istituzioni di diritto romano

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INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
LEZIONE IX
“LE FORME DI APPARTENENZA (C)”
PROF. FRANCESCO M. LUCREZI
Istituzioni di Diritto Romano
Lezione IX
Indice
1
Titolarità e potere di disposizione sui beni ---------------------------------------------------------- 3
1.1
Età rurale---------------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.2
Età mercantile ---------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Potis esse e imago dominii ------------------------------------------------------------------------------ 5
3
La possessio ad interdicta------------------------------------------------------------------------------- 6
3.1
Gli interdicta------------------------------------------------------------------------------------------ 6
3.2
Possessio iusta e vitia possessionis ---------------------------------------------------------------- 7
4
La possessio ad usucapionem -------------------------------------------------------------------------- 8
5
In bonis habère-------------------------------------------------------------------------------------------- 9
5.1
La ‘proprietà pretoria’------------------------------------------------------------------------------- 9
5.2
Duplex dominium------------------------------------------------------------------------------------ 9
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione IX
1 Titolarità e potere di disposizione sui beni
1.1 Età rurale
Un cambiamento essenziale intervenuto nella società romana a seguito della sua evoluzione
in chiave aperta e mercantile fu l’estensione della tutela delle forme di appartenenza, al di là
dell’effettiva titolarità dei beni.
Nell’età rurale, segnata da un carattere fortemente statico e stanziale dell’economia e da una
notevole pubblicità dei diritti e degli atti dispositivi, la regola era che a godere dei beni fosse lo
stesso soggetto titolare. Il pater familias risiedeva normalmente sulla propria terra, sfruttava i propri
attrezzi e armenti, distribuiva i prodotti tra i membri della propria familia. Se un oggetto cambiava
di titolarità, la comunità doveva esserne informata, e infatti gli atti traslativi di mancipium erano
pubblici, avvenivano innanzi al re o al magistrato (in iure cessio) o in presenza di testimoni
(mancipatio). L’uso di res màncipi da parte di individui non proprietari delle stesse (p. es., a titolo
di commodatum), certamente, era praticato, ma non su larga scala e, comunque, sul tacito
presupposto di una presa d’atto dell’avvenuto prestito da parte della collettività. Quanto alle res nec
màncipi, esse, come sappiamo, non erano considerate beni di rilievo economico, e non erano
pertanto oggetto di mancipum, ma di mera possessio (da “potis esse”, “potis sedère”: essere in
potere, insistere da signore): un’appartenenza solo di fatto, priva di tutela in quanto extra-giuridica.
1.2 Età mercantile
Nei secoli dell’economia commerciale, monetaria e schiavistica, le cose mutarono
radicalmente. In primo luogo, si imposero, al centro dell’interesse economico e giuridico, le res nec
màncipi, che, come abbiamo già osservato, pur non soggette ai vincoli formalistici del mancipium,
comprendevano spesso beni ritenuti di altissimo valore (opere d’arte, gioielli, suppellettili preziose
ecc.), che chiedevano, ovviamente, adeguato riconoscimento sul piano del diritto. In secondo luogo,
la circolazione dei beni e delle persone, e il passaggio dalla cerchia chiusa della comunità dei patres
al grande spazio del mercato internazionale del mare nostrum, teatro di scambi tra diversi popoli e
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione IX
nazioni, fece apparire normale uno sganciamento del godimento dei beni dalla titolarità giuridica
degli stessi.
Nella statica società rurale la titolarità del mancipium era generalmente manifesta, visibile:
la terra, il bestiame, gli attrezzi appartenevano, di regola, al pater, che mostrava pubblicamente di
farne uso, insieme ai propri sottoposti. Ma nella fluida e mobile società mercantile, ovviamente, ciò
non era più possibile: non sarebbe stato agevole, nelle città e nei porti del Mediterraneo, essere
informati sull’effettivo diritto vantato da un soggetto che avesse in suo potere un determinato bene,
esattamente come ciò appare difficile nelle metropoli contemporanee. La società allargata fa sì che
gli incontri avvengano, sempre più spesso, tra soggetti sconosciuti, dei quali, sovente, non si può
conoscere altro al di là della mera apparenza.
E’ anche in ragione di queste considerazioni che i contractus iuris gentium, come vedremo,
erano meramente obbligatori, e l’eventuale condemnatio a carico di un contraente inadempiente
avrebbe avuto carattere pecuniario, non reale. Chi, per esempio, avesse voluto acquistare dei beni da
un venditore, non avrebbe dovuto premurarsi tanto di accertarsi del suo effettivo status di
proprietario (o di figlio, schiavo, socio, mandatario del dominus), quanto dell’esistenza di un
patrimonio su cui, nel caso, esercitare fruttuosamente l’azione di risarcimento. Era del tutto normale
che l’atto di disposizione fosse compiuto da un soggetto diverso dal titolare, e ad avere rilievo, sul
piano negoziale, era esclusivamente la validità del consensus in idem plàcitum: era non solo lecito,
per esempio, ma frequente il caso di mercanti che si impegnassero, attraverso emptio-vendìtio, a
consegnare a un acquirente degli oggetti non ancora nella propria disponibilità, che sarebbero stati
acquisiti solo in un secondo momento, proprio per onorare l’impegno preso con l’emptor.
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Lezione IX
2 Potis esse e imago dominii
Ma, naturalmente, lo stesso mercato richiedeva che la vita consociata si svolgesse in un
modo pacifico, e che le situazioni di appartenenza fossero rispettate, frenando i comportamenti
arbitrarii e violenti. In un mondo in cui, di regola, si può avere immediata contezza non già della
effettiva titolarità dei diritti, ma solo del potis esse, del potere di fatto esercitato sui beni, si afferma
l’ineludibile esigenza che tale potere, di per sé, e cioè a prescindere dalla sua corrispondenza a un
effettivo diritto, sia tutelato.
La possessio, da realtà meramente extra-giuridica, priva di tutela, chiede con forza di essere
riconosciuta e protetta, in quanto “imago domìnii”, “immagine di proprietà”, parallelamente ma
indipendentemente dal dominium. Lo status del possessore, tanto di res màncipi (p. es., schiavi,
cavalli ecc.) quanto di res nec màncipi (denaro, stoffe, preziosi ecc.) deve essere rispettato da
chiunque, anche da chi conosca l’arbitrarietà del possesso esercitato, e financo dal proprietario del
bene che lo voglia riavere in disponibilità: nessuno (al di fuori dei casi di possessio iniusta di
seguito indicati) potrà usare la forza contro il possèssor, tranne il magistrato che sia stato investito
della questione.
La coscienza sociale, quindi, chiede e ottiene dal pretore che la possessio (nella quale i
giuristi distingueranno i due elementi dell’esercizio fisico [cd. còrpore possidère: possedere col
corpo] e della volontà [cd. animus possidendi, animus rem sibi habèndi: intenzione di possedere, di
avere la cosa presso di sè], escludendo quindi la possibilità di un possesso inconsapevole o ‘a
distanza’) sia tutelata, come garanzia di ordine e pace sociale. Ma chiede anche, comprensibilmente,
che siano repressi gli abusi, e che la legittimità del possesso stesso sia accertata attraverso procedure
agili e spedite, più rapide e semplici della normale giurisdizione.
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3 La possessio ad interdicta
3.1 Gli interdicta
E’ sulla base di queste esigenze che vengono creati e usati i cosiddetti interdicta, peculiari
strumenti del pretore, dalla natura ibrida e polivalente (per certi versi, atti di imperium, in quanto
rientranti nell’insindacabile esercizio della coercitio magistratuale, nell’ambito dei poteri ‘di
polizia’ e di tutela dell’ordine pubblico; per altri, strumenti di iuris dictio, in quanto spesso
preliminari all’esercizio di un’apposita actio ex interdicto; o ritenuti anche, da una parte della
dottrina, espressione di una funzione di tipo ‘amministrativo’, segnata dalla discrezionalità
dell’intervento e dalla considerazione di una sorta di ‘interesse legittimo’ da difendere), volti, in
vario modo, a proteggere da turbative l’esercizio della possessio, e quindi, fondamentalmente, a
porre la società al riparo dalla violenza dell’autotutela.
Gli interdicta (la cui origine è probabilmente più risalente della stessa procedura per
formulas) erano degli ordini o divieti, impartiti dal pretore dopo una summaria cognitio, affinché
fossero immediatamente interrotte le turbative portate al godimento di un possesso (cd. interdicta
retinendae possessionis), o fosse ripristinato il possesso arbitrariamente interrotto (interdicta
recuperandae possessionis) o anche fosse dato inizio a un possesso non ancora praticato
(adipiscendae possessionis). Il destinatario dell’interdetto poteva anche (p. es., in quanto sicuro del
proprio diritto, e del torto del richiedente) disattendere l’ordine del pretore, ma, in questo caso, il
beneficiario avrebbe potuto esperire una successiva actio ex interdicto, a seguito della quale
l’avversario, se soccombente, sarebbe stato condannato in modo aggravato (in duplum), tanto per
aver arrecato il turbamento quanto per aver disubbidito al pretore.
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3.2 Possessio iusta e vitia possessionis
Non sempre, naturalmente, la coscienza sociale riteneva che il possessore fosse meritevole
di protezione, per cui la giurisprudenza andò delineando le caratteristiche di una possessio iusta,
meritevole, per le proprie caratteristiche, della tutela interdettale (detta anche, perciò, possessio ad
interdicta), stabilendo che, per essere iusta, la possessio non dovesse essere inficiata dai cosiddetti
vitia possessionis, e non dovesse cioè essere condotta ‘vi’, ‘clam’, ‘precario’: era considerata ‘vi’ la
possessio acquisita con la violenza (da vis = violenza), ‘clam’ quella iniziata fraudolentemente
(clam = di nascosto), ‘precario’ quella ottenuta col consenso del titolare del bene, e con l’impegno
di una immediata restituzione, su richesta di questo (precario = temporaneamente, a titolo di
cortesia).
Ma è importante sottolineare che questi tre vitia possessionis rendevano la possessio iniusta,
e quindi priva di tutela interdittale, esclusivamente nei confronti della persona rispetto alla quale
sussistesse il vitium, non di tutti gli altri: se Tizio aveva strappato con la forza un oggetto dalle mani
di Caio (vi), o aveva sottratto dolosamente l’oggetto dalla sua casa (clam), o si rifiutava di
restituirglielo, pur avendolo ricevuto solo momentaneamente, a titolo di mera cortesia (precario), la
sua possessio era iniusta nei confronti di Caio, e questi poteva quindi, se ne aveva i mezzi,
interromperla con la forza, giacché il pretore non avrebbe concesso a Tizio gli interdicta retinendae
possessionis; ma, nei confronti di chiunque altro, la possessio di Tizio restava iusta, e nessuno
avrebbe potuto legittimamente interromperla con la violenza.
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Lezione IX
4 La possessio ad usucapionem
Oltre a tutelare il possesso come situazione di mero fatto, la società ritenne utile, in
determinate circostanze, che la sua reiterata prosecuzione sortisse l’effetto di determinare l’acquisto
della titolarità del bene. Giuristi e pretore, in particolare, reputarono che due anni di possesso
ininterrotto, per i beni immobili, e un anno, per i beni mobili, giustificassero l’acquisto del
dominium a titolo di usucapio (cd. possessio ad usucapionem), quando all’origine del possesso
stesso vi fosse una cd. iusta causa, ossia una legittimazione formale, inadeguata per lo ius civile, ma
considerata valida secondo la nuova mentalità corrente. L’acquisto di una res màncipi attraverso
semplice traditio rei (consegna della cosa), per esempio, non avrebbe ottenuto effetti sul piano dello
ius civile, ma, ove ad essa fosse seguito un possesso ininterrotto di un anno (per beni mobili:
schiavi, attrezzi, animali da basto o da soma) o due (per gli immobili: terra, casa, servitù di
passaggio), il dominium sarebbe comunque stato conseguito a titolo di usucapio.
Nel frattempo, l’acquirente (civilisticamente, un mero possessore), sarebbe comunque stato
esposto alle rivendicazioni del venditore (che restava sempre dominus ex iure Quiritium), ma, col
tempo, le sue ragioni (in quanto coincidenti con la superiore esigenza del superamento del
formalismo negoziale) avrebbero prevalso. Se il dominus avesse cercato di interrompere con la
forza il possesso dell’acquirente, egli sarebbe stato respinto dagli interdicta pretorii; ove mai,
invece, avesse esperito un’azione civilistica di rivendica della proprietà, fondata sul suo legittimo
titolo di dominus ex iure Quiritium, il pretore avrebbe potuto inserire nel iudicium, a vantaggio del
convenuto, un’apposita exceptio rei vènditae ac tràditae (eccezione di cosa venduta e consegnata),
o anche un’exceptio doli, con le quali il iudex privatus sarebbe stato invitato ad assolvere il reus, nel
caso la cosa risultasse essere stata oggetto di un atto di compravendita, quantunque imperfetto, o il
venditore si fosse comportato in modo fraudolento. Nel caso, invece, in cui la res màncipi alienata
fosse ancora nelle mani del venditore, e questi si rifiutasse di consegnarla all’acquirente
(rivendicando il proprio perdurante status di dominus), il pretore avrebbe potuto concedere
all’acquirente, come già accennato, un’actio ficticia (detta actio Publiciana, dal nome del pretore
Publicio, che la avrebbe introdotta verso la metà del primo secolo a. C. [cfr. Iust. Inst. 4.6.4]), che
avrebbe permesso la condanna dell’alienante sulla base della fictio di un’usucapione già maturata, a
vantaggio dell’acquirente.
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5 In bonis habère
5.1 La ‘proprietà pretoria’
Il pretore, quindi, protegge attivamente, in determinate circostanze, il possesso, favorendo la
sua trasformazione in vero e proprio dominium. Compare alcune volte, nelle fonti, l’espressione “in
bonis habère” (avere tra i propri beni), per indicare tali forme di possesso tutelate dagli interdetti e
tendenti (in forza di exceptiones e fictiones) al conseguimento dell’usucapio, e una parte della
dottrina ha parlato di una forma di ‘proprietà pretoria’, nel senso di un tipo di appartenenza
garantita non dallo ius civile, ma dall’intervento del praetor. Non c’è dubbio, dal punto di vista
pratico, che “in bonis habère”, con l’avallo e la protezione del magistrato, rappresentò un diritto di
godimento effettivo, di fatto concorrente e spesso prevalente nei confronti del dominium civilistico.
E’ molto controversa, però, la questione se la scienza giuridica e il comune sentire, nell’ultimo
secolo di repubblica e agli inizi del principato, considerassero tale situazione alla stregua di un vero
e proprio ‘diritto’ sostanziale, e non soltanto come un dato di fatto, garantito e protetto
dall’intervento magistratuale.
5.2 Duplex dominium
Gaio, in due passi (1.54 e 2.40), molto discussi, delle sue Institutiones, sembra
effettivamente parlare di un dominium ‘doppio’ e ‘diviso’, articolato in un diritto civilistico, “ex
iure Quiritium”, e una forma di godimento pretorio, “in bonis” (1.54: “duplex domium”, 2.40:
“divisionem accèpit dominium”). Tali espressioni gaiane, però, appaiono piuttosto isolate, e hanno
sollevato reiterati e consistenti dubbi riguardo alla loro genuinità. Nonostante la problematicità della
questione, ci sembra preferibile ritenere che, se il pretore garantiva il godimento di fatto del
possesso, e anche la realizzazione dell’usucapione, la ‘vera’ proprietà, sul piano sostanziale,
continuava comunque sempre a restare quella, civilistica, del dominium ex iure Quiritium (al cui
conseguimento, fra l’altro, mirava lo stesso operato del praetor). Così come va ricordato che, se la
giurisprudenza del principato rappresenta spesso, comprensibilmente, il confronto tra il pretore e lo
ius civile come una sorta di contrapposizione tra una novità vincente e un arcaismo soccombente,
tale rapporto dovette essere, nei secoli, molto mutevole, complesso e variegato, né dovettero essere
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Lezione IX
poche le occasioni in cui, tra le vecchie esigenze formalistiche dello ius civile e le nuove necessità
dei traffici e del mercato, il praetor fu indotto o costretto, per varie ragioni, a difendere, nonostante
tutto, le prime.
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