Si svolge come madre a uno spico di cimitero, dissetando la sua
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Si svolge come madre a uno spico di cimitero, dissetando la sua
I di Angela Grasso Si svolge come madre a uno spico di cimitero, dissetando la sua gonna a una fontana di conifere o latifoglie. Nel Buiomerlo è come la mia piera che parla al Grecale della chiana dei panni da piegare e, così, ai limoni in maiolica dello sciocco che sciuscia scirocco alla finestra. C’era alla bocca delle gambe aperte a parto, dentro la culla a proteggermi dal Salto nelle Fauci del Lupo e dal Grilletto del Cacciatore. A sfogliarla, mia madre, è come dietro l’occhio ciclope del Padre Seduto e le mani della Grande Donna Taciuta, tra l’inchiostro dei suoi capelli a grumo di lava. C’era come mia madre in quella foto da piccola davanti a un civico dentro un cortile con le mani sui lamenti di un gatto e la mezzeria in testa a prima comunione che raccordava di biancorganza l’altare. Ci sono come io prima ancora degli invitati a cerimonia e ancora a sminnare i ginocchi sugli alabastri della navata e a naculiare il Topo Bianco della Vecchiezza. A reggere duro un vetro di latte quando a novembre è tempo di morticini e gli altri figli aspetteranno altri regali. II di Angela Grasso Su muri bianchi le ombre dei vivi annagghiano il tuo tocco di pelliccia al mio collo rotto dalla linea dell’anta piegata al rannuliare del soffitto e ci ferisce questa ombreggiatura della stanza, la lama del tuo sesso a rappa di racina, il bacio insivuso delle lumache. Sui muri janchi ci sono ombre che allungano pelle ai giorni di festa. Il balcone, aperto su una santa che passeggia in processione, punta allo zafferano degli occhi. Rimaniamo a mani giunte, con lo stendardo fisso sull’inguine all’oblio della memoria. III di Angela Grasso Ritornavo al paese di uno scorporato padre caduto nel vizio di un mento a belvedere, inchiodato sul posto di guardia. Ai due occhi giallocelluloide ingiumati al muso della biscia, alle contorsioni della lucertola sulla brace, alle vele di maestrale in veranda, allo slancio da marinaio per impugnare bassa l’inferriata grigia e confondere alto il petto pieno della muntagna alla pianeggiante chiana del mio. Entrambi toccati dallo stesso cielo a spaccazzedda che sfioriva a montalto le sporadiche rose baccarà.