ricordare: la memoria dell`acqua e della pietra

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ricordare: la memoria dell`acqua e della pietra
RICORDARE:
LA MEMORIA DELL’ACQUA E
DELLA PIETRA
Gutta cavat lapidem
“Goccia a goccia si scava la pietra”, gutta cavat
lapidem, dicevano i Romani. Osservando i sassi
levigati sul greto di un torrente o le rocce lambite da
una cascata si notano le tracce di un passato assai
lontano. L’acqua giorno dopo giorno consuma la
pietra e ne rivela via via la struttura interna
evidenziando le venature, facendo scomparire gli
strati più deboli, enucleando le inclusioni. Diversi
sono i sassi che escono dalla bocca di un ghiacciaio,
schiacciati sotto l’azione meccanica di tonnellate di
ghiaccio.
Le “marmitte dei giganti”, create da ciottoli duri
che l’acqua vorticosa di un torrente ha fatto ruotare
sempre nello stesso luogo sono un’altra traccia, assai
fantasiosa di come la natura sappia essere bizzarra.
Per non dimenticare le fontane a sifone da cui
l’acqua sgorga a intermittenza.
La sabbia, che troviamo nelle anse dei torrenti e
nei coni di deiezione alle falde delle rocce più
scoscese che si sfaldano sotto l’azione degli agenti
naturali, come accade per esempio nelle Dolomiti,
racconta nei suoi granellini una storia millenaria.
Una lente o, ancora meglio, un piccolo microscopio
rivelerà che ciò che sembra uniforme, uniforme non
è. Ogni granellino è diverso dal vicino e la sua forma
spesso rivela la natura cristallina da cui è stato
strappato. La sabbia non esiste solo sulle spiagge del
mare o nei deserti lontani. Chi colleziona sabbie
trova in montagna un vasto campo di ricerca,
interessante per i raffronti che potrà compiere con la
natura delle rocce e dei minerali da cui la sabbia
deriva. Se vogliamo nobilitare ancora di più questa
attività, ricordiamo che il raccoglitore
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Le montagne e l’acqua
La storia antica è stata incisa sulla pietra
collezionista di sabbie (facili da cercare e da
prendere e meno laboriose dei minerali nella ricerca)
si chiama “psammologo”, una parola difficile e
ricercata che deriva dal greco, dove sabbia si dice
psammòs.
Ma non solo l’acqua e il vento lasciano tracce
sulle pietre: le incisioni che, dall’inizio della storia,
gli uomini hanno lasciato graffiate sulla superficie
levigata delle montagne sono testimonianza viva che
dura a cancellarsi.
Dai graffiti della Camunia, a quelli della Valle
delle Meraviglie nel basso Piemonte, le tracce dei
primi uomini che civilizzarono queste regioni fanno
memoria di scene di vita in cui l’acqua ebbe certamente un ruolo fondamentale. Seguendo la storia
raccontata sulle pietre scolpite dalla mano dell’uomo, si incontrano le lapidi che i Romani lasciarono a
testimonianza delle proprie imprese. Le lapidi
funerarie che non mancano in nessuna regione del
nostro Paese sono state spesso riutilizzate: le
possiamo trovare anche tra i gradini di una scalinata
o come pietra angolare di un campanile.
Continuando nella storia, passato l’Impero
romano, l’acqua spesso ricompare nelle prime
testimonianze cristiane dei battisteri o nelle imprese
delle grandi opere stradali. E poi via via, sino ai
giorni nostri, la pietra e l’acqua si inseguono nelle
fontane e sui portali delle chiese, nei cippi
commemorativi delle battaglie o nel ricordo di un
singolo caduto. L’acqua scorre, la pietra rimane.
Gli autori greci, Teofrasto, Timeo, Posidonio,
Egesia, Erodoto, Aristide, Metrodoro, con grande
cura ed attenzione, hanno reso noto le proprietà
delle acque, la natura delle zone geografiche in base
al clima, le caratteristiche dei luoghi. Ed io,
seguendo le loro orme, ho annotato quanto ho
ritenuto sufficiente circa i vari tipi di acque, affinché
fosse più facile per la gente scegliere le fonti dalle
quali poter condurre acque correnti per l’uso nelle
città e nei municipi.
Tutti gli esseri viventi , sia pur privati del
frumento
o dei frutti o della carne o del pesce o anche di qualsiasi altro nutrimento del genere, potranno
mantenersi
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Vittorio Marchis
in vita utilizzando altre sostanze alimentari,
ma senza acqua nessun organismo vivente
può nascere o mantenersi o essere in attività.
E per questo che, con grande zelo, bisogna
cercare e scegliere le fonti, avendo di mira la
salute dell’umanità.
Chi va alla ricerca dell’acqua deve rivolgere la
propria attenzione ai diversi tipi di terreno, poiché è
in determinati terreni che essa nasce. Nell’argilla la
quantità è esigua, sottile e poco profonda. Il suo
sapo-re non sarà particolarmente buono. Nella
sabbia di grana rossa sarà ugualmente esigua, ma si
troverà ad una maggiore profondità. Sarà
limacciosa e di sapore sgradevole. Nella terra nera,
invece, si trovano umori e gocce sottili che si
raccolgono in seguito alle tempeste invernali e si
depositano nelle zone compatte e consistenti. Questi
hanno un sapore ottimo. Nella ghiaia poi si trovano
vene d’acqua modeste e irregolari. Anch’esse hanno
un gusto veramente squisito.
Nel sabbione argilloso e nella sabbia e nella terra
rossastra si trovano quantità più sicure e più
costanti, e in più hanno un sapore gradevole. Nella
roccia rossa se ne trovano tanto abbondanti quanto
buone, se non si disperdono scolando attraverso gli
interstizi. (da. Marco Vitruvio Pollione, De Architectura,
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anche una metropoli
dipende dalle montagne
Così istruiva gli architetti del suo tempo il romano
Vitruvio, vissuto ai tempi dell’imperatore Augusto,
raccomandando un’attenzione particolare nell’esame
del terreno per potervi derivare un’opera di presa di
un acquedotto. Le falde ghiaiose e
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Le montagne e l’acqua
provenienti da terreni rocciosi, da sempre, sono state
riconosciute ottime.
Facendo ora un salto di millesettecento anni,
ritroviamo un altro scienziato attento osservatore
della natura. Medico padovano, viaggiatore attraverso l’Italia alla scoperta di nuove specie naturali,
professore di botanica all’Università di Torino, Vitaliano Donati compì nell’estate del 1751 un viaggio
di ricognizione scientifica nelle Alpi Occidentali. La
relazione di questa sua missione scientifica non è
priva di interessanti osservazioni sulle acque incontrate lungo il cammino. L’acutezza dello scienziato
si accompagna ad una prosa semplice e comprensibile ai non specialisti, anche se lo stile dell’italiano
fa sentire i suoi duecentocinquanta anni.
Le virtù medicali
dell’acqua sono ben note
Discendendo dalle montagne d’Argentina verso
Aiguebelle, vari ruscelli s’incontrano, alcuni dei
quali sono di sapore stittico, acido, e vitriolico, non
però eccedente, e privo d’odore. Epperciò in quei
contorni, ed in ispezie a Conflans vengono quelle
acque non di rado dai chirurghi utilmente
adoperate, dove o di corroborare o d’attenuare già
necessario. […]
Moutiers città capitale della Tarantasia, è posta
in una valle tutta all’intorno cinta da vaste
montagne: tra le quali quelle, che a Garbino dirette
ritrovansi, e per la qualità delle pietre, dalle quali
vengon compo-ste, e per l’acque saline, che da se
stesse tramandano, mi sembrano ben degne di
qualche più diligente esame. […]
A poca distanza dal villaggio di St. Didier sta la
montagna di Cormajeur molto celebre per le acque
o solfuree e vitrioliche marziali, quali si giudicano
le chiamate de la marguerite, et de la Victoire,
oppure anco sulfuree, aluminose, plumbee, quali
sono quelle del fonte che sotto il nome della saxe si
riconoscono. Fino dal 1680 era già introdotto l’uso
medico di tali acque, ma la precisa loro facoltà era
incerta e quasi occulta. Madama Reale Maria
Giovanna Battista di Savoja nella reggenza sua
zelante sempre per la sua pubblica utilità, prescelti
alcuni medici e chimici, gli trasmise colà sopra
luogo, perché con più esatti esperimenti rilevassero
la precisa natura delle acque mede
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Vittorio Marchis
Il genio degli antichi
costruì opere grandiose
sime. Una tale provvida esecuzione determinò, qual
esser potesse il più convenevole uso di quelle acque,
ed a quali malattie potessero ragionevolmente ed
utilmente opponersi. Pubblicatosi poi dal non men
dotto, che attento, ed esatto sig. Giovanni Fantoni
nel 1747 il piccolo commentario intorno ad alcune
acque medicate, e tra queste la Storia dell’acqua di
Cormaggiore; mi sembra ora affatto superfluo
l’amplificare un argomento già affatto esausto. […]
Ritrae da quelle montagne il suo nascimento il
fiume Arve, celebre per l’arene d’oro, che non solo
per tutto il suo corso alla Savoja comparte, ma che
mediante il Rodano anco a più lontane provincie
trasmette e diffonde. Sorge egli rapito dalle
mentovate volte di ghiaccio con acque a guisa di
latte biancheggianti per sottilissima, e candidissima
arena, che in se stesse abbondevolmente
contengono. Trasportano questa arena dagli
idrofilaci della montagna, e tra la medesima arena
polvere e pagliette d’oro stanno appiattate e
nascose. Rallentando poi il loro corso l’acque del
medesimo fiume, urtando nei sassi, ed ivi
stancheggiando si depongono attorno dei medesimi
le arene con tutto ciò, che di più ricco in se stesse
conservano. Che sebbene tutte l’arene dell’Arve col
nome d’aurifere chiamare si possono, molto più
ragionevolmente però a quelle talcose, che in
vicinanza di Chiamonì si raccolgono, un tal titolo
compete; poiché d’oro molto più ricche, ed
abbondanti sono, che tutte le altre.
Il Rodano tanto di pagliette d’oro disperse tra
sabbie per lo paese di Pex va continuamente
disseminando, che li paesani circonvicini col
separare dall’arena nel tempo d’inverno, cioè nel
tempo di maggior magra d’acque, lo stesso metallo
agevolmente si guadagnano il vitto. L’oro che da
quelle riviere si raccoglie per lo più altro non è che
una polvere sottilissima; ritrovano perà alcuna volta
grani d’oro della grossezza del miglio, o della lente
ancora. Egli è cosa certa, che il Rodano dalla sua
sorgente sino all’imboccatura dell’Arve, è affatto
privo di particelle d’oro, e che solo allora, quando
abbia di già assorbite l’acque dell’ Arve, egli diviene
fiume d’oro, il qual oro di poi nel corso di cinque
leghe va disperdendo. Che se dal Rodano, che altro
poi non contiene, che li rifiuti dell’Arve, non solo
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Le montagne e l’acqua
polvere, ma corpicelli d’oro di qualche grandezza
si possono raccogliere, egli è ben ragionevole il
persuadersi, che parti molto maggiori, ed in
maggior quantità nell’Arve ritrovarsi potrebbero. E
infatti quei paesani, che dal Rodano la polvere d’oro
van raccogliendo, sogliono ritrarne il profitto da
dodici a venti soldi per giorno, ma quelli che nel
lavare l’arene d’Arve s’impiegano per quanto da più
accreditate persone fui assicurato, bene spesso da
due lire di vantaggio per giorno ne ricavano. […]
(da: Osservazioni di Storia Naturale Fatte da Vitaliano Donati
Professore di Botanica, e Storia Naturale nel suo viaggio di
Savoja ed Aosta. Nella Scorsa State dell’anno 1751, in:
Viaggio mineralogico nella Alpi occidentali, a cura di Giuse
SCALVA, Bologna : Compositori, 2001.)
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