Consiglio di Stato, sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1517

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Consiglio di Stato, sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1517
Consiglio di Stato, sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1517
Edilizia e urbanistica - Esecuzione opere abusive - Norme sanzionatorie riferite non all’autore
ma al responsabile dell’abuso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5816 del 2013, proposto dal signor Giorgio Torresan,
rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Malvestio e Luigi Manzi, con domicilio eletto
presso il secondo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
contro
Comune di Venezia, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicolo' Paoletti, Maurizio Ballarin,
Giulio Gidoni e Antonio Iannotta, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Barnaba
Tortolini 34;
nei confronti di
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti -Magistrato alle Acque - Ispettorato Generale
Laguna di Venezia, Murano e Grado, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale
dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE II, n.
00222/2013, resa tra le parti, concernente
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia, nonché del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti -Magistrato alle Acque - Ispettorato Generale Laguna di Venezia,
Murano e Grado;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi
per le parti gli avvocati Reggio d'Aci per delega dell’avv. Manzi, Paoletti e l’avvocato dello Stato
Meloncelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. II, n. 222/13 del
15.2.2013 (che non risulta notificata) è stato respinto il ricorso proposto dal signor Giorgio
Torresan avverso un ordine di demolizione per opere abusivamente eseguite in area
demaniale. Nella citata sentenza si sottolineava come il provvedimento dovesse ritenersi
legittimamente emesso, per opere non coperte da istanza di condono, eseguite in assenza di
titolo e di autorizzazione paesaggistica, con riconosciuta legittimazione passiva del ricorrente,
in quanto utilizzatore dell’immobile.
Avverso la predetta sentenza è stato presentato l’atto di appello in esame (n. 5816/13,
notificato il 19.7.2013), in base alla ricostruzione dei fatti ed alle ragioni di diritto di seguito
sintetizzate.
Il citato signor Torresan riferisce di essere titolare di autorizzazione n. 460/2012 per l’uso
“dell’attrezzo da pesca denominato bilancione o bilancia grande”, nonché di concessione
lagunare n. 2516/2007, per l’occupazione di “una zona acquea lagunare con bilancione da
pesca e relativo capanno in legno per ricovero attrezzi”; le strutture attualmente utilizzate
sarrebbero state realizzate nel 1982 dal signor Italo Marchiori, presentatore al riguardo al
Comune di Venezia di istanza di sanatoria n. prot. 35982 del 27.3.1987 ed al Magistrato delle
Acque di istanza di concessione lagunare in sanatoria, in entrambi i casi con procedimento
ancora in corso.
In tale contesto venivano prospettati i seguenti motivi di gravame:
1) violazione dell’art. 38 della legge n. 47/1985, non potendo essere emessi provvedimenti
repressivi in pendenza della procedura di condono edilizio per le opere sanzionate, la cui
preesistenza risulterebbe chiaramente dalla documentazione fotografica allegata all’istanza di
condono;
2) violazione dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per travisamento dei fatti,
non potendo le misure adottate avere un destinatario diverso dal responsabile dell’abuso.
Il Comune di Venezia, costituitosi in giudizio, contestava in fatto le affermazioni dell’appellante,
in quanto le installazioni di cui trattasi sarebbero state oggetto di ampliamento, con posa in
opera anche di ulteriori palificazioni, come avrebbe riconosciuto lo stesso attuale appellante
durante il sopralluogo effettuato dai carabinieri. In una successiva memoria, inoltre, il
medesimo Comune illustrava in dettaglio e documentava la non coincidenza delle opere
sanzionate con quelle oggetto di istanza di condono.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.
Come in precedenza esposto, infatti, l’appellante fonda le proprie ragioni difensive su un
duplice ordine di ragioni: la pendenza, anche con riferimento alle opere contestate, di
procedura di condono non ancora conclusa e la propria estraneità alla realizzazione dell’abuso.
Il
Comune di
Venezia, tuttavia, ha depositato puntuale documentazione (verbale di
accertamento contravvenzionale, redatto dal competente servizio ispettivo ed elaborato grafico
allegato), in cui si evidenzia la presenza delle seguenti opere, nel citato verbale più
dettagliatamente descritte, che non sarebbero riconducibili all’istanza di condono:
1) pontile in assi di legno, collegato alla piattaforma mediante una scaletta;
2) tettoia con struttura portante in legno, rivestito in cannucciato posta sulla piattaforma;
3) menufatto in legno di mq. 1.80 , h. 2.10 ad uso WC con scarico in laguna, collegato al
bilancione tramite una passerella;
4) sistema di palificazioni infisse nel sottofondo lagunare;
5) installazione di 4 pali in ferro sui margini del canale, a sostegno della rete da pesca.
Risulta altresì attestato dal tecnico verificatore che le opere, di cui ai precedenti punti 1, 2 e 5
sarebbero state realizzate antecedentemente al 1987 e risulterebbero in effetti presenti nella
documentazione fotografica, allegata alla domanda di condono, ma senza essere comprese
nella domanda stessa, mentre – per dichiarazione dello stesso concessionario – il manufatto di
cui al punto 3 sarebbe stato realizzato nel 2007, previa demolizione di altro precedente e la
palificazione di cui al punto n. 4 risulterebbe realizzata fra il 2000 e il 2001.
A fronte di tale dettagliata ricostruzione, l’appellante si limita a sostenere che tutte le opere in
precedenza descritte sarebbero oggetto della procedura di sanatoria non ancora conclusa e
comunque dallo stesso non realizzate.
Tali argomentazioni risultano eccessivamente generiche e non suffragate da alcun principio di
prova.
L’istanza di condono prodotta risulta, infatti, corredata di documentazione fotografica poco
leggibile, nonché fondata sulla seguente, sintetica descrizione delle opere da condonare: “Il
manufatto è composto da due locali delle dimensioni di mt. 4 x 4 e 2.10 x 5, con annessa una
baracchetta per il motore di mt. 2 x 2 e un pontile scoperto per l’attracco e il lavoro”.
La descrizione sopra riportata non si estende, dunque, alla tettoia ed al servizio igienico,
nonché alla passerella di collegamento fra quest’ultimo e la restante piattaforma, né
l’appellante fornisce alcuna delucidazione sulle modalità di calcolo dell’oblazione, il cui importo
complessivo non costituisce adeguato termine di raffronto, per poter concludere che
all’incompletezza della relazione corrispondesse il reale intento di condonare tutte le
realizzazioni, visibili nelle fotografie allegate all’istanza.
Non può d’altra parte non richiamarsi, in tale contesto, la vigenza anche nel processo
amministrativo (art. 64 comma 1 c.p.a.) del principio di cui all’art. 2697 cod. civ., in base al
quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti posti a fondamento della propria
pretesa, anche se – per la disuguaglianza di posizioni fra Amministrazione e privati cittadini –
si applica a detto processo il cosiddetto metodo acquisitivo, che consente al Giudice di
integrare allegazioni probatorie anche parziali, senza mai però sostituirsi al diretto interessato,
che deve comunque fornire qualche elemento di riscontro su vizi appresi anche in modo
indiretto, o desunti dalla documentazione interna acquisita a seguito di accesso agli atti, in
nessun caso tuttavia risultando ammissibili censure del tutto generiche, come quelle espresse
nel caso di specie (sull’esigenza di un principio di prova – da porre a base del processo
amministrativo prima in base agli articoli 112 e 115 del codice di procedura civile, applicabile in
via integrativa a tale processo, in combinato disposto con gli articoli 21 L. n. 1034/71 e 44 T.U.
26.6.1924, n. 1054 ed oggi ex art. 40, punto c del nuovo codice del processo, approvato con
d.lgs. n. 104/2010 – cfr. anche Cons. St., sez. IV, 27.7.2010, n. 4915 e 14.11.97, n.1279;
Cons. St., sez. V, 10.11.2010, n. 8006 e 22.11.91, n. 1323; Cons. St., sez. VI, 10.5.90, n. 515
e 3.2.92, n. 61; nonché, da ultimo, Cons. St., sez. VI, 2.2.2012, n. 586 e 9.7.2012, n. 4006;
Cons. St., sez. V, 17.9.2012, n. 4919).
Nella situazione in esame, si ritiene che l’interessato avesse titolo per verificare la
documentazione – ove più completa e leggibile – in possesso dell’Amministrazione, o potesse
fornire documentazione asseverata da un tecnico di propria fiducia, circa la reale consistenza
delle opere soggette a procedura di condono, anche in rapporto all’entità dell’oblazione a suo
tempo versata.
Al tempo stesso, avrebbero potuto essere ricercate informazioni, circa gli interventi
sopravvenuti segnalati dall’Amministrazione, ove si fosse inteso confutarne la realizzazione.
Detti interventi – come segnalato dal tecnico comunale – sarebbero peraltro astrattamente
sanabili, in presenza di un condono di cui sembra preannunciato il rilascio (tenuto conto del
parere favorevole versato in atti), mentre non si ravvisano le ragioni della relativa
ricomprensione nell’oggetto del condono stesso, solo sulla base delle generiche affermazioni
difensive in precedenza illustrate.
Ugualmente infondata risulta l’ulteriore censura, riferita all’assenza di responsabilità del
medesimo appellante per la realizzazione degli abusi edilizi contestati. Le norme sanzionatorie
si riferiscono, infatti, non all’” autore”, ma al “responsabile” dell’abuso, tale dovendo intendersi
non solo lo stesso esecutore materiale, ma anche il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo
per disporne, al momento dell’emissione della misura repressiva (e quindi, per quanto qui
interessa, il concessionario, per opere eseguite su suolo demaniale); quanto sopra, essendo
l’Amministrazione tenuta a sanzionare in qualsiasi momento l’esecuzione di opere senza titolo,
che hanno carattere di illecito permanente, a cui sul piano urbanistico-edilizio (non anche sotto
il profilo della responsabilità penale) corrisponde un’esigenza di rimessa in pristino, da far
valere appunto nei confronti dei soggetti che abbiano la proprietà o comunque la disponibilità
del bene, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi, nei confronti degli esecutori
materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi (cfr. anche, per il principio, Cons.
St., sez. V, 8.6.1994, n. 614 e Consiglio Giust. Amm. Sic. 29.7.1992, n. 229).
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto.
Quanto alle spese giudiziali, tuttavia, ne appare equa la compensazione, tenuto conto della
risalenza nel tempo degli interventi effettuati e delle peculiarità della vicenda contenziosa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando,
respinge l’appello; compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.