Le statine non sono tutte uguali

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Le statine non sono tutte uguali
IV Mediterraneo - IV Sessione
LE STATINE: QUALI E QUANDO
(Prof. Corsini, Prof. Averna, Prof. Barbagallo)
Le statine non sono tutte uguali
Le statine sono farmaci indicati per l’abbassamento del colesterolo LDL e sono di solito ben
tollerate, possiedono caratteristiche simili tra loro ma anche delle differenze.
Le strutture molecolari e il meccanismo d’azione sono simili tra tutte le statine sintetiche e naturali,
inibiscono il passaggio-chiave del metabolismo del colesterolo, tutte agiscono in modo competitivo
con l’inibizione enzimatica, quindi hanno uno spiccato tropismo per l’epatocita.
Le diversità delle varie statine consistono in un diverso profilo cinetico, ossia:
- biodisponibilità variabile dal 5% al 20%, che significa una fortissima estrazione epatica,
forma circolante fortemente legata, dipendente dalle proteine, con l’unica eccezione della
pravastatina
- emivita, che si allunga con le più recenti statine
- tutte le statine hanno una somministrazione unica al giorno, il che vuol dire che le vecchie
statine con emivita breve, somministrate una volta al giorno, non hanno una
concentrazione allo stato stazionario, non indicativa dell’effetto metabolico
- eliminazione prevalentemente epatica (citocromo 3A4 e con diversi sistemi enzimatici e
loro isoforme), per cui occorre considerare le possibili interazioni con vari tipi di farmaci
- quota di eliminazione renale; per esempio, rosuvastatina e pravastatina hanno dimostrato
un’eliminazione tubulatore attiva (valore di clearance), quindi occorre osservare eventuali
effetti di nefropatia e, di conseguenza, variare la posologia
La riduzione del 50% del colesterolo LDL in monoterapia è il target minimo riconosciuto a livello
internazionale per tutte le statine, raggiungibile solo con rosuvastatina e torvastatina.
Esistono anche gli effetti non lipidici delle statine, ossia quelli pleiotropici dovuti alla loro possibilità
di modulare altre vie metaboliche. Gli effetti a livello di aterosclerosi con statine ad alte dosi
consistono nella riduzione dell’ispessimento con stabilizzazione della placca, tuttavia gli effetti
principali di questi farmaci sono legati principalmente al colesterolo-LDL (molto più che al
colesterolo-HDL), responsabile dell’effetto pleiotropico. L’effetto pleiotropico acuto con statine ad
alte dosi sulla placca aterosclerotica, a distanza di 3-4 giorni, è importante soprattutto nei pazienti
con sindrome coronarica che devono essere sottoposti ad intervento di angioplastica.
Le metanalisi condotte su studi che hanno arruolato complessivamente 170.000 pazienti, di
confronto rispetto a placebo, con dosi moderate rispetto ad intensive, concludono per una
riduzione della mortalità cardiovascolare col trattamento con statine. In terapia cronica l’azione
delle statine è quindi legata alla loro azione sulle LDL.
Per quanto riguarda l’intolleranza alle statine, la sintomatologia muscolare (mialgia) si riscontra nel
10-15% dei casi ed è responsabile della sospensione del trattamento nel 30% dei pazienti.La
mialgia risulta legata alla classe, al meccanismo d’azione perché è presente per tutte le statine, il
rischio è maggiore nei pazienti in politerapia, è comunque correlato anche all’attività fisica, quindi
muscolare, e scompare in circa tre giorni.
Un dato clinico distingue le statine, ossia la riduzione della mortalità totale, che è stata finora
dimostrata solo con pravastatina, simvastatina e rosuvastatina.
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Nella scelta di una statina occorre applicare vari criteri in termini di efficacia ma anche di
tollerabilità perché sono condizionanti l’obiettivo terapeutico principale di questo trattamento, ossia
la prevenzione di eventi cardiovascolari.
Terapia con statine e rischio di diabete incidente
L’efficacia del trattamento con statine è ampiamente confermata da trial e metanalisi (Mills EJ et
al., 2011), mentre il profilo di sicurezza è in corso di approfondimento e osservazione. Per quanto
riguarda la comparsa di diabete lo studio JUPITER, di prevenzione primaria (Sattar et al., 2010)
aveva evidenziato la nuova insorgenza di diabete, ossia un aumento di glicemia in un numero
significativo di pazienti durante un trial con rosuvastatina, portando al warning della FDA del 2012
circa l’uso di tutte le statine, anche se la conclusione è a favore di un bilancio positivo tra rischio
cardiovascolare e comparsa di diabete.
Negli anni successivi sono state condotte varie metanalisi che hanno valutato i risultati di vari trial
su diverse statine e sulle loro dosi. Glicemia a digiuno basale, trigliceridi, BMI e ipertensione sono i
marcatori predittivi di sindrome metabolica da considerare prima di decidere la prescrizione di una
statina.
La metanalisi pubblicata su BMJ nel 2013 ha evidenziato un aumento del rischio del 10-22% di
comparsa di diabete incidente in pazienti trattati con alcune statine.
I meccanismi sottostanti che possono spiegare perché le varie statite possono determinare un
aumento della glicemia sono diversi ma sono ancora oggi in fase di studio in vitro e in vivo.
Tra i diversi lipolipemizzanti ezetimibe sembra essere neutro dal punto di vista della sensibilità
insulinica (Diabetes Research and Clinical Practice 2013).
In base alla scala di Bredford Hill per decidere la casualità di un evento non emerge la possibilità
di stabilire in modo incontrovertibile la causalità tra statine e nuovi casi di diabete (Canadian J of
Cardiology, 2012). Analizzando criticamente anche i dati dello studio JUPITER i pazienti che
hanno sviluppato diabete avevano già in precedenza dei fattori di rischio di sindrome
cardiometabolica (Ridker et al., Lancet 2012).
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In base a tutti i risultati clinici dei trial e metanalisi si può concludere che:
- esiste una debole ma consistente relazione tra uso di statine e diabete incidente
- esiste una plausibilità biologica, così come un’assenza di evidenze tali da stabilire una
relazione di causalità
- mancano evidenze tali da cambiare la pratica clinica nell’uso delle statine
- i benefici cardiovascolari sono superiori al rischio di diabete incidente
Le statine nell’anziano: quando usarle?
L’uso delle statine nella popolazione anziana non ha attualmente molte evidenze per il trattamento
ipolipemizzante a livello di linee guida.
I lipidi (colesterolo) tendono ad aumentare con l’età per ragioni soprattutto metaboliche, con una
correlazione con il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari, legato anche ad altri fattori di
rischio (ipertensione, alterazione del metabolismo glucidico).
Sia maniera multivariata sia indipendente il trattamento con statine nell’anziano ha un impatto
evidente in termine di mortalità.
Le statine nell’anziano sono sottoutilizzate nel mondo occidentale anche per la scarsità di dati
clinici provenienti dai trial e per il timore di effetti collaterali (muscolari) che possono portare alla
sospensione del trattamento.
Lo studio PROSPER è l’unico disegnato per i soggetti anziani, osservati per breve tempo (tre
anni), trattati con pravastatina alla dose di 40 mg. I risultati indicano un beneficio assoluto in
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prevenzione secondaria ma il beneficio si perde nello stroke. In prevenzione primaria il beneficio
non è evidente, forse a causa del tempo limitato di osservazione.
Dati di metanalisi eseguite su sottogruppi in prevenzione secondaria sembrano a favore delle
statine, mentre in prevenzione primaria i risultati non sono conclusivi. Inoltre, i dosaggi maggiori
nell’anziano risultano meno efficaci (studio PROVE-IT) (Cannon, 2004).
L’incidenza di miopatia nello studio PROSPER non è stata rilevante, ma nella real life ci sono altri
fattori che possono influenzare il profilo di tollerabilità di questi farmaci.
Le principali linee guida (Raccomandazioni ESC/EAS 2011) danno una valutazione oggettiva ma il
medico deve valutare individualmente il soggetto in base alla sua personale sensibilità clinica.
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