Lavoratori senior in azienda: un patrimonio da valorizzare - Cc-Ti

Transcript

Lavoratori senior in azienda: un patrimonio da valorizzare - Cc-Ti
nr. 10 / Dic. 2013
Lavoratori senior in azienda:
un patrimonio da valorizzare
ac-werbung.ch
Strategie d‘avanguardia esigono collaboratori
d‘avanguardia
La strategia di un‘azienda non sarà mai migliore delle
persone incaricate di metterla in atto. Per valutare
correttamente le competenze professionali e personali, sono necessari un elevato grado di esperienza,
sensibilità e capacità di giudizio.
Oltre a questi requisiti, le consulenti di Luisoni vantano approfondite conoscenze dei vari settori, ruoli
e livelli gerarchici. Da oltre 20 anni i nostri clienti si
affidano a questa competenza completa ed esaustiva per garantirsi una selezione intelligente e mirata
del personale.
www.luisoni.ch
L u g a n o · Z u r i g o · S a n G a l l o · Va d u z · B a s i l e a · B e r n a · G i n e v r a · L o s a n n a
Sommario
10
12
13
14
44
53
Dicembre 2013
Strong opinion
Editoriale
Contromano
Il Tema
Ospite
Ospite
Ospite
4
5
6
8
10
12
13
Ospite
Biblioteca liberale
Sì al risanamento S. Gottardo
Attualità
14
16
17
18
Attualità
Attualità
Attualità
Attualità
Attualità
Attualità
Formazione
Eventi
Eventi
Eventi
Eventi
Switzerland Global Enterprise
Commercio estero
Fiere internazionali
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
Vita dei Soci
19
20
21
22
24
25
26
27
30
32
33
35
39
40
42
44
46
47
48
49
50
52
53
nr. 10 / Dic. 2013
Vittoria della ragione
Fra diritti popolari e instabilità
Le riforme fiscali di cui il Ticino ha bisogno
Lavoratori anziani: un patrimonio da valorizzare
Un concetto di pensionamento flessibile, verso la riforma del sistema pensionistico 2020
Un collaboratore anziano è una risorsa per l’azienda, non un costo
Un senior è un valore inestimabile per l’esperienza,
ma… le PMI non richiedono profili di over 55enni
Per le nuove generazioni occorrerà ripensare il sistema pensionistico
Per l’euro un terribile gioco dell’oca
Evitiamo un’alternativa pasticciata e precaria!
Non smarriamo la via maestra, miglioriamo il nostro sistema economico:
considerazioni dopo il NO all’iniziativa 1:12
La penuria di alloggi non è una fatalità
I fattori di successo del lavoro flessibile
Fiscalità nazionale e cantonale, competitività e proposte di riforme
L’ingegneria, la formazione professionale e universitaria e l’avvenire
“Reinventare” opportunità per l’industria manifatturiera in Svizzera
Arcobaleno: il trasporto pubblico in un’app
Ma si può davvero imparare a comunicare meglio?
Save the date - La giornata dell’export 2014: febbraio 2014
Soluzioni alla mobilità aziendale
Agiamo insieme!
Le opportunità date dall’accordo di libero scambio con la Cina
Novità sul commercio estero
Accordi di libero scambio: strumento indispensabile per l’economia Svizzera
I prossimi appuntamenti
Fontana Sotheby ‘s International Realty
Business Lab Boutique Sagl
COOP Regione Ostschweiz-Ticino
Luisoni Consulenze SA
Cippà Trasporti SA
ARGOR-HERAEUS SA
Famax Tech Sagl
Gruppo Sicurezza SA
F&B Trading
Impressum
Editore:
Camera di commercio, dell’industria,
dell’artigianato e dei servizi
del Cantone Ticino, Lugano
Redattrice responsabile:
Lisa Pantini
Comitato redazionale:
Franco Ambrosetti, Luca Albertoni,
Lisa Pantini, Mercedes Galan,
Gianluca Pagani e Stefania Micheletti
Lavoratori senior in azienda:
un patrimonio da valorizzare
nr. 10 / Dic. 2013
Foto di copertina:
© iStockphoto.com/travellinglight
Redazione:
Cc-Ti, Corso Elvezia 16, 6900 Lugano
Tel. +41 91 911 51 11
Fax +41 91 911 51 12
[email protected]
Pubblicità:
Pubblicità Sacchi, C.P. 558
6928 Manno
Tel. +41 91 600 20 70
[email protected]
www.pubblicitasacchi.ch
Stampa:
TBS, La Buona Stampa sa
via Fola 11, Pregassona (Lugano)
Diffusione:
Tiratura: 2’500 copie
Abbonamento gratuito per i soci Cc-Ti
Abbonamento supplementare:
- CHF 50.- annuo
- per i non soci CHF 70.- annuo (+ IVA)
Frequenza: Ticino Business è
pubblicato in 10 numeri annuali
Strong Opinion
di Franco Ambrosetti, Presidente della Cc-Ti
VITTORIA DELLA RAGIONE
È andata bene. Questa volta il popolo ha bocciato con
ampio margine l’iniziativa 1-12 ponendo un primo importante ostacolo alla marcia forzata verso la neutralizzazione
dell’economia di mercato ad opera di una parte consistente
della sinistra svizzera.
Ma era solo il primo di una serie di passi per la difesa dei
diritti liberali contenuti nella Costituzione che sancisce la
libertà economica e quella sindacale.
Purtroppo la strada è ancora lunga per mantenere quell’equilibrio fra liberalismo e socialità tipicamente svizzero che
ha reso questo Paese uno dei più benestanti e stabili tra
le democrazie occidentali benché oggi sotto accusa per
essersi venduto, così la sinistra, al neoliberalismo. In un
recente articolo, il Presidente Leverat (PSS), sviluppa una
tesi interessante volta a dimostrare come la crisi tutt’ora
in atto sia figlia delle teorie neoliberiste degli anni ‘70,
oggi a suo dire, più attuali che mai. Forse non ricorda che
prima degli anni ‘70 i Paesi occidentali erano sprofondati
in una fase economica recessiva chiamata stagflazione,
un neologismo coniato per indicare livelli di inflazione inquietanti collegati a stagnazione economica cioè zero crescita. L’erronea, ottusa e ideologica interpretazione delle
teorie keynesiane nell’uso della spesa pubblica, applicata
a problemi strutturali (quindi di lungo periodo) e non congiunturali per cui era stata concepita, provocò un aumento spropositato dell’intervenzionismo statale che ridusse
al lumicino economia privata, mercato e concorrenza. Il
troppo Stato fermò l’economia gelando la crescita mentre
pericolosi automatismi tipo scala mobile creavano una spirale inflazionistica inarrestabile. Il tanto vituperato neoliberismo fu la reazione inevitabile a quel disastro che negli
anni ‘60 mise per strada milioni di disoccupati creando
povertà e ingiustizia. La medicina furono le privatizzazioni e le liberalizzazioni che rimisero in sesto la macchina
economica. I responsabili, Reagan e Thatcher sono ancora
oggi considerati dalla sinistra causa di tutti i mali che
secondo loro ci affliggono.
Detto questo la sua proposta concreta è quella di una maggior
democratizzazione delle grandi aziende per esempio introducendo modelli di cogestione come in Germania e Austria, partendo dal principio che dal diritto alla proprietà privata non
deriva necessariamente il diritto al possesso di conglomerati
multinazionali divenuti vere e proprie istituzioni non controllabili democraticamente e in mano a un ristretto gruppo di
manager con enorme potere su milioni di persone. Democratizzare significa decentralizzare, dare voce agli stakeholder
(fornitori, dipendenti, ecc. ), scopo ultimo la riduzione delle
diseguaglianze e maggior pari opportunità per tutti. È alla
riduzione delle disparità sociali che mirava l’iniziativa 1-12 e
che verranno del salario minimo e della reintroduzione della
tassa di successione. Questo in sintesi il Leverat pensiero di
cui spero di aver rispettato lo spirito.
4 Ticino Business
Gli argomenti, svolti in modo ineccepibile sono il frutto di
una visione pragmatica e di sinistra del mondo economico
che va quindi cambiato. Come Marx sostiene che la filosofia non deve interpretare il mondo ma cambiarlo. Nel
progetto di democratizzazione dell’impresa, seppur accattivante, si intravede il principio della collettivizzazione. È il
conflitto tra individuo, l’ordine spontaneo da una parte e il
collettivismo con l’ordine imposto dall’altra. Pur con tutta
la comprensione per le diseguaglianze amplificate dalla
crisi, non mi pare si viva in uno Stato in cui la socialità
sia trascurata, dove la povertà, l’ingiustizia, l’ineguaglianza
siano neglette o peggio ignorate. La ricchezza prodotta
quest’anno con un 2% di crescita del PIL è di buon auspicio per gli istituti sociali. La disoccupazione, la più bassa in
Europa, diminuirà ulteriormente. Non c’è inflazione. E così
via. Siamo sicuri che parliamo dello stesso Paese? Perché
se la risposta è sì allora qualche perplessità ce l’avrei. In un
economia in cui lo Stato ha una quota misurata al PIL del
50%, parlare di libero mercato e neoliberalismo è comico.
In Svizzera c’è mezza economia di mercato. L’altra metà
è lo Stato che ci educa alla scelta del “giusto” mezzo di
trasporto rincarando il traffico individuale per finanziare
quello pubblico, ci indica quale sia l’energia giusta per
noi e i nostri figli, controlla praticamente tutti i media
elettronici del Paese, ci consiglia in materia alimentare per
non pesare sulla sanità pubblica e quant’altro. Si chiama
paternalismo statale e la differenza con il socialismo non
la vedo. Il socialismo promette giustizia, equità, eguaglianza, ti libera dal rischi, ti coccola facendoti da protettore
premuroso purché tu accetti limitazioni delle libertà individuali e la confisca dei tuoi beni.
Cos’è l’iniziativa per reintrodurre a livello federale la tassa
di successione se non un’espropriazione? Cos’è l’iniziativa
sul salario minimo di 4’000.- per tutti se non una limitazione della libertà individuale di contrattazione?
Quando il mercato sbaglia, è sempre colpa del sistema e
bisogna cambiare.
Quando sbaglia lo Stato? Non ha importanza, è stata uni
incresciosa fatalità, non succederà più.
I contrasti tra democrazia e capitalismo, tra Stato e mercato, tra politica ed economia si concretizzano nel conflitto fra individualismo e collettivismo. Bisogna conviverci.
Siamo guidati da uomini e gli uomini sbagliano. Che siano
manager privati o governanti, politici e burocrati statali poco importa. Non c’è ragione alcuna perché gli uomini dello
Stato siano più avveduti, più dotti, meno fallibili dei privati:
sono solo più numerosi, hanno responsabilità collettive,
deleghe imprecise e non hanno concorrenza.
Il mercato non applica misure coercitive. Non potrebbe
abolire la democrazia usando metodi democratici. Lo Stato, come ci insegna la storia, invece può.
Editoriale
di Luca Albertoni, Direttore della Cc-Ti
FRA DIRITTI POPOLARI E INSTABILITÀ
La difficile campagna di votazione sull’iniziativa
1:12 è appena terminata e già parte la successiva
che il 9 febbraio 2014 metterà sul tavolo due argomenti importanti come quello del finanziamento
dell’infrastruttura ferroviaria e l’iniziativa dell’UDC
sull’immigrazione di massa.
Sul primo questa volta non sembra esservi il rischio
delle solite guerre di religione sulla contrapposizione fra strada e ferrovia, il che è già buona cosa.
Sul secondo tornerà invece sul tavolo la questione
dei rapporti fra Svizzera e Unione Europea, visto
che in caso di accettazione dell’iniziativa è possibile
che venga rimesso in discussione l’Accordo sulla
libera circolazione delle persone e quindi tutto il
pacchetto dei bilaterali.
Ma al di là delle posizioni sui singoli oggetti in votazione, è legittimo chiedersi se così tante consultazioni ravvicinate su argomenti fondamentali per il
nostro Paese non siano troppe. Argomento non nuovo ma molto impopolare perché sfiora il tema della
limitazione dei diritti popolari e il popolo, nessuno
lo nega, da noi ha sempre ragione (o perlomeno ha
sempre l’ultima parola). Eppure è giusto discuterne, non tanto nell’ottica di una riduzione dei diritti
del cittadino, ma ad esempio riflettendo sull’utilizzo che viene fatto delle iniziative popolari a livello
politico. Se esse fino a qualche tempo fa servivano
da utilissimo strumento di pressione per arrivare a
proposte concertate fra le varie forze, ultimamente,
grazie o a causa del successo popolare di alcune di
queste iniziative, sono sempre più spesso utilizzate come strumento di marketing politico-partitico e
più raramente ritirate nel caso di presentazione di
un controprogetto. Tutto legittimo e a volte utile,
per carità.
elvetico, cioè quello della stabilità istituzionale, politica e giuridica. Una stabilità messa a dura prova
negli ultimi mesi da diversi oggetti accettati dal
popolo, come la limitazione delle residenze secondarie, l’accettazione dell’iniziativa Minder e la
revisione della legge federale sulla pianificazione
territoriale. Non è purtroppo un caso che proprio
questi argomenti siano estremamente complessi
da concretizzare nelle relative ordinanze d’applicazione, creando incertezze giuridiche degne di altre
realtà che usano disinvoltamente strumenti inaccettabili come quello della retroattività.
Non si tratta pertanto di escludere il popolo da decisioni importanti, anzi. Piuttosto è necessario che la
politica prenda coscienza del fatto che il sacrosanto dibattito democratico probabilmente ha anche
qualche limite e che un uso disinvolto di determinati
strumenti, come quello straordinario dell’iniziativa
popolare, può avere effetti contrari a quelli ricercati. Non a caso nel contesto internazionale ci si
interroga sempre di più su cosa spinga la Svizzera
a voler rimettere sistematicamente in discussione
una struttura che funziona, trasmettendo l’immagine di un’inusuale instabilità che purtroppo ha già
effetti negativi sul potere d’attrazione della piazza
economica elvetica.
Vi è una perniciosa confusione tra le normali esigenze di adattamento e le spinte rivoluzionarie
(apertamente dichiarate come programma politico
dei giovani socialisti svizzeri) e vi intercorre una
notevole differenza. Chi non la coglie non punisce
solo i presunti colpevoli di ipotetici problemi, ma fa
soffrire tutto il Paese.
Ma è innegabile che vi sia un effetto di incertezza
latente che stride con uno dei pilastri del sistema
5
Per visualizzare la versione completa è necessario essere soci ed effettuare il login Per richiedere l’affiliazione cliccare qui per effettuare il login e visualizzare la rivista per intero cliccare qui Grazie dallo staff della Cc-­‐Ti