Identità individuali e collettive
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Identità individuali e collettive
Peter Burke Identità individuali e collettive L’enfasi posta da Jacob Burckhardt (1818-1897), pioniere degli studi sul Rinascimento, sul tema dell’individualismo è stata in parte corretta da contributi più recenti, spesso nella più generale prospettiva di ridimensionare il carattere di drastica rottura con cui l’intera civiltà rinascimentale è stata a lungo concepita, talora a partire dai suoi stessi interpreti. Peter Burke (1937), uno dei più autorevoli studiosi contemporanei del Rinascimento, si è impegnato a raccogliere e ad analizzare un vasto materiale di carattere artistico e letterario in cui la personalità individuale emerge con particolare rilievo. L’esame condotto su di esso evidenzia come nelle narrazioni biografiche e nella ritrattistica emerga una rappresentazione dell’identità nella quale il piano strettamente individuale si sovrappone spesso a quello collettivo. L’emergere del senso della propria personalità come di qualcosa di unico non va cioè totalmente disgiunta dal senso di appartenenza a una famiglia, a un gruppo sociale, a una categoria, riferimenti che rappresentano dunque delle coordinate ancora decisive nella prospettiva della definizione di sé. Come osservato da Burckhardt, nell’Italia del XV e del XVI secolo si fecero sempre più frequenti ritratti e autoritratti, biografie e autobiografie spesso basati su modelli classici, dai Commentarii di Giulio Cesare alle Confessiones di Agostino1. Anche in questo campo, l’esempio italiano venne ben presto seguito in altre zone d’Europa. Per esempio, il grande «momento dell’autoritratto» in Germania coincide con l’epoca di Dürer. Il momento dell’autobiografia, invece, venne qualche tempo dopo, verso gli anni Cinquanta del Cinquecento. Per quanto riguarda l’Italia, basti pensare ai lavori di Benvenuto Cellini e del medico mila nese Girolamo Cardano2 [...]. Questa tendenza, naturalmente, non rappresenta un processo esclusivamente «occidentale» e moderno. Ritratti e biografie, autobiografie e «documenti soggettivi» (termine deliberatamente vago e insoddisfacente) si possono rinvenire anche in culture diverse da quella europea, in Cina, per esempio, in Giappone, nello stesso mondo islamico. Anzi, l’«età dell’oro» dell’autobiografia cinese può esser fatta cominciare dal 1566, e quindi nello stesso periodo in cui l’autobiografia andava affermandosi anche in Europa, una coincidenza che – come quella della moda dei giardini – ha dato parecchio da pensare e suggerito diverse ipotesi interpretative. Del resto alcune biografie e alcuni «documenti soggettivi» furono prodotti anche nell’Europa del XII secolo, mentre i primi ritratti (le prime rappresentazioni pittoriche basate su un certo livello di verosimiglianza) risalgono al XIV secolo. D’altra parte, nonostante la tesi di Burckhardt, molte testimonianze dimostrano come anche nell’Italia del Rinascimento gli individui continuassero ancora a identificarsi con le loro famiglie, con le corporazioni e le fazioni a cui appartenevano, con le loro città di origine. Per esempio, le «ricordanze», questo genere tanto diffuso a Firenze, non erano vere e proprie autobiografie individuali, nonostante la ricchezza di riferimenti e dettagli personali, ma testi spuri3 dove si mescolavano liberamente appunti commerciali, pagine di diario di famiglia, momenti di cronaca locale. Forse è più utile cercare di analizzare concretamente le concezioni rinascimentali dell’individuo che non parlare categoricamente, come faceva Burckhardt, di uno «svolgimento dell’individualità». Probabilmente, la cosa migliore è cercare di percepire i cambiamenti interni alla categoria di persona, le trasformazioni nella concezione dell’Io, l’evoluzione degli stili e dei metodi di presentazione e costruzione dell’identità individuale. La consapevolezza dell’importanza dell’autopresentazione epistolare è rivelata, per esempio, dalla grande cura con cui autori come Petrarca, Erasmo, Lipsio4 e altri curarono la raccolta e la pub blicazione dei loro epistolari. […] Le biografie venivano scritte per diversi motivi, e in vari contesti. Le vite dei santi, ancora piuttosto in voga, proponevano al lettore degli esempi da imitare. Vasari sosteneva di scrivere le sue vite di artisti per motivi analoghi, cosa che può contribuire a spiegare la sua tendenza a narrare talvolta gli stessi aneddoti per artisti diversi, proprio come gli agiografi che spesso intrecciavano gli episodi delle vite di santi diversi. Altre biografie, invece, erano originariamente concepite come orazioni funebri. Per quanto riguarda i contesti, almeno uno è particolarmente significativo come indice di una generale trasformazione culturale, di un cambiamento di mentalità. Dalla fine del XV secolo in poi, le vite degli autori venivano spesso scritte e pubblicate come prefazione alle loro opere. Per esempio, le vite degli antichi poeti romani dell’umanista Pietro Crinito, pubblicate originariamente sotto forma di raccolta nel 1508, furono successivamente utilizzate per introdurre diverse edizioni di questi autori. La biografia di Girolamo scritta da Erasmo venne preposta a un’edizione delle opere del santo pubblicata da Froben5 a Basilea nel 1516. Analogamente, anche la biografia di Erasmo scritta dal Beato Renano venne commissionata da Froben come prefazione a una nuova edizione delle opere erasmiane. […] Questa convenzione illustra —1— bene l’affermarsi della nuova idea di autore, in altre parole l’idea (o il presupposto) che le informazioni sulla vita personale degli scrittori potessero aiutare i lettori a capirne meglio le opere. Ritratti e autoritratti consentono un ovvio parallelismo con biografie e autobiografie: i due generi del resto si svilupparono all’incirca nello stesso periodo e negli stessi posti, soprattutto in Italia, Germania e Paesi Bassi. […] Come spiegare […] la straordinaria affermazione della ritrattistica nell’Europa del tempo? La tentazione di inquadrare l’intera questione in termini di «individualismo» – occidentale, e rinascimentale in particolare – è molto forte. Non a caso Burckhardt, che aveva tanto insistito sull’importanza dello «sviluppo dell’individuo» nell’Italia del Rinascimento, dedicò uno dei suoi saggi anche alla storia del ritratto. La tesi dell’individualismo ha indubbiamente diverse frecce al suo arco. L’esistenza di «sale degli uomini famosi», dedicate alla celebrazione dei successi di personalità fuori dal comune, lascia intuire anche l’esistenza di un qualche rapporto tra l’affermazione della ritrattistica e quello che Burckhardt chiamava il «moderno senso della fama». […] La centralità dell’idea dell’unicità individuale è avvalorata anche dall’esigenza sempre più forte e diffusa di realismo, di «somiglianza». Margherita d’Austria chiese a Jan Vermeyen di Augusta di preparare un ritratto di Carlo V «più somigliante possibile». Tra le istruzioni impartite per il funerale di Filippo II figurava l’ordine di un ritratto «fedele» del re. Più o meno nello stesso periodo, anche in Inghilterra le donne e gli uomini che ordinavano la realizzazione dei sepolcri per loro o per la loro famiglia cominciarono a chiedere anche un ritratto del defunto. […] Ma la tesi che l’ascesa del ritratto sia legata all’affermazione dell’individualismo solleva anche alcuni scomodi problemi. Un esame accurato degli usi del ritratto nel Rinascimento mostra che la maggior parte di essi erano esposti in gruppi, comprendenti i vari membri della famiglia o i diversi titolari di alcune cariche o funzioni (vescovi, dogi ecc.). Il ritratto, di norma, più che singoli individui ritraeva quindi ruoli sociali. Le persone importanti in particolare erano sempre ritratte accanto al loro bagaglio culturale, circondate sempre da un corredo di accessori e status symbol: vesti, corone, scettri, spade, colonne, tendaggi. Queste pratiche suggeriscono in breve che le identità riprese e sostenute dai ritratti fossero più di natura collettiva e istituzionale6 che non individuale, con l’eccezione dei ritratti dedicati agli amici del proprietario (rari comunque, statisticamente poco rilevanti). Una difficoltà anche maggiore è sollevata dalla preesistenza di quello che talvolta si definisce «ritratto generico»: dipinti che in pratica ritraggono una dama o un cavaliere ma non una persona in particolare. Nella sua cronaca del mondo del 1493, l’umanista di Norimberga Hartmann Schedel si serviva della stessa incisione per presentare le figure di Omero, del profeta Isaia, di Ippocrate, di Terenzio, del giurista medievale Accursio e del filosofo del Rinascimento Francesco Filelfo7. [...] In breve, c’è un’apparente contraddizione tra questi due tipi di spiegazioni del significato del ritratto, tra queste due prospettive. Una rassegna ampia e comparativa consente di rivelare una distribuzione temporale dei ritratti piuttosto irregolare che deve essere spiegata ma coincide con una distribuzione altrettanto irregolare delle biografie. A uno sguardo più ravvicinato, la situazione si rivela d’altra parte molto diversa. Gli usi del ritratto erano spesso più di natura istituzionale che non di tipo individualistico. Un’analoga tensione è riscontrabile anche tra gli stili e le funzioni delle biografie. Le biografie «individualistiche» continuavano a coesistere con quelle esemplari, generiche o tipiche, centrate più sul ruolo che non sull’individuo e finalizzate alla costruzione di modelli emulabili dai lettori. Il fenomeno di coesistenza tra una mentalità facente perno sull’individuo e una mentalità basata su «tipi» e modelli generici rivelato da biografie e ritratti rappresenta sia un esempio che un simbolo di un’ambivalenza caratteristica del periodo. Non è detto comunque che il conflitto tra storici burckhardtiani e antiburckhardtiani, che lo scontro tra chi legge il Rinascimento in termini di realismo o di simbolismo, la scelta tra identità individuale o collettiva siano effettivamente necessari. Gruppi e individui probabilmente oscillavano da un codice all’altro a seconda dell’occasione e del contesto. Questa coesistenza tra atteggiamenti contrastanti, questa tensione continua, hanno rappresentato in realtà una decisiva carat teristica strutturale della cultura del Rinascimento. (P. Burke, Il Rinascimento europeo, trad. di V. Giacopini, Laterza, Roma-Bari 1998) Note 1 Gli 8 libri dei Commentarii de bello Gallico e i 3 dei Commentarii de bello civili di Giulio Cesare risalgono alla metà del I secolo a.C., mentre le Confessioni di Sant’Agostino vennero scritte fra il IV e il V secolo d.C. 2 I personaggi qui ricordati sono il grande pittore ed incisore tedesco Albrecht Dürer (1471-1528), lo scultore ed orafo fiorentino Benvenuto Cellini (1500-1571) e il matematico, medico e fisico lombardo Girolamo Cardano (1501-1576). 3 Di natura eterogenea. 4 Nome latinizzato dell’umanista fiammingo Joost Lips (1547-1606). La scelta operata da questi letterati di organizzare in modo sistematico la propria corrispondenza rivela la cura con cui intendevano in tal modo costruire un’immagine coerente di sé presso i contemporanei e i posteri. 5 Stampatore tedesco (1460-1527) che pubblicò opere sia di Lutero che di Erasmo. 6 Nel senso che si riferivano ai singoli in quanto rappresentanti di una determinata istituzione. 7 Personaggi appartenenti ad epoche ben differenti. Omero e Isaia all’VIII-VII secolo a.C., Ippocrate al V-IV secolo a.C., il —2— commediografo latino Terenzio al II secolo a.C., Accursio al XIII secolo d.C. e Francesco Filelfo al XV secolo d.C. Per la comprensione del testo 1 Che cosa accomuna generi diversi quali le biografie e autobiografie, da un lato, e i ritratti, dall’altro? 2 Come si motiva la scelta di inserire la biografia di un autore come premessa alla raccolta delle sue opere? 3 In che senso il ritratto è di natura collettiva e istituzionale più che individuale? —3—