Lui, lei e il tramvai - MUST Museo del territorio vimercatese

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Lui, lei e il tramvai - MUST Museo del territorio vimercatese
CONCORSO LETTERARIO
RACCONTI D'ESTATE 2015
VINCITORE SEZIONE 15-19 ANNI
Lui, lei e il Tramvai
di Giorgio Ravanelli
L’Angela prendeva il primo tram ogni mattina all’incirca alle sei, tranne la domenica quando andava
a messa con la zia Antonia e prendeva il secondo.
Quella domenica il prevosto aveva tirato alla lunga la predica. La zia Antonia ovviamente non s’era
accorta dei tre quarti d’ora di predica su adulterio e cose varie, per il semplice motivo che si era
tranquillamente abbioccata durante l’omelia, come faceva sempre.
Il lungo monologo del prete causò l’arrivo dell’Angela in ritardo in piazza Marconi, dove perse il
tram. Mentre sacramentava aspettando il successivo, pensò alle ore di lavoro in più che avrebbe
dovuto fare quella sera per recuperare il ritardo; solitamente tornava alle otto ma quella domenica
non avrebbe fatto ritorno prima delle dieci.
Per tutto il paese la domenica era un giorno di festa, centinaia di persone si riversavano sulle
strade e stradine del paese dirette verso la chiesa della Madonna per assistere alla consueta
funzione festiva. Per l’Angela la domenica era solo un altro giorno di lavoro, ovviamente, non
retribuito o minimamente. Aveva sedici anni, di cui gli ultimi due trascorsi a ricamare capi di alta
moda in una boutique a Milano, nei pressi di Benedetto Marcello.
Anche quella domenica l’Eugenio si alzò per andare a prendere il tram verso Benedetto Marcello
dove lavorava come “prestinè” in un forno locale. Quella mattina però si sarebbe recato al forno
dopo, su ordine del mastro fornaio. Avrebbe quindi preso il terzo tram.
L’Eugenio arrivò alla stazione verso le sette.
Mancava più di mezz’ora all’arrivo del mezzo. Decise quindi di appoggiare la schiena al muro della
stazione e di improvvisare un pisolino su due piedi. In quel momento arrivò una bella ragazza alta,
magra e con un bel visino che si sedette, sacramentando tra sé e sé, su una panchina vicino a lui.
L’A.T.M. aveva già preso in gestione da una trentina d’anni i tram della linea Vimercate - Milano
che aveva acquisito dalla S.T.E.L. nel 1939. Di fatto i treni, che precedentemente erano rivestiti da
una colorazione verde, ora avevano la classica gialla delle linee ATM.
Ma il colore non era l’unica cosa che era cambiata: la S.T.E.L. faceva pagare i biglietti per la prima
classe a un prezzo molto più basso rispetto all’ATM e, di conseguenza, ora l’Eugenio si vedeva
costretto a scegliere la seconda classe, la stessa di Angela.
Intorno alle sette e trenta l’Angela sentì lo sferragliare delle carrozze che si avvicinavano alla
stazione. In quel momento vide il giovanotto alla sua destra svegliarsi di colpo. Tra una
maledizione e l’altra, non lo aveva ancora notato. Questi, appena arrivò il tram, trasalì e corse
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sull’ultima carrozza. “Sal cur a fa’? Tant ghe su nisun” pensò l’Angela.
Una volta sul mezzo, l’Eugenio si accorse che tutta quella “pressa” non era servita a niente, il
convoglio era vuoto se non per un vecchio che puzzava ancora del litro e mezzo di vino rosso che
s’era tracannato la sera prima alla Casa del popolo.
Due secondi dopo però era salita la ragazza della panchina e si era seduta all’inizio del vagone.
I vagoni gialli dell'ATM non erano riscaldati e i sedili erano di legno e ferro, la temperatura
invernale all’interno del convoglio scendeva sotto lo zero tanto che a momenti sui vagoni si
formavano stalattiti di ghiaccio. Quella mattina si poteva vantare una temperatura interna che
oscillava attorno ai cinque gradi. Era proprio per il mancato riscaldamento e per la stabilità precaria
dei posti a sedere, che l’Angela era solita chiamare il tram, scatoletta di tonno elettrica.
Appena seduta non avvertì subito freddo, forse ancora riscaldata dall’irritazione che le aveva
provocato il prevosto ma, mentre la vettura passava accanto al linificio Vimercatese, le arrivò un
vento gelido alle spalle. Girandosi vide che quell’ubriacone, forse ancora ciuco, aveva aperto il
finestrino. Non osò contestarlo, sapeva che i più anziani erano pienamente liberi di fare quello che
volevano, senza render conto a nessuno, men che meno a una ragazzina di sedici anni.
Fu in quel momento che l’Eugenio si alzò con spirito cavalleresco, pronto a chiudere il finestrino,
evitando l’ibernazione della ragazza per la quale durante il tragitto piazza Marconi – linificio s’era
già preso una cotta. Quel gesto da giovane gentiluomo lo aveva condannato ad una serie di insulti
e minacce da parte dell’ubriacone che, non appena aprì bocca, liberò una serie di singhiozzi e di
odori che ricordavano vagamente il mosto del vino andato a male.
L’Angela non s’era accorta delle intenzioni di quel gesto, si era subito rigirata e aveva
rincominciato a pensare alle conseguenze del suo ritardo. Continuando a sacramentare tra sé e sé
vagliò tutte le possibili disgrazie che potevano accadere nel tragitto Vimercate-Milano che
avrebbero causato un ulteriore ritardo. Una tra queste però aveva già causato ritardi anche di
alcune ore: dal momento che il tram passava a soli venti centimetri da una chiesa a Cologno era
possibile che una suora, di tanto in tanto, si andasse a ficcare sotto le ruote del tram.
Incrociò le dita e cominciò a pregare per tutti i santi che aveva richiamato dal cielo dieci minuti
prima in preda all’attacco d’ira.
Fu in quel momento che l’Angela cominciò a tremare dal freddo e, in quello stesso momento,
l’Eugenio si fece coraggio e si avvicinò alla bella ragazza appoggiandole sulle spalle la sua
giacchetta. Se prima di quel momento l’Angela non lo aveva neanche guardato adesso cominciava
ad accorgersi della sua presenza.
Era un omino semplice: bassettino, circa un metro e sessanta, magro con una faccia da “brau
bagai”. L’Angela lo squadrò per un minuto bello e buono.
L’Eugenio, dal momento che la ragazza lo continuava a guardare, aveva deciso di suo spontanea
volontà di sedersi vicino a lei.
L’Angelina terminò l’esame radiologico e improvvisò una presentazione “Né, io sono Angela, tu?”.
L’Eugenio rispose farfugliando il suo nome, forse perché ancora in preda agli effetti del colpo di
fulmine.
Lei era diventata sempre più curiosa della personalità di quell’omino così premuroso e aveva
cercato di intraprendere una conversazione sulla sua provenienza e su dove stesse andando. Per
tutta risposta l’Eugenio si mise a parlare per quasi mezz’ora.
Era socievole e questa era una delle poche cose che apprezzava in un uomo.
Il viaggio Vimercate – Milano durava all’incirca un’ora che passò molto rapidamente quella
domenica mattina per i due giovani. All’arrivo a Benedetto Marcello si dovettero salutare.
Ovviamente, nel corso della chiacchierata, non avevano tralasciato di dirsi dove lavoravano e
s’erano ripromessi di trovarsi la mattina per prendere il tram insieme.
Una volta entrata in boutique l’Angelina fu liquidata su due piedi dalla proprietaria. Era uscita dalla
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porta mandando al limbo la titolare e, sacramentando, s’era ritrovata a prendere il tram per tornare
a casa e a pensare che cosa dire ai sui genitori. Presa da questa nuova bega s’era completamente
dimenticata dell’Eugenio.
Per sei lunghi anni i due non si erano rivisti. Fu in un bel giorno d’estate, quando l’Angela s’era
seduta su un muretto nei pressi di Sulbiate, che si rividero. Lui la sorprese alle spalle come la
prima volta e lei si spavento, come la prima volta.
Da quel giorno d’estate i due non si separarono più. Si sposarono il 10 maggio del 1961. Dalla
loro unione nacquero: Marialuisa, Edoardo e mio papà Aurelio.
Il 6 giugno 1981 la linea tramvia Vimercate-Milano fu definitivamente soppressa. A dare l’addio a
quella scatoletta di tonno elettrica, mischiati tra le autorità e le bandiere, c’erano anche Eugenio e
Angela per un ultimo affettuoso saluto al luogo del loro primo incontro.
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