insegnamento di storia del diritto medievale e moderno

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insegnamento di storia del diritto medievale e moderno
INSEGNAMENTO DI
STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO II
LEZIONE I
“UN NUOVO ORDINAMENTO GIURIDICO E POLITICO PER
L’EUROPA MEDIEVALE”
PROF.SSA MARIA NATALE
Storia del Diritto Medievale e Moderno II
Lezione I
Indice
1 Il Sacrum Romanum Imperium ----------------------------------------------------------------------- 3 2 La funzione della Chiesa di Roma -------------------------------------------------------------------- 5 3 Unum imperium, unum ius ----------------------------------------------------------------------------- 7 4 Caratteri del diritto germanico ---------------------------------------------------------------------- 10 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Storia del Diritto Medievale e Moderno II
Lezione I
1 Il Sacrum Romanum Imperium
La notte di Natale dell’anno 800 con l’incoronazione di Carlo Magno, avvenuta a Roma per
mano del pontefice Leone III, prese vita il Sacrum Romanum Imperium, una formale ed unitaria
struttura politica ricomprendente gran parte dell’Europa di oggi.
Ma chiediamoci: quale significato storico e giuridico ebbe l’incoronazione romana di Carlo
Magno? La risposta è nell’analisi delle tre parole cui abbiamo fatto riferimento: Sacrum Romanum
Imperium.
Prima di tutto nasceva un nuovo Imperium: sotto il dominio di un imperatore barbarico
potentissimo prendeva vita una nuova struttura giuridica unitaria, un rinnovato Impero d’Occidente.
Il nascente Impero era altresì Romanum, ossia ideale continuatore della gloriosa tradizione e del
prestigioso ordinamento giuridico romano. L’immagine eroica della forte Roma imperiale
suggestionava ed affascinava Carlo Magno: era il riferimento ad un superiore e mai oltrepassato
modello di grandezza, di massimo potere, di mai offuscato splendore.
Tuttavia, ciò che caratterizzava originalmente il nascente Impero era la sua sacralità.
L’Imperium era infatti sacrum, cioè posto ufficialmente sotto il magistero unitario della Chiesa di
Roma. Non a caso, Carlo Magno era incoronato a Roma per mano di un Pontefice.
Sotto il dominio di un imperatore barbarico potentissimo e sotto il magistero unitario della
Chiesa di Roma, prendeva vita un rinnovato Impero d’Occidente. Entro l’orbita di un territorio
vastissimo, un legame unitario interveniva a vincolare popoli innumerevoli e diversi tra loro: latini e
germanici.
Per avere un’idea dell’estensione e dei confini geografici dell’Imperium, bisogna
considerare che esso comprendeva gran parte dell’Europa di oggi: ne restavano fuori i regni
anglossassoni (l’attuale Gran Bretagna), quasi tutta la penisola iberica e i paesi scandinavi, mentre
ad oriente i confini erano segnati dall’Elba.
Ma è significativo aggiungere che, anche laddove l’imperatore non esercitava un dominio
diretto dal punto di vita politico, vi fu spesso un indiretto riconoscimento della sua egemonia: una
sorta di protettorato svolto da parte dell’Imperatore anche su quei territori. Contribuiva a ciò la
Chiesa che, con la sua presenza missionaria ed evangelizzatrice, continuava a spingersi e a farsi
strada con una forza di penetrazione rilevantissima.
Il nuovo Impero rappresentava, dunque, una nuova respublica christianorum: unità civile e
religiosa di tutte le genti occidentali accomunate dalla comune conversione al Cristianesimo. La
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Lezione I
nuova entità giuridica e politica nasceva quale frutto di reciproca assimilazione di almeno tre
tradizioni: la romana, la cristiana e la germanica. Al vertice di quella nuova struttura universale si
collocavano l’Imperatore e la Chiesa, di lo stesso Imperatore era massimo difensore.
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2 La funzione della Chiesa di Roma
E’ d’obbligo porsi un interrogativo: per quale ragione la Chiesa poté svolgere un ruolo così
importante nella formazione della civiltà europea?
Prima di tutto, ed andando indietro nel tempo, è necessario considerare che l’avvento del
Cristianesimo aveva letteralmente sconvolto il mondo. La Chiesa predicava che tutti gli uomini
erano fratelli in Cristo, il quale, figlio di Dio, era stato generato per salvare l’intero genere umano.
Dunque, tutti gli uomini era accomunati da un unico ed universale progetto di salvezza. Questi
concetti erano radicalmente innovativi e, dunque, tutt’altro che tradizionali e consueti nel mondo
romano. Fu giocoforza che l’avvento del Cristianesimo minasse alla radice la cornice di valori e di
principi propri del mondo romano con evidenti riflessi anche in campo giuridico.
Inoltre, va detto che gli uomini di Chiesa riuscirono ad avere una progressiva e rilevante
penetrazione nell’intera società: nel Medioevo, gli ecclesiastici rappresentarono, sia al centro che
alla periferia dell’Impero, le élites delle file di governo.
A questo risultato contribuì il fatto che i chierici, gli uomini di Chiesa, erano gli unici a
parlare e scrivere la lingua latina. È questo fu un rilevante punto di forza che giocò a favore
dell’accrescimento del loro potere. In primo luogo il latino era la lingua sopranazionale per
eccellenza: la sua conoscenza consentiva di mantenere le comunicazioni attraverso immense
distanze. Inoltre, in latino erano redatti gli atti ufficiali: il la tino era la lingua delle leggi, e di
conseguenza, gli ecclesiastici erano gli unici capaci di maneggiare quel patrimonio.
Nelle scuole episcopali ed in quelle monastiche, gli ecclesiastici inoltre avevano iniziato da
tempo lo studio dei testi sacri e delle artes liberales (grammatica, dialettica, retorica, matematica,
geometria, musica ed astronomia). Lo studio di queste artes, pur restando subordinato allo studio
della teologia che rappresentava nel mondo medievale l’unica vera conoscenza, aveva fortemente
arricchito ed ampliato l’orizzonte culturale ed accresciuto la posizione di potere degli uomini di
Chiesa. Soprattutto, gli ecclesiastici avevano avviato un lento e faticoso processo di raccolta e di
trascrizione di testi di ogni genere: e tra questi anche i testi giuridici canonistici e quelli romani.
Alla luce di questa premessa, ben si può comprendere come sia stata di centrale importanza
l’opera spirituale svolta dalla Chiesa non solo per la formazione di una coscienza europea unitaria,
ma anche per l’unificazione delle genti dell’Occidente latino come comunità di fedeli. In tal senso,
la Chiesa non esercitò una mera influenza dall’esterno della società altomedievale, ma, come ha
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osservato lo storico Vismara, la Chiesa, con la sua dottrina e le sue istituzioni divenne l’anima di
quella società.
Ed infatti, la coscienza di una comune convergenza culturale nel valori e nei principi della
cristianità non si oscurò nella tradizione delle nazioni occidentali neppure successivamente all’anno
800 quando si realizzò il precoce crollo dell’Impero carolingio. Nell’anno 843 d. C., infatti, i figli di
Ludovico il Pio, successore di Carlo, si spartirono con il trattato di Verdun i territori dell’Impero,
determinando la divisione tra l’area tedesca e quella francese. A partire da questo momento,
effettivamente, l’Europa fu destinata a non conoscere mai più alcuna forma di unità politica
integrale. Anche il successivo Impero romano germanico degli Ottoni e degli Svevi, che pure
ideologicamente si presentava come una renovatio di quello romano, limitò i suoi confini alla zona
italo tedesca e per di più fu circondato dall’ostilità della Francia, della Spagna e dell’Inghilterra.
Eppure, ben al di là di questi eventi, l’unitaria realtà culturale di tipo universalistico, fondata
sui valori della cristianità, rimase intatta a costituire la vera e propria base dell’idea di Europa.
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Lezione I
3 Unum imperium, unum ius
E’ naturale che la concezione universalistica del Sacrum Imperium tendesse a trovare
espressione, oltre che in campo etico, religioso e politico, anche in campo giuridico. L’unicità
dell’Impero doveva tradursi nell’adozione di un unico diritto, una lex communis a tutti i popoli
dell’Impero. Fu così che, proprio nell’Alto medioevo barbarico e feudale, si consolidò il terreno
preparatorio del ius commune.
Per capire come si sia formato il terreno fertile utile per la successiva attività della Scuola di
Bologna è necessario richiamare alla memoria quanto detto all’inizio a proposito dell’elemento
della romanità.
L’Impero carolingio aveva indicato nel mondo romano, e dunque nel mito dell’antica Roma,
il proprio punto di riferimento. Roma era un modello di grandezza mai eguagliata, di superiore e
mai offuscato splendore. Ebbene, Roma era stata certamente mater legum, madre di quel diritto
romano che, a seguito delle invasioni barbariche, era stato costretto ad affiancarsi alle consuetudini
germaniche, a fare i conti cioè con un diritto radicalmente diverso. Insomma, all’unicità del diritto
romano, universale e valido per tutto l’Impero, si era sostituito nel tempo un sistema pluralistico di
fonti in cui il diritto romano era stato per così dire ‘declassato’ ad affiancare gli altri diritti
germanici secondo il principio della personalità del diritto.
Una delle sostanziali differenze tra il diritto romano ed il diritto germanico risiedeva proprio
in ciò: mentre l’antico ordinamento giuridico romano si fondava sul principio della territorialità del
diritto, il principio della personalità del diritto caratterizzava gli ordinamenti delle genti germaniche.
Per capire la rilevanza di questa differenza è opportuno chiarire che cosa indicano le due
espressioni: personalità del diritto e territorialità del diritto.
Il principio di personalità del diritto era quello secondo cui le varie genti germaniche che
invasero l’Occidente ispirarono costantemente la disciplina della loro convivenza con i popoli che
abitavano i territori da loro via via conquistati. In accordo con questo principio, in uno stesso
ordinamento giuridico i vari soggetti che ne risultano membri vivono ciascuno secondo il diritto
della propria natio. Pertanto, all’interno di uno stesso ordinamento convivono più diritti e ciascun
soggetto regola i propri rapporti privati secondo il ‘proprio diritto’, il diritto della propria natio.
Tale principio risulta perfettamente opposto a quello però di territorialità del diritto, per cui
l’ordinamento giuridico ha un’applicazione territorialmente definita: tutti i soggetti che vivono su
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Lezione I
un determinato territorio sono soggetti ad un unico diritto, ossia alla legge territoriale comune a
tutti.
Ebbene, mentre l’ordinamento giuridico romano si fondava sul principio di territorialità del
diritto, diversamente, le varie genti germaniche regolavano i loro rapporti sulla base del principio di
personalità del diritto 1 . I germani, in altri termini, non imponevano alle nazioni conquistate il loro
diritto; trovavano più utile addivenire ad un vero e proprio compromesso: ciascuno doveva regolarsi
secondo il proprio diritto.
Di conseguenza è chiaro che, allorquando le genti germaniche invasero i territori
dell’Impero romano, non imposero ai romani il proprio diritto né utilizzarono essi stessi il diritto
romano. Il diritto romano fu necessariamente considerato alla stregua di un diritto personale e ciò
durò sino a quando intervennero alcune circostanze che riportarono in auge il diritto romano come
lex generalis omnium, ossia come diritto valido a livello universale per tutti.
I fattori che concorsero ad indicare proprio nel diritto romano il diritto idealmente concepito
per tutti, la lex per eccellenza dell’Impero cristiano, furono diversi ed influenzarono il fenomeno ad
una pluralità di livelli.
Sul piano socio-economico, l’incipiente e progressiva rinascita di un’economia cittadina,
monetaria, commerciale ed industriale, quale era quella che si avviava a superare l’economia
curtense e feudale, favorì indubbiamente un rinnovato uso della lex romana, che era certamente il
diritto più diffuso e più prestigioso.
Sul piano politico è poi da tener presente che la fusione etnica e spirituale delle genti latine e
germaniche aveva favorito la progressiva assimilazione delle etnie, che si era tradotta nella
adozione ed emersione di un comune linguaggio ‘romanzo’.
Sul piano poi strettamente giuridico, da un canto aveva agito la Chiesa, con il progressivo
organizzarsi delle scuole episcopali e con la recezione delle norme romane nei testi canonistici, e
dall’altro aveva contribuito la prassi notarile che aveva fatto un uso crescente e sempre più
sistematico del diritto romano.
Inoltre, ed in misura sempre crescente, al diritto romano si era cominciato a ricorrere quale
criterio di interpretazione del diritto germanico, in particolare longobardo e franco. A Pavia,
1
La personalità del diritto non è però istituto esclusivo della cultura giuridica barbarica. Come ha osservato Calasso,
esempi di applicazione del principio di personalità del diritto si trovano già nel mondo antico, per non parlare della sua
moderna applicazione da parte dei Francesi in Algeria e da parte degli Inglesi in India. Spiega l’autorevole storico che:
«quando si trovano a convivere nello stesso territorio popoli di stirpe e civiltà diverse, nessuno dei quali ha intenzione o
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capitale del Regnum Italiae, era nata una vera e propria scuola di elaborazione scientifica ed
esegetica oltre che di insegnamento sistematico del diritto franco-longobardo.
Ciò che interessa rilevare è che, a Pavia, il diritto era insegnato e commentato da giuristi che
in gran parte conoscevano già bene i testi romani e i testi romano-canonici ed era proprio alla luce
di quel diritto che essi integravano, correggevano ed interpretavano il diritto germanico. Fu
capolavoro di quella scuola l’Expositio ad librum papiensem del secolo XI.
A Pavia, dunque, per la prima volta il diritto romano veniva ufficialmente qualificato come
lex omnium generalis, cioè come legge territoriale, con generale valore sussidiario in caso di
lacunosità o di assenza della norma giuridica germanica. In altri termini, a Pavia, roccaforte del
germanesimo, per la prima volta si indicava nel diritto romano quel diritto generale applicabile
sempre ed a tutti: una lex unica e generale che poteva applicarsi al di là del riferimento alla natio.
interesse di imporre all’altro la propria legge, si viene al compromesso che le leggi rispettive convivano e che ciascun
soggetto si regoli con la legge della propria natio».
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4 Caratteri del diritto germanico
E’ chiaro che l’emersione del diritto romano al di sopra del diritto germanico e delle diverse
e svariate consuetudini locali non poteva che essere un fenomeno lento e graduale. Lentezza e
gradualità si spiegano ancor di più ove si consideri l’enorme distanza esistente tra la raffinata, colta,
elaborata scienza giuridica romana ed i caratteri propri dell’ordinamento germanico.
Ed è a questi ultimi, ossia ai caratteri dell’ordinamento giuridico germanico, che è
necessario fare riferimento per capire quanto lungo e faticoso sia stato il processo di emersione del
diritto romano. Qualche esempio può dare l’idea di quali fossero il livello ed il tono della giustizia
nei secoli che precedettero il ritorno al diritto romano nei processi, negli atti notarili, nella cultura
giuridica e nell’Università.
In primo luogo si faceva giustizia attraverso il duello giudiziario. Chi tra i due litiganti
fosse riuscito a vincere il duello, avrebbe dimostrato di avere il diritto dalla propria parte: il
vincitore del duello avrebbe avuto giustizia. Era un modo di fare giustizia che si fondava su di una
convinzione molto semplice: in realtà era il Dio Creatore ad intervenire nel duello e a consentire
alla giustizia di realizzarsi nel duello con la vittoria di chi avesse ragione nella contesa e la sconfitta
di chi avesse torto. Ma, naturalmente, l’aureola religiosa del rito mascherava e nascondeva una
logica brutale: quella della prepotenza. Era chiaro che a vincere il duello sarebbe stato
semplicemente il più forte ed è ovvio che, in questo quadro, la severità finisse per agire solo contro
i deboli.
Allo stesso modo, la possibilità di ricomporre in denaro le offese rendeva la giustizia
fondamentalmente comoda per i soggetti economicamente privilegiati. Il guidrigildo era il bene o
la somma di denaro che era data in compenso agli eredi della vittima per l’uccisione di un uomo
libero. Essa variava fortemente a seconda della razza (germanica o romana) della vittima, a seconda
del suo ceto, a seconda delle circostanze oggettive del reato.
La storica Paola Arcari trae da una fonte di grande importanza, l’Historia Francorum di
Gregorio, vescovo di Tours (538?-594), il maggiore degli storici e cronisti di età merovingia, una
testimonianza di grande interesse. La storica Arcari riporta il giudizio di pungente sarcasmo con cui
un pluriomicida si rivolgeva all’erede di una delle sue vittime: «mi devi molta gratitudine perché ho
ucciso i tuoi parenti, di cui, ricevuta la composizione, l’oro e l’argento sovrabbondano nella tua
casa».
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Storia del Diritto Medievale e Moderno II
Lezione I
Ma la soluzione per i reati più gravi – esclusi quelli contro il re e contro l’intera comunità –
era la faida, ossia la vendetta dei parenti da realizzare contro l’intera famiglia dell’offensore e da
parte dell’intera famiglia dell’offeso.
Inoltre l’ordinamento germanico fondava l’organizzazione della famiglia e dell’intera
società sul mundio, ossia sulla signoria e protezione esclusiva del capofamiglia sulle persone e
cose appartenenti al gruppo familiare. I valori del clan ed il vincolo feudale prevalevano sulla sfera
dell’autonomia individuale. Furono le donne le ultime a liberarsi da quella condizione d’inferiorità e
ciò appare molto significativo soprattutto ove si consideri che l’ordinamento giuridico romano
consentiva alle donne di compiere atti giuridici autonomamente.
Ma, l’eroismo titanico, che divinizzava la spada ed il braccio, capace di farsi giustizia da sé
non era alla base soltanto dei riti giudiziari riservati agli arimanni. La volontà divina di stampo
germanico si rivelava anche a chi non era un nobile guerriero, e chiedeva anche agli umili di dare
prova eroica di forza d’animo. Era tipicamente plebeium il giudizio per aeneum, regolato alla fine
del quinto secolo dalla legge salica e detto così dal vaso di bronzo in cui si concentrava la
prodigiosa prova giudiziaria. L’imputato era fatto entrare in chiesa e doveva pregare in segno di
sottomissione. Il sacerdote accendeva il fuoco sotto il vaso in cui era stato posto un anello e
celebrava la messa. L’accusato doveva immergere il braccio nell’acqua bollente, cercare ed estrarre
l’anello. Finita la prova, la mano veniva fasciata e la fasciatura era sub sigillo sudice signata
affinché nessuno potesse intervenire sulle scottature. Le scottature sarebbero state prese in esame
dopo tre giorni dagli esperti quale prova di innocenza o di colpevolezza. Anche in questo caso
l’aureola di religiosità circondava un rito primitivo: Dio non avrebbe permesso al fuoco di bruciare
la mano di un innocente, ma avrebbe certamente arso con ardore la mano del colpevole.
Com’è evidente, in tutti i riti, religiosità pagana e spiritualità cristiana si fondevano con la
magia, nella convinzione di poter rivelare attraverso di essi il supremo giudizio divino.
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