deontologia e formazione professionale

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deontologia e formazione professionale
VINCENZO PANUCCIO
DEONTOLOGIA E FORMAZIONE
PROFESSIONALE
prolusione alla inaugurazione dell’anno formativo della
scuola professionale forense di Reggio Calabria del 1° febbraio 2008
DEONTOLOGIA E FORMAZIONE PROFESSIONALE.
(prolusione alla inaugurazione dell’anno formativo della
scuola professionale forense di Reggio Calabria del 1° febbraio 2008)
Se fra le esperienze quella giuridica è la più concreta, a confronto della esperienza
filosofica e di quella umana in genere,mi consentirete in apertura del nostro
discorso di oggi, di rendervi partecipi della mia esperienza, a contatto col nostro
tema, nel 1989 fino al 2004 con il Consiglio Nazionale forense, dopo quelle più
ridotte localmente di presidente dell’ordine forense di Reggio dal 1972 al 1989 e
di presidente e fondatore dell’unione forense di calabria che riunisce gli undici
ordini della regione dal 1977 al 1989.
Queste esperienze possono riassumersi in due parole (che ritornano oggi nel titolo
dell’incontro): professionalità e deontologia che fin dai primi passi mi apparvero
(il mio primo scritto in tema di deontologia forense è del 1988)1, come i cardini
della nostra attività; quei termini indicano come una parte importante della
professionalità dell’avvocato è costituita dall’osservanza delle regole
deontologiche. Sicché, approfondire gli specifici problemi della deontologia
costituisce un mezzo significativo per cogliere nei suoi tratti essenziali, la
funzione e il ruolo dell’avvocato. Negli anni, anche per l’approfondimento
condotto in alcuni miei studi sulla deontologia2 (91, 93, 97, 2003, 2006), mi
convinsi che quei due requisiti erano davvero fondamentali. Invero, si sarebbe
portati a pensare che all’avvocato vada riconosciuta la massima libertà
professionale nella esecuzione dell’opera, inquadrata nell’ambito delle professioni
intellettuali, del lavoro autonomo; che egli possa operare autonomamente,
autodeterminandosi discrezionalmente nella scelta dei mezzi 3, attività senza
limiti, e che per raggiungere il risultato nella difesa, si sia liberi di adottare
qualsiasi mezzo4. Ovviamente, niente di più sbagliato: un errore del genere può
dipendere dal fatto che la legge è in proposito muta, e che una delle caratteristiche
deontologiche è la loro indeterminatezza, o in parole moderne, che esse prevedono
standards di comportamenti5, da riempire in concreto6, con lo ius vivens. Proprio
1
In quello scritto vecchio di quasi 30 anni fa (poi ripreso nel 1991 in deontologia e società civile)
ho ritrovato a pag. 340 della summa della mia attività forense: frammenti di vita forense, ESI,
2001, già l’intuizione, quasi profetica, dei rapporti fra professionalità e deontologia, e tra diritto ed
etica, e il richiamo ai doveri di competenza e diligenza, osservando che la professionalità mette in
serio rischio la deontologia e viceversa.
2
Seppure per vari aspetti: In tema di deontologia forense,in Legalità e giustizia 1988,nn.34,pagg.396-411; Deontologiaforense e società civile, in Legalità e giustizia 4/1991,pagg.564-577;
deonotolgia e codice deontologico,in Iure praesentia,1997,pp.227-248; deontologia professionale e
abuso di difesa, in Iure praesentis,2003,pgg.195-210; I vincoli etici nella esperienza
giuridicacontemporanea,in Rassegna forense,2006,n.1 pagg.363-374, e, per qualche ulteriore
aspetto: le scuole professionali forensi, realtà e prospettivein Rassegna forense,1993,pagg.84-115.
3
La nostra è malgrado qualche oscillazione di cui diremo, una obbligazione di mezzi non di
risultato.
4
Ma già San Tommaso avvertiva che (anche se egli ammetteva che potessero presentarsi in
giudizio prove false,al di là della odierna deontologia) in presenza della consapevolezza della
condotta illecita del proprio cliente, dovere di coscienza è recedere dal mandato (si veda per
motivazioni il Mio scritto: Un avvocato legge la Bibbia,in Atti accademia peloritana dei
pericolanti, Messina,1995,pagg.6-39.
5
Cfr.il nostro scritto: standards legislativi e problemi dell’interprete,
6
Se ne ha una conferma nel meccanismo molto opportunamente attuato da DANOVI, nella
redazione del codice deontologico, di far seguire a ogni singolo articolo la integrazione con alcuni
2
questa indeterminatezza ha fatto dubitare della loro costituzionalità sotto il profilo
delle sanzioni7. Certo, il dovere di difesa, di cui all’art. 24 della Costituzione
comporta il potere di difesa, fondato sulla discrezionalità tecnica8, non sindacabile
neanche dal proprio cliente (pena il recesso), tanto che qualche decisione è giunta
fino a condannare il legale che abbia consentito una eccessiva ingerenza del
cliente nella difesa; ma, come ogni libertà, la discrezionalità deve avere i suoi
limiti,altrimenti sconfinerebbe nell’arbitrio 9. e tali limiti si collegano in vario
modo con la responsabilità civile e penale, e fondamentalmente con la
deontologia. Questi limiti sono invalicabili, non possono nemmeno superarsi in
nome del dovere di difesa, come dimostrano altre decisioni che, nella valutazione
conflittuale degli interessi in gioco hanno confermato che il cliente non può mai
pretendere che il proprio legale violi le regole deontologiche, così confermando
che l’interesse al rispetto di tali regole è prevalente, raffrontato al dovere di difesa
(che attiene addirittura a un valore costituzionale)! Ma, si badi, resta tuttavia
fermo il principio, altrettanto invalicabile, che le scelte tecniche dell’avvocato (ad
es. per la interpretazione e applicazione di norme) non possono essere sottoposte a
valutazione di carattere disciplinare, prevalendo in questa ipotesi il dovere
difensivo,sul comportamento deontologico anche nei confronti del legale
avversario, e così inquadrandosi il problema nei principi generali della lealtà e
correttezza (di cui agli artt. 88 cpc. e 5 e 6 del codice deontologico)10, concetti
guida, che trovano più specifiche indicazioni nel dovere di competenza, nel
dovere di verità, e nei rapporti coi colleghi e coi magistrati comprovati nei
documenti da cui ha tratto origine il c.d. diritto forense (quello cioè che
raggruppava le decisioni attinenti alla nostra attività).
Già nella presentazione del primo volume della giurisprudenza professionale
forense, che sotto la direzione di Vittorio Scialoja contiene tutte le decisioni
disciplinari dal 1926 al 1930, è sottolineata l’utilità di questo diritto, rilevandosi
fin da quell’epoca che la deontologia è essenziale per l’avvocatura, e che,
particolarmente la raccolta delle decisioni disciplinari avrebbe fornito preziosi
materiali alla elaborazione della deontologia forense, la quale, pur vantando
cospicue trattazioni, come quelle di Giuriati (1878), Zanardelli (1879), Cobianchi
(1929) ed altri, non è ancora pervenuta, si diceva, a un grado di sviluppo
adeguato alla antichissima nobiltà degli ordini forensi. In epoca più recente, in una
celebre relazione al III congresso nazionale forense, nel 1955, Piero Calamandrei,
facendo una diagnosi del disagio di cui soffre la professione per il progressivo
numero (già da allora!) (scrisse un articolo dal titolo “troppi avvocati”) degli
iscritti negli albi e per il contemporaneo declinare delle qualità professionali che
fatalmente ne consegue, auspicava una riforma pur non limitata al solo
ordinamento forense. Nel 1956, presidente Calamandrei, per volontà di Castellet e
casi disciplinari ritenuti più rilevanti o rappresentativi (vedi avvertenza al Commentario del codice
deontologico forense, Milano, 2001,pag. X
7
E’ da ricordare, tuttavia, che la giurisprudenza ha eliminato simili dubbi,distinguendo il profilo
della tipicità per i reati penali, non richiesta invece per gli illeciti disciplinari.
8
confrontata per taluni aspetti e differenze con la discrezionalità della p.a. Solo il professionista,
afferma la Cass., 18 maggio 1988, n.3463, esercita la sua discrezionalità per la scelta di un certo
mezzo tecnico, o per l’adozione di una certa strategia difensiva
9
Questi aspetti sono approfonditi nel mio lavoro: deontologia professionale e abuso di difesa
cit,pagg.196 ss.,spec.pagg.197 ss.ove sono riassunti alcuni tipi di abusi, anche in connessione con
l’eccesso di difesa.
10
CNF:, dec.16.5.1970,in Rass.For., 1972,302.secondo cui a fini disciplinari non è possibile tener
conto degli errori commessi nella interpretazione e applicazione dele norme, diversamente si
dovrebbe aprire procedimento disciplinare contro tutti i difensori delle parti soccombenti!
3
di Mario Moschella presidente della Cassa, si dette l’avvio alla Rassegna del
CNF, bimestrale, (che ebbe una sola lacuna dal 1959 al 1965) proseguita nel 1968
dalla attuale Rassegna forense (trimestrale, direttore responsabile Aldo
Casalinuovo, che rimarrà in carica fino al 1985. Alla memoria di questo nostro
corregionale, galantuomo e legalitario, ricordiamo che egli fu segretario del CNF
dal 1968, V.presidente dal 1969, e presidente dal 1971 fino al 13 ottobre 1995, e
componente fino alla sua morte). Il contenuto di queste pubblicazioni fu la
giurisprudenza disciplinare, che rappresentò costantemente la continuità dei
principi deontologici sui quali si fonda il corretto esercizio della professione. Con
questa tematica (concorrono già altri temi, tra cui la formazione e l’accesso), si
riaffermava continuamente che si dovesse consolidare l’impegno etico che deriva
dalla affermazione dei principi deontologici, non solo come momento di
approvazione del relativo codice, ma anche come convinta asserzione della
necessità di tutelare tali valori. Per l’approfondimento dei rapporti tra deontologia
ed etica, si vedano i miei scritti, dai quali sinteticamente risulta che il contenuto
della condotta, non individuato specificamente dalle norme in materia, è integrato
dall’etica (professionale) e quindi dal complesso di quei principi di scienza del
dovere (deontologia) che sono oggettivamente enucleati dal comune sentire in un
dato momento storico (Cass. 27.10.1995, n. 11176). Queste pubblicazioni,
insieme alla stampa di due prestigiose riviste, il Foro Italiano (iniziato nel 1876) e
la Giurisprudenza italiana (1849) (ricollegandosi alla giurisprudenza degli stati
sardi) contribuirono alla formazione del diritto forense attinente ai temi della
deontologia, identificando con l’essenza della avvocatura la cultura nei libri e la
cultura in azione 11. Questo ultimo aspetto dell’avvocatura significava fin da allora
un impegno per il futuro, la sollecitazione degli apporti di tutti gli avvocati,
incrementando l’interesse culturale, e principalmente consolidando l’impegno
etico derivante dalla affermazione dei principi deontologici, ricavabili dall’
osservatorio privilegiato della professione (qualcuno equiparava gli avvocati per
questo aspetto ai guardiani del faro nel mare della giustizia) che consentiva loro di
vedere per primi le disfunzioni,le ingiustizie, le necessità e le carenze, così
contribuendo nella loro azione, al miglioramento delle procedure, stimolando idee
e soluzioni in termini tecnici e politici.
Quanto precede basta indubbiamente alla affermazione di alcuni principi12, fra
questi, fondamentale (anche per avviarci al secondo tema del nostro discorso) alla
inesorabile complementarietà tra norma processuale e norma deontologica13, col
corollario che, se è necessario realizzare il nuovo processo, è altrettanto necessario
pensare al nuovo difensore14. La disfunzione del processo deriva anche dal
disinteresse alla pratica forense e dal distacco dell’avvocatura per i problemi
dell’accesso: il processo non può dimenticare la formazione del difensore e quindi
un recuperato impegno di tutti nella definizione delle regole e della loro
conoscenza,soprattutto nella fase iniziale della attività,il che consentirebbe un più
corretto equilibrio tra i poteri-doveri dell’una e dell’altra parte. Compito non
facile, sol che si consideri la rivoluzione delle regole da registrare negli ultimi
quindici anni (si pensi alla pressocché integrale reiscrizione del processo penale,
11
Così DANOVI, Il pendolo della professione, Milano, 1999, pag.358.
Come da noi indicati alla pag. 206 ss. del nostro scritto: deontologia professionale e abuso di
difesa, ‘in iure praesentia’, 2003, pagg. 195-210.
13
FRIGO, Problemi deoinontologici e preprazione tecnico professionale,nella prospettiva del
nuovo processo penale, Relazione al XIX congresso nazionale giuridico forense,Ancona 1987;
DANOVI, op.cit.,pag.281 e nt.5 per citazioni ulteriori.
14
DANOVI,op.cit.,pag.287
12
4
civile, amministrativo, societario, alle modificazioni di interi istituti del diritto
civile ed alla introduzione di schemi nuovi, anche di matrice comunitaria, propri
di altri paesi europei etc., ce n’è abbastanza per sconfortarsi, nella facile
tentazione dell’operatore giuridico di indulgere alla pigrizia e di adagiarsi sulla
vischiosità e perduranza di certi apprendimenti nelle aule universitarie.
Già questi rilievi danno l’occasione di mostrare il nesso più profondo fra
deontologia e formazione (anche di formazione permanente come diremo), questo
nesso non è il solo, essendo agevole approfondirlo ulteriormente a contatto coi
dati legislativi e di autoregolamentazione (codice deontologico).
La nostra professione è costretta dalla regola dell’art.1176, 2° comma cc. che
tuttavia in certo senso mitiga il maggior rigore dell’art. 1218, stabilendo che,
nell’adempimento dei nostri obblighi difensivi, la diligenza (qualificata,
professionale) deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Così
viene introdotto il metro della perizia, relativa al complesso delle cognizioni
tecniche ragionevolmente richiedibili all’interessato, a sua volta frutto dello studio
e dell’esperienza e costituente il presupposto oggettivo del contratto, altra
costrizione, è rappresentata dalle regole deontologiche stabilite negli articoli 12 e
13 del codice deontologico15. Su queste norme conviene ora soffermarsi perché,
l’obbligo indeterminato della diligenza nell’esercizio della attività forense,
assume contorni più nitidi, e comunque direttamente connessi col ruolo della
formazione e dell’aggiornamento,e peraltro col riconosciuto valore di vere e
proprie norme giuridiche16. L’art.12, che non ha subito modiche dalla stesura
originaria, è intitolato al dovere di competenza e stabilisce che “l’avvocato non
deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata
competenza (1° co.), e che egli deve comunicare all’assistito le circostanze
impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di
controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità della integrazione
della difesa con altro collega (2° co.). L’accettazione di un determinato incarico
professionale fa presumere (iuris tantum?) la competenza a svolgere
quell’incarico” (co.3°)17. La competenza, è stato osservato18, è un presupposto
15
Approvato, come è noto, dal CNF nella seduta del 17/4 1997 ed aggiornato con le modifiche
introdotte il 16/10 1999, il 26/10 2002, il 27 gennaio 2006, e il 18/1 2007 (queste ultime modifiche
per la imposizione della legge Bassanini che, come è noto, ha sancito la nullità di tutte le regole
deontologiche, da rifomularsi in connessione con le indicazioni mercatorie di quella legge, con la
minaccia diversamente dell’effetto distruttivo).
Un simpatico critico, MURRA, obblighi di formazione permanente o… permanente formazione di
obblighi, relazione al seminario del patronato forense del 26.11.2007, riconnette tali modifiche alla
nascita del regolamento sulla formazione.
16
Cass., 14.11.2002, n.16023. Poiché se ne da qui l’occasione, di contro a certe critiche che
appaiono infondate, ricordiamo che le norme di rango primario, di cui alla legge del 1933
attribuiscono espressamente al CNF (e ai Consigli dell’ordine, Cass. 1995, n. 12723) il potere
regolamentare in materia deontologica, che ha quindi il potere-dovere, nell’esercizio della
legittimata autoregolamentazione, di enunciare norme deontologiche vincolanti per gli iscritti
(Cass. SS. UU., 12.12.1995, n. 12723; Cass. SS.UU. 1989, n. 2844; Cass. SS.UU. 1975, n. 2104).
E’ ius receptum che le determinazioni del CNF costituiscono regolamenti in forza di una legge
speciale (art. 3 sulla legge in generale) Cass. SS.UU. 03.05.2005, n. 90097. Dunque, se il CNF ha
un potere regolamentare, assimilabile a fonte normativa secondaria, il regolamento è fonte di
produzione (così PERFETTI, nella relazione di apertura della scuola forense messinese del 2007).
Sicchè le impugnative al TAR del Lazio del regolamento forense sulla formazione permanente, per
carenza di poteri al CNF, paiono destinate all’insuccesso.
17
Più curato il testo del codice deontologico europeo:”l’avvocato non accetta un incarico se egli sa
o dovrebbe sapere che egli non ha la competenza necessaria per occuparsene,a meno di collaborare
con un altro avvocato che abbia tale competenza. L’avvocato non può accettare un incarico se si
trova nella incapacità di potersene occupare tempestivamente, tenuto conto degli altri suoi
5
implicito nell’esercizio dell’attività professionale; se occorresse una testuale
conferma, questa è data dal terzo comma dell’articolo, che, stabilendo la
presunzione semplice, conferma che l’accettazione dell’incarico assorbe la
sussistenza della competenza. Come la diligenza di cui all’art. 1176 cc. assicura la
qualità delle prestazioni, così la competenza tende ad affermare la specifica
legittimazione all’attività professionale richiesta dalla parte assistita.Una
interpretazione restrittiva di tale legittimazione (ad es.quella legata ad
autorizzazioni per l’esercizio professionale, oppure in base a norma abrogata
l’attività svolta extra districtum) non mi pare possa esaurirne la applicabilità,
dovendosi invece ritenere che la norma intenda disciplinare anche il caso in cui
debba farsi una valutazione sostanziale della capacità sia pure negli aspetti più
macroscopici19, anche se, a quanto sappiamo, non sussistono comportamenti
sanzionati per quest’ultimo aspetto nelle decisioni della prassi forense20.’
Significativamente la norma, nell’adempimento di un obbligo di trasparenza e di
informazione del cliente obbliga a un atteggiamento di umiltà, che dovrebbe
essere sempre presente specie ai giovani21, i quali invece spesso praticano la
presunzione,in un inammissibile atteggiamento di sicurezza e di certezza degli
esiti delle liti. E’ proprio l’umiltà e la consapevolezza della propria ‘ignoranza’
che impone al difensore di comunicare le circostanze impeditive alla prestazione
dell’attività richiesta, non solo ad esempio, quella derivante da eccessivo carico di
lavoro (ci avete mai pensato, o la avete mai fatta valere?), ma anche quella
derivante da incompetenza, da difetto di conoscenza in materia specifica, come si
evince dalla stessa norma quando parla di integrazione della difesa in controversie
di particolare impegno e complessità22.
Proprio per questo aspetto l’art.13 mostra la particolare connessione con la norma
precedente quando si occupa del dovere di aggiornamento professionale
stabilendo: “è dovere dell’avvocato curare
costantemente
la propria
preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze, con
particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività. L’avvocato realizza la
propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a
iniziative culturali in campo giuridico e forense. E’ dovere deontologico
dell’avvocato quello di rispettare i regolamenti del Consiglio Nazionale Forense e
del Consiglio dell’ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi
formativi”. La norma (così accresciuta rispetto alla stesura iniziale)23 ritiene
“comportamento negligente quello del professionista che non curi di acquisire le
impegni”.Quest’ultima opportuna ipotesi non sembra ravvisabile in Italia, per la disposizione
dell’art.12 cod. deont.
18
DANOVI,Commentario cit., pag.207
19
Ancora DANOVI,op.cit.,pag.209,il quale soggiunge: lasciando all’esame di altre norme la
valutazione dei comportamenti specifici posti in essere nei confronti della parte assistita. Un
particolare caso si ha quando l’incarico è affidato a un oraticante che non abbia la adeguata
preparazione professionale (C.O:Berrgamo,31.5,1996, cit.in Commentario Danovi, pag.211).
20
Non così invece per i difetti di legittimazione formale,ad es.C.o. Roma 22 genaio 1987 (difetto
di procura speciale per un ricorso in Cassazione); o in genere di procura ad litem (CNF:,
17.6.1972; in Rass.For.,1974,177)di particolare abilitazione in cause matrimoniali (C.O.Milano,4
arile 1968 in Mass., 1969,7), attività fuori distretto (CNF:, 28.4.1979,i Rass.For., 1080,465)
21
Si veda la bella pagina di CALAMANDREI, l’elogio dei giudici scritti da un avvocato, 4^ ed.,
Firenze, 1989, pag. 56 dell’avvocato verso il giudice, e, più rara, 57, del giudice verso l’avvocato.
22
Il dovere di informazione del difensore attirò la mia attenzione nella relazione al Convegno della
UIL dell’ 8 marzo 1992 a Roma.
23
L’aggiunta è del gennaio 2006 ed è malignamente attribuita da taluno alla scusa di dovere
aggiornare il codice deontologico dopo l’intervento demolitore di Bassanini.
6
nozioni necessarie per la esatta esecuzione dell’incarico ricevuto”24. Si tratta di un
principio importante che nella sua indeterminatezza consente di regolare ipotesi,
come la irreperibilità per prolungata assenza del professionista dallo studio25, e
contenente il richiamo all’avvocato (più che disporre un obbligo sanzionatorio)
alla necessità di esprimere costantemente un livello professionale adeguato alla
società in cui vive e ai servizi richiesti (nulla e più dei principi normativi che in
brevissimo spazio di tempo si modificano incessantemente26). La disposizione,
oltre a fissare l’impegno per l’avvocatura, al fine di qualificare (se pur
genericamente come dicevamo) la formazione, proprio per tale genericità si è
ritenuto includere nella fattispecie la formazione con gli obblighi connessi; tema
che in questi ultimi tempi ha suscitato numerosi interventi in dottrina27 e
principalmente ricerche operative28 a seguito di una indagine 29 per concretare
quegli obblighi. Accenniamo qui all’obbligo di frequentazione delle scuole
forensi30 per assicurare e conservare la preparazione e capacità quali sono
richieste dalle funzioni e dai ruoli che spettano al legale. Per questo verso l’art. 3,
nel fissare la regola deontologica, anticipa, per così dire, il futuro dell’avvocatura,
conformemente alle iniziative in Europa, e sembra iniziare la specializzazione per
attuare questi principi a integrazione della disposizione deontologica, tanto che
ben presto venne presentato un primo progetto di formazione permanente31 che
nel raffronto con quelli successivi32 può valere a indicare le prime linee di quella
evoluzione di cui l’ultimo frutto è il regolamento del CNF 2006 e relazioni. Da
quanto precede risulta, considerando congiuntamente i due articoli in esame, che
la competenza (art.2) e l’aggiornamento della preparazione costituiscono due
componenti essenziali della professionalità, (specie nella prospettiva cronologica
della permanenza), e non della professionalità soltanto ma anche
deontologicamente in soddisfazione della esigenza etica prima ancora che
giuridica, che l’avvocato sia e si mantenga competente per poter assolvere
degnamente il suo obbligo professionale. Non si intendono privare le associazioni
della libertà di organizzare corsi e seminari, ed il CNF ha predisposto un modello
di aggiornamento che consenta agli Ordini di verificare l’attendibilità dei progetti
24
Così CNF, 17.12.1966, in Rass. pr. 1969, p.45
CNF, 17.12.1966, in Rass. pr. 1969, p.45
26
Così DANOVI, commentario cit., pp. 212 ss.
27
Si vedano, per tutti i fondamentali corposi scritti sul tema di SALAZAR, La formazione
professionale forense, realtà e prospettive, in Rass. Giur. Sc., 1988, pp. 879-935; Il futuro della
formazione forense, ivi, 200, pagg. 565-590; La formazione professionale forense, modelli in
cammino e nuove problematiche, in Riv. Giur. Sc., 2001, pp. 587-604; Brevi note sulla formazione
continua degli avvocati, in corso di pubblicazione sulla Riv. Giur. sc. 2007, pagg. 1-9. Questa
fatica continua del nostro, apprezzata sul piano nazionale, consente di seguire praticamente, passo
dopo passo, la evoluzione del concetto nei suoi aspetti programmatici e attuosi in un arco di quasi
10 anni, in ben 970 pagine.
28
Va qui ricordato che il congresso nazionale del 03/06 di aggiornamento forense ha approvato i
principi fondanti della professione forense, fra i quali (n.3) creazione d una nuova disciplina che
assicuri… la imprediscindibile verifica della qualità, della formazione dell’avvocato con criteri di
selezione rigorosi, efficaci ed obiettivi; nonché (n.4) introduzione di meccanismi idonei ad
assicurare una elevata qualità professionale, anche mediante un sistema di formazione permanente
obbligatoria. Sotto il controllo degli organi istituzionali della avvocatura.
29
Del CENSIS, di cui dà analitico conto SALAZAR, gli scritti citati, specie nei primi due.
30
Centrali (fondazione dell’avvocatura, centro di formazione, fondazione per la comunicazione
forense, scuola superiore per l’avvocatura, centro di studi europei e iniziative per la formazione
forense), e locali presso gli ordini.
31
Danovi, in Rass. pr. 2000, pp.5 ss.
32
18.01.07 e 13.07.2007, relazione illustrativa del 20.09.2007, nonché relazione interpretativa del
24.11.07.
25
7
d’acculturazione. E’ qui il caso di ricordare alcune iniziative locali, quali quelle
del Sindacato forense (dal titolo: formazione professionale continua) con un ricco
programma33 sul diritto societario, commerciale e fallimentare; i corsi sulla
consulenza psico-legale, sulle crisi familiari e sull’avvocato nell’ambito minorile
(argomenti di scottante attualità e di impostazione moderna).
A questo punto sembra opportuno un chiarimento, fin qui, abbiamo parlato dei
rapporti fra la deontologia e la professionalità, ma come può operarsi una sorta di
trasposizione, non soltanto semantica, ma sostanziale, concettuale, significante
diremmo, tra deontologia e formazione? Come si connette, quasi per una sorta di
proprietà transitiva, la professionalità alla deontologia? Questa connessione si
riscontra già normativamente per quel profilo del codice deontologico che come
abbiamo accennato pone a carico dell’avvocato il dovere nel caso di
consapevolezza della sua incompetenza su una questione sottopostagli di non
accettare la difesa. E questo dunque diviene un dovere deontologico che prescinde
da qualsiasi aspettativa economica,assistito e rafforzato dalla sanzione e che,
come pure dicevamo si richiama a una dote dell’operatore giuridico, che è
l’umiltà.
Su questo nesso può farsi un’altra considerazione che a noi pare decisiva: il fatto
che la professionalità e la deontologia rappresentano, come abbiamo detto, e
pensiamo di averlo dimostrato, i profili fondamentali della nostra professione, i
cardini dell’avvocatura, può comprovarsi in vario modo quel nesso sul piano
teorico generale (affiancandolo ai dati normativi della competenza, della
trasparenza e dell’umiltà) guardando alla base comune della formazione culturale.
Per questo verso formazione e deontologia sono accomunate in una delle tre
componenti essenziali di ogni professione intellettuale: intellettuale, e valgono a
distinguerla da ogni altra attività economica, e in particolare dalla attività di
impresa34, accomunate appunto nella più generale formazione culturale. Tre sono
infatti tali componenti essenziali: la formazione professionale, la formazione
culturale, la formazione deontologica35. Qui addirittura la formazione
deontologica si incorpora e si identifica con la formazione professionale,
nell’ambito della professione intellettuale. Vi è dunque molto di più fra i due
concetti di un semplice nesso, si riscontra addirittura una sorta di incorporazione
(concettuale).
33
Su interessanti argomenti di contabilità di Stato, dir. amm.vo, dir. proc. civ. e rito del lavoro,
deontologia (con rif. alle soc. fra professionisti e diritto fallimentare).
34
Nella polemica che ha agitato per anni, di contro alla pressione comunitaria che, identificando
l’attività dell’avvocato come erogatore di servizi (e quindi riconducibile alla nozione di impresa
europea), e che,nella considerazione del valore della difesa, rispondente ad esigenze di natura
pubblica, ha quanto meno condotto alla considerazione della specialità dell’attività forense e alla
previsione di uno statuto che mantenga integri i requisiti della fiducia e della personalità della
prestazione,ed escluda espressamente la soggezione al fallimento, si aggiungono ora le
considerazioni che ALPA ha effettuato nella relazione del marzo 2007 sulla attività forense
dell’anno, pag.9, sulla specialità della professione e il suo riconoscimento dal Parlamento Europeo
e dalla Corte di Giustizia. Successivamente scrive: una cosa è la disciplina delle professioni legali;
altra cosa la disciplina dei servizi nall’ambito dei quali possono essere ricomprese alcune categorie
di prestazioni legali (pag. 12). Particolarmente significativa la sentenza della Cassazione a
SS.UU.del 5/1 2007,n.37 che ha ribadito la incompatibilità dell’esercizio della professione forense
con quella dell’imprenditore, principio che assume un ruolo ordinante nelle categorie
giuridiche,perché sottolinea (seppure con riguardo alla disciplina delle tariffe) la peculiarità delle
professioni intellettuali rispetto a qualsiasi altra attività economica,rivolta al profitto.
35
Cfr. ALPA, Relazione inaugurale dell’anno giudiziario presso il CNF, 14.03.2007, in Rass. For.
2007, n.1, p.3.
8
E’ suggestivo in proposito l’accostamento, effettuato da qualche A.36, tra l’arte del
difendere e l’arte del giudicare. indispensabile al giurista all’operatore giuridico.
L’arte del giudicare, non è propria ed esclusiva dei magistrati, ma anche,
necessariamente degli avvocati, per la stessa valutazione della giustizia
sostanziale,cui deve tendere in particolare il processo. Un giudicare che è fatto
non solo di conoscenze tecniche (se ciò fosse potremmo adottare una giustizia
informatizzata), ma soprattutto di equilibrio, di sensibilità alla giustizia: dunque
una vera e propria arte del giudicare sta alla base della giustizia; un’arte che deve
anche avere l’avvocato quale tramite necessario fra la richiesta del cittadino e la
decisione del giudice. Le conoscenze tecniche comportano tante attività: la
valutazione del comportamento delle parti, l’utilizzazione delle finzioni, il ricorso
ai principi generali o alla buona fede,alla coscienza sociale, agli interessi diffusi,
alla diligenza,alla prassi, all’equità,etc. Per questi aspetti, arte del giudicare è la
sintesi di tutte le capacità che competono all’avvocato, per valutarne
concretamente i rischi e le scelte e farne partecipe la parte assistita. Anche questa
deve essere insegnata nel complesso degli elementi che la compongono: la
valorizzazione del contraddittorio, l’analisi dei fatti, il rispetto dei principi
deontologici, per trasformare la preparazione del giurista,l’incapacità e le qualità
difensive, a contatto con l’etica. In altri tempi si giungeva a discutere di altre
qualità, come l’abbigliamento del difensore, e persino il tipo di alimentazione!
Arte di giudicare e arte del difendere dunque come sintesi delle acquisizioni lato
sensu, e delle capacità. Ma chi deve insegnarle?
All’interrogativo cercano di rispondere tutte le iniziative centrali e locali sulla
formazione37. Qui basta accennare a tre iniziative concorrenti: un primo progetto
(dis.l. n.4115 del 4/9 1997-disposizioni in materia di accesso alla professione,
progetto collegato alle scuole di specializzazione istituite col d.l.17/11 1997
(scuole di specializzazione. il<momento iniziale della formazione passa attraverso
la scuola forense) e infine un progetto complessivo di una legge organica che
riformi l’ordinamento professionale. Malgrado la eterogeneità di tali progetti è
auspicabile che sia ritrovato un punto comune,per la tutela degli stessi valori della
formazione,con la partecipazione degli organi forensi.
La storia recente della formazione forense può ora considerarsi segnata da due
eventi, di diversa natura e prospettiva attuativa: la approvazione del regolamento
per la pratica dpr.10/4 1990,n.101, e il progetto di legge Mastella sulla riforma
dell’ordinamento forense (dis. di legge proposto dal Governo alla Camera dei
deputati n.2160). Su questi due eventi conviene ora brevemente soffermarsi.
1) i progetti di riforma dell’ordinamento forense sono numerosissimi e affondano
le radici in provvedimenti risalenti al 194938, quasi uno l’anno; la legge
professionale è del 1933, ogni anno fu accompagnata da un progetto, una
36
ALPA,l’arte del giudicare, Bari, 1996; DANOVI, L’arte di difendere e l’arte di giudicare tra
laurea e post laurea, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1998, 2, pp. 551 ss.
37
Un elenco completo e ragionato si ritrova nel nostro presidente della commissione cultura e
formazione Prof.MICHELE SALAZAR, in numerosi scritti dedicati all’argomento, da quello
fondamentale La formazione forense, realtà e prospettive in Riv.giur.Scuola,1998,pag.879 ss. e in
Zaleuco, 1998,n.5, a quello il futuro della formazione forense,ivi,2000,pag.566 590;(ove a
pagg.566-568 l’elenco utilissimo della registrazione del dibattito cultutale dal 1998 al 2000,nonché
a pag.568-570 la indicazione dell’attività operativa svolta dal CNF,e il contributo del censis, fino
all’ultimo in corso di pubblicazione sulla mia rivista in iure praesentia (che sta per trasformarsi nel
pro.ssimo numero on line) brevi note sulla formazione continua degli avvocati, ove pagg.1-9 uno
fra i primi commenti del regolamento del CNF del 13 luglio 2007 sulla disciplina della formazione
professionale continua.
38
Progetto Grassi n.768.
9
cinquantina circa. Nel 1968 Malcangi scriveva nel primo numero della Rassegna
forense che il primo problema da risolvere era quello del nuovo ordinamento
forense, e che era mortificante che il Parlamento non avesse ancora provveduto,
nonostante le sollecitazioni e l’impegno preso dal CNF perché la legge fosse
discussa e approvata. Il disegno di legge 6/8 1998,n.5211 è fra i tanti quello che
merita menzione perché presenta una novità,per l’epoca: la specificità della
professione forense,per il valore costituzionale e sociale,che si riconnette a,
diritto-dovere di difesa; è indispensabile considerare quindi le qualità della
professione che la stessa relazione considera rispondente a quella di un avvocato
competente, indipendente, autorevole e prestigioso39. Di questo progetto va pure
ricordato che esso prende in considerazione la necessità dell’osservanza dei doveri
professionali, anche a tutela della clientela (art.9.3). Modernità di questo aspetto:
dagli organi dell’Unione europea proviene oggi quel riconoscimento che una
malintesa concezione della liberalizzazione del mercato ci vorrebbe sottrarre. Ciò
è riconosciuto ad esempio dal Parlamento europeo che ha fissato, fra l’altro, le alte
qualificazioni richieste per accedere alla professione legale, incoraggiando la
istituzione di un codice europeo con norme di condotta relative anche alle etiche
professionali. Le limitazioni richieste dalla specificità della professione non si
atteggiano più come residui di antichi privilegi. E’ in proposito interessante
quanto dice Alpa40, vi è una cesura tra i progetti di riforma della precedente
legislatura e quelli che sono in procinto di essere discussi (chissà quando), questi
riformulano integralmente la nozione di attività professionale intellettuale,
organizzano il settore secondo la formula triadica: ordini, avvocati appartenenti
agli ordini, avvocati appartenenti alle associazioni libere per le professioni
regolamentate, ma liberalizzano il mercato, riducendo al minimo il percorso
formativo, contengono il controllo deontologico sulla attività professionale,
applicando ai professionisti la disciplina societaria destinata alle imprese. Il testo
proposto dal Governo alla Camera dei deputati è ancora peggiore: lasciando
andare la tecnica legislativa rimessa al governo per disciplinare la materia, già
appropriatasi dal Parlamento,ci attendevamo la riforma del percorso
di
formazione, del tirocinio,dell’esame della formazione permanente, da qui
l’alternativa o di riforme con leggine (come si è fatto per i notai) o un disegno
organico prefigurato dai congressi forensi,o come quello presentato al Senato.
Basti pensare che la concorrenza è considerata senza alcun riguardo alla
correttezza, perché le regole deontologiche sono affidate non alla singola
categoria, ma a corsisti il cui contenuto è genericamente prefissato in funzione
della garanzia della concorrenza! Senza dire delle confusioni concettuali oltre che
ordinamentali, tra ordini e associazioni, consentendo il passaggio dagli albi degli
ordini al registro degli associati; si consente l’ingresso alla professione dei giovani
con un percorso normativo breve, si impongono espressioni generiche e imprecise
che sembrano come norme in bianco41.
2) il regolamento per la pratica ha un antecedente nella approvazione con dpr.10/4
1990,n.101,che ha dato la stura a commissioni congiunte a livello ministeriale che
hanno portato alla proposta,e poi al disegno di legge 4/9 1997,n.4, disegno
39
Sulla specificità dell’avvocato, v. di recente l’interessante saggio di DONELLA, in La
Previdenza Messinese, 2007, n.2, pag. 109.
40
Nella sua relazione del marzo 2007, cit., pag. 34.
41
Per rilievi critici pertinenti cfr. DONELLA, Le tromrntate libere professioni, in La previdenza
forense, 2007, n.4, pagg. 304 ss. Basta dire che l’art. 23 co.2 prevede la radiazione in caso di
inottemperanza ai doveri di aggiornamento.
10
Mirone42. La relazione che lo accompagna muove dalla esigenza di assicurare un
più elevato livello della classe forense e una migliore possibilità per gli utenti di
usufruire del servizio giustizia. Si ritrova questa esigenza nella previsione di una
severa selezione per assicurare la capacità dei candidati. Quel disegno di legge fu
abbandonato, perché la formazione fu introdotta concorrentemente nell’ambito del
disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento forense, e conformemente al
malcostume di arenare le riforme,con l’istituto della dilazione, ampliando il tema,
ancora non è stato approvato, malgrado le promesse del Ministro di Giustizia.
Restò così, come fu detto, uno scheletro destinato a rimanere negli armadi del
Parlamento, dimenticato e negletto fino a naturale consunzione43. Si giunse così
alla legge 15/5 1997, n.127, (Bassanini bis) che delegò il governo ad emanare
decreti legislativi per regolamentare, tra l’altro, la formazione di avvocati. Fu così
emanato il decreto legislativo 7/11 1997, n. 398, che dettò criteri per la istituzione
e la organizzazione delle scuole di specializzazione da parte delle università,sedi
delle facoltà di giurisprudenza, attraverso l’approfondimento teorico integrato da
esperienze pratiche, finalizzato all’esercizio della professione di avvocato. Dopo
queste due leggi, fino al 1999, nessun ulteriore provvedimento fu adottato. Il CNF
emanò due delibere (27/11 1998, e 20/1 1999) con cui tese a valorizzare le scuole
di formazione istituite presso i consigli degli ordini e formulò lo statuto tipo per
dette scuole, istituendo il Centro per la formazione degli avvocati44 e poi gli altri
enti di cui abbiamo detto.Così si voleva consentire agli ordini di incidere ancor
più lodevolmente sulle qualità professionali, garantendo la formazione di base45.
Sul regolamento ultimo, e sulle relazioni, e su quella interpretativa,a SALAZAR,
molto più competente di me, e al suo scritto ultimo in corso di pubblicazione, in
tutto mi rimetto, condividendo le sue considerazioni conclusive. Qui voglio solo
evidenziare come questo regolamento, all’art. 6, ha ribadito il nesso fra
deontologia e formazione e mi ha fatto pensare al titolo di questo incontro, quando
ha considerato la violazione deontologica all’obbligo di formazione permanente,
illecito disciplinare, rimettendolo quindi alla sanzione sulla gravità della
violazione.
Voglio piuttosto, in conclusione, rivolgere una sorta di messaggio che può
sembrare idealistico, o addirittura utopico ai giovani colleghi
apiranti
al’avvocatura, ma lo perdonerete per la mia canizie. Di fronte alle sfide che la
modernità ha sferrato all’avvocatura in tema di aggiornamento culturale, (pensate
ai 26 riti), e di aggiornamento professionale, considerando la concezione
dell’avvocato nella società attuale, formate la vostra professionalità, affrancandovi
dalla strettoia dei crediti, aspetto che può apparire fuorviante e addirittura
fastidioso e grottesco per certi colleghi anziani: formatevi rispondendo alla più
generale istanza di acculturazione (generale e specifica che in questi due aspetti
risponde rispettivamente allo studio della teoria e della pratica che convivono in
una scienza empirica come il diritto, tendente all’applicazione concreta ai casi
della vita). In questa istanza più ampia (cultura è vita di una comunità e quindi di
ciascuno di noi nel momento vitale che la provvidenza ci ha assegnato), acquisite
coscienza del progresso della cultura e della civiltà giuridica in genere e della
42
in Rassegna forense,1998, pag.907.,con la relazione di accompagnamento.
Così BORSACCHI, Accesso alla professione e scuole forensi, relazione al Convegno di
Montepulciano, 23/5 1998.
44
Per maggiori dettagli cfr.VINATZER,MARINI.
45
SALAZAR,op. cit.,nella Riv.giur.sc.,1998 segalò due dati rilevanti: l’insetromento obbligatorio
di un corso di formazione annuale nell’iter formativo dell’avvocato del futuro, e l’autonomia di
questo corso agli ordini:
43
11
cultura dell’avvocatura46, in particolare, dell’acculturazione nel campo forense,
che sta oltre e alla base più generale del successo professionale. Più
concretamente, nelle esperienze professionali dei rapporti con le parti, i colleghi
c.d. avversari, e i giudici, (cioè di quei soggetti rispetto ai quali si orientano i
doveri deontologici) la vostra attività di difensori, particolarmente dei soggetti
deboli, deve valere ad evidenziare e praticare i veri valori morali e giuridici che
stanno alla base delle nostre coscienze, e che si rinvengono nei valori
costituzionali, nel nuovo ruolo dell’avvocatura di promozione e spinta attuativa
verso tali valori (come già indicammo nel primo congresso dell’Unione Regionale
Forense di Calabria, primo incontro con la cultura associata calabrese nel lontano
1997).
E così il cerchio si rinchiude nella coscienza di ciascuno, fra i concetti, i principi,
le istanze e le regole di diritto, di etica, e di prassi che abbiamo cercato di
richiamare insieme per dar base alla nostra vita, prima ancora che alla vita
professionale. Auguri.
Vincenzo Panuccio.
46
Funzione dell’avvocatura quale delineata dal Parlamento Europeo con la risoluzione del
23.03.2006 in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo
stato di diritto e la sicurezza nell’applicazione della legge sia quando difendono si quando danno
pareri, evidenzia le altre qualificazioni richieste per accedere alla professione legale, il bisogno di
proteggere tali qualificazioni che caratterizzano le professioni legali, nell’interesse dei cittadini
europei e il bisogno di creare una relazione specifica basata sulla fiducia tra i legali e i loro clienti;
ribadisce l’importanza delle norme necessarie ad assicurare … la competenza dei legali con lo
scopo di garantire la qualità dei loro mezzi a beneficio dei loro clienti e della società in generale e
per salvaguardare l’interesse pubblico incoraggia gli organismi professionali, le organizzazioni e le
associazioni delle professioni legali di istituire un codice di condotta a livello europeo con norme
relative… alle quantificazioni delle etiche professionali, al controllo, alla trasparenza, per garantire
il consumatore dei servizi legali
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