don Angelo Casile
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don Angelo Casile
I carismi della vita religiosa femminile a servizio della coppia e della famiglia fra profezia e annuncio Convegno Ufficio Famiglia USMI / CEI Roma, 10 dicembre 2011 La vita buona del Vangelo fra le piaghe del lavoro L’uomo attraverso il suo lavoro è chiamato a custodire il creato come dono per tutti, a instaurare relazioni di giustizia con Dio, nell’amore e nella preghiera, con il prossimo, nel servizio e nel dono di sé, e con se stesso, nell’offerta della propria vita, a imitazione del nostro maestro: Gesù. Pur nella drammaticità dell’attuale crisi, non solo economica, che sta producendo effetti considerevoli sul mondo del lavoro e sulle nostre famiglie giungendo a incrementare problemi già gravi quali: disoccupazione, precariato, lavoro nero, disgregazione familiare, denatalità, evasione fiscale, consumismo sfrenato, speculazioni finanziarie, usura, giochi d’azzardo, ecc…, come Chiesa abbiamo una parola certa e fondata che infonde fiducia e speranza: il Vangelo di Gesù che mette al primo posto Dio e quindi la dignità di ogni persona umana, il valore della vita, della famiglia, del lavoro, della solidarietà, della sussidiarietà, il servizio per il bene comune, per la giustizia e la pace, per la custodia del creato. L’ascolto del Vangelo e la grazia di poterlo vivere ogni giorno nelle nostre occupazioni quotidiane, anche nell’attuale contesto di crisi, fa rifiorire la speranza nei nostri cuori e ci permette di vivere nella fiducia in Dio. Gesù parlando degli ultimi tempi, potremmo dire della “crisi” finale del cosmo, descrive «segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura». Poi, rivolgendosi ai discepoli afferma: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,25-28). Solo Dio, davanti a uno scenario apocalittico può invitarci a stare sereni, ad essere fiduciosi. Seguendo la sua Parola, comprendiamo come il Signore è sempre con noi, e mentre da una parte ci ammonisce: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5), dall’altra ci rincuora: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Nella notte e nel buio dell’attuale situazione, il primo compito dei cristiani che vivono nelle città degli uomini è di annunciare e vivere il Vangelo della speranza e della fiducia nel Signore, che non ci abbandona mai. Sant’Agostino ad alcuni che si lamentavano del difficile momento storico che vivevano rispondeva: «Voi dite: I tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili. Vivete bene, e muterete i tempi»1. Domandiamoci: i tempi sono cattivi o sono gli uomini a non essere all’altezza dei tempi? Viviamo bene la nostra fede ogni giorno e allora i tempi saranno migliori. Viviamo bene la nostra fede e le nostre città riprenderanno ad avere un’anima. La fiducia in Dio non ci dispensa dal nostro impegno quotidiano, anzi poiché abbiamo fiducia in Dio siamo chiamati a farci accoglienza, dialogo, compagnia premurosa e concreta di ogni uomo in difficoltà. Come vivere bene la nostra fede ogni giorno? La Sacra Famiglia di Nazaret è il modello che possiamo vivere e proporre come luogo dove famiglia e lavoro sono profondamente uniti nei tempi del silenzio, dell’operosità, della santità. Nazaret ci ricorda che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo»2. Anche il Rito del Matrimonio, nella IV formula della Benedizione nuziale, ci presenta Nazaret come il luogo in cui il Figlio di Dio, «gustando le gioie e condividendo le fatiche di ogni famiglia umana, è cresciuto in sapienza e grazia»3. Il lavoro è vocazione La Bibbia si apre con Dio che lavora «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1) e che crea l’uomo a sua immagine. Benedetto XVI ci ricorda che: «Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della 1 Sant’Agostino, Discorsi, 311,8. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 22. 3 Conferenza Episcopale Italiana, Rito del Matrimonio, Libreria Editrice Vaticana, 2008, p. 66. 2 storia. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita»4. Normalmente concepiamo il lavoro in tre modi: a. il lavoro è sofferenza, tortura; b. il lavoro è un’area amorfa, sopportabile che non mi impedisce di cercare altrove la mia autorealizzazione. c. il lavoro è autorealizzazione, ci si identifica con esso. Ancora, possiamo descrivere il lavoro come: un posto, che mi offre successo economico; una carriera, che mi offre successo professionale e prestigio sociale; una vocazione, che realizza me stesso nel rapporto con gli altri, con il mondo e con Dio. Il lavoro è vocazione primordiale dell’uomo e non castigo divino. Chiamato a coltivare e custodire il creato, l’uomo attraverso il lavoro esprime sé stesso, il proprio talento, le proprie capacità, la propria creatività a immagine del Creatore, di un Dio che “lavora” nella Creazione e nella Redenzione. Il lavoro, se è dignitoso, è benedizione dell’uomo e di Dio e rimanda l’uomo a Dio. A Dio che ha lavorato sei giorni e il settimo si è riposato, ha fatto festa e ha gioito, trovando bella l’opera delle sue mani (Gen 2,2); a Dio che per almeno due decenni della sua vita terrena ha lavorato come carpentiere a Nazareth (Mc 6,3); a Dio che ha redento il lavoro e ha chiamato i suoi discepoli a seguirlo mentre lavoravano, invitandoli a diventare pescatori di uomini (Lc 5,10). Gesù ci insegna a valorizzare il lavoro e a non lasciarsi asservire da esso, a viverlo nella profonda relazione tra la fede e la vita, che permette all’uomo, anche attraverso il lavoro, di accogliere gli altri come fratelli e di custodire il creato come dono di Dio. È bello soffermarsi sul lavoro a partire da un pensiero di Sant’Ambrogio: «Ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene»5. Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano va letto nell’orizzonte del primato di Dio, della rilevanza dell’essere sul fare e della vocazione dell’uomo allo sviluppo integrale. Tre immagini ci aiutano a parlare di lavoro come vocazione6: la quercia, la creta e la porta. Comprendiamo che la quercia che noi diverremo è già tutta dentro la ghianda (noi stessi). Il Regno di Dio «è simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami» (Lc 13,19). Come l’albero, che è simbolo per eccellenza della crescita, la vocazione cresce in noi perché discende sempre più in noi, si approfondisce e immerge sempre più le sue radici nell’intimo del nostro essere. Più comprendiamo noi stessi e più cresce la nostra vocazione. La creta di cui siamo fatti ha bisogno di essere animata dal soffio di Dio: «il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Saint-Exupéry afferma: «Adesso la creta di cui sei composto si è seccata, si è indurita, e nessuno potrebbe ridestare in te il musicista addormentato, o il poeta, l’astronomo che forse c’erano all’inizio». Senza un lavorio incessante su noi stessi la vita perde la sua direzione, il suo senso. Ridiamo senso al nostro lavoro quotidiano e tutta la nostra vita risplenderà. La porta aperta ci ricorda le numerose opportunità che abbiamo nella vita. Gesù ci ricorda: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Kafka, ne Il Castello, racconta di un contadino che chiesta udienza all’imperatore attende per tutta la vita di fronte alla porta aperta del castello senza mai entrare. Occorre varcare la porta della vita, quella porta è stata aperta solo per te, ma tu non l’hai varcata. Si deve scommettere su se stessi per essere afferrati dalla nostra stessa vocazione. Il sintesi il lavoro come vocazione è legato alla vita della persona, è compito unico e irripetibile, ciò che non facciamo noi non lo farà nessuno; è vita della e per la persona, ma non è mai affare privato, perché aperto a una comunità più ampia, agli altri, a Dio; è servizio nella città e nella società, missione nel mondo; è costruzione di un progetto che parte da lontano (dal passato), si incarna nell’oggi (vive il presente) e proteso al domani (verso e per il futuro); se il futuro non alimenta il presente, è illusione, solo la visione di un futuro possibile alimenta il 4 Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008. Sant’Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62. 6 Mi ispiro al testo di Raniero Regni, Educare con il lavoro. La vita activa oltre il produttivismo e il consumismo, Armando editore, Roma 2006, pp. 124-125. 5 2 presente; è dono di sé a Dio e quindi agli altri nella gratuità delle opere e nella fedeltà dei giorni. Promuovere la vita e la famiglia La dottrina sociale della Chiesa ha inoltre generato una grande riflessione sul rapporto tra famiglia e lavoro, a partire da Leone XIII, con la difesa della famiglia dall’intromissione dello Stato totalitarista e degli operai e del loro salario7, per giungere a Giovanni Paolo II, con la visione della famiglia come scuola di lavoro e del lavoro come «il fondamento su cui si forma la vita familiare»8. Sia la famiglia e sia il lavoro sono realtà naturali, originarie, fortemente connesse con l’essere persona. Ambedue sono una “vocazione”, luoghi di vita nei quali la persona è chiamata a diventare sempre più se stessa, e “dove” tutta la persona è presente e non solo suoi aspetti particolari. La presenta come base dell’«ecologia umana» la famiglia, in essa «l’uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona»9. Benedetto XVI sottolinea che «l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica». La diminuzione delle nascite, come sperimentiamo in Italia, «al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della Nazione». In Italia, prima mancavano i figli, ora non ci sono le mamme! Tra l’altro «le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà». È una situazione di «scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona»10. La Caritas in veritate ci sollecita a vivere l’unione tra etica della vita ed etica sociale, nella consapevolezza che non può «avere solide basi una società – che mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata»11. Come cattolici non possiamo essere divisi tra difensori dell’etica della vita della persona e difensori dei diritti sociali delle persone. Il vero sviluppo non può separare il rispetto per la vita dalla giustizia sociale, «se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono»12. Il VII Incontro mondiale delle famiglie: La famiglia, il lavoro e la festa, che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012, ci permetterà di approfondire che non dobbiamo vivere per lavorare, ma vogliamo lavorare per vivere, per sperare, per amare! Siamo chiamati a vivere le relazioni nella famiglia, abitare il mondo nel lavoro, umanizzare il tempo nella festa. Dal lavoro all’Eucaristia: la presentazione dei doni La riflessione sul rapporto che esiste tra l’Eucaristia e il lavoro non può non partire dalla benedizione per la presentazione dei doni nella celebrazione eucaristica: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (questo vino), frutto della terra (della vite) e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna»13. Al vino si unisce un po’ d’acqua per esprimere «la nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana»14. 7 cfr Leone XIII, Lettera enciclica Rerum novarum, 15 maggio 1891, nn. 11 e 34. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, 14 settembre 1981, n. 10. 9 Idem, Lettera enciclica Centesimus annus, 1° maggio 1991, n. 39. 10 Caritas in veritate, n. 44. 11 Caritas in veritate, n. 15. 12 Caritas in veritate, n. 28. 13 Conferenza Episcopale Italiana, Messale Romano, Libreria Editrice Vaticana, 1983, pp. 308-309. 14 Messale Romano, p. 308. 8 3 Il pane e il vino, e l’acqua, sono presentati come frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo, perché attraverso la sua attività l’uomo prepara ciò che è indispensabile per celebrare l’Eucaristia: potremmo dire che se non ci fosse l’uomo che lavora non ci sarebbe l’Eucarestia. La Chiesa accoglie il lavoro come offerta, come collaborazione con Dio creatore e redentore, e lo “trasforma” nel Corpo del Signore perché ridia a ciascuno di noi vita e speranza certa. La liturgia canta la bellezza del lavoro umano, individuale e sociale, come partecipazione all’opera creativa e redentiva di Dio e prega per la santificazione del lavoro con parole stupende: «O Padre, che chiami gli uomini a cooperare, mediante il lavoro quotidiano, al disegno immenso della tua creazione, fa’ che nello sforzo comune di costruire un mondo più giusto e fraterno ogni uomo trovi un posto conveniente alla sua dignità, per attuare la propria vocazione e contribuire al progresso di tutti»15. In questa preghiera possiamo trovare gli elementi fondamentali del lavoro umano: cooperazione all’opera di Dio, fedeltà quotidiana, partecipazione comune, impegno di giustizia e fraternità fondato sulla dignità della persona umana, compimento della propria vocazione, contributo allo sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo. In tutta questa ricchezza di significati, il lavoro è assunto da Cristo uomo-Dio per essere consegnato al Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28). Eucaristia e lavoro: la fatica di ogni giorno Nell’Eucaristia, oltre alle gioie della preghiera e del nostro essere fratelli, portiamo all’altare «le fatiche di ogni giorno» e «ci disponiamo a offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente»16. I problemi che colpiscono il mondo del lavoro mi sembra siano generati da un semplice fatto: la società attuale non considera la persona umana che sta dietro ogni professione. «Il rapporto con il tempo, in cui si esplica l’attività del lavoro dell’uomo e il suo riposo, pone forti provocazioni al credente, condizionato dai vorticosi cambiamenti sociali e tentato da nuove forme di idolatria. Occorre pertanto chiedere che l’organizzazione del lavoro sia attenta ai tempi della famiglia e accompagnare le persone nelle fatiche quotidiane, consapevoli delle sfide che derivano dalla precarietà del lavoro, soprattutto giovanile, dalla disoccupazione, dalla difficoltà del reinserimento lavorativo in età adulta, dallo sfruttamento della manodopera dei minori, delle donne, degli immigrati. Anche se cambiano le modalità in cui si esprime il lavoro, non deve venir meno il rispetto dei diritti inalienabili del lavoratore: quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l’impegno dell’intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro»17. L’impresa (cooperativa, azienda) è un patto per la crescita del territorio. La disoccupazione può essere sconfitta solo se si creano posti di lavoro, solo se esistono cooperatori, imprenditori, che scommettono sulla dignità della persona umana e sul territorio per la riuscita della loro impresa, come si sforza di mostrare la Chiesa italiana attraverso il Progetto Policoro (evangelizzare, educare, esprimere impresa). I risultati del Progetto sono reperibili sul sito www.progettopolicoro.it. Nello storico incontro per il Giubileo mondiale dei lavoratori, Giovanni Paolo II – che ha conosciuto la fatica del lavoro operaio e che sarà beatificato proprio il 1° maggio – ci ha esortati a governare con saggezza la globalizzazione globalizzando la solidarietà «a favore del lavoro dignitoso»18. Benedetto XVI, facendo proprio tale auspicio, afferma che il lavoro dev’essere decente, cioè «in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a 15 Messale Romano, pp. 812-813. Messale Romano, p. 310. 17 Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): Testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo, 29 giugno 2007, n. 12. 18 Benedetto XVI, Discorso all’incontro con il mondo del lavoro, Tor Vergata, 1° maggio 2000. 16 4 livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa»19. Dall’Eucaristia al lavoro: il culto gradito a Dio È importante manifestare «Cristo agli altri prima di tutto con la testimonianza della propria vita»20, rifuggendo «sia lo spiritualismo intimista sia l’attivismo sociale»21. Accogliamo Gesù nell’Eucaristia per «imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale»22. «La nostra vera forza è dunque nutrirci della sua parola e del suo corpo, unirci alla sua offerta per noi, adorarlo presente nell’Eucaristia: prima di ogni attività e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l’adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire»23. La spiritualità cristiana «è lasciare che il Signore operi nella nostra vita quotidiana e la trasformi con la forza travolgente del suo amore»24. I nuovi Orientamenti pastorali ci ricordano: «Nel gesto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è condensata la vita intera di Gesù che si dona per amore, per dare pienezza di vita. Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: “prendete”, “mangiate”. L’insegnamento del Maestro trova compimento nel dono della sua esistenza: Gesù è la parola che illumina e il pane che nutre, è l’amore che educa e forma al dono della propria vita: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)»25. L’Eucaristia diviene così scuola di vita, perché «il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio, a imitazione di colui che nel suo sacrificio ha fatto della propria vita un dono al Padre e ai fratelli»26. Occorre ritornare ad annunciare il Vangelo, vivere in profondità il proprio rapporto con Gesù Eucaristia, come singoli e come comunità, e offrire «un’esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell’ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell’operare dei cristiani laici. Queste realtà sono destinatarie dell’amore di Dio»27. Eucaristia e lavoro: un cuore solo e un’anima sola Alcune considerazioni ci aiutano a riscoprire il fascino dell’esperienza comunitaria (la Chiesa primitiva) e personale (San Arcangelo Tadini) con Gesù Eucaristia e la bellezza della testimonianza quotidiana (lavoro e festa). - Nella Chiesa primitiva la fede e la vita erano strettamente congiunti, come si evince da quanto scrive san Luca: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,32-35). Questi testi sono liquidati da alcuni come una situazione passata, forse nemmeno realizzata. Penso invece che essi esprimano la ricchezza della comunità cristiana, che a partire dal giorno di Pentecoste a Gerusalemme riesce a intrecciare con fedeltà evangelica profezia e storia, vita presente e vita futura. I testi sono descrizione del passato, ma anche profezia di ciò che le nostre comunità potrebbero essere – e che senz’altro saranno nel regno di Dio – se vivessero il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Che poi «non ci 19 Caritas in veritate, n. 63. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 31. 21 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 545. 22 Paolo VI, Udienza generale, 24 maggio 1967. 23 Benedetto XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006. 24 Rigenerati per una speranza viva, n. 5. 25 Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010, n. 18. 26 Idem, Nota pastorale Il Giorno del Signore, 15 luglio 1984, n. 12. 27 Compendio, n. 543. 20 5 siano bisognosi non è l’esito di un progetto politico-economico, e neanche l’obiettivo di una strategia di giustizia sociale, bensì il frutto di un’esistenza che, animata dal Risorto e convocata dalla sua Parola, si edifica nella comunione»28. - - Sant’Arcangelo Tadini ci offre un esempio di come a partire dall’Eucaristia sia possibile vivere il lavoro, con tutti i suoi problemi anche gravi, come occasione di amore verso Dio e il prossimo. Tadini, nato il 12 ottobre 1846 a Verolanuova (Brescia), sostava per lunghe ore in preghiera davanti all’Eucaristia e «avendo sempre di vista nel suo ministero pastorale la persona umana nella sua totalità, aiutava i suoi parrocchiani a crescere umanamente e spiritualmente. Questo santo sacerdote, uomo tutto di Dio, pronto in ogni circostanza a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, era allo stesso tempo disponibile a cogliere le urgenze del momento e a trovarvi rimedio»29. Nel 1900 fondò le “Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth”, con il compito di educare le giovani lavorando con loro. Devoto dell’Eucaristia e di Maria, uomo di profonda preghiera, fu apostolo instancabile del mondo del lavoro, al quale additò come modello Gesù lavoratore a Nazareth. Morì a Botticino Sera il 20 maggio 1912. «Quanto profetica fu l’intuizione carismatica di Don Tadini e quanto attuale resta il suo esempio anche oggi, in un’epoca di grave crisi economica! Egli ci ricorda che solo coltivando un costante e profondo rapporto con il Signore, specialmente nel Sacramento dell’Eucaristia, possiamo poi essere in grado di recare il fermento del Vangelo nelle varie attività lavorative e in ogni ambito della nostra società»30. Secondo la prospettiva cristiana, nel rapporto tra lavoro e festa «non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto la festa, evento della gratuità e del dono, a “risuscitare” il lavoro a servizio dell’edificazione della comunità, aiutando a sviluppare una giusta visione creaturale ed escatologica. La qualità delle nostre celebrazioni è fattore decisivo per acquisire tale coscienza. Occorre poi fare attenzione alla crescita indiscriminata del lavoro festivo e favorire una maggiore conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli dedicati alle relazioni umane e familiari, perché l’autentico benessere non è assicurato solo da un tenore di vita dignitoso, ma anche da una buona qualità dei rapporti interpersonali. In questo quadro, grande giovamento potrà venire da un adeguato approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, sia potenziando la formazione capillare sia proponendo stili di vita, personali e sociali, coerenti con essa»31. Per favorire quanto su accennato, abbiamo sempre bisogno di una liturgia «seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini»32. Ogni assemblea cristiana, «sacramento della presenza di Cristo nel mondo, deve saper esprimere in se stessa la verità del suo “segno”: nell’amabilità dell’accoglienza che sa fare unità fra tutti i presenti; nell’intensità della preghiera che sa aprire alla comunione con tutti i fratelli nella fede, anche lontani; nella generosità della carità che sa farsi carico delle necessità di tutti i poveri e dei bisognosi, il cui grido la raggiunge da ogni parte della terra; nella varietà dei ministeri, infine, che sa esprimere tutta la ricchezza dei doni che lo Spirito effonde nella sua Chiesa e i diversi compiti che la comunità affida ai suoi membri»33. Per concludere San Giuseppe, la Vergine Maria e il Bambino Gesù ci aiutino a «portare Cristo alle famiglie, piccole chiese domestiche e cellule della società, oggi più che mai bisognose di fiducia e di sostegno sia sul piano spirituale che su quello sociale», a «far sì che Cristo sia incontrato dai giovani», ci «renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile»34. 28 Giuseppe Betori, Annunciare la Parola, EDB 2010, p. 161. Benedetto XVI, Omelia, 26 aprile 2009. 30 Ivi. 31 Rigenerati per una speranza viva, n. 12. 32 Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 29 giugno 2001, n. 49. 33 Il Giorno del Signore, n. 9. 34 Benedetto XVI, Omelia della concelebrazione eucaristica al santuario di Nostra Signora di Bonaria, Cagliari, 7 settembre 2008. 29 6 Viviamo il nostro impegno quotidiano seguendo lo stile del nostro Maestro, che ci invita a imparare da lui, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), e ci manda nel mondo «come pecore in mezzo a lupi» (Mt 10,16) nella consapevolezza che «finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza»35. Il Signore Gesù aiuti tutti noi, insieme, a realizzare la sua opera: donare Dio al mondo nella carità e nella verità e vivere bene la nostra fede ogni giorno perché i tempi siano migliori. don Angelo Casile* Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per i problemi sociali e il lavoro 35 San Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo, 33,1.2. * Mons. Angelo Casile è sacerdote della diocesi di Reggio Calabria - Bova, licenziato in teologia con specializzazione in catechetica. Negli anni 1999-2000 è stato collaboratore di Mons. Mario Operti presso l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Segreteria generale della Conferenza Episcopale Italiana. Dal 2001 al 2008 è stato segretario particolare di S.E. Mons. Giuseppe Betori, segretario generale della CEI. Attualmente è direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro. È autore di: Il nuovo all’orizzonte. Intuizioni e prospettive del Progetto Policoro, Editrice Monti, Saronno 2003; La carità al centro. Dottrina sociale della Chiesa: storia, annuncio, percorsi, Tau Editrice, Todi 2011. 7