Il dibattito sulla riforma sanitaria in USA

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Il dibattito sulla riforma sanitaria in USA
Il dibattito sulla riforma
sanitaria in USA
di Massimo Gaggi
U
Un sistema sanitario da riformare
Se, come è ormai molto probabile, nel 2009 il successore di George Bush inizierà il
suo mandato presidenziale col varo di una riforma del sistema sanitario basata sull’introduzione della copertura universale di tutti i cittadini, gli americani dovranno ringraziare soprattutto due repubblicani “anomali”. Il primo, Mitt Romney, l’ex governatore del Massachusetts
che contende a Giuliani e a McCain la nomination repubblicana per le elezioni del 2008, è
un mormone che crede nei valori tradizionali ma che, avendo dimostrato di saper gestire la
cosa pubblica con efficienza e pragmatismo, è riuscito a conquistarsi la fiducia dello stato più
progressista d’America: il democraticissimo Massachusetts, appunto. Qui Romney ha rotto un
tabù, quello degli interventi strutturali sulla sanità, che durava dal 1994, anno in cui fallì la
riforma impostata da Bill Clinton (e materialmente gestita da Hillary). Da allora la condizione
del sistema sanitario non ha fatto che peggiorare: nel Paese più ricco e tecnologicamente più
avanzato del mondo le strutture di eccellenza, ovviamente, non mancano, ma il sistema, nel
suo complesso, ha costi astronomici (la sanità Usa assorbe quasi il 16% del Pil, il doppio
rispetto alla media dei Paesi europei) e lascia 47 milioni di cittadini senza alcuna copertura.
Nonostante l’evidente drammaticità del problema, nessuno fin qui ha avuto il coraggio
- o la forza - di affrontarlo alla radice: troppo fresco il ricordo di Hillarycare, la più cocente
sconfitta politica subita da Bill Clinton nei suoi otto anni alla Casa Bianca, e troppo delicati
gli equilibri finanziari di un sistema basato su gruppi assicurativi che fanno ormai parte della
struttura portante del capitalismo americano.
Due repubblicani “anomali”
Il primo a muoversi è stato proprio Romney: nell’inerzia del governo federale di
Washington, un anno fa ha deciso che toccava ai singoli stati farsi avanti, e ha elaborato una
riforma sanitaria che cerca di raggiungere tutti i cittadini senza scardinare il sistema delle
assicurazioni private, riuscendo a ottenere anche il consenso dei democratici, il partito che
controlla il parlamento del Massachusetts. Divenuta legge nell’aprile scorso, la riforma
MASSIMO GAGGI È INVIATO DE «IL CORRIERE DELLA SERA» NEGLI STATI UNITI.
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Romney sta ora incontrando i suoi primi ostacoli nell’iter di attuazione, il principale dei quali
è rappresentato dal costo delle polizze assicurative del sistema “riformato”, molto più elevato di quello ipotizzato da Romney.
Intanto però, nel perdurante silenzio della Casa Bianca, questa riforma è diventata un
modello per altri stati: l’ha copiata il Maine e a essa si stanno ispirando anche Pennsylvania,
Vermont e Maryland. La vera svolta, però, l’ha impressa Arnold Schwarzenegger, il secondo
personaggio della nostra storia, quando, il 9 gennaio scorso,
ha deciso di entrare nella battaglia per la sanità universale col
peso dello stato più popoloso e ricco d’America. L’attore, diveIl dibattito, pur
nuto governatore della California sulle orme di Ronald Reagan,
ha buttato alle ortiche ormai da tempo la piattaforma liberista
nella prevedibile
e antitasse del suo grande predecessore: nel novembre scorso
contrapposizione tra
è stato rieletto governatore strappando al suo avversario demoun Congresso ora
cratico molti argomenti politici della sinistra. All’inizio del
a maggioranza
nuovo anno lo scarto più clamoroso: il Terminator, ex profeta
dei conservatori “duri e puri” ha annunciato una riforma sanidemocratica e un
taria del costo di 12 miliardi di dollari l’anno, che ricalca i
presidente repubblicano,
meccanismi di quella di Romney, con l’aggiunta di un’impoha imboccato binari
stazione più populista, la rivendicazione di un contributo dalle
abbastanza costruttivi.
casse federali per circa la metà del fabbisogno (5,9 miliardi)
e la promessa di offrire copertura medica anche agli immigrati clandestini privi di documenti. Ce n’era abbastanza per sollevare le reazioni infuriate dei circoli conservatori di tutta l’America, e per guadagnarsi qualche scrosciante applauso a sinistra. Dalla lontana Italia sono arrivati perfino quelli del quotidiano di Rifondazione comunista che fino a ieri considerava Schwarzy un reazionario inguaribile e pericoloso.
Riforma sanitaria e dibattito elettorale
Quello di Terminator avrebbe anche potuto rivelarsi un passo falso: proporre una riforma costosa e con alcuni aspetti demagogici tentando di scaricarne i costi sul governo federale (cioè sui contribuenti di altri stati, meno ricchi della California) avrebbe anche potuto sollevare un’ondata di indignazione tale da seppellire di nuovo, a livello nazionale, lo spinoso
tema della riforma sanitaria.
Ma in un’America in cui i meccanismi dell’economia liberale stanno funzionando molto
bene in termini di aumento della produzione di ricchezza, ma non per quanto riguarda la sua
distribuzione, la domanda di interventi sociali perequativi sta crescendo anche tra i moderati. Così quello della sanità è divenuto - insieme all’Iraq - il tema-guida della campagna elettorale dei principali candidati che hanno già cominciato la corsa verso la Casa Bianca: da
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Hillary Clinton allo stesso Romney, da John Edwards a Barack Obama. Pochi giorni fa il senatore nero dell’Illinois si è solennemente impegnato, se sarà eletto, a varare la riforma già all’inizio del 2009, appena insediato alla Casa Bianca, e a estendere la copertura sanitaria a tutti
i cittadini americani entro la fine del primo mandato presidenziale (2012).
Infine, è toccato allo stesso Bush, che nel discorso sullo stato dell’Unione di fine gennaio ha formulato, a sua volta, una proposta di riforma diversa (volta a rendere il sistema più
efficiente e le prestazioni meno costose, allargando la platea degli assicurati senza porsi, però,
l’obiettivo dell’universalità), ma dietro la quale c’è, comunque, il riconoscimento della necessità di rivedere in profondità il modo in cui negli Stati Uniti le prestazioni sanitarie vengono
prodotte ed erogate.
Le proposte di un Bush ormai a fine mandato e inviso anche a molti parlamentari
repubblicani hanno ben poche possibilità di tradursi, in questa fase, in una legge approvata
dal Congresso. Per ora verranno approvati interventi limitati sui quali sta emergendo un consenso bipartisan come l’estensione della copertura sanitaria a tutti i bambini (oggi il sistema
pubblico copre solo i figli di chi ha un reddito inferiore alla soglia della povertà, circa 20 mila
dollari l’anno per una famiglia di quattro persone).
Effettuare la riforma sarà compito del prossimo presidente, ma le basi si costruiscono
ora. Il dibattito, pur nella prevedibile contrapposizione tra un Congresso ora a maggioranza
democratica e un presidente repubblicano, ha imboccato binari abbastanza costruttivi. Il liberismo eccessivamente ideologizzato di qualche anno fa, proprio soprattutto degli intellettuali
neocon sfornati dall’American Enterprise Institute, sta lasciando spazio a impostazioni più
pragmatiche e più consapevoli della dimensione sociale dei problemi. Così, mentre la riforma
californiana, liquidata dal «Wall Street Journal» con l’epiteto di Terminatorcare, viene bocciata senza appello da David Henderson, che fu consigliere economico del presidente Reagan (il
grande ispiratore di Schwarzenegger), e da Michael Tanner del Cato Institute, il centro studi
conservatore più attento al buon funzionamento della cosa pubblica e al contenimento del
deficit, il tentativo più serio - quello di Romney - riscuote applausi anche a destra, e anche
da parte di esperti dell’American Enterprise Insistute, come Joseph Antos e Mark Pauly.
La riforma Romney
Si tratta di un riconoscimento della validità dell’impostazione e della fondatezza delle
preoccupazioni di Romney, più che di un’approvazione incondizionata della sua riforma. Essa
del resto comincia a sollevare anche i dubbi di un commentatore autorevole e insofferente di
ogni etichetta politica come David Broder, che sul «Washington Post» nota come il costo doppio rispetto alle previsioni - delle polizze per i nuovi assistiti di reddito medio-basso rischi
di rendere difficilmente applicabile la ricetta studiata per il Massachusetts.
La riforma Romney offre, oltre all’assistenza sanitaria di base gratuita ai più poveri,
anche una serie di aiuti e agevolazioni a favore di chi ha un reddito fino a tre volte superiore
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alla soglia di povertà (vale a dire 60 mila dollari per una famiglia media). Ovviamente gli
incentivi fiscali decrescono man mano che si sale verso livelli di reddito medi. La scommessa però era quella di convincere i cittadini ad assicurarsi non solo attraverso sussidi, ma anche
grazie al minor costo delle polizze: Romney si aspettava che, a fronte di un allargamento del
mercato, le assicurazioni avrebbero offerto la polizza di base, quella che copre solo le prestazioni essenziali a 2400 dollari l’anno per il singolo assicurato. In realtà le cose stanno andando in modo assai diverso: la polizza più economica che le compagnie stanno offrendo non
scende sotto i 4560 dollari l’anno, il doppio del previsto, e per molti lavoratori spendere quasi
400 dollari al mese per la sanità è assai difficile, pur tenendo conto degli incentivi offerti.
Stati Uniti ed Europa
Far quadrare il cerchio della sanità made in Usa non sarà facile per nessuno. Per un
europeo, abituato a sistemi non solo universali, ma governati da un’unica mano pubblica, coi
privati spesso ridotti a gestire un circuito parallelo per benestanti e a svolgere una funzione
“di supplenza” attraverso le strutture convenzionate, non è facile orientarsi nel mosaico della
sanità americana: un Paese di 300 milioni di abitanti nel quale 147 milioni di cittadini sono
coperti da un’assicurazione privata, 55 milioni hanno Medicaid, la mutua pubblica per i poveri, 43 milioni possono contare su Medicare, l’assistenza federale per gli anziani e 47 milioni
(per un quarto bambini) non hanno alcuna forma di copertura sanitaria.
Pur avendo il pregio dell’universalità, i sistemi sanitari europei sono però anch’essi
enormemente inefficienti e trasferiscono l’iniquità - che in America tocca il diritto stesso alla
prestazione - ai tempi di attesa, spesso lunghissimi, per chi è costretto a fare ricorso a strutture pubbliche, che non di rado sono fatiscenti e in precarie condizioni igieniche.
Il dibattito americano va quindi seguito con attenzione anche dall’Europa, perché in
ballo non c’è solo il desiderio di estendere un certo livello di assistenza a tutti i cittadini, ma
anche il tentativo di correggere gli errori che hanno fin qui impedito ai meccanismi dell’economia di mercato di funzionare in campo sanitario.
Paradossalmente, il principale contributo in questa direzione potrebbe venire proprio
dalla proposta avanzata da Bush: il presidente vorrebbe trasformare un sistema che oggi spinge le imprese a fornire ai loro dipendenti un’assicurazione sanitaria, in un sistema centrato su
polizze individuali acquistate sul mercato da ogni singolo assistito, che otterrebbe a tal fine
un forte incentivo fiscale (detrazioni o crediti d’imposta fino a 15000 dollari l’anno per una
famiglia media). Gli stessi democratici affermano che questo meccanismo non ridurrebbe
affatto le disparità, ma riconoscono che potrebbe contribuire a incrementare l’efficienza della
spesa: ogni singolo assicurato avrebbe, infatti, una visione diretta dei costi della prestazione
e di come gli elevati oneri sanitari incidono sul prezzo pagato per la sua polizza.
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