LEOPOLDINA Testo per stampa 2

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LEOPOLDINA Testo per stampa 2
Cosi d’Oru
1
In copertina: Léopoldine Hugo, di Auguste de Châtillon.
VICTOR HUGO
LEOPOLDINA
Cura e traduzione
di Sebastiano Saglimbeni
Biblioteca “Edoardo Cavallaro”
Sciglio
2012
©Proprietà letteraria ed artistica riservata
SMIM – Roccalumera - 2012
MEMORIA DI POESIA
I
ERA L’ANNO 1950, quando noi giovani, una decina,
della comunità collinare di Limina, avviati, dopo le
Elementari, al proseguimento degli studi, e
raggiunto il traguardo, un avvenimento, della quinta
ginnasiale, imparavamo, tra l’altro, a leggere e a
tradurre nella nostra lingua alcuni testi di autori
francesi.
Di Victor Hugo avevamo letto e provato a
tradurre un brevissimo tratto di prosa, che
riguardava uno dei protagonisti, Jean Valjean, del
romanzo I miserabili, e la lirica “Léopoldine”, che
pure abbiamo appreso a memoria. Una lirica che ci
aveva fatto sperdere certa focosità e ci aveva
emozionati. Allora io scrivevo, tra la decina, versi,
dai vari metri rimati e liberi, che quella lirica ed altre
della nostra letteratura avevano come alimentato. In
seguito, ne ho pubblicato parecchi.
Dopo tanto tempo, come restituito, per incanto,
a quella stagione di formazione, affatto ardua per
ciascuno di noi, avevo ricercato
il testo
“Léopoldine” come un dono prezioso smarrito, ma
invano. Avevo chiesto ad un’emerita francesista, ma
non mi aveva trovato, tra i suoi numerosi titoli di
scrittori e poeti francesi, la lirica che Victor Hugo
aveva dedicato alla figlia.
Sono riuscito, finalmente, nell’estate 2012, a
trovare tutto il testo di tredici strofe ed un altro,
dedicato alla figlia Léopoldine, che indico con il
titolo “Je sais que tu m’attends”.
Alla luce di quell’apprendimento della lingua
francese, dalla seconda media sino alla quinta
ginnasiale, ho provato a volgerli nella nostra lingua
con una resa, soprattutto, letterale e ritmica.
II
Léopoldine Hugo(1) muore tragicamente il 4
settembre del 1843, annegata, assieme allo sposo
Adèle, detta Dédé, la seconda figlia dello scrittore, non riscosse
l’affetto riservato a Léopoldine. Trentenne, non coniugata, soffriva di
1
Charles Vacquerie, durante una gita in barca sulle
acque della Senna, a Villequier. La tragedia era
accaduta otto mesi dopo il loro matrimonio e
Léopoldine, raggiante, era gestante di tre mesi.
Lo scrittore, che aveva appena raggiunto la
maturità e godeva di agiatezza e di gloria, ritornava
dalla Spagna assieme alla sua amica Juliette Drouet
(nome d’arte). Appena aveva messo piede, il 9
settembre, in territorio francese, si era concesso una
breve pausa in un Caffè di Rochefort, per rifocillarsi
e leggere i giornali. Aperto, a caso, “Le Siècle”,
rimase come impietrito. Il giornale riferiva
dettagliatamente la cronaca di quella gita in barca.
solitudine. Un giorno scomparve per seguire, innamorata, un ufficiale
della Marina inglese, un certo Pinson, appena conosciuto, che non
l’aveva per nulla lusingata. Quando, stanca e delusa, riuscì a trovarlo
in Canada era coniugato. Rientrerà, pazza d’amore, in Francia e verrà
internata nel 1872 in una clinica.
Il regista François Truffaut ha tratto un film dal titolo, Adèle H, una
storia d’amore, che verrà proiettato per la prima volta l’8 settembre del
1975. La sceneggiatura è stata tratta dalla biografia curata da Frances
Vernon Guille, una studiosa americana, che nel 1955 aveva scoperto
due testi del diario di Adèle in una libreria di New York. Gli altri figli
dello scrittore, il primogenito, Léopold, che morì a soli tre mesi,
Charles, Françọis-Victor. Un amico celiando ebbe a scrivere che Hugo
continuava a fare poesie e figli, senza riposarsi.
I due giovani coniugi saranno sepolti in unica
bara nel piccolo cimitero di Villequier.
La tragica perdita della figlia, tanto prediletta,
e certo insuccesso dell’opera teatrale, I Burgravi,
ottenebrarono talmente l’uomo che fu costretto ad
allontanarsi per un decennio dalla scena letteraria.
Ma la fervida creatività insorgerà e lo ricondurrà al
lavoro creativo di varie scritture. Le poesie che
scriverà intensificheranno la silloge Les contemplations
editata nel 1856, i cui primi testi risalgono al 1834.
“Léopoldine” e “Je sais que tu m’attends” fanno
parte di questa silloge che l’autore definì “la
memoria di un’anima” e indicò nella seconda parte
con la locuzione latina Pauca verba meae filiae (Poche
parole per mia figlia).
In questa silloge, di 11.000 versi, si leggono
riversate le dolcezze ormai svanite del tempo
trascorso, accostato al presente intessuto di
meditazioni e di amarezze. Les contemplations, il
capolavoro poetico lirico di Victor Hugo, non
immune da facili denigrazioni.
III
Nella lirica “Léopoldine” la rievocazione
armoniosa e struggente di quando il poeta giovane
viveva unito alla famiglia, fiorita di prole (Quand
nous habitions tous ensemble), sulle colline di una volta,
con ai suoi occhi l’immagine costante del tenero
verde umano, la figlia di dieci anni. “Abitavamo” e
non abitarono probabilmente più nella casa
confinante con il bosco, dove l’acqua gorgoglia e la
macchia tremula (où l’eau court et le buisson tremble),
complice
quell’esistenza dello scrittore
tanto
lavorativa, creativa, di viaggi, di allontanamenti, di
stravaganze, di vicende libertarie e angosciose. La
figlia, che non vedrà mai più, era per il padre tutto
l’universo, e gli rendeva prospero il destino.
Una lirica esclamativa, dalle rievocazioni di
luoghi perduti e di gioie caduche, tra l’erba odorosa
e gli alberi elevati e verdi (profonds et verts).
Una lirica, da dove emerge finemente il
romanticismo di Hugo, pure consolatrice del dolore.
Ispiratrice la tragica fine della figlia nei cui occhi si
rispecchiava l’immagine del padre. La
figlia
cercatrice di fiori, lungo il cammino e di povera
gente, alla quale donava. La figlia dalla veste
graziosa che le conferiva il portamento di una
principessa, quando egli la teneva per la mano. Tutto
Léopoldine per una fervida fantasia di un poeta
che poteva concedersi iperboli, consistenti in quegli
occhi della fanciulla nei quali si potevano specchiare
gli angeli. E così Léopoldine appariva nel destino
del padre, come la fanciulla della sua aurora e come
la sua stella del mattino.
Iterativo il testo, verso la chiusa. Qui le
evocazioni di quei mesi felici, resi tali dallo
splendore lunare nel cielo. Allora abitavano tutti
uniti e si portavano nella pianura e correvano per i
boschi e poi rincasavano con il cuore in fiamme
mentre si decantavano gli splendori del cielo.
Il poeta, infine, mentre studia la sua fanciulla,
crescente, ricorre ad una similitudine e si vede come
un’ape che produce il miele.
Con Léopoldine, doux ange, l’estremo rimpianto,
intensificato da quella bella storia che è passata come
l’ombra e come il vento.
Pure alcuni di quella decina di giovani sono
passati, dalla vita ardua e
positivamente
conclusiva, alle ceneri. Allo scrivente resta poco.
Che è tanto, in quanto carico di anni, non senza il
costante assillo di mantenere l’equilibrio e la
dignità,
sostantivi astratti, che oggi non si
addicono agli sciagurati potenti della terra.
In “Je sais que tu m’attends”, di tre quartine,
con rima, come in “Léopoldine”, più struggente la
memoria della figlia. Il poeta si muove e vagherà
nell’ora che albeggia la campagna, ignoto, triste, con
il giorno che per lui sarà come la notte, e non cura il
godimento dell’idillio aureo vespertino e delle vele
che scivolano verso l’ Harfleur. Quando raggiungerà
il luogo che sa, deporrà fiori sulla sepoltura di
Léopoldine.
Qui, come nel testo precedente, il nome della
figlia non viene menzionato, viene evocato con dei
pronomi personali.
Sebastiano Saglimbeni
LÉOPOLDINE
Quand nous habitions tous ensemble
Sur nos collines d’autrefois,
Où l’eau court, où le buisson tremble,
Dans la maison qui touche aux bois,
Elle avait dix ans, et moi trente;
J’étais pour elle l’univers.
Oh! comme l’herbe est odorante
Sous les arbres profonds et verts!
Elle faisait mon sort prospère,
Mon travail léger, mon ciel bleu.
Lorsqu’elle me disait: Mon père,
Tout mon coeur s’écriait: Mon Dieu!
À travers mes songes sans nombre,
J’écoutais son parler joyeux,
Et mon front s’éclairait dans l’ombre
A la lumière de ses yeux.
LEOPOLDINA
Quando abitavamo tutti uniti
sulle nostre colline di una volta,
dove gorgoglia l’acqua e oscilla la macchia,
nella casa adiacente ai boschi,
lei aveva dieci anni ed io trenta;
ero per lei l’universo.
Oh, come l’erba profuma
sotto gli alberi verdi e svettanti!
Rendeva lei felice la mia sorte,
il mio lavoro agile, il mio cielo blu.
Quand’ella mi diceva: padre mio,
tutto il mio cuore esclamava: mio Dio!
Attraverso i sogni miei infiniti,
sentivo il suo parlare armonioso,
nell’ombra il volto mio s’illuminava
alla luce dei suoi stupendi occhi.
Elle avait l’air d’une princesse
Quand je la tenais par la main.
Elle cherchait des fleurs sans cesse
Et des pauvres dans le chemin.
Elle donnait comme on dérobe
En se cachant aux yeux de tous.
Oh! la belle petite robe
Qu’elle avait, vous rappelez-vous?
Le soir, auprès de ma bougie
Elle jasait à petit bruit
Tandis qu’à la vitre rougie
Heurtaient les papillons de nuit
Les anges se miraient en elle.
Que son bonjour était charmant!
Le ciel mettait dans sa prunelle
Ce regard qui jamais ne ment.
Aveva l’aria d’una principessa
quand’io la prendevo per la mano.
Era in cerca di fiori, senza tregua,
e di povera gente nel cammino.
Lei donava, come si sottrae,
celandosi alla vista della gente.
Oh! la graziosa veste che indossava,
lo ricordate voi, lo ricordate?
La sera, accanto alla mia candela,
lei parlottava, non importunava,
mentre le farfalle notturne
lambivano la rosea finestra.
Gli angeli si specchiavano in lei.
Quant’era delizioso il suo buongiorno!
Il cielo proiettava nel suo occhio
quello sguardo che non mente mai.
Oh! je l’avais, si jeune encore,
Vue apparaître en mon destin!
C’était l’enfant de mon aurore,
Et mon étoile du matin!
Quand la lune claire et sereine
Brillait aux cieux, dans ces beaux mois,
Comme nous allions dans la plaine!
Comme nous courions dans le bois!
Puis, vers la lumière isolée
Étoilant le logis obscur
Nous revenions par la vallée
En tournant le coin du vieux mur;
Nous revenions, coeurs pleins de flamme
En parlant des splendeurs du ciel.
Je composais cette jeune ậme
Comme l’abeille fait son miel.
Oh! Io l’avevo, così giovane ancora
visto apparire nel mio destino!
Era la fanciulla della mia aurora,
era la mia stella del mattino!
Quando la luna chiara e serena
brillava in cielo, in quei felici mesi,
come noi in pianura andavamo!
come noi nei boschi correvamo!
Dopo, verso la luce isolata,
che rischiarava la casa nel buio,
noi ritornavamo per la valle
aggiravamo l’angolo del vecchio muro;
ritornavamo con i cuori in fiamma,
decantando gli splendori del cielo.
Coltivavo questa anima graziosa
come l’ape che il miele produce.
Doux ange aux candides pensées,
Elle était gaie en arrivant….
Toutes ces choses sont passées
Comme l’ombre et comme le vent.
Grazioso angelo dai puri pensieri,
era gioiosa mentre arrivavamo…
Passate sono tutte queste cose
come l’ombra e come il vento.
JE SAIS QUE TU M’ATTENDS
Demain, dès l’aube, à l’heure où blanchit la campagne,
Je partirai. Vois-tu, je sais que tu m’attends.
J’irai par la forêt, j’irai par la montagne.
Je ne puis demeurer loin de toi plus longtemps.
Je marcherai les yeux fixés sur mes pensées,
Sans rien voir au dehors, sans entendre aucun bruit,
Seul, inconnu, le dos courbé, les mains croisées,
Triste, et le jour pour moi sera comme la nuit.
Je ne regarderai ni l’or du soir qui tombe,
Ni les voiles au loin descendant vers Harfleur,
Et quand j’arriverai, je mettrai sur ta tombe
Un bouquet de houx vert et de bruyère en fleur.
IO SO CHE TU MI ASPETTI
Domani quando albeggia la campagna,
io partirò. Io so che tu mi aspetti.
Andrò per la foresta, andrò per la montagna.
Non posso dimorare lontano da te a lungo.
Andrò. Gli occhi sui miei pensieri intenti,
senza vedere altro, senza sentire rumori,
solo, ignoto, piegato, le mani incrociate,
triste, e il giorno, per me, sarà come la notte.
Non contemplerò l’aurea sera che avanza,
non le vele che, lontano, vanno verso l’Harfleur,
e quando arriverò, deporrò sulla tua tomba
un bouquet di agrifogli e di erica in fiore.
ALCUNE NOTIZIE SU VICTOR HUGO
NATO A BESANÇON nel 1802, morto a Parigi
1885. Sull’uomo e sull’opera non si conta la
copiosa storiografia. La malevola non ha nel
tempo minimamente appannato quella
benevola. Lo scrittore indubbiamente si può
considerare il campione degli oppressi. Che
erano, mentre in vita, i Polacchi, gli Italiani e i
Negri.
Nel 1859 non espresse alcun plauso, alla
notizia della Lombardia liberata.
Fu
sarcastico. V’era stata, per quella liberazione,
una guerra dell’odiato Napoleone III. La
Costituzione del Regno d’ Italia altro non era
che il passaggio da Francesco Giuseppe a
Vittorio Emanuele II.
Amicissimo di Garibaldi che, quando
seppe sconfitto nel 1867 dai fucili francesi, gli
chassepots, inneggiò con un’ode e lo
paragonò all’eroe greco Leonida e all’eroe
elvetico Guglielmo Tell. A Jersey, nel giugno
del 1860, in un suo discorso favorì la
sottoscrizione promossa in Inghilterra a
favore di Garibaldi. Famose le sue parole che
recitano: “Ha un esercito? No, un pugno di
volontari. Munizioni di guerra? Affatto. Della
polvere? A malapena qualche barile. Dei
cannoni? Quelli del nemico. Qual è dunque la
sua forza, e che cosa lo fa vincere, che cosa sta
con lui? L’anima dei popoli…”.
La spedizione, con a capo Garibaldi,
contro il regno delle Due Sicilie, entusiasmò
lo scrittore, mentre
quella dell’odiato
Napoleone III contro il Messico lo inasprì. E,
mentre in esilio, si dichiarò vicino ai
Messicani rivoluzionari, i quali potevano
servirsi, se egli valeva qualcosa, del suo
nome. Dovevano terribilmente combattere e
mirare alla testa di Massimiliano d’Asburgo,
il giovane che Napoleone III volle imporre al
Messico come sovrano. Quando il giovane
cadde in mano ai combattenti della libertà e
le truppe francesi ingloriosamente si
ritirarono, lo scrittore chiese al presidente
Benito Juarez la grazia per quel giovane
sventurato. Capì ch’era stato una vittima e
aveva provato, da uomo e da padre, pietà,
pietà per tutte le vittime, pure per quelle
coronate.
Quando Victor Hugo ricevette da Giosuè
Carducci dei versi, inneggianti alla libertà,
non si degnò di un riscontro. Al poeta
catanese Mario Rapisardi, che gli aveva
spedito uno dei suoi poemi, gli rispose con le
parole di lodi che recitano:
“J’ai lu, Monsieur, vostre noble poème. Vous
êtes un précurseur. Vous avez danz les mains
deux flambleaux: le flambleau de la Poésie et le
flambeau de Vérité. Tous deux éclaireront l’avenir.
L’avenir c’est Rome à l’Italie et Paris à
l’Europe…, Je vous envoie mon applaudissement
fraternel”.
Victor Hugo, durante gli anni delle
ultime
tirannidi
italiane
tedesche
e
nipponiche era assurto a grande simbolo di
libertà. Le sue opere, ritenute pericolose in
Germania, venivano tolte dalle biblioteche e
bruciate, ma venivano, d’altro canto,
riscoperte dagli uomini liberi. In Francia,
occupata dai nazisti, e in tutta Europa,
significarono alto valore di libertà e di
democrazia.
Lo scrittore si prodigò per la pace fra i
popoli, fu contro la pena di morte, la
prostituzione che le mostruose e perenni
ingiustizie sociali alimentano e considerò
l’analfabetismo e l’ignoranza povertà sociali,
il pasto delle nobiltà. Si prodigò per
l’emancipazione della donna e per la tutela
dei bambini. Che considerava il suo stesso
sangue.
In un testo poetico, tanto popolare, di sei
quartine, esortava gioioso le bambine a
danzare tutte in giro.
Dansez, les petites filles,
Toutes en rond.
En vous voyant si gentilles,
Les bois riront.
E l’esortazione “dansez” si ripeterà con
alto lirismo per tutte le strofe(1).
S.S.
1
Chanson de grand-père.
COLOPHON
Questa inaugurale Cosa d’Oru fuori
commercio è stata stampata
senza finanziamenti
dalla SMIM di
Matteo Steri il
15 Dicembre
2012
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