Il clima tropicale avanza

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Il clima tropicale avanza
Organo ufficiale di informazione della Federazione dei Verdi
Anno III • n.120 • lunedì 2 luglio 2007
Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma • Direttore responsabile: Enrico Fontana • Comitato editoriale: Roberto Poletti, Giuseppe Trepiccione, Gianpaolo Silvestri (inserto Mappe) • Editore: undicidue srl, via R. Fiore, 8 - Roma
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DPEF
Pecoraro: stiamo risanando
paese da buchi
destra
Bonelli: positive misure per
sostenibilita’
ambientale
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“Abbiamo fatto un provvedimento forte, innovativo, che
investe molto sull’ ambiente.
C’e’ finalmente il Protocollo
di Kioto’. A dirlo e’ stato il ministro dell’ ambiente, Alfonso
Pecoraro Scanio, a Lamezia
Terme per partecipare ad una
iniziativa dei Verdi, riferendosi
al varo del Dpef. ‘Il centrodestra, invece di lamentarsi
ancora - ha aggiunto - riconosca che il Governo ha dato
una grande svolta a favore dei
ceti piu’ poveri, dell’ ambiente, dell’ innovazione e dello
sviluppo di questo Paese. La
destra si lamenta del fatto che
il centrosinistra ha fatto per
la prima volta dopo anni una
manovra estiva che non mette
tasse, non fa tagli, ma fa un
investimento ed aumenta le
pensioni piu’ basse a milioni
di italiani’. ‘Credo che la destra - ha concluso Pecoraro
Scanio - dovrebbe solo stare
zitta e capire che stiamo risanando il Paese dai buchi che
loro hanno lasciato’.
“L’introduzione nel Dpef di un
piano di interventi pro-Kyoto per ridurre le emissioni di
Co2 e di numerosi ed ulteriori
provvedimenti per contrastare i cambiamenti climatici e’
un fatto estremamente positivo”. A dirlo e’ Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi
alla Camera. Bonelli esprime
soddisfazione anche “per lo
sblocco di risorse a favore
delle pensioni piu’ basse,
per la lotta all’Aids e per sostenere la ricerca”. Continua
l’esponente dei Verdi: “Insieme al previsto taglio dell’Ici a
partire dal 2008 e ai provvedimenti a favore dei giovani,
delle donne e del mercato del
lavoro questo Dpef contiene
dunque rilevanti misure di
sostenibilita’ ambientale e di
equita’ sociale”.
Il clima tropicale avanza
M
entre le statistiche ufficiali rilevano che in Italia tra
le principali cause di mortalità
vi sono i tumori, le malattie cardiovascolari e le cause accidentali e violente, poco si sa della
percentuale relativa alle cause di
mortalità determinate dal clima
malato e dall’inquinamento ambientale. La stima degli italiani
vittime dell’ormai implacabile
cambiamento climatico fatta
dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità è pari al 20% della
mortalità complessiva.
In più, il rapporto dell’OMS e
dell’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i
servizi Tecnici) presentato nei
giorni scorsi preannuncia l’incremento del 3% delle vittime
del nuovo clima tropicale che sta
investendo l’Italia, per ciascun
grado anomalo registrato dal
termometro rispetto alle temperature stagionali. Già il trend
degli ultimi 25 anni ha registrato
l’aumento del 14% delle giornate calde e la riduzione del 20%
dei giorni di gelo, i cui effetti si
traducono in scioglimento dei
ghiacciai, aumento del livello dei
mari, aumento delle aree soggette ad inondazioni (2,6% in più
dal 2000) e, in rischio di estinzione di circa un terzo dei 4.500
km di spiagge del Bel Paese.
Ma non basta. Il Po e i suoi
affluenti, come un po’ tutta la
nostra rete fluviale languisce
senz’acqua a danno dei campi
agricoli (e per i prossimi anni si
prevede una riduzione del 25%
delle precipitazioni); le emissioni di gas serra sono aumentate
del 12% e con esse la diffusione
delle polveri sottili che rappresenta il 60% dell’inquinamento
e in alcune città raggiunge punte dell’80%, come già da tempo
accade nella Pianura Padana che
è tra le zone a più elevato tasso di inquinamento d’Europa, e
dunque a più elevato rischio per
danni alla salute.
L’impatto dei cambiamenti climatici sulla vita di tutti i giorni
si registra non solo in termini di
calo del benessere collettivo, ma
anche in aumento dei costi; della
spesa pubblica, attraverso misure
di prevenzione sanitaria e di intervento ambientale e della spesa
individuale sostenuta per fronteggiare nuove condizioni climatiche a cui non siamo abituati.
Se da una parte, dunque, aumentano (e legittimamente) le
AMBIENTE
Il Bel Paese muore di caldo
Il clima tropicale avanza:
aumenteranno vittime e costi
Mentre le statistiche ufficiali
rilevano che in Italia tra le
principali cause di mortalità
vi sono i tumori, le malattie
cardiovascolari e le cause
accidentali e violente, poco
si sa della percentuale
relativa alle cause di mortalità
determinate dal clima malato e
dall’inquinamento ambientale.
La stima degli italiani vittime
dell’ormai implacabile
cambiamento climatico fatta
dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità è pari al 20% della
mortalità complessiva
preoccupazioni per come saremo colpiti dalle ondate di calore,
dalla frequenza delle giornate di
inquinamento da ozono, dal sorgere di nuove patologie (come la
febbre del Nilo Occidentale e la
Leishmaniosi) e dal rischio di
inondazioni - con conseguente
danneggiamento delle fognature
e contaminazione delle acque reflue; dall’altra parte le istituzioni
e in particolare la sanità pubblica italiana dovrebbe dare forza,
priorità e seguito alle misure
preventive indicate nel rapporto
OMS-APAT: programmazione
dei servizi sanitari; ‘mitigazione’
per ridurre i gas serra, politiche di sensibilizzazione per una
nuova strategia comportamentale, tecnologia, ricerca e monitoraggio e, sistemi di allarme
precoce in grado di anticipare
gli eventi estremi. Mortalità e
malattia da cambiamenti atmosferici, dunque, si possono (e si
devono) evitare, piuttosto che
curare, attraverso una condotta
responsabile da invocare e perseguire tutti i giorni e a tutti i
livelli, da quello istituzionale a
quello individuale.
Maria Beatrice de Camillis
Buste di plastica addio
pagina 3
ALIMENTAZIONE
Sangue
di bistecca
pagina 3
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lunedì 2 luglio 2007
MARE
Un chilometro
su tre di spiagge
destinato a
sparire per
l’innalzamento
delle acque. Per
l’adattamento
spese fino a 2
miliardi di euro
n Italia sono a rischio più di 1.500 chilometri di coste sabbiose su circa quattromila per colpa del possibile innalzamento dei mari prodotto
dai cambiamenti climatici.
Per difendere le battigie ci vorrebbero tra un miliardo e mezzo e due
miliardi di euro. Interventi e costi destinati a levitare. Se alla fine di
questo secolo tutto andrà come purtroppo paventa l’Ipcc (il panel onu
che studia i cambiamenti climatici), cioè con il livello del mare più
alto di 30 centimetri l’arretramento della riva interesserebbe tutte le
spiagge basse.
L’adattamento non è comunque necessario ovunque, quindi qualche
soldo potrebbe essere risparmiato. Ad esempio la Toscana sta abbandonando al corso degli eventi naturali tutta la costa sabbiosa attorno
alla foce dell’Ombrone, mentre gli studi su cambiamenti climatici e
coste suggeriscono la possibilità di non intervenire in aree di difficile
protezione, come la Piana di Fondi.
Di questi temi si è discusso a Palermo nel secondo workshop preparatorio della Conferenza nazionale sul clima promossa dal ministero
dell’Ambiente che si terrà a Roma il 12 e il 13 settembre, di cui è
coordinatore il climatologo dell’Enea Vincenzo Ferrara.
Secondo il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio i risultati
del workshop “confermano gli allarmi di tutti i rapporti scientifici internazionali”. Il fatto che oltre un chilometro su tre delle spiagge italiane
rischierebbero di scomparire è un problema “serio e preoccupante,
causato soprattutto dai cambiamenti climatici che stanno investendo
il nostro Pianeta. Questo - ha concluso il ministro - deve spingerci a
rivedere i piani di tutela idrogeologica, avviando un’azione di prevenzione dei rischi su tutte le coste italiane o che, almeno, sia in grado di
ridurre i danni i danni”.
Per ricostruire le spiagge italiane già oggi in erosione, spiegano gli
esperti, servirebbero oltre 150 milioni di metri cubi di sabbia: una
quantità di materiale che dovrebbe essere estratta a sua volta da cave
marine e sedimenti fluviali con un altissimo dispendio energetico e di
cui attualmente non è neppure certa la disponibilità nel nostro paese.
Inoltre, un’opera generale di ripascimento delle spiagge non avrebbe
effetti duraturi: la sabbia viene portata dal mare e dai venti via un ritmo
del 20 per cento l’anno.
Al di là dei cambiamenti climatici già oggi oltre il 40 per cento della
linea costiera del nostro paese è coperta di aree urbane, costruzioni,
infrastrutture: la tendenza continua a crescere in Italia come nel resto
del mediterraneo. Secondo i dati dell’Unep-Map (il piano d’azione mediterraneo del Programma ambiente delle nazioni Unite), tra meno di
20 anni, nel 2025, la percentuale di urbanizzazione costiera interesserà
un chilometro su due.
Ma non è tutto. Secondo i calcoli del Wwf Italia, l’80 per cento delle
aree Sic (siti di interesse comunitario) di costa sono destinate a perdersi a causa dell’erosione, se non si interviene aumentando le capacità naturali di difesa. In Italia, a differenza di altri Paesi, non ci sono mai
stati programmi nazionali che abbiano monitorato e valutato i rischi a
cui il nostro sistema costiero andava incontro e non sono state prodotte
politiche in grado di mitigare gli effetti del fenomeno, valutarne le conseguenze e adattare a esse l’economia dei territori interessati.
Per intanto la ricetta è una più sostenibile programmazione urbanistica, lotta all’abusivismo, aumento delle aree naturali che funzionano
da zone di compensazione ambientale verso i mutamenti indotti dal
cambiamento climatico. Tra le soluzioni - hanno spiegato gli esperti occorre includere anche l’abbandono di aree di costa non difendibili.
Il palazzinaro diventa verde
L
a posta in gioco vale 190
miliardi di euro: nell´ultimo
decennio l´edilizia, il vero
motore dell´arricchimento nazionale, ha girato al ritmo degli anni
Sessanta producendo 3,1 miliardi di metri cubi: un bilocale, 45
metri quadrati, per ogni famiglia:
l´analisi del Cresme entra nel dettaglio spiegando che, tra il 2001 e
il 2004, il ritmo di espansione di
case, villette, condomini e capannoni è stato 8 volte superiore alla
crescita del Pil. Le ruspe hanno
divorato centinaia di migliaia di
ettari di campagna mettendo in
moto un meccanismo che brucia il 40 per cento dell´energia
consumata in Italia e scaglia
nell´atmosfera una percentuale
analoga di gas serra.
Ora, a sorpresa, dopo decenni di
speculazione non solo edilizia
ma anche energetica, fa capolino un pentimento diffuso, effetto
dell´ansia ambientale crescente.
L´allarme climatico è rimbalzato
dai vertici degli scienziati Onu al
G8 di Heilingendamm, ha alimentato la promessa di Gordon
Brown di costruire cinque eco
città, ha spinto gli architetti a disegnare torri eteree capaci di catturare vento e sole per conquistare
l´autonomia energetica, ha convinto 22 multinazionali americane
a schierarsi a favore del protocollo
di Kyoto. Infine è planato in Italia,
trainato dalle misure governative
che impongono il dimezzamento del consumo energetico degli
appartamenti e rendono obbligatorio, a partire dal luglio 2009,
l´ecolabel per comprare e vendere
anche un singolo appartamento.
L´energia è entrata a pieno titolo nel marketing immobiliare e
così, per una volta, non è scattata la corsa al rinvio, la scommessa sull´ennesimo condono o sulla
proroga in extremis. «A questo
punto differenziare l´offerta, cioè
produrre case di fascia A e di fascia B, non ha senso: meglio offrire
subito a tutti un prodotto in linea
con gli standard che entreranno in
vigore fra tre anni anche perché
l´extracosto di costruzione è modesto, attorno al 5 per cento, e, con
un risparmio di 8-10 euro a metro
quadrato, dopo 4 anni il pareggio
è raggiunto e chi ha comprato comincia a guadagnare», annuncia
Francesco De Probizer, della direzione di Pirelli Re, spiegando che
la società ha messo in cantiere un
primo pacchetto di 400 alloggi in
linea con i nuovi criteri di efficienza, ed ecco il progetto dei Giardini
Viscontei a Cusago, in provincia
di Milano. Sono 13 edifici con
200 appartamenti che puntano a
sfiorare l´obiettivo emissioni serra
zero: tutti avranno a disposizione pannelli solari e scambiatori
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Bistecca di sangue
I
Nell´ultimo decennio l´edilizia, il
vero motore dell´arricchimento
nazionale, ha girato al ritmo degli
anni Sessanta producendo 3,1
miliardi di metri cubi: un bilocale,
45 metri quadrati, per ogni famiglia
di calore per utilizzare l´energia
termica dell´acqua prelevata dalla falda a 12 gradi, assicurando
il caldo d´inverno (l´acqua viene
reimmessa in circolazione a 5-6
gradi) e il fresco d´estate (l´acqua
viene reimmessa a 17-18 gradi)
senza riempire il cielo di anidride
carbonica.
«Il grande operatore immobiliare
ha fatto i suoi conti e ha deciso
che l´efficienza energetica è un
investimento, non un costo; i piccoli però la pensano diversamente
e spesso non hanno i mezzi o la
voglia di lanciarsi verso il futuro»,
avverte Edoardo Longa, direttore
di Assoimmobiliare.
E a complicare il quadro si aggiunge un vistoso buco nella catena che dovrebbe mettere in
contatto la nuova disponibilità
degli immobiliaristi più avanzati e
un´opinione pubblica sempre più
attenta alla tutela ambientale. «Si
spinge in direzione dell´efficienza
energetica ma poi non si trovano i
progettisti, mancano i tecnici, latitano gli installatori: siamo solo
all´inizio di un percorso di alfabetizzazione energetica simile a
quello che ha portato i computer
e la rivoluzione digitale in tutte
le case», spiega Benito Guerra,
fondatore della Robur, azienda
leader nel campo dell´efficienza
energetica. «Ci sono accorgimenti fondamentali di bioclimatica
che vengono quasi sempre ignorati. Sulle finestre l´attenzione si
concentra sui doppi vetri e sugli
infissi, ma in questo modo si tiene fuori il freddo più che il caldo:
sarebbe meglio spendere poco di
più e applicare sul vetro una pellicola capace di schermare la radiazione solare. Lo stesso discorso
vale per le tende interne che entrano in gioco quando il calore è
già penetrato nell´appartamento,
mentre se si utilizzassero i frangisole davanti alla finestra l´effetto
sarebbe molto superiore. Oggi si
potrebbero usare materiali isolanti
sempre più sottili per facilitare il
gioco di aerazione naturale basato sull´ingresso dell´aria fresca
notturna e sullo sbarramento del
calore solare diurno e così si ridurrebbe la necessità di utilizzare
i condizionatori. Ma finora solo
l´1 per cento degli interventi di
ristrutturazione ha tenuto conto
della variabile energetica: con gli
incentivi varati dal governo si arriverà al 3 per cento».
Complessivamente si può calcolare che l´esigenza di isolare meglio
gli edifici farà salire il fatturato
del settore di 3 miliardi di euro in
dieci anni, mentre il passaggio alle
caldaie ad alta efficienza comporterà un business supplementare da
2,4 miliardi di euro.
È un mercato ormai ben delineato, tanto che molte grandi aziende
(dall´Ariston alla Vaillant) vendono un pacchetto chiavi in mano:
caldaia ad alta efficienza e pannello
solare, tutto collegato in un unico
impianto. L´unica incertezza riguarda gli attori che domineranno
la scena italiana. Adesso, con il rilancio imposto dall´accelerazione
dei mutamenti climatici, si gioca
la partita di ritorno. Perderla sarebbe pericoloso.
Da Repubblica del 29 giugno 2007
lunedì 2 luglio 2007
l pasto è nudo. Il sociologoeconomista Jeremy Rifkin,
uno dei più influenti intellettuali di oggigiorno, tanto da
essere stato chiamato da Romano Prodi già diversi anni fa come
“consigliere del principe”, con
Beyond the Beef (NdA pubblicato in Italia col titolo di Ecocidio
da Mondadori nel 2002), lanciava una tesi spiazzante. Le nostre
società, che si basano sul consumo di carne, non sono economicamente ottimali e sostenibili.
Insomma, il vegetarianesimo fa
un salto qualitativo; potremmo
definirlo il passaggio da una
prospettiva utopistica o morale a quella scientifica. Che non
si mangi carne, non perché sia
immorale uccidere un animale,
ma perché si tratta di un sistema
economicamente inefficiente!
Ci dice Rifkin che l’occidente
alleva un miliardo di animali
da carne, utilizzando gran parte
del terreno arabile per coltivare cereali destinati a nutrire il
bestiame; questi cereali, spesso
prodotti in Africa(!), potrebbero
nutrire circa il 15% dei poveri del
sud del mondo. Il bestiame è dal
punto di vista energetico inefficiente, trasformando in carne
macellabile solo l’11% del foraggio; il 20% dei territori attualmente occupato dalle mandrie,
inoltre, potrebbe essere riconvertito per usi economicamente
più efficienti. Questo immane
esercito di scorte alimentari carnee per l’occidente ricco, basandosi sul consumo d’erba, provoca
la progressiva desertificazione di
molte zone del pianeta e produce tonnellate di rifiuti organici
che contribuiscono a inquinare
le falde acquifere.
“L’élite intellettuale europea
continua a concentrarsi sulla
questione dell’eccessivo tasso
di natalità dei Paesi del Terzo
mondo, ma intanto ignora la sovrappopolazione di bestiame e le
realtà di una catena alimentare
che defrauda i poveri dei mezzi
di sussistenza per nutrire i ricchi
con un’alimentazione assicurata
a base di carne”, dice il sociologo.
In occidente si muore per malattie legate alla superalimentazione carnea (infarto, ictus), mentre
in Africa si muore di fame.
Ma come è possibile cambiare? Mangiare carne è naturale!,
chiosano gli scettici. Pantagrueliche libagioni di sapide costolette
e trimalcioniani brasati gridano
vendetta contro il vilipendio delle
nostre identità cultural-gastronomiche. Ma è proprio così?
La storia del rapporto dell’uomo con la carne è millenaria e
complessa. La trasformazione
dell’uomo primitivo in cacciato-
Le nostre società, che si
basano sul consumo di carne,
non sono economicamente
ottimali e sostenibili. Insomma,
il vegetarianesimo fa un salto
qualitativo; potremmo definirlo
il passaggio da una prospettiva
utopistica o morale a quella
scientifica
re ha contribuito alla conquista
della posizione eretta; sembra
che il consumo di proteine della carne abbia permesso lo sviluppo delle facoltà cerebrali che
noi possediamo. Eppure il largo
utilizzo di carne che oggi percepiamo come “naturale” è una
conquista recente.
Nelle società antiche la manducazione degli animali era legata al
pasto totemico e al pasto rituale;
era, quindi, un evento eccezionale. Nell’antica Grecia, ad esempio,
molte élites erano vegetariane,
come i pitagorici, mentre il pasto carnivoro era sempre legata
alla thysia, il banchetto rituale.
Le civiltà classiche esprimevano la loro etica nel concetto di
medietas (poi trasformatasi nella
virtù cardinale della temperanza),
anche alimentare. Oggi sappiamo che il consumo smodato di
carne è stato portato nel Mediterraneo dai goti, dai Franchi, dai
Longobardi, che significavano la
loro etica guerriera attraverso la
manducazione della bestia. Ma
questo fa dell’occidente un popolo di carnivori? No. La carne era
il cibo delle elites, che pasteggiavano abbuffandosene e ammalandosi di gotta. Ma l’uomo comune
nel medioevo e nell’età moderna,
quando non c’era la carestia, mangiava fondamentalmente pane e
fagioli; i Medici, a Firenze, offrivano carne al popolo in occasione
della festa di San Lorenzo. Ma,
con l’eccezione dei carnevali, non
c’erano molte possibilità di mangiare animali, soprattutto dopo le
enclosures e la fine dei diritti comuni di caccia e ghiandatico.
Durante la rivoluzione industriale, in Inghilterra, Belgio o
Lombardia, la dieta degli operai
era una dannosa monoalimentazione a base di patate, (come
nella celebre denuncia di Van
Gogh, “I mangiatori di patate”)
o di mais, che provocava la pellagra.
Il nesso fra sistema culturale gastronomico ed economico è forte
e storicamente e socialmente determinato. L’antropologo Marvin
Harris spiega i tabù alimentari
in termini di analisi costi-benefici, ad esempio; il maiale, impuro per i semiti, è in competizione
con l’uomo sul piano delle risorse alimentari nell’habitat desertico mediorientale. Mentre la
vacca è sacra per gli Hindù poiché era più utile impiegarla per
produrre latte, escrementi (adoperati come fertilizzante e anche
per produrre candele) ed arare le
pianure del Gange piuttosto che
divorarla.
Ma se i contadini dell’Italia
settentrionale erano dei poveri
braccianti condannati a mangiare
tanta polenta fino ad ammalarsi
di pellagra e i meridionali degli
straccioni “mangiamaccheroni”,
quando abbiamo incominciato
ad identificarci col ragù napoletano, il brasato piemontese e la
cima genovese?
Le nostre tradizioni culinarie,
che erano le tradizioni di una
borghesia ricca e carnivora che
guardava alla Francia di BrillatSavarin, si sono plasmate nell’ottocento, quando nasce il senso di
identità nazionale-gastronomica,
per opera di Pellegrino Artusi,
affermando un’egemonia di classe estetico-alimentare, oltre che
etica. L’Artusi è l’autore del più
celebre trattato di cucina italiano che tipizza, identifica e crea la
nostra tradizione in cucina.
Le idee dominanti sono le idee
della classe dominante, diceva
Marx; così è per le ricette, non
importa quanto popolare possa
oggi sembrarci il lardo di Colonnata! La società di massa rende
popolare ciò che era per le élites.
Poiché è dall’ottocento che il ricco occidente debella i pericoli di
carestie e di scarsità alimentari.
Ed è col dopoguerra che la moderna industria alimentare riesce
a produrre più carne per tutti;
ma ai costi che svela Rifkin. Insomma, le socialdemocrazie del
desco sono passate dal “pane e
rose” al “costolette e salsicce”: ma
non per il Sud del mondo.
Alessio Postiglione
ECOLOGIA
Addio busta di plastica nasce
l’era dell’eco-shopper
Cara vecchia busta di plastica addio. Il via libera ad una sensibilizzazione
per l’eco-shopper sembra raccogliere i suoi frutti, San Francisco e Parigi
si uniscono alla sempre più lunga lista dei sostenitori della busta per la
spesa interamente biodegradabile.
A seguirle nei prossimi mesi, in questa staffetta del buon senso ecologico, anche Melbourne e Hong Kong. Per quanto riguarda la nostra penisola
l’ultimatum previsto dalla Finanziaria 2007 è fissato per il 1 gennaio 2010,
sarà questo il termine che vedrà le storiche buste di plastica non biodegradabile lasciare il posto alle nuovissime ed ecologiche shopper fatte di
materiali agricoli, pomodori compresi.
È scritto nero su bianco nell’articolo 1 comma 1129, 1130 e 1131 della Finanziaria dove si anticipa che già dal 2007 inizierà un “programma
sperimentale di riduzione della commercializzazione di sacchi da asporto
che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme
tecniche approvate a livello comunitario, non risultano biodegradabili”.
A motivare questa decisione lo studio attento di un’equipe di esperti che
hanno previsto nella manovra sia una riduzione delle emissioni di anidride
carbonica in atmosfera e un rafforzamento della protezione ambientale,
sia un incentivo alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali.
Un altro passo verso il raggiungimento degli obbiettivi fissati dal protocollo di Kyoto, si calcola infatti che per 300 mila tonnellate di buste
vengono bruciate circa 430 mila tonnellate di petrolio, in ballo c’è dunque
la riduzione di 200 mila tonnellate di biossido di carbonio.
Attualmente in Italia le buste biodegradabili sono prodotte quasi esclusivamente con un ricavato dell’amido di mais detto Mater-Bi ma per questo
passaggio di consegna è previsto l’utilizzo di prodotti agricoli biodegradabili realizzati tramite la coltivazione di 200 mila ettari di terreno a granturco
e girasole. Ma anche il pomodoro, di cui vantiamo una notevole produzione, potrebbe avere un ruolo primario, più precisamente i suoi scarti: i
polisaccaridi, che purificati potrebbero diventare eco-shopper.
Per capirne davvero i vantaggi basta prestare attenzione alle proporzioni:
con mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole si potranno produrre
cento eco-buste a un costo di 8 centesimi l’una contro i 5 centesimi delle
buste attuali: come dire, il benessere e la salute in soli 3 centesimi.
Susanna Novella
GENOVA
Verdi soddisfatti per lo stop
dei parcheggi in centro città
Il capogruppo consiliare dei Verdi in Regione - Cristina Morelli – e il Capogruppo in Consiglio Comunale - Luca Dallorto - esprimono soddisfazione per
la decisione assunta all’unanimità dalla Giunta sullo stop ai parcheggi in centro: “Questo è un chiaro messaggio alla Regione Liguria e come Verdi siamo
pronti a dare battaglia affinché la revoca del finanziamento di Euro 2,6 milioni
per la realizzazione del parcheggio dell’Acquasola sia confermata, per mettere
la parola fine a questa pratica. Peraltro i tempi indicati nelle diverse leggi e
delibere regionali in cui veniva subordinata la concessione del contributo al
rispetto dei termini perentori assegnati al Comune di Genova per la consegna
e l’ultimazione dei lavori erano chiari fin dall’inizio – puntualizzano Morelli e
Dallorto- e pertanto è corretto il comportamento assunto dal Consiglio regionale nel dicembre 2004 in cui viene disposta la revoca del finanziamento. Con
questa decisione viene finalmente espressa la volontà di limitare l’afflusso di
mezzi privati nel centro cittadino e quindi la costruzione di parcheggi a rotazione in struttura in aree centrali – dichiara il neo Assessore Verde Maria Rosa
Zerega- sono state ascoltate le numerose istanze pervenute da associazione
ambientaliste ma anche da numerosi cittadini, mamme e anziani che come i
Verdi da anni esprimono forte contrarietà al parcheggio sotto il giardino storico
dell’Acquasola. Anche il Consiglio Comunale nell’anno 2002 – proseguono
Morelli e Dallorto - si è dotato di un Regolamento Consiliare sulla mobilità
urbana che di fatto mira al decongestionamento del traffico in città e assicurare
una migliore mobilità sul territorio mediante una nuova realizzazione di infrastrutture e parcheggi cd. di interscambio. E’ un dato scientificamente accertato
che, in ambito urbano, i luoghi piu’ inquinati da scarichi autoveicolari sono le
autorimesse sotterranee ; ovvi motivi di questo fatto sono la scarsa ventilazione di questi locali, i lunghi percorsi a bassa velocità e a motore freddo delle
autovetture in uscita, la trascurabile efficienza delle marmitte catalitiche nei
primi minuti di accensione, l’emissione di idrocarburi da serbatoi e dai motori
anche quando le autovetture sono in sosta”.