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INSEGNAMENTO DI DIRITTO PENALE I LEZIONE II “IL DIRITTO PENALE (PARTE II)” PROF. SILVERIO SICA Diritto Penale I Lezione II Indice 1 Divieto di analogia---------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Ipotesi di antefatto e di postfatto non punibile --------------------------------------------------- 13 3 Le norme a più fattispecie ---------------------------------------------------------------------------- 15 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 15 Diritto Penale I Lezione II 1 Divieto di analogia Dalla interpretazione va distinto il procedimento per analogia: l'applicazione analogica della legge. L'analogia è quel procedimento attraverso il quale vengono disciplinati i casi non espressamente previsti dalla legge, mediante l'applicazione agli stessi della disciplina prevista per i casi simili. L'applicazione del procedimento analogico nel campo del diritto penale ha una particolare disciplina. L'art. 14 delle preleggi impone al nostro legislatore il divieto di applicare in via analogica le norme penali, più precisamente stabilisce che:”...le leggi penali e quelle che fanno eccezione ai principi generali non si applicano oltre i casi e i tempi in essa considerati”. Da questa disposizione deriva in modo indubbio che il procedimento analogico è interdetto nei riguardi delle norme penali in senso stretto, e cioè rispetto alle disposizioni che prevedono i singoli reati e stabiliscono le relative pene (le così dette norme incriminatrici speciali), nonché rispetto alle altre norme che integrano le disposizioni medesime, limitando i diritti dell'individuo. Il divieto viene imposto anche dagli artt. 1 e 199 c.p., “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”; l'art. 199 c.p. stabilisce che:”...nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa stabiliti”. Il divieto di analogia nelle leggi penali non è fine a sé stesso, né è disposto per tutelare in primo luogo la certezza del diritto; esso è un mezzo per estendere, quanto più è possibile, sfera della liceità penale e ridurre al minimo la menomazione della libertà del cittadino. Infatti, in forza del divieto di analogia, il giudice non può estendere analogicamente le norme che sanciscono l'applicazione di pene e non può irrogare pene al di fuori di casi espressamente previsti dal legislatore. L'analogia va tenuta, però, distinta dalla confinante figura dell'interpretazione estensiva: con tale operazione ermeneutica l'operatore del diritto, rimane pur sempre nell'ambito della norma attribuendo un più ampio significato ai termini che la compongono mentre con l'analogia, egli esce dai confini della norma in quanto il caso concreto non rientra nel contenuto di essa anche se interpretata nella maniera più lata possibile. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 15 Diritto Penale I Lezione II In sintesi, possiamo dire che mentre l'interpretazione estensiva è sempre legata al testo della esistente, il procedimento analogico è, invece, creativo di una norma nuova che prima non esisteva. Bisogna ora interrogarci se il principio del divieto di analogia è da ritenersi assoluto, o può trovare una deroga con quelle norme che sono definite di favor rei. Per coloro che sostengono che il divieto previsto dall'art 14 disp. prel. soddisfa un'esigenza di certezza del diritto, ritengono che il divieto è da ritenersi assoluto: sia quando la norma è sfavorevole a reo e sia quando questa è da ritenersi favor rei. Mentre, per coloro che riconducono la ratio del divieto di analogia all'esigenza di garanzia della libertà individuale contro limitazioni non espressamente previste e contro possibili arbitri del giudice, allora il divieto deve essere circoscritto alle norme che sono restrittive, le quali soltanto rientrano nel concetto di “leggi penali” espresso dall'art 14 disp. prel. Tuttavia, la possibilità di estendere il divieto di analogia in favore del reo è ridotta dalla stessa norma che impone il divieto. Infatti, l'art 14 disp. prel. vieta l'analogia delle leggi che fanno eccezione alle regole generali: così, le ipotesi più importanti, in cui si dovrebbe far valere l'analogia in favore del reo (si pensi alle cause di esclusione del reato), incontrano l'ostacolo del divieto di analogia. Il legislatore vieta in modo assoluto ogni possibile analogia a quelle norme che prevedono cause di estinzione del reato e della pena, alle c.d. immunità ed alle cause speciali di non punibilità. Infatti, la regola dell'intero sistema penale è che l'autore di un fatto penalmente rilevante, antigiuridico e colpevole debba essere punito con le sanzioni previste dalla legge ed è solo un'eccezione che egli resti in tutto o in parte impunito, per ragioni di opportunità politica. Analogo discorso va fatto per le norme che prevedono circostanze attenuanti, infatti, queste non ammettono estensione analogica, essendo il frutto della precisa scelta politico-criminale di attribuire rilevanza attenuante a ben individuate situazioni, e solo a quelle: manca perciò una lacuna involontaria nella disciplina legislativa. Per una maggiore comprensione del divieto di analogia è bene fare qualche cenno all'istituto denominato interpretazione. Possiamo definire l'interpretazione come un momento della ricerca giuridica, finalizzato all'indagine sul significato delle proposizioni che formano la norma penale. L'interpretazione sarà autentica, quando ad interpretare il testo normativo è lo stesso organo che ha prodotto la norma. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 15 Diritto Penale I Lezione II Sia avrà interpretazione ufficiale, quando l'attività ermeneutica è svolta dai pubblici funzionari dello Stato nell'ambito delle competenze istituzionali. Quando i giudici sono chiamati ad emanare una sentenza, devono prima interpretare la norma in modo tale da accertarsi che la fattispecie concreta sia sussumibile sotto quella data fattispecie astratta; tale attività prende il nome interpretazione giudiziale. In fine abbiamo l'interpretazione dottrinale, che viene realizzata dagli studiosi del diritto; essa a differenza di quella giudiziale che è volta a risolvere di volta in volta il caso concreto, è finalizzata ad indirizzare gli stessi organi giudiziari nella loro attività. L'art. 12 disp. prel. stabilisce che:” nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore” Così, tutti gli operatori del diritto che per le loro funzioni sono portati ad interpretare una norma, devono necessariamente rispettare quanto riportato nell'art. 12 disp. prel. Quanto più non viene rispettato il principio di tassatività, tanto più sarà necessario ricorrere all'interpretazione. Bisogna fare attenzione, perché l'interpretazione della norma, in particolare modo quella giudiziale, rischia di violare il principio denominato “certezza del diritto”. Tutti i soggetti che concorrono all'interpretazione si basano su dei canoni interpretativi: tali canoni hanno lo scopo di individuare la portata e i limiti della tutela apprestata dal legislatore penale nelle singole fattispecie. Tali canoni interpretativi sono in tutto quattro: a) Criterio semantico: tale canone individua il significato generico offerto dalla singole parole che compongono la frase legislativa. È lo stesso criterio indicato dall'art 12 delle preleggi, ossia lo stesso legislatore invita gli operatori a riportarsi, nell'interpretare una norma, al significato comune delle singole parole che la compongono. b) Criterio Teleologico: con esso si cerca la funzione obiettiva che la disposizione di legge è chiamata a svolgere nella società. Così, attraverso l'elemento teleologico, le esigenze sociali penetrano nel processo di determinazione dell'ordinamento giuridico positivo. c) Criterio logico-sistematico: il criterio logico consente all'interprete di esaminare la norma nella sua interezza, in modo tale da confrontarla e porla in riferimento con le altre norme. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 15 Diritto Penale I Lezione II Più precisamente, questo secondo momento realizza la ratio del criterio sistematico, che è volto a collocare la singola norma nel sistema giuridico; pertanto, l'interprete dopo aver analizzato singolarmente la norma, deve necessariamente studiarla in riferimento con le altre norme. Solo in questo modo, è possibile riuscire a garantire l'unità concettuale dell'ordinamento. d) Criterio storico: con esso si cerca di rintracciare nella norma lo scopo suriettivo del legislatore, cioè il fine che si riprometteva il legislatore di raggiungere con la creazione di quella data norma. Attenzione, la storicità del mondo del diritto vieta di dare rilievo decisivo alla volontà del legislatore: tale volontà si esaurisce nel momento stesso in cui l'atto normativo è posto. Così, parte della dottrina sostiene che per poter correttamente interpretare una disposizione giuridica, è necessario conoscere quelle condizioni obiettive della società, che costituiscono la giustificazione funzionale della disposizione stessa. ¾ CONCORSO DI NORME PENALI Concorso di norme penali è il convergere di più norme penali verso la stessa situazione di fatto. Il concorso apparente di norme ricorre allorché uno stesso fatto sembra disciplinato da diverse disposizioni di legge, ma in realtà solo una di esse è applicabile al caso concreto. L'istituto, pertanto, è speculare rispetto a quello del concorso di reati, configurabile quando con una sola azione o omissione vengono commessi più reati. Tali norme devono essere tutte perfettamente valide sia in senso tecnico, sia rispetto al tempo, al luogo e alle persone: per es., non vi è concorso tra una norma abrogata e una vigente. Se le norme concorrenti possono applicarsi tutte, si avrà un concorso effettivo di norme; se, invece, l'applicabilità di qualcuna di esse esclude l'applicabilità di una o più altre, si avrà concorso apparente di norme. Bisogna, poi, chiarire che il concorso di norme, in quanto richiede il convergere di più norme applicabili alla stessa situazione di fatto, non si configura se la norma è una sola. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 15 Diritto Penale I Lezione II Questa impossibilità che una norma concorra con sé stessa sussiste pure rispetto a quelle norme, che sono formate di più espressioni verbali (es. art 635 c.p.), ma esprimono un significato criminoso unitario. In questo caso, si parla di legge mista alternativa: e, anche se un soggetto compie più fatti, ognuno dei quali sembra corrispondere a una delle espressioni verbali, il reato rimane unico fin dall'inizio, sicché non si pone affatto il problema di decidere se il concorso sia apparente o effettivo. In casi estremamente rari, può avvenire, però, che un medesimo articolo di legge contenga più norme autonome tra loro. Si tratta, allora, di una legge mista cumulativa. Le norme incriminatrici che se ne ricavano possono concorrere tra loro e (se il concorso è effettivo) dare luogo ad una pluralità di reati. Sono tre i rimedi a cui è possibile far ricorso per risolvere i problemi che possono sorgere, ogni qualvolta che ci si trova dinanzi ad un concorso apparente di norme. Tali “rimedi” prendono il nome di rapporto di specialità, rapporto di sussidiarietà e rapporto di consunzione. Tra i tre criteri, solo quello di specialità trova esplicito riconoscimento nel nostro codice penale, mentre gli altri due sono frutto della dottrina. 1) Rapporto di specialità Per risolvere i problemi posti dal primo gruppo di ipotesi, il legislatore enuncia innanzitutto il criterio di specialità, stabilendo che.:”...quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito...” ex art 15 c.p. Il rapporto di specialità tra due disposizioni si instaura quando una delle due disposizioni (quella speciale) descrive una classe di accadimenti e l'altra (quella generale) descrive una classe più ampia nella quale rientra per intero la prima. Secondo la Suprema Corte di Cassazione:”...l'ordinamento positivo è ispirato, in materia di concorso apparente di norme, al principio della specialità, consacrato nell'art 15 cod. pen. Detto principio postula che una determinata norma incriminatrice (speciale) presenti in sé tutti gli elementi costitutivi di un'altra (generale), oltre a quelli caratteristici della specializzazione; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 15 Diritto Penale I Lezione II diverso, per cui quello più ampio contenga quello minore ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità...”. Da ciò ne deriva che, quando tra due norme incriminatrici sussiste un rapporto di specialità si ha un concorso apparente di norme (e non un concorso di reati) e al fatto concreto è applicabile la sola norma speciale che “estromette” la norma generale. Nei casi di specialità, si applica esclusivamente la disposizione speciale, e non importa se essa preveda una pena maggiore, una pena minore o addirittura una situazione di liceità penale. Secondo la Corte:”...il presupposto per l'applicazione del principio contenuto nell'art 15 citato è infatti costituito dalla circostanza che tutti gli elementi della fattispecie c.d. generale siano ricompresi in quella c.d. speciale che ne prevede di ulteriori. In questo caso, comunemente denominato di “concorso apparente”, si applica soltanto la fattispecie speciale...”. All'operare del rapporto di specialità è indispensabile una rigida unità naturale del fatto verso il quale convergono le norme. Infine, poiché si tratta di una relazione logica, e non di valore, può darsi il caso che una norma speciale di liceità prevalga sulla norma generale incriminatrice. Ciò è esplicitamente riconosciuto nel nostro diritto positivo all'art 51 c.p., il quale stabilisce che un reato può essere escluso per l'esercizio di un diritto o per l'adempimento di un dovere. Il principio di specialità si applica anche al concorso tra norma di diritto penale e norma di diritto penale amministrativo. Una norma è dunque speciale rispetto ad un'altra quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall'altra- la norma generale- e inoltre uno o più elemento specializzanti. Specializzante può essere: a) un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale; b) un elemento che si aggiunge a quelli espressamente previsti nella norma generale. Si parla nel primo caso di specialità per specificazione e nel secondo di specialità per aggiunta. In senso diametralmente opposto a quanto ora detto, su muove l'orientamento di una parte della giurisprudenza che interpreta la formula “stessa materia” nell'art 15 c.p. come sinonimo di “stesso bene giuridico”, limitando così il campo di applicazione del criterio di specialità alle sole ipotesi in cui la norma speciale tuteli lo stesso bene giuridico protetto dalla norma generale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 15 Diritto Penale I Lezione II A questo orientamento si obietta, a ragione, in primo luogo che la formula “stessa materia” non evoca minimamente l'idea di un identico bene giuridico tutelato, stando piuttosto ad indicare l'esigenza che uno stesso fatto sia riconducibile sia alla norma generale sia alla norma speciale; in secondo luogo, si sottolinea che nessuna ragione di tipo logico si oppone a che si consideri norma speciale una norma che tutela, accanto al bene tutelato dalla norma generale, anche un bene diverso. Enunciando la regola secondo la quale, quando uno stesso fatto è riconducibile a due diverse norme penali, se tra le due norme intercorre un rapporto strutturale di specialità, la norma speciale prevale su quella generale (si applica cioè in via esclusiva, estromettendo la norma generale), il legislatore prevede espressamente la possibilità di eccezioni a tale regola: fa salva infatti la possibilità che la legge “stabilisca altrimenti”. Alla regola della prevalenza della norma speciale potrà dunque derogarsi soltanto nel senso della congiunta applicabilità di entrambe le norme concorrenti: sia di quella speciale, sia di quella generale. Si avrà pertanto un concorso formale di reati, e non un concorso apparente di norme. 2) Rapporto di sussidiarietà Le difficoltà interpretative evidenziate in relazione al concetto di “stessa materia”, secondo la dottrina, dimostrano semplicemente che il principio della specialità non può, da solo, risolvere i problemi relativi all'apparente convergenza di norme verso la medesima situazione di fatto, né può consentire sempre di individuare la norma applicabile nel caso concreto. Il principio di specialità non esaurisce, pertanto, le ipotesi di concorso apparente di norme penali: così, ulteriori ipotesi possono individuarsi attraverso il principio di sussidiarietà. Vi sono taluni casi, nei quali le fattispecie penali limitano sé stesse, statuendo la propria inapplicabilità per il caso che il fatto sia previsto come reato o come illecito penale amministrativo da un'altra norma, senza richiedere alcun requisito (ad esempio l'art 517 c.p.). La ratio di questa regola sta nel fatto che il legislatore, nel disciplinare materie previste anche extra codicem, vuole evitare il duplicarsi delle sanzioni per quello che è sostanzialmente un unico illecito e che è punito in modo presumibilmente più appropriato dalla legge speciale che disciplina quella materia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 15 Diritto Penale I Lezione II Pertanto, una disposizione si dirà sussidiaria rispetto ad un'altra (norma principale), quando quest'ultima tutela, accanto al bene giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori ovvero reprime un grado di offesa più grave allo stesso bene. La logica della sussidiarietà guida il legislatore, in primo luogo, quando inserisce nel testo di una norma incriminatrice clausole del tipo “qualora il fatto non costituisca un più grave reato”, “se il fatto non è preveduto come più grave reato da altra disposizione di legge”, etc: clausole siffatte connotano espressamente la norma come sussidiaria, escludendone l'applicabilità ad un fatto concreto che integri anche gli estremi dell'altro e più grave reato. 3) Rapporto di consunzione Parte della dottrina, per descrivere un rapporto fra norme che comporta l'applicazione in via esclusiva di una di esse, affianca ai criteri della specialità e della sussidiarietà l'ulteriore criterio della consunzione. Il criterio della consunzione individua i casi in cui la commissione di un reato è strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, la cui previsione “consuma” e assorbe in sé l'intero disvalore del fatto concreto. L'idea della consunzione sta alla base della disciplina del reato complesso delineata nell'art 84 c.p., il quale dispone che “le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato”. Così inteso, il principio di consunzione impone in primo luogo una interpretazione restrittiva di quelle figure astratte di reato che sono costruite dal legislatore come il risultato del combinarsi di più reati: in tanto è integrato il reato complesso, in quanto nel singolo fatto concreto sia presente il nesso strumentale e funzionale che è alla base della unificazione legislativa di quei reati. Il principio di consunzione trova altresì applicazione quando, pur in assenza di una figura astratta di reato complesso, la commissione di un reato sia in concreto strettamente funzionale alla commissione di un altro e più grave reato: si tratta delle ipotesi che parte della dottrina designa con la formula “reato eventualmente complesso”. A seguito di tali osservazioni possiamo affermare che, a fondamento del rapporto di consunzione è il principio del ne bis in idem sostanziale, ossia “nessuno può essere punito più volte per la medesima offesa ai beni tutelati dalla legge”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 15 Diritto Penale I Lezione II Da questo fondamento del rapporto di consunzione discendono le sue note peculiari, che lo differenziano nettamente dal rapporto di specialità: a) opera solo tra più fattispecie incriminatrici (mentre il rapporto di specialità opera anche in presenza di una fattispecie di liceità o di obbligo); b) comporta sempre la prevalenza della norma che prevede il reato più grave; c) non richiede la unitarietà del fatto, ma solo la unitarietà del quadro di vita (ossia, identità normativa del fatto), al quale le norme sono chiamate ad applicarsi; d) siamo in presenza non di un rapporto logico tra norme, bensì ad un rapporto di valore; in base al quale la norma che prevede il reato più grave ingloba in sé il reato meno grave. Così, l'applicare anche la norma che prevede il reato meno grave condurrebbe ad un ingiusto moltiplicarsi della sanzione; e) anche se la norma che prevede il reato più grave ingloba in sé la norma che prevede il reato minore, nulla esclude che la persona offesa possa ricorrere al risarcimento dei danni provocati da entrambi i reati. Per meglio comprendere quanto si è detto, è opportuno fare un esempio. Mevio, spinto dalla fame e dalla povertà, ruba una mela dal reparto ortofrutticolo di un supermercato, ma passando per una delle casse si impossessa anche dell'intero incasso. In questo esempio manca la identità naturale del fatto che consentirebbe l'applicazione della sola norma speciale; infatti, non è possibile applicare come ci suggerisce il principio di specialità la norma speciale in luogo della norma generale. Nel nostro esempio, se contestassimo a Mevio solo il reato p. e p. dall'art 626 c.p., lasceremmo impunito il reato più grave, che consiste nel furto dell'intero incasso. Allora: poiché sarebbe assurdo punire più gravemente chi ha commesso il fatto complessivo più lieve, non rimane se non ammettere che, agli effetti del principio di consunzione, del medesimo fatto si deve giudicare secondo criteri normativi, e non secondo schemi formalistici. Il fatto rimane il medesimo tutte le volte che alla considerazione umana e sociale esso appare ancora un fatto unitario, unitario quadro di vita. Ciò consente l'assorbimento del reato meno grave nel reato più grave, quando la valutazione di questo da parte della legge sia sufficiente a ricoprire anche il disvalore del reato meno grave. Più in generale, il principio di consunzione deve operare tutte le volte che la misura della pena stabilita per un reato è sufficiente per esaurire anche il disvalore penale che astrattamente avrebbe potuto dare corpo a un reato diverso. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 15 Diritto Penale I Lezione II Secondo la Suprema Corte di Cassazione:”...tra le due norme in questione...deve riconoscersi esistente il cosiddetto rapporto di “sussidiarietà”, ovvero di “consunzione”, ispirato al principio del ne bis in idem sostanziale secondo il quale (anche fuori dei casi di vera e propria specialità) nessuno può essere punito più volte per lo stesso fatto (ovvero, più precisamente, per la medesima offesa ai beni tutelati dalla legge). In particolare, il rapporto di consunzione, secondo la più autorevole dottrina in argomento, è un rapporto di valore tra due norme incriminatrici, in base al quale l'apprezzamento negativo dall'accadere concreto riconducibile ad un'unica condotta (la dottrina parla di “identità normativa del fatto”) appare tutto già compreso nella norma che prevede il reato più grave, di guisa che applicare anche la norma che prevede il reato meno grave condurrebbe ad un ingiusto moltiplicarsi della sanzione. In altri termini, il rapporto di consunzione comporta sempre la prevalenza della norma che prevede il reato più grave, ovvero, più precisamente, quella che prevede il trattamento penale più severo (anche quando il trattamento più severo si ricolleghi...alla sussistenza di una circostanza aggravante specifica...”. Sono un esempio di applicazione del criterio di consunzione, la c.d. “progressione criminosa”, “l'antefatto non punibile” e di il “postfatto non punibile”; queste sono tutte ipotesi in cui è evidente la mancanza della identità naturale del fatto verso il quale le norme incriminatrici convergono. Vi sono alcuni casi, nei quali la inapplicabilità di una norma segue all'applicabilità di un'altra, sia perché quest'ultima è norma speciale, sia perché è norma consumante. Il più importante di questi casi è quello del reato complesso, che sopra abbiamo visto, o quello del reato progressivo, dove si passa da un fatto meno grave ad uno più grave; ad esempio dal tentativo di omicidio all'omicidio consumato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 15 Diritto Penale I Lezione II 2 Ipotesi di antefatto e di postfatto non punibile Di fronte ad un unico fatto concreto riconducibile sotto due o più norme incriminatrici l'alternativa che si profila è quella dell'applicabilità di tutte le norme incriminatrici (concorso formale di reato) ovvero di una sola di quelle norme (concorso apparente di norme), che prevale o perché speciale o perché principale o perché è norma che contiene e “consuma” l'altra o le altre. L'alternativa fra concorso di reati e concorso apparente di norme si prospetta però anche quando vengono commessi più fatti concreti cronologicamente separati, ciascuno dei quali integra gli estremi di una figura di reato. In questa eventualità, ad escludere il concorso (materiale) di reati e a far propendere per il concorso apparente di norme non di rado è lo stesso legislatore, sancendo espressamente ora l'inapplicabilità della norma o delle norme violate con i fatti concreti cronologicamente antecedenti (c.d. antefatto non punibile), ora invece l'inapplicabilità della norma o delle norme violate con i fatti concreti cronologicamente posteriori (c.d. post fatto non punibile). La logica sottostante alle ipotesi di antefatto non punibile è quella della sussidiarietà: tra più norme che prevedono stadi e gradi diversi di offesa dello stesso bene giuridico prevale, come norma principale, e trova applicazione in via esclusiva, la norma che descrive lo stadio più avanzato e il grado più intenso di offesa al bene, escludendo l'applicabilità della norma sussidiaria ( o delle norme sussidiarie) ai fatti concreti antecedenti. Accanto alle ipotesi espresse, si possono individuare ipotesi tacite di antefatto non punibile. Anche in questo caso la non punibilità dell'antefatto discende dalla considerazione che si tratta di uno stadio anteriore e meno grave di offesa al medesimo bene ovvero ad un bene meno importante, ricompreso nel bene offeso dal fatto susseguente. Queste ipotesi vengono talora inquadrate dalla dottrina nella categoria della progressione criminosa. Previsioni espresse di un post fatto non punibile sono assai numerose. Si tratta, in primo luogo, dei casi in cui il legislatore sancisce la punibilità di questo o quel fatto “fuori dei casi di concorso” in un fatto delittuoso antecedente. Ad esempio, se taluno commette, come autore o partecipe, un determinato delitto e successivamente aiuta un complice a sottrarsi alle investigazioni o alle ricerche dell'autorità, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 15 Diritto Penale I Lezione II risponderà soltanto del primo delitto, mentre la condotta di favoreggiamento personale assumerà il ruolo di postfatto non punibile. Si delinea dunque in questo caso un concorso apparente di norme. Altre volte il legislatore sancisce la punibilità di un determinato fatto “fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti o dall'articolo precedente”, e cioè a condizione che l'agente non sia stato autore o partecipe nella realizzazione del fatto o dei fatti preveduti in quell'articolo o in quegli articoli. Alla base delle norme che sanciscono la non punibilità di questo o quel fatto nei confronti di che, come autore o partecipe, abbia realizzato un reato cronologicamente precedente, sta una logica riconducibile all'idea di consunzione: la repressione del fatto antecedente esaurisce infatti il disvalore complessivo e il relativo bisogno di punizione, posto che il fatto successivo rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, attraverso il quale l'agente consegue i vantaggi perseguiti attraverso il primo fatto ovvero ne mette al sicuro i risultati. Le ipotesi di postfatto non punibile non si esauriscono peraltro in quelle espressamente individuate dal legislatore. Tacitamente le riserve “fuori dei casi di concorso nel reato” antecedente o “fuori dei casi preveduti nell'articolo o negli articoli precedenti”, che comportano la non punibilità del reato susseguente, operano tutte le volte in cui quest'ultimo reato rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, con il quale l'agente consegue o sfrutta i vantaggi derivanti dal primo reato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 15 Diritto Penale I Lezione II 3 Le norme a più fattispecie Accade non di rado che una sola disposizione di legge preveda una serie di fatti, ai quali ricollega la stessa pena. Ad esempio, descrivendo il delitto di bancarotta fraudolenta, l'art 216 co. 1 l. fall. Punisce “con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni...o allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti...”. Ci si chiede se in casi del genere la norma preveda un unico reato, realizzabile con diverse modalità considerate equivalenti, o una pluralità di reati, che possono concorrere fra loro: si parla nel primo caso di norme a più fattispecie (ovvero di norme miste alternative) e nel secondo caso di disposizioni a più norme (ovvero di norme miste cumulative). La maggior parte della dottrina ritiene che nel diritto vigente vi sia posto sia per l'una sia per l'altra soluzione, rinviando all'interprete la decisione se ci si trovi in presenza di uno o di più reati. Secondo autorevole dottrina, l'interpretazione dovrebbe sempre condurre a ravvisare un unico reato, trattandosi della violazione di un'unica norma incriminatrice. Invero, il tratto comune a queste ipotesi è che i vari fatti descritti all'interno dell'unica disposizione rappresentano, sul piano sostanziale, o altrettanti gradi di offesa ad uno stesso bene giuridico, oppure modalità diverse di offesa a quel bene. D'altra parte, sul piano della tecnica legislativa, l'inclusione di quelle diverse, o più o meno intense, offese a un medesimo bene giuridico all'interno di un'unica disposizione, con la previsione della stessa pena, parla in senso di una unificazione legislativa di quei vari fatti, con la creazione di un'unica norma incriminatrice, la cui violazione darà perciò vita ad unico reato. (MarinucciDolcini; Pagliaro). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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