Le mille e una fontane di Roma L`acqua a Roma ha sempre fatto la
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Le mille e una fontane di Roma L`acqua a Roma ha sempre fatto la
Le mille e una fontane di Roma L’acqua a Roma ha sempre fatto la buona e la cattiva sorte. Più che altrove fu sempre segno dell’abbondanza o del decadimento. Dopo l’arrivo dei gemelli nella cesta affidata al Tevere che si arenò poco a sud dell’Isola Tiberina (e in verità l’isola secondo la leggenda non c’era ancora …), la neonata Roma regia ha potuto iniziare ad allargarsi solo una volta che ha addomesticato l’acqua della valle Murcia, domando, con la costruzione della cloaca massima, le paludi che coprivano le superfici dei futuri Circo Massimo e Foro Romano. Poi i romani perfezionarono l’arco e costruirono meravigliosi acquedotti che per secoli rifornivano l’urbe di quantità abbondantissime di acqua, facendo funzionare sontuose terme, ninfei e fontane, e facendo arrivare l’acqua corrente nelle domus più ricche, importando la tecnica e l’estetica in tutte le colonie dell’impero. Infatti la decadenza dell’urbe non ebbe inizio con la deposizione di Romolo Augustolo, bensì dopo che nel 537 l’ostrogoto Vitige tagliò tutti gli acquedotti, impedendo così l’arrivo di acqua a Roma. Per quasi mille anni Roma rimase senza acqua, con solo il suo Tevere, che continuava nella sua capricciosa attività di straripamenti, e i pochi abitanti rimasti, malgrado le diverse famiglie nobiliari che con successo alterno imposero il loro dominio sulla città o parte di essa, non riuscirono ridare lustro alla città. La rinascita avvenne di nuovo sull’onda dell’acqua: a partire dal primo Giubileo del 1300 centinaia e migliaia di pellegrini iniziavano a giungere a Roma in numero sempre maggiore. A ricompensa delle loro fatiche le loro anime venivano risollevate dall’assoluzione papale , mentre il corpo doveva trovare rinfresco dalle fontane, dove per bere immergevano la loro conchiglia divenuta simbolo tante volte rappresentato nelle decorazioni delle chiese. Le prime fontane erano poco più di semplici abbeveratoi, antichi sarcofagi e vasche risistemati qua e la nelle piazze. Fu il 1450 circa quando Papa Nicolò V affidò a Leon Battista Alberti il ripristino dell’acquedotto Virgo, l’acquedotto che Agrippa costruì per Augusto. Il papa o il signore che per abbellire la propria villa con giochi d’acqua sistemò un acquedotto e lo fece diramare fino alla propria terra, doveva fare anche una fontana pubblica per la gente, ed eccone a ricordo la fontana del Mascherone accanto a Villa Farnese. Da lì a poco Roma iniziò a riempirsi di fontane che i papi uno dopo l’altro commissionarono agli artisti del rinascimento e del barocco. Ciascuno aveva il suo preferito. Nel ‘500 moltissimo fece Giacomo della Porta, l’allievo prediletto di Michelangelo, che principalmente su commissione di Gregorio XIII progettò le fontane laterali di Piazza Navona, la fontana in Piazza d’Aracoeli, quelle in Piazza Colonna, Piazza di Santa Maria in Campitelli e altre. Forse, come molti ritengono, anche la tanto amata fontana delle Tartarughe è un progetto dellaportiano. Protagonista sempre l’acquedotto Virgo, restaurato nuovamente a fine ‘500 quando su pressioni della famiglia Mattei, una delle nuove fontane fu prevista per la piazza antistante il palazzo familiare. La leggenda popolare vuole che il duca Mattei, per stupire il futuro suocero che non voleva concedergli la figlia in mogli, facesse realizzare in una sola notte la fontana. Ma le tartarughe che le diedero il nome furono aggiunte solo diversi decenni dopo dal Bernini. L’energico Papa Sisto V commissionò quasi tutti i lavori del suo tempo a Domenico Fontana, il quale oltre a ridisegnare Roma con la rete viaria definita dalla nuova collocazione da lui voluta degli antichi obelischi, si è prodigato nel progettare la Fontana del Mosè (assieme al fratello), mostra terminale del rinnovato acquedotto alessandrino, e la Fontana dei Dioscuri davanti al Quirinale. Altresì a lui è attribuito il Complesso delle quattro Fontane dedicate rispettivamente al Tevere, all’Arno , a Giunone-Fortezza e alla Fedeltà, di cui due furono finanziate dal Duca Mattei per riconoscenza verso la già menzionata concessione del papa. Paolo V Borghese, uno degli ultimi committenti della fabbrica del Vaticano, decise di ripristinare l’acquedotto Traiano, che captava acqua nella zona del Lago di Bracciano, facendola arrivare sul Gianicolo, in modo di dotare la Basilica di San Pietro e il Palazzo Apostolico di acqua, regalando alla città il Fontanone del Gianicolo. Poi arrivò Bernini, Gianlorenzo, l’arcistar del barocco, che riuscì a mantenere il suo ruolo di architetto e scultore prediletto sotto ben tre papi del ‘600. In tema di fontane esordì con la Barcaccia, firmandola insieme al padre. Fu una bella novità la Barcaccia! Prima le fontane erano fondamentalmente delle vasche, anche due vasche sovrapposte, dove zampillava e scendeva l’acqua, servendo fedelmente alla funzione di rendere l’acqua accessibile. Oppure erano le mostre finali degli acquedotti restaurati, monumentalizzati a somiglianza di antichi ninfei. Con la Barcaccia nasce la fontana-scultura in linea con quello che diventerà l’ideologia del barocco: stupire. E Bernini stupisce sempre di più! Al Papa Barberini Urbano VIII, oltre alla Barcaccia decorata con due bei soli barberiniani che immettono l’acqua nella barcaccia arenata in piazza (che pare ci fosse davvero e potesse essere servito da ispirazione per gli autori), disegna la Fontana delle Api e la Fontana del Tritone. Ma la sua fontana-capolavoro, quella dei Quattro fiumi in Piazza Navona, ci racconta di più dell’artista e della sua epoca: è risaputa la rivalità che animava il rapporto del Bernini con il Borromini, l’altro protagonista del barocco romano. E fu l’epoca di papa Innocenzo X, al secolo Giovan Battista Pamphili, successore del papa Barberini, che proprio per enfatizzare il suo rifiuto verso la politica di sprechi del suo predecessore, mise da parte anche l’architetto di corte, Gianlorenzo Bernini, dando così più spazio al rivale Francesco Borromini, quando appunto Borromini stava eseguendo i lavori di facciata della Chiesa di Sant’Agnese in Agone. Bernini aveva già aggiunto la statua del moro sulla fontana laterale dellaportiana di Piazza Navona, ed era interessato a farsi assegnare la commissione della fontana monumentale che doveva nascere davanti alla Chiesa borrominiana, attigua a Palazzo Pamphili (oggi sede dell’Ambasciata del Brasile). Ma era persona non grata nella corte Pamphili. Sennonché goccia dopo goccia, con l’abilità e la tenacia di un moderno manager forse insiti nel suo sangue napoletano, riuscì ad avvicinare la cognata e presunta amante del papa, Donna Olimpia Maidalchini, soprannominata la Pimpaccia per le sue caratteristiche ed influenze esercitate sul papa. Tramite lei fece arrivare ad Innocenzo X il modello in argento del suo progetto. E da quel momento la sua arte parlò per sé. Ma la fontana di Roma più conosciuta al mondo è senza dubbio la Fontana di Trevi, adagiata sul fianco di Palazzo Poli, un capolavoro del ‘700! Una prima fontana, monumentale ma semplice, fu progettata per questo luogo già nel ‘600 dal Bernini, ma l’attuale opera è di Nicola Salvi costruita su commissione di Clemente XII Corsini. Nella cornice del grande palazzo un arco trionfale e una nicchia centrale racchiudono in sé la scena del Dio Oceano-Nettuno che sul suo cocchio-conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, attraversa oceani e secoli, coniugando magistralmente natura e storia come simboli e temi centrali del nascente Illuminismo. Il recente restauro eseguito grazie al Progetto “Fendi for Fountains” ci permette di ammirarla in tutta la sua maestà. Quindi l ’acqua, oltre a dare spettacolo nelle fontane pubbliche e private, iniziò a diventare di nuovo accessibile a tutti. Se non altro c’era l’acquaiolo che offrì acqua nelle case dal suo barilotto riempito alla fontana, e ce lo ricorda la fontana-statua parlante del Facchino. Oggi, i famosi nasoni compresi, ci sono quasi tremila fontane a Roma a raccontarci e ricordarci tanti momenti di quasi tre millenni di storia. Ogni rione ha la sua fontana ad indicare la caratteristica principale del posto, come la Fontana delle Anfore per Testaccio, la Fontana dei Libri nel fianco dell’antica sede della Sapienza, fulcro del rione Sant’Eustachio, la Fontana della Botte per Trastevere, la Fontana delle Tiare appena fuori dal colonnato di San Pietro, etc… Roma ha anche due fontane dedicate a sé stessa: una sul Campidoglio e l’altra in Piazza del Popolo, ambedue quindi in luoghi emblematici, e creando nella loro simmetria-assimetria un dialogo simbolico molto ricco di significati. Nei secoli è toccata una sorte molto variopinta alle fontane; alcune si ripristinano, altre si demoliscono o sopravvivono come monumento: una fontana antica romana, la Meta Sudans ai piedi del Colosseo sarebbe sopravissuta fino ai giorni nostri, se non fosse stata demolita sotto Mussolini per la costruzione della Via dei Fori; i Trofei di Mario in Piazza Vittorio, che stupiscono ancora per la loro monumentalità sono in realtà i resti di un Ninfeo di Alessandro Severo. E rimanendo in Piazza Vittorio troviamo anche la fontana forse meno apprezzata, quella che i romani, sempre pronti alla battuta, hanno soprannominata Il Fritto Misto forse per la sua composizione di dubbia interpretazione. Tale Fontana, destinata in origine all’abbellimento di Piazza Esedra, ha dovuto cedere il posto alla Fontana delle Najadi, rimanendo relegata alla protettiva ombra floristica di Piazza Vittorio. Infine, e per risalire alla fonte, la prossima volta che visitate il Foro Romano non vi fate sfuggire la Fons Iuturnae, Fonte di Giuturna, dove i i Dioscuri Castore e Polluce abbeverarono i loro cavalli dopo la vittoria riportata dai romani sui latini a Lago Regillo, alimentando quella leggenda che abbinata prima al pragmatismo romano, e poi all’amore per il bello dei signori di sempre, divenne la fama intramontabile della città eterna.