Fame di pane degli uomini e di Dio

Transcript

Fame di pane degli uomini e di Dio
Fame di pane degli uomini e di Dio
di Luisito Bianchi
Forse la parola umana più diffusa, più ripetuta (e questo senza discriminazioni di pelle
o di religione o di cultura, o di tutto quanto può dividere), che fin dai primi gridolini dei
bambini si cerca di trasmettere, è “grazie”. E forse è anche la parola in maggiore
tensione a diventare gesto, realtà tangibile. Si dice che le parole volano mentre gli
scritti rimangono. Se proprio si vuole essere fedeli al sapienziale modo di dire, anche la
parola “grazie” vola, ma a modo di angelica farfalla, leggera e balsamica. Insomma, è
un termine che potrebbe condensare tutta la storia dell’umanità da generazioni in
generazioni che si saldano l’una all’altra dicendosi: grazie. Questo fra gli uomini. Ma
quando si tratta di Dio? Impensabile raggiungerlo. “Gridate più forte”, scherniva il
profeta Elia rivolto ai 450 profeti di Baal. Ma anche a gridare più forte non sappiamo
come bisogna pregare (Rom 8,26); anche a moltiplicare parole, sa già lui in anticipo
quello di cui abbiamo bisogno (Mt 6,8). Nemmeno la parola più delicata e preziosa
dell’umanità, il Grazie, può raggiungerlo. E allora chiudiamo tutto e cerchiamo di
aggiustare i cocci fra di noi, cancellando un Dio irraggiungibile? È a questo punto che
Dio corre in nostro aiuto, pregando per noi con gemiti indicibili e dando così carne ai
gemiti d’ogni creatura, ai gemiti fra di noi uomini in attesa che tutto si manifesti (Rom
8,22- 26). La sua stessa Parola s’è fatta carne per poter mettersi sulle nostre labbra e
svelare se stessa nell’unica preghiera che è ancora gemito indicibile (Lc 11,2; Mt 6,9):
Padre, Padre nostro. Non diremmo dunque nemmeno grazie a tutto questo? Ma che
sappiamo del modo con cui bisogna dire grazie a Dio? Anche qui lo Spirito corre in
aiuto alla nostra debolezza e ringrazia lui per noi, dando carne al nostro grazie mentre
si consegna nelle nostre mani, Corpo crocifisso e risorto, come l’unico, eterno
Rendimento di Grazie: l’Eucaristia, appunto. È la nostra povera quotidianità del pane e
del vino che diventa, nel mistero della carne e sangue di Dio, il grazie efficace per
dargli la possibilità di consegnarsi nelle nostre mani, perché gli possiamo rispondere:
Grazie! C’è da perdersi. È normale quando si tratta di Dio. Meno normale che chi dice
queste cose non s’interroghi se nel fare eucaristia riconosce veramente il Corpo del
Signore, come capitò a quei signori di Corinto che per fare eucaristia, ossia rendimento
di grazie con lo stesso Corpo di Cristo a tutti donato, mangiavano a quattro palmenti e
lasciavano i poveri alla loro fame. È terribile il solo pensare che chi scrive e pensa vere
queste cose possa udire, proprio mentre fa eucaristia: via, via, avevo fame e non mi
desti da mangiare, era migrato in cerca di cibo come fanno alla loro stagione gli uccelli
protetti, e tu mi hai ributtato alla mia desolazione. Via, via, non ti conosco. Ah mio Dio,
ci sarebbe da morire, come loro, e accanto al tuo Corpo, di desolazione! Ma come, ho
celebrato l’eucaristia col tuo Corpo per 59 anni, e tu non mi conosci? Via, via, non ti
conosco. Che aggiungere? Amen, dirò, così è mio Signore.
(Da Dialogo, mensile dell’Azione Cattolica di Cremona)