell’acqua chi ne condivide il piacere, la cerva segue il cervo e la cagna resta
attaccata al cane cui si è accoppiata. La femmina e l’uomo s’incontrarono e non vi furon o
maestri, fu Venere a compiere la dolcissima opera.[…] Solo l’amore vince i filtri di Macaone
(1), così come è l’amore che riporta la pace dopo la tempesta. All’improvviso m’apparve Apollo
e sfiorando col pollice le corde della lira dorata mi disse con l’alloro nei sacri capelli: - Maestro
dell’amore lascivo, conduci i tuoi allievi al mio tempio, ove ciascuno conoscerà se stesso(2),
misurando ciascuna impresa in rapporto alle forze che possiede: Metta dunque in mostra
quello che ha: il viso se ha un bel viso, le spalle se ha un bell’incarnato,parli se sa parlare, ma
eviti i lunghi silenzi, canti se sa cantare…- continua)
-----------------
1) Figlio di Esculapio e medico dei greci presso Troia.
2) E’ il “gnòti sé autòn” di Socrate.
11
Salerno, una provincia da scoprire
Mercato San Severino è un comune di 21mila abitanti in provincia
di Salerno. Il Castello Medievale di Mercato San Severino, uno dei più
importanti dell'Italia meridionale, ottimo esempio di architettura militare, sovrasta dalla collina l'attuale cittadina moderna. Il nome del
comune si scinde in due termini: “Mercato” e “S. Severino”. Originariamente Mercato identifica il nome dell’attuale capoluogo e di uno
dei quattro quartieri in cui si divideva l’antico “stato” di S. Severino. Il
termine, nella versione “forum” (mercato), compare per la prima volta
in un atto notarile del novembre 1303, ma è probabile l’esistenza già in
epoca longobarda. La designazione Mercato resiste fino ai primi anni
dell’Unità Nazionale. Nella seduta del 21 maggio 1864 il consiglio
comunale delibera il cambiamento del nome del comune da “Mercato”
in “Mercato Sanseverino”. La richiesta è trasmessa al prefetto del
Principato Citeriore in data 12 luglio dello stesso anno. Il 23 ottobre
1864 è emesso il decreto reale di autorizzazione, ma con la dizione
errata di “Mercato San Severino”. Inutili sono i successivi tentativi
dell’Amministrazione comunale di ripristinare il termine corretto “Sanseverino”, prescelto in omaggio alla potente famiglia che nel locale
castello aveva fondato l’originaria dimora. Il 16 ottobre 1934, su
iniziativa del potestà, cav. Amato Bilotta, il nome del comune è mutato
in “Sanseverino Rota”, che recupera ad un tempo quello della nobile
famiglia (Sanseverino) e dell’antica città romana fondata nei pressi
della frazione Curteri (Rota). Il 2 agosto 1945 è ripristinato il nome del
comune di epoca prefascista, ma questa volta nella dizione: “Mercato
S. Severino”, che è quella ufficiale da adottare in tutti gli atti pubblici e
privati. il Municipio di Mercato S. Severino sorge su Piazza Ettore
Imperio, alle pendici delle collina del castello longobardo. In origine
l'edificio costituiva con l'attigua chiesa, un unico complesso monastico
sede dell'ordine dei Domenicani con il titolo di San Giovanni in Palco.
A seguito del recente intervento di restauro e adeguamento funzionale
l'amministrazione comunale, che gestisce l'edificio dall'inizio del secolo scorso, occuperà nuovamente la sua storica sede, ritornata all'an-tico
splendore dopo i gravi danni subiti dal sisma, del 1980. Sul lato nord
del Corso Diaz sorge il palazzo dei Principi di Sanseverino - oggi
Landi - che nato come albergo per forestieri in transito, alla fine del
XV secolo fu restaurato e convertito in dimora principesca. Si deve a
Tommaso III (1324-1358) la fondazione, 1328, del convento dei Frati
Minori Conventuali con l'attigua chiesa dedicata a Sant'Antonio, primo
nucleo a valle di Mercato S. Severino. Sotto la signoria di Tommaso
V., Conte di Marsico e di S. Severino (1402-1432 ), nel 1412 fu
costruita, per autorità del Capitolo Lateranense la seconda chiesa più
importante del paese. La chiesa, situata ai piedi del castello, successivamente ampliata e poi intitolata, sul finire del XV secolo, San Giovanni in Parco per accogliere le spoglie dei Sanseverino.
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12
I LIRICI GRECI
A cura di Franco Pastore
PREMESSA
Prima dell’ età della tragedia e dopo la stagione epica, intorno al
VII sec. A.C., la Grecia conosce il fiorire di un altro genere
letterario: la lirica. Essa ha immediatezza espressiva ed è ricca
di metafore ed analogie, che vengono espresse attraverso un
periodare breve ed incisivo, che arriva direttamente al cuore.
Dalle colonie ioniche dell’Asia minore, alla penisola greca, i versi
cantati o recitati vengono accompagnati dalla lira, che ne
evidenzia i toni. Si ha così:
• La lirica elegiaca
• La lirica giambica
• La lirica melica monodica
• La lirica melica corale
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OR
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(Encomiastica, fondata sul mito)
ALCMANE
Alcmane (in greco Ἀλκµάν) è stato un poeta greco, vissuto nella seconda metà del VII sec. a.C. Visse per lo più a Sparta, dove era stato
condotto come schiavo. Fu in seguito liberato e studiò alla scuola di
Terpandro. Di lui ci restano circa cento frammenti, è il primo che sostituisce la grande strofa corale, composta da strofe, antistrofe ed epodo,
all'impostazione più breve della lirica lesbica. La poesia corale è rivolta
all'intera collettività. Il poeta diventa il portavoce della vita associata, e
la poesia veniva cantata durante cerimonie religiose di rilevanza sociale
e politica. La lingua di Alcmane è il dorico letterario, con elementi dialettali, che prensenta molti elementi comuni all' epos e alla lirica eolica.
DORMIRE
FOSSI UN UCCELLO
Dormono
le cime dei monti,
le gole, le balze e le forre;
la selva e gli animali
che nutre la nera terra:
le fiere dei monti,
la stirpe delle api
ed i pesci
nelleprofondità
del mare agitato.
Dormono
le stirpi degli uccelli,
dalle ali distese.
Fanciulle
dal canto di miele
Dalla voce sacra,
non più le membra
possono portarmi.
Oh, fossi io un cerilo,
che sul fiore dell’onda
vola insieme alle alcioni,
col cuore
che non conosce paura,
sacro uccello
colore della
porpora marina.
A.L.I.A.S.
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13
DALLA MITOLOGIA GRECO-LATINA
ADE
MITOLOGIA, DAL GRECO MITHOS E LOGOS ( DISCORSO SUL MITO )
NARRA DEGLI ANTICHI DEI E MITI DEL MONDO ANTICO .
Ade (in greco Ἅδης ed in latino Hades) fratello di Zeus e di Poseidone, nonché dio degli Inferi; la sua sposa è Persefone.
Ade, figlio di Crono e di Rea, era fratello Estia, Demetra, Era, Zeus
e Poseidone. Secondo il mito venne divorato dal padre insieme ai
suoi fratelli e sorelle, con la sola eccezione di Zeus, che - salvato
dalla madre - li trasse in salvo con uno stratagemma. Ade, partecipò alla Titanomachia, nell'occasione i Ciclopi gli fabbricarono la
kunée, un copricapo magico, in pelle d'animale, che gli permetteva di diventare invisibile: si poté introdurre così segretamente nella dimora di Crono, rubargli le armi e,
mentre Poseidone minacciava il padre col tridente, Zeus lo colpì con la folgore. In
seguito, ricevette la sovranità del mondo sotterraneo e degli Inferi, quando l'universo fu
diviso con i suoi due fratelli Zeus e Poseidone, che ottennero rispettivamente il regno
dell'Olimpo e del mare.
Approfondimenti pansofici:
1)Dati i suoi attributi mitici, Ade avrebbe come corrispettivi: nella mitologia egizia il dio
Serapide e in quella romana il dio Plutone.
2)Ade è conosciuto anche come Axiokersos, poiché coniuge di Persefone soprannominata infatti "axiokersa", e Zeus ”Katakthonios”, ossia "signore degli Inferi".
3) Ade è l'antagonista principale del film d'animazione della Walt Disney “Hercules”, ed
appare inoltre nella serie animata televisiva basata su Hercules e nella serie di
videogiochi Kingdom Hearts. Come dio benevolo è fra i protagonisti di entrambe le
serie televisive di Hercules e Xena: Principessa Guerriera.
LE PAROLE DIFFICILI E…
QUELLE FAMIGERATE
CIBERNAUTA: chi sperimenta la realtà virtuale.
CIBERSPAZIO: la realtà virtuale.
CLEPTOPARTITOCRAZIA: una partitocrazia di ladri.
COMUNITARIANISMO:conc. politico-sociale che concilia ambientalismo e localismo.
CORIONDOLIZZAZIONE:frammentaz. in piccole parti, riferito al palinsesto televisivo.
COSMETIZZATO: abbellito artificialmente.
CRIMINOGENO: che favorisce l’attività criminale.
CRIONAUTA: defunto ibernato in azoto liquido.
CONCUSSIONE AMBIENTALE: una pratica illegale rapportata all’ambiente.
SCERI: scemo, rimbambito.
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PIATTI TIPICI DELLA CAMPANIA
A cura di Rosa Maria Pastore
Cenni storici - Terra degli Ausoni (Aurunci) e degli Opici, verso l'VIII sec. a.C., fu invasa, sulle coste dai Greci, che fondarono
la città di Cuma e Partenope ( rifondata poi come Neapolis tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C) . Ma nel VI sec., le zone
interne della regione furono occupate dagli Etruschi, che diedero vita ad una lega di dodici città con a capo Capua. Nella seconda
metà del V sec. a.C., iniziò l'invasione dei Sanniti, che conquistarono Capua (nel 440 circa) e Cuma (425 circa). Gli invasori
imposero il loro dominio e la loro lingua, diventando così un solo popolo: gli Osci. Quando una seconda ondata scese dalle
montagne per invadere la Campania, Capua si rivolse a Roma per essere difesa (343 a.C.). Iniziarono allora le guerre sannitiche
(343-290 a.C.), il cui esito fu l'occupazione romana di tutta la regione, sia interna che costiera, con la fondazione di numerose
colonie. Con la discesa di Annibale, a nulla valse organizzarsi contro Roma, durante la seconda guerra punica, la regione subì un
profondo processo di romanizzazione, e solo Napoli e Pompei conservarono le loro radici elleniche. Dopo aver fatto parte, con il
Lazio, della prima regione d'Italia, la Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé, mantenendo la sua unità anche
sotto gli Ostrogoti e i Bizantini. Con l'occupazione longobarda di Benevento (570 circa), la regione fu divisa tra il ducato di
Benevento, comprendente Capua e Salerno e Napoli e la regione costiera centrale. Amalfi, invece, arricchitasi coi traffici marittimi,
riuscì nei sec. IX-XI a divenire un fiorente ducato indipendente. Dopo la definitiva conquista di Napoli, da parte dei Normanni, nel
1139, la Campania, nei sec. XII e XIII, fu compresa nel regno di Sicilia, divenendo prima un possedimento degli Angioini e poi
degli Aragonesi. Dal 1503 al 1707, fu dominio della Spagna e, subito dopo, degli Austriaci (dal 1707 al 1734). sotto. Con l'avvento
al trono di Napoli di Carlo VII di Borbone (1734), si ha il regno di Napoli e Sicilia, e poi del Regno delle Due Sicilie. Con l’unità
d'Italia (1860), inizia-rono per Napoli enormi problemi economici e politici, che raggiunsero il culmine nel 1884, quando una grave
epidemia di colera decimò la popolazione. Nella Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati effettuarono un sanguinoso sbarco a
Salerno (9 settembre 1943) e presero Napoli, quando ormai la città era stata già evacuata dai Tedeschi.
Questa fusione di radici culturali, di usi e costumi di popoli diversi, ha avuto una influenza benefica sulla bellezza delle donne
campane e sull’arte culinaria, che può contare sia sulle ricchezze di un mare pescoso, che sulle coltivazioni di frutta, ortaggi, delle
pianure. A ciò si aggiungono i magnifici prodotti del latte, i fichi e le olive del Cilento,gli agrumi della costiera amalfitana,i funghi ed
i formaggi dell’alta valle del Cervati, i prodotti bufalini della valle del Sele ed i salumi del piagginese.
PRANZIAMO NEL NAPOLETANO
Pompei è un comune di 25.751 abitanti in provincia di Napoli. Pompei ha origini antiche quanto
quelle di Roma, infatti la gens Pompeia discendeva da uno dei primi popoli italici, gli Oschi. Solo
dopo la metà del VII secolo a.C., un primitivo insediamento si dovette stabilire sul luogo della futura
Pompei: forse non un abitato vero e proprio, ma più probabilmente un piccolo agglomerato intorno al
nodo commerciale che vedeva l'incrocio di tre importanti strade, provenienti da Cuma, da Nola e da
Stabia.
Un Primo piatto:
PASTA E FAGIOLI
Ingredienti e preparazione:
Tenere 250 g di fagioli secchi (cannellini, tondini o borlotti) a bagno per una notte, poi, cuocerli
a fuoco bassissimo in un tegame (meglio se di coccio) coperto. A metà cottura, aggiungere
l’olio d’oliva, uno spicchio d’aglio, una costa di sedano, 3/4 pomodori pelati spezzettati ed il
sale necessario. Quando i fagioli saranno ben cotti, cuocere 250 g di pasta mista direttamente
nei fagioli, aggiungendo acqua bollente se necessario. Far riposare la minestra qualche minuto
prima di servirla.
Per rendere la pietanza più gustosa, salute permettendo, si può aggiungere, sempre a metà
cottura, qualche cotica già sbollentata o un pezzo di salsiccia o ancora un osso di prosciutto.
15
Un secondo piatto:
BACCALA’ ALLA NAPOLETANA
Ingredienti e preparazione:
Risciacquare 800 gr. di baccalà già ammollato, tagliatelo a pezzi, infarinatelo e friggetelo in
olio bollente.
In una teglia soffriggete l'aglio con l'olio, aggiungetevi 400 gr. pomodori freschi o pelati, mezzo
cucchiaio di prezzemolo tritato, 150 gr. di olive di Gaeta snocciolate e 25 gr. di capperi. Fate
cuocere per una ventina di minuti la salsetta. Sistemate nella teglia con la salsa i pezzi di
baccalà fritto, rigirateli delicatamente e, dopo qualche minuto, fate stufare in forno a calore
medio per una decina di minuti. Al momento di servire, spruzzate il baccalà col prezzemolo
tritato.
Un contorno:
FAGIOLINI ALL’INSALATA
Ingredienti
e preparazione:
Lessare i fagiolini verdi, dopo di averne tolte le punte e i filamenti, e di averli lavati per bene.
Farli scolare e raffreddare. Condirli con sale, olio, aceto, aglio, foglie di menta e lasciarli
insaporire per qualche ora prima di consumarli. Al posto della menta chi vuole può mettere il
basilico.
Un dolce:
TORTA DI CASTAGNE
Ingredienti e preparazione:
Incidete 800 g di castagne e fatele lessare in abbondante acqua salata e profumata con i
chiodi di garofano e la foglia di alloro. Quando saranno cotte, scolatele poco alla volta e
sbucciatele, privandole anche della pellicina interna e passatele al setaccio; in una terrina
capiente sciogliete insieme 100 g di cacao e 2,5 dl latte, aggiungete 200 g di zucchero, 3 tuorli,
le castagne setacciate, mezzo cucchiaino di cannella, i canditi, la buccia di limone, l’acqua
millefiori ed infine gli albumi montati a neve. Foderare con la pasta frolla una teglia imburrata
lasciandone un po’ per le strisce decorative. Farcite la base della crostata con l’impasto di
castagne e decoratelo con le strisce di pasta frolla. Spennellate, con il rosso d’uovo, e
infornate per 45 minuti, a 180 gradi.
Un buon vino campano:
CASTEL SAN LORENZO BIANCO DOC
Proveniente dalla valle del Calore, dove la mitezza del clima e la natura del terreno
contribuiscono alla produzione di vini di qualità, ha un colore paglierino più o meno intenso e
un sapore asciutto, fruttato, leggermente amarognolo. La gradazione alcolica min. è di
11,00%.
__________
La cucina della Campania “I nostri chef” – Il Mattino
Gastronomia salernitana di A. Talarco, ed. Salernum
Cucina dalla A alla Z di L. Carnacina, Fabbri Editori
Le mille e una… ricetta – S. Fraia Editore
Mille ricette - Garzanti
L’antica cucina della Campania
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Vero o Falso
LE CASTAGNE SONO RICCHE DI SALI MINERALI
A cura di Rosa Maria Pastore
Le castagne hanno fatto parte dell’alimentazione umana fin dai secoli più lontani e,
prima che in Europa venisse coltivata la patata, esse costituivano il nutrimento abituale della
gente più modesta, grazie al loro potere energetico.
VALORE DIETETICO
Le castagne come tutta la frutta farinosa e oleosa sono piuttosto nutrienti: 100
grammi netti di castagne secche sviluppano ben 198 calorie. Un chilo e mezzo di castagne
sarebbe sufficiente ad assicurare a un adulto la quantità di calorie necessaria per una
giornata di lavoro. Tuttavia questo alimento non è completo dal punto di vista dietetico
perché è composto quasi esclusivamente di amidi (40%), acqua (52%), poche proteine e
scarsissimi grassi. Anche le vitamine sono presenti in quantità ridotta e vengono
facilmente distrutte dalla cottura prolungata a cui si sottopongono le castagne. Questo
alimento è invece abbastanza ricco di sali minerali: magnesio, ferro, zolfo e soprattutto
calcio e fosforo.
Le castagne sono sconsigliate ai dispeptici, ai sofferenti d’intestino, agli epati-ci,
perché di digestione un po’ laboriosa, ai diabetici per l’abbondanza degli amidi,agli obesi
perché fanno ingrassare.
Le castagne sono permesse a tutte le persone in perfetto stato di salute, purché
vengano masticate a lungo, sia quando sono crude, che quando sono cotte.
La digestione degli amidi, com’è noto, ha inizio nella bocca sotto l’azione della saliva
mentre il succo gastrico ha scarsa influenza su di essi, così che le castagne, se sono mal
masticate, arrivano pressoché intatte nell’intestino.
Le castagne sono particolarmente raccomandate agli adolescenti, a coloro che
compiono lavori faticosi, agli sportivi, alle persone che desiderano ingrassare.
CASTAGNE O MARRONI?
Il frutto è lo stesso: la differenza consiste soltanto nella sua maggiore o minore
grossezza. Quando nel riccio v’è un solo grosso frutto, si tratta di un marrone; quando
invece i frutti sono due o anche tre più piccoli, si tratta di castagne. Il marrone è una
castagna migliorata dalla coltura e ha queste caratteristiche: la pellicina interna, che si
trova sotto alla buccia, non penetra nella polpa del frutto stesso, come avviene invece
nella castagna, quindi è più facile toglierla. Inoltre il frutto non è diviso il due parti separate
da una membrana resistente, ma è in un pezzo unico.
LE MIGLIORI QUALITA’
Le castagne più pregiate sono quelle del Piemonte e in special modo quelle della
provincia di Cuneo; altre ottime castagne provengono dalla Toscana, dal viterbese e
anche da alcune zone della provincia di Belluno. I migliori marroni, invece, sono quelli
napoletani, i soli usati per la preparazione di “marrons glacés” perché sono i meno fragili,
cosa molto importante data la lunga lavorazione di questo tipo di canditi. Le castagne
liberate dalla buccia e dalla pellicina vengono essiccate e acquistano così un caratteristico
sapore, delicato e gustoso al tempo stesso. In alcune zone d’Italia le castagne vengono
cotte con la loro buccia e poi infilate in lunghe collane, con un procedimento che le mantiene morbide e conferisce loro un leggero e gradito profumo; in Lombardia si chiamano
“cüni”.
17
LA FARINA DI CASTAGNE
Con le castagne prima essiccate e poi finemente macinate, si ottiene una farina, la
cosiddetta “farina dolce”, di un pallidissimo grigio, che viene utilizzata per una specie di
polenta, il cosidetto castagnaccio, chiamato in Toscana “neccio” o “pattona”.
La qualità della farina di castagne è rivelata dalla sua purezza. Se esaminandola attentamente vi si riscontra come una minutissima punteggiatura rossiccia, ciò significa che no
è stata tolta con cura la pellicina delle castagne e questo deprezza la qualità della farina.
LA STAGIONE DELLE CASTAGNE
La grande stagione delle castagne è senza dubbio l’autunno; fanno quasi sempre la loro
apparizione sul mercato ai primi di novembre e la loro piena stagione si prolunga fino alla
fine di dicembre e si conserva facilmente per più di qualche settimana dal momento dell’acquisto. Nelle altre stagioni è pressoché impossibile reperire castagne fresche. Tuttavia
ai più golosi che non sanno rinunciare a questo frutto, ricordiamo che si trovano in commercio anche le castagne in diverse deliziose preparazioni, quali marroni canditi (marrons
glacès), marronite (sorta di marmellata molto più densa e compatta), marroni sciroppati in
soluzioni alcoliche e liquorose, che sviluppano tutta la bontà e il sapore del frutto.
CONSIGLI PER L’ACQUISTO
Nella scelta del frutto controllare che la buccia non sia troppo umida (ne risentirebbe la polpa
interna) ma si presenti lucida e compatta e priva di forellini.
TORTA DI CASTAGNE
(600 g di castagne, 200 g di zucchero, 100 g di burro ammorbidito a pezzi, 100 g di mandorle
tritate, 3 uova, scorza di limone grattugiata, sale.)
sbucciare e lessare le castagne con acqua poco salata, togliere la pellicina e
passarle al passaverdure. Sbattere i tuorli con lo zucchero, e montare a neve gli
albumi, aggiungere burro, scorza di limone, mandorle e passato di castagne,
amalgamando bene il tutto. Infine, unire gli albumi a neve. Imburrare e infarinare
una tortiera, versarvi il composto e infornare a 180° per 40' circa.
CONSIGLI UTILI
CASA
Un metodo economico per affilare
le forbici: tagliare a pezzettini della
carta vetrata fine.
Per attaccare un’etichetta su un
recipiente di vetro, usare albume
leggermente sbattuto.
Come cigola quella porta! Ridurre
in polvere la mina di una matita e
metterla nei cardini.
CUCINA
Caffè
……..alla giavanese: preparare
separatamente
un
caffè
all’italiana e una cioccolata calda
(on cacao amaro). Unire il tutto in
un bricco, zuccherare e servire.
……..all’irlandese: versare in un
bicchiere caldo un cucchiaio di
zucchero, un cucchiaio di whisky,
il caffè bollente e un goccio di
panna. Mescolare bene e servire.
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LA DONNA NELLA STORIA
MAMMA LUCIA
Mutter der toten
PREMESSA
Nella cittadina di Cava Dei Tirreni, in provincia di Salerno, viveva Lucia
Apicella, più nota come " MAMMA LUCIA. Era una donna che apparteneva
a quella parte di Popolo che fa della saggezza, della pietà e dell' altruismo, l'unica grande religione. (2) Magra, vestita di nero, recava negli occhi
il fascino di uno sguardo penetrante, abituato a scrutare nell’anima,
negli anfratti oscuri, tra i cespugli, tra le zolle riarse dei campi di battaglia.
Torniamo indietro nel tempo! L’azione del secondo conflitto mondiale si sposta nel Meridione d'Italia; a Salerno avviene lo sbarco degli alleati è l’epilogo di una grande tragedia. Lucia vive tutto questo con lo sbigottimento e la paura di tutti. Intanto, l' odio degli uomini scava in lei una profonda pietà per il genere umano, per i morti di tutti i
popoli e, come una grande madre, freme per i figli più sfortunati, inghiottiti dal mostro
crudele della guerra.
Quando l'eco dell'ultima bomba si spense, iniziò l'avventura del dopo guerra e
la lotta contro la miseria. Nel 44 i Tedeschi avevano raccolto i loro caduti in cimiteri
improvvisati, ma quanti morti rimanevano insepolti e che sfacelo nei cimiteri di guerra!
Il gelo, i predoni ed il vento avevano frugato tra le pietre tombali, tra le ortiche e la
fanghiglia. L’uomo aveva profanato la morte, rubando scarpe, anelli e Crocifissi d'oro.
La miseria aveva indurito il cuore e l'umanità non aveva più paura dei fantasmi, né
aveva pietà per le membra dilaniate di poveri giovani, sottratti allo amore delle loro
donne e delle madri, che ancora aspettavano, all'ombra delle case distrutte. Ma San
Giacomo guardava dalla sua chiesa e mandò un angelo, un cuore di mamma a salvare
quel sacro recinto dalla furia delle iene.
LA HISTORIA
l lampi squarciavano il cielo e la pioggia picchiava sui tetti sconnessi,sui vetri
delle imposte coperte ancora dalle tende del coprifuoco. Nei fossi e lungo le scarpate
corpi avvizziti nutrivano i vermi della follia. Tra pietosi cespugli, figli di mamme lontane guardavano, con le orbite vuote, verso la propria terra. La porta al pian terreno
cigolò, si aperse, sbatté con forza contro il muro grigio. Lucia Apicella, sobbalzò, scese
le scale e, per un lungo istante contemplò quell'inferno di tuoni e lampi. Ad un tratto,
avvertì un coro di amenti che sembravano mate realizzarsi nel buio: era come se la
terra vivesse l'ultimo rantolo prima di morire.
-Dio mio! - gridò.
Corse nella notte, con la sola vestaglia che la ricopriva, e si arrampicò su per la
collina, senza tregua. Era il 24 maggio del 1946.
L'alba già imbiancava le case, nel silenzio del mattino e Lucia si fermò ansante,
sedendo sul basso muricciolo del piccolo ponte sul torrente.Quanti arbusti scendevano
giù, a valle, con una infinità di altre cose; ad un tratto, una scarpa attirò la sua
19
attenzione: era uno scarpone militare, seguito da un povero corpo a brandelli, tenuto
insieme da una divisa lacera, infangata.
I resti del cadavere, si fermarono contro un grosso ramo ed affiorarono col
tronco. La mano si muoveva col braccio senza vita, sotto la spinta della corrente e
sembrava chiedere pietà; le ossa delle dita senza carne ed il grosso buco nella zona
dei petto, non impressionarono Lucia che corse verso quel figlio, che era nato per
morire. Quelle furono le prime ossa da custodire con la prima piastrina.
Seguirono scavi tra le tombe disfatte, sulle colline dei salernitano. La donna
scavò con le mani, lavò i teschi sotto le fontane, strappò, con le lunghe dita, gli ultimi
lembi di carne, preservando gli scheletri dalla distruzione con lavaggi di alcool.
Le città erano un deserto di pietra, dove i valori giacevano sepolti sotto le ma
cerie. Sulla terra bruciata, uomini mortificati nell'anima, s'apprestavano a ricostruire la
vita, dimenticando i morti e, disprezzando l'opera della Grande Madre. Lucia non
aveva rancori, non aveva odio per alcuno seguitava solitaria la sua strada, senza
curarsi di chi derideva il suo cuore, il suo lavoro e le sue mani sante.
Sei anni Lucia Apicella trascorse, frugando tra i cimiteri improvvisati, sulle
colline, tra le scarpate; e ne ritrovò cento di figli, poi, altri cento ed altri cento ancora,
ed a chi chiedeva, rispondeva con calore:
- Queste sono le mie ossa, le ossa dei miei figli, perché anche, la morte ha una
mamma –
Nessuno l’aiutò e qualcuno le disse di pensare ai vivi. Un giorno che si ritirava,
al tramonto, con un carico di venti cadaveri, un drappello di militari la fermò:
- Dove andate? - le chiese il tenente,
- Vado per i fatti miei – rispose Mamma Lucia
Scoprirono i cadaveri e l'ufficiale chiese sbigottito:
- Chi sono questi? –
- Sono morti - risposte la donna.
- Morti? - chiese ancora l'ufficiale, incredulo.
- Sono morti ... come voi - rispose Lucia.
- E dove li portate? - le fu chiesto ancora.
- Dove possono riposare in pace! - fu la risposta della Signora dei caduti.
Per lunghi anni la donna persiste nella sua missione, seppellendo cadaveri di
ogni colore, raccogliendo le ossa e procedendo alla loro identificazione. Mai la forza le
venne meno; anzi, una fede sempre maggiore la sostenne, nella ricerca affannosa
delle salme, tra le pietre, e gli sterpi delle campagne.
Un giorno, dopo di averne avuto visione in sogno, si recò sopra un monte e vi
trovò tre soldati legati ciascuno ad un albero, erano tre cadaveri senza testa ed i crani
guardavano la terra con i vermi che giravano nelle orbite vuote. La donna s’inginocchiò, pianse e pregò. Tolse la carne ancora attaccata alle ossa, che lavò nelle acque di
un torrentello e portò tutto a valle. Erano altre tre salme che si aggiungevano alle 800
già rinvenute. (continua)
[Da “SIDERA HISTORIAE” di Franco Pastore]
20
GIOCANDO CON I CLASSICI:
IL LEONE ED IL TOPOLINO
Esopo visse nel VI secolo a.C.,
nell' epoca di Creso e Pisistrato.
Le sue opere ebbero una grande
influenza sulla cultura occidentale: le sue favole sono tutt’oggi
estremamente popolari e note.
Della sua vita si conosce pochissimo, secondo la tradizione,Esopo giunse in Grecia come
schiavo di un certo Xanthus, dell'isola di Samo. Le favole di Esopo si possono descrivere
come archetipiche; la stessa definizione corrente di "favola" è basata principalmente sulla favola esopica. Secondo Erodoto, Esopo
morì di morte violenta, ucciso dalla popolazione di Delfi.Le sue favole hanno un fine
didascalico.
Trad. dal greco-Mentre un leone dormiva in un bosco,
topi di campagna facevano baldoria. Uno di loro, senza accorgersene, nel correre capitò su quel corpo sdraiato. Il leone con un rapido balzo lo afferrò, deciso a
sbranarlo. Il topo supplicò clemenza: in cambio della libertà,gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita.Il re
della foresta scoppiò a ridere e lo lasciò andare. Passarono pochi giorni ed egli ebbe salva la vita proprio per
la riconoscenza del piccolo topo. Cadde, infatti, nella
trappola dei cacciatori e fu legato al tronco di un albero.
Il topo udì i suoi ruggiti di lamento, accorse in suo aiuto e, da esperto, si mise a rodere la corda. Dopo averlo
restituito alla libertà,gli disse: - Tempo fa hai riso di me
perché credevi di non poter ricevere la ricompensa del
bene che mi hai fatto. Ora sai che anche noi, piccoli e
deboli topi, possiamo essere utili ai grandi.
Libera riduzione della favola in napoletano
ddii FFrraannccoo PPaassttoorree
‘Nu topolino ardito,
in cerca ‘e guai,
passeggiava sopra un leone
gruòsse assai.
Svegliandosi la bestia,
che durmeva,
lo trattenne per la coda
con l’ intenzione,
di fare, lì per lì, colazione.
- Che cazzo stai facènne,
dicètte ‘o sòrece,
‘nu iuòrno, ti sarò di grande aiuto!
Ma, si me fùtte mo’,
sì ‘nu cornuto!Sorrise, allora, ’o re degli animali
e lasciò scappare il topolino,
continuànnne a fare il pisolino.
Ma un giorno,
ca fu fatto prigioniére
RECITATA
DALL’AUTORE
http://www.andropos.it/o%20leone%20ed%20il%20topolino.html
da cacciatori
fetenti e scriteriati,
’o topolino currètte
e lo salvò,
tagliando con i denti
quella fune,
che all’albero ‘o teneva
‘mprigionato,
ed il debito,che aveva,
fu saldato.
- Pure ‘nu peccerìlle cùmm’a me,
pò essere
‘nu grande amico per un re!
Gridò il topolino al re leone
che, pa’ paura,
s’era fatto ‘ndò cazòne.
‘O pregio non consiste nell’altezza
ma è dìnt’ò còre‘a forza
e la grandezza.
F. Pastore: “FEDRO ED ESOPO in napoletano” (una libera
traduzione in vernacolo delle favole latine e greche)
21
ANGOLO DELLA RIFLESSIONE
I popoli del nord vantano origini che risalgono a Odino, una delle principali divinità del
pantheon norreno, dio della guerra, della sapienza e della poesia, nonché il creatore del di tutte
le cose. Il popolo del Nilo fa risalire le sue origini a Ra, il dio sole,associato ad Atum (il tutto).I
greci collegavano la loro origine a Zeus, re dell' Olimpo, padre degli dei e degli uomini.
I nostri antenati romani si sono differenziati da tutti: Amulio, detronizzato il fra-tello,
per impedire alla nipote Silvia di avere figli che potessero minacciare il suo trono, la
costrinse a diventare vestale, votandola quindi alla castità. Ma mentre ella dormiva ai
piedi di un albero, il dio Marte la amò. Da quell'incontro carnale nacquero i due gemelli
fondatori di Roma: Romolo e Remo. Ma ciò ancora non bastava, infatti, una lupa, attirata
dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad allattarli. Così li trovò il pastore
Faustolo, che li raccolse e li portò dalla moglie Laurenzia. Alcune interpretazioni identificano quest’ultima con la "lupa", nome che in latino significa anche prostituta (da cui,
"lupanare"). La misura non era ancora colma: dopo che si furono vendicati di Amulio
l’usurpatore, i due fratelli lasciarono Alba Longa e si recarono sulla riva del Tevere, per
fondare una nuova città, nei luoghi dove erano cresciuti. È lo stesso Livio che riferisce le
due più accreditate versioni dei fatti: “Siccome erano gemelli e il rispetto per la
primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che
proteggevano quei luoghi indicare, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e
chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo
scelse il Palatino e Remo l'Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.
Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato
annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l'uno e l'altro contemporaneamente.
Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base
al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si
passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione
secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura
appena erette e quindi Romolo, l'avrebbe ammazzato esclamando: - Così, d'ora in poi,
possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura-. In questo modo Romolo s'impossessò
del potere e la città prese il nome del suo fondatore.”
La vicenda delle nostre origini sembrerebbe conclusa, ma in tal caso dovremmo
ignorare l’episodio del ratto delle donne sabine, un vero capolavoro di ospitalità e di
generosità verso popoli allora confinanti, vediamo come lo racconta Livio: Arrivò moltissima gente, a vedere la nuova città: i Ceninensi, i Crustumini e Antemnati. I Sabini, poi,
vennero con tanto di figli e consorti…Nel momento dello spettacolo, quando tutti erano
concentrati sui giochi, la gioventù romana, a un preciso segnale, si mise a correre
all'impazzata per rapire le ragazze. Molte finivano nelle mani del primo in cui si imbattevano: quelle che spiccavano sulle altre per bellezza, destinate ai senatori più insigni,
venivano trascinate nelle loro case da plebei cui era stato affidato quel compito.Finito lo
spettacolo nel terrore, i genitori delle fanciulle fuggono affranti,invocando il dio in onore del
quale eran venuti a vedere il rito e i giochi solenni. Romolo si aggirava tra le fanciulle e le
informava che la cosa era successa per l'arroganza dei loro padri, che avevano negato rifiutato la possibilità di contrarre matrimoni; che sarebbero diventate loro spose ed avrebbero condiviso i loro beni, la loro patria ed avrebbero partorito dei figli. Che ora dunque
frenassero la collera e affidassero il cuore a chi la sorte aveva già dato il loro corpo…»
Le nostre origini? Una sacerdotessa violentata, due individui allevati allo stato
selvaggio, di cui uno fratricida e delinquente, ed un popolo di violentatori.
22
THE
TEMPLARS
Il processo
__________________
Un
meraviglioso
ed artistico
fumetto di
DE RELIGIŌNE : (DOTTRINE, TRADIZIONI, SEMANTICA)
ANABATTISTI: dal greco ‘αναβατιζειν, ribattezzare, un movimento
nato nel 500, che considera privo di valore il battesimo dato ai bambini, perché incapaci di un atto cosciente. Ergo , ribattezzano gli adulti
che entrano nella loro comunità.
ANACORETI: dal greco anakorein, sono coloro che si ritirano dalla
società degli uomini per cercare Dio in solitudine.
Paolo Liguori
ANAGORGIA: sovreccitazione mistica che conduce all’estasi.
Edito da
Andropos in the
world
ANATEMA: dal greco anathema, collocato in alto, maledizione lanciata dal Papa o dal Concilio a persone dichiarate eretiche.
QUARANTA
PAGINE
DI STORIA,
DI
AVVENIMENTI
TRAVOLGENTI,
SAPIENTEMENTE
ARRICCHITI
DI PATHOS
E DI MISTERO.
ANGELO: dal greco ànghelos, messaggero, spiriti invisibili che lodano Dio.
Vesuvioweb.com
Le genti e le terre che abbraccia il Vesuvio: cultura, arte, ricerche
di sapore antropologico, sulla vasta area tra il vulcano ed il mare.
Archeologia vesuviana * mailto:[email protected]
L’Associazione culturale Il Camaleonte di Chieri
PER PRENOTARE
UNA COPIA:
[email protected]
bandisce “Inedito 2009 - Premio Letterario Città di Chieri e
Colline di Torino”. Il Premio si pone l’obbiettivo di scoprire e valorizzare i
nuovi autori del panorama nazionale attraverso sezioni dedicate alla
narrativa, alla poesia, al teatro e alla musica. [email protected]
BOTTEGA EDITORIALE srl
S erv izi e di toriali , co mu ni cazio ne e gio rnalis mo
87030 Rende (Cs) - [email protected]
LILIANA LUCKI
http://www.lilianalucki.blogspot.com/
Premio Letterario Internazionale (XV Edizione )
IL GUSTO
DELLA VITA
di
Franco Pastore
Jacques Prévert 2009
Scadenza iscrizione: 30 Dicembre 2008
Il Club degli autori - Melegnano (MI)
[email protected]
Ed.Palladio 2006
Il Direttore artistico di
Andropos in the world
e capogruppo dei
Tamburanova
Er ma nno Past ore
(a destra della foto)
Co n i l g ran de BO CEL LI
23
LEVIORA
cxÜ áÉÜÜ|wxÜx âÇ ÑÉËvÉÇ yÜõ fvtÑâ´vv{|É
Nui muonici, spesso ci incontriamo nelli cunventi per li esercizi spirituali e li aggiornamenti.
Lu juòrno che avvenne l’ incontro nostro nella bella località di Gioia Cilento, un fratello novello
di un convento assai luntano, nello intervallo tra lu studio e lu mangiari, ci intrattenne con
esperienze sue e barzellette, che ci resero quello soggiorno assai dilettevole. Ad esempio, ci
raccuntò che un giorno, cinque femmene senza cervello, organizzarono una seduta spiritica,
alla casa della moglie dellu sindaco, per mettersi in contatto con il marito di una di loro, che era
da poco scomparso. Dopo le chiacchiere di prammatica e la tazzulella di caffè, tantu fecero
che cummara Assunta cadde in trance, prontissima a rispondere con la voce de lu marito
trapassato dell’amica.
- Sei tu Giovanniiii! – chiese l’interessata
- Sono io, Teresinaaaa – rispose l’anima dellu muorto suo.
- E cumme stai, maritu mio? Sei felice? –
- Sto benissimo Teresina e felicissimo sono!....- Sei ‘mparaviso cun li angeli?- Nòne…- E dove sei, anima fortunata?- Sono in Friuli: mi sono reincarnato in un pollo d’ allevamento e mangio e bevo dalla sera alla
mattina…Incominciammo a ridere, ma non tanto, l’amico, allora, raccontò della moglie di un contadino di
Ogliastro, che colpita dal calcio di un mulo, muore sul colpo. Ai funerali partecipa tutto il paese
ed al momento dell’inumazione gli amici del vedovo gli si avvicinano e, uno ad uno, gli sussurrano qualche cosa all’orecchio. Alla fine della triste cerimonia, un conoscente si rivolge al
contadino e gli dice:
- Ho avuto modo di constatare che la morte di tua moglie ha colpito tutti. Ciascuno dei presenti
ha voluto farti sottovoce e personalmente le sue condoglianze…- Macché condoglianze…- rispose il contadino.
- Perchè, che cosa ti hanno detto, allora?...- Mi hanno soltanto chiesto: “Quando potresti prestarmi il mulo?”...-
GUARDIAMO UN PO’ DENTRO I NOSTRI NOMI:
LILIANA/LILIA: dal latino lilium; nom. Plurale lilia, giglio.
ERMANNO: dal tedesco antico hariman e significa uomo d'arme.
ANDREA: dal greco ‘andròs, uomo forte.
DORA: dal greco doròn, regalo; usato anche al dimin. o con prefissi: TEO – ISI – DIO.
CATERINA: dal greco kataòs, upupa, nome scelto da imperatrici e tra i più diffusi al mondo.
DANIELA: dall’ebraico Dani’èl, giudice scelto da Dio; in slavo è Danila/o.
ELVIRA: dall’ebraico ‘Elbirah, tempio di Dio.
ELISA: dall’ebraico ‘El e Ischa, Dio è salute.
LUIGI: come Luisa e Luigia, viene dal tedesco, uomo illustre.
MATTEO: dall’ebraico Matathich, uomo di Dio.
24
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