TITOLO ESECUTIVO EUROPEO 2.1. - Distretto della Corte di

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TITOLO ESECUTIVO EUROPEO 2.1. - Distretto della Corte di
(voce dell’Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XXI, Roma, 2007).
TITOLO ESECUTIVO EUROPEO
I) DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
SOMMARIO
1. – IL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO COME TITOLO ESECUTIVO SPECIALE
2. – AMBITO DI APPLICAZIONE
2.1. - Le materie ricomprese e quelle escluse
2.2. - La qualità del provvedimento e dell’atto
2.2.1. - Le «decisioni giudiziarie»
2.2.2. - Le «transazioni giudiziarie»
2.2.3. – Gli atti pubblici
2.3. – La natura del credito
3. – LA FORMAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO
3.1. – Il certificato di titolo esecutivo europeo e i requisiti per il suo rilascio
3.2. – Il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo alle decisioni giudiziarie
3.3. - Il credito «non contestato» nelle decisioni giudiziarie
3.4. - Le decisioni giudiziarie fondate sulla «non contestazione» del debitore
3.5. – La «non contestazione» parziale del credito
3.6. – La definitività della «non contestazione» del credito
3.7. – L’impugnazione della decisione giudiziaria utilizzata come titolo esecutivo europeo
3.8. – La certificazione come titolo esecutivo europeo di una decisione pronunciata all’esito
dell’impugnazione
3.9. – Le «norme procedurali minime»
3.9.1. – Scopo delle «norme procedurali minime»
3.9.2. – Le garanzie in materia di notificazione
3.9.3. – Le informazioni al debitore riguardo al credito
3.9.4. – Le informazioni al debitore sugli adempimenti procedurali
3.9.5. - Sanatoria dell’inosservanza delle «norme procedurali minime»
3.9.6. – «Norme minime» per il riesame della decisione in casi eccezionali
3.10. – Il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo alle transazioni giudiziarie ed agli atti
pubblici
3.11. – Il credito «non contestato» risultante da transazioni giudiziarie e atti pubblici
3.12. – Il procedimento per il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo
3.13. – Il procedimento per la rettifica e la revoca del certificato di titolo esecutivo europeo
3.8. – Il riesame della decisione giudiziaria utilizzata come titolo esecutivo europeo
4. – IL PROCESSO ESECUTIVO FONDATO SUL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO
4.1. – La disciplina processuale applicabile al processo esecutivo fondato sul titolo esecutivo
europeo
4.2. – La documentazione da produrre
4.3. – L’intangibilità del titolo esecutivo europeo nello Stato membro dell’esecuzione
4.4. – Il rifiuto dell’esecuzione per «incompatibilità» con una decisione anteriore
4.5. – L’eventuale sospensione del processo esecutivo
4.6. – I rimedi interni
5. – NORME PROCESSUALI UNIFORMI E TITOLO ESECUTIVO EUROPEO L’INGIUNZIONE DI PAGAMENTO
EUROPEA
6. – FONTI NORMATIVE
7. - BIBLIOGRAFIA
1. – IL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO COME TITOLO ESECUTIVO SPECIALE
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E’ difficile negare che l’entrata in vigore del Reg. CE n. 805/2004, istitutivo del titolo esecutivo
europeo (TEE), abbia rappresentato una rivoluzionaria – e da tempo attesa - innovazione nella
cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri dell’Unione europea (ad esclusione della Danimarca).
Il tradizionale meccanismo di circolazione nello spazio giudiziario europeo dei provvedimenti
giurisdizionali e degli altri titoli esecutivi mediante exequatur viene sostituito con una certificazione
rilasciata, previo espletamento di una breve procedura di verifica, nel momento in cui il titolo si
forma presso lo Stato d’origine. La conseguenza più immediata è che, dopo l’avvenuta
certificazione, il titolo diventa automaticamente esecutivo in tutti gli Stati membri «senza che sia
necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento»
(art. 5). In tal modo viene ulteriormente sviluppato il principio della reciproca fiducia fra gli Stati
membri, imponendo a questi di affidare al giudice dell’ordinamento di origine la responsabilità di
verificare e certificare che siano state pienamente rispettate le condizioni imposte dallo stesso Reg.
n. 805/2004.
Peraltro, occorre anche osservare come, insieme alla discussione sull’introduzione del titolo
esecutivo europeo, si sia sviluppata – parallelamente – la riflessione sull’esigenza di provvedere a
breve alla predisposizione di norme processuali uniformi in tutti gli Stati membri idonee a produrre
provvedimenti giurisdizionali spendibili immediatamente come titoli esecutivi in tutto lo spazio
giudiziario europeo (sfociata, di recente, nell’approvazione del Reg. CE n. 1896/2006 sul
procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento) (CARRATTA, A., [16], 1147 ss.).
L’origine di questo nuovo atteggiamento in materia di cooperazione giudiziaria è da rinvenire nella
riforma dell’art. 65 del Trattato CE apportata dal Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997
ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, con il passaggio della cooperazione giudiziaria in materia
civile dal terzo pilastro al primo pilastro (CARRATTA, A., [16], 1160 ss.), dove si specifica che «le
misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti implicazioni
transfrontaliere, da adottare a norma dell’art. 67 e per quanto necessario al corretto funzionamento
del mercato interno, includono : a) il miglioramento e la semplificazione del sistema per la
notificazione transnazionale degli atti giudiziali ed extragiudiziali; della cooperazione
nell’assunzione dei mezzi di prova; del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale, comprese le decisioni extragiudiziali», ma anche «b) la promozione della
compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di competenza
giurisdizionale; c) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se
necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati
membri» (BIAVATI, P., Prime note sulla giurisdizione comunitaria dopo il trattato di Amsterdam, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 805 ss.; POCAR, F., La giustizia «comunitarizzata» dà forza allo
spazio giudiziario europeo, in Dir. e giust., 2000, 4 ss.; TARZIA, G., L’ordine europeo del processo
civile, in Riv. dir. proc., 2001, 902 ss.). Per dare impulso a questa cooperazione e indicare puntuali
linee-guida, il Consiglio europeo di Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, invitò a «ridurre ulteriormente
le procedure intermedie tuttora necessarie per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni o sentenze nello Stato richiesto» ed a procedere alla «definizione di norme minime su
taluni aspetti del diritto di procedura civile».
Va rilevato, infine, che la decisione certificata come titolo esecutivo europeo sulla base del nuovo
Regolamento, non solo è idonea ad essere «eseguita … senza che sia necessaria una dichiarazione
di esecutività» all’interno di tutti gli Stati membri, ma è da questi «riconosciuta … senza che sia
possibile opporsi al suo riconoscimento» (così l’art. 5). E dunque, essa potrà essere fatta valere
nello spazio giudiziario europeo non solo con riferimento all’esecuzione forzata degli effetti del
provvedimento, ma anche con riferimento alla possibilità di utilizzarla in sede di eccezione di
giudicato (CARBONE, S. M., [12], 292; FUMAGALLI, L., [32], 23 ss.; CONSALVI, E., [19], 657;
SALERNO, F., [50], 385 s.; contra, invece, CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 416).
2. – AMBITO DI APPLICAZIONE
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2.1. - Le materie ricomprese e quelle escluse. - Con riferimento alle materie interessate dal nuovo
Regolamento va subito evidenziato che il suo ambito di applicazione non discosta di molto da
quello del Reg. CE n. 44/2001. Anche per il titolo esecutivo europeo, infatti, il legislatore
comunitario fa riferimento alla «materia civile e commerciale, indipendentemente dalla natura
dell’organo giurisdizionale». Di conseguenza, relativamente a tale nozione, è sufficiente riprendere
gli approdi della giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale già nel 1976 si è pronunciata nel
senso della necessità di conferire un’interpretazione autonoma, affermando l’opportunità di riferirsi,
da una parte, «aux objectif et au système de la Convention» e, dall’altra parte, al complesso degli
ordinamenti nazionali (C. Giust., 14 ottobre 1976, causa C-29/76, in Racc., 1976, 1541 ss.; in
proposito v. anche LAMARQUE, E., Verso una nozione europea di «materia civile»?, in Int’l lis,
2003, 66 ss.).
Alcune materie, poi, - come per il precedente Reg. n. 44/2001 - vengono espressamente escluse
dall’ambito di applicazione. E cioè, «la materia fiscale, doganale o amministrativa», lo stato o la
capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale dei coniugi «la responsabilità dello Stato per
atti e omissioni nell’esercizio di poteri pubblici (acta iure imperii)» (e dunque, non anche per gli
atti jure privatorum). Analoga esclusione si rinviene in relazione ai testamenti e alle successioni, ai
fallimenti, concordati e procedure affini, alla sicurezza sociale ed all’arbitrato (TITOLO ESECUTIVO
EUROPEO: II – DIR. INTERN. PRIV. E PROC.).
2.2. - La qualità del provvedimento e dell’atto.
2.2.1. - Le «decisioni giudiziarie». - Con riferimento ai provvedimenti ed agli atti idonei ad
acquisire la certificazione di titolo esecutivo europeo, invece, il Reg. n. 805/2004 contiene
indicazioni più limitate rispetto a quelle del Reg. n. 44/2001. Ed infatti, l’art. 3 puntualizza che deve
trattarsi o di decisioni giudiziarie, o di transazioni giudiziarie o di atti pubblici, comunque «relativi
a crediti non contestati».
Dal coordinamento fra questa disposizione ed il successivo art. 4, si ricava che – nelle materie sopra
indicate – il titolo esecutivo europeo può essere costituito, in primo luogo, da una «decisione
giudiziaria», intendendo come tale «qualsiasi decisione emessa da un giudice di uno Stato membro,
quale ad esempio decreto, ordinanza, sentenza o mandato di esecuzione, nonché la determinazione
delle spese giudiziali da parte del cancelliere». Vale a dire che la nozione di «decisione» utilizzata
ai fini dell’applicazione del Regolamento è riferita riferisce unicamente alle «decisioni giudiziarie»
pronunciate da un giudice di uno Stato contraente, mentre non può assumere rilevanza alcuna, ai
fini della corretta determinazione di detta nozione, il nomen assegnato al provvedimento
riconoscibile dallo Stato all’interno del quale esso viene pronunciato. Così interpretato il
riferimento alla «decisione giudiziaria» di cui all’art. 3 del Reg. n. 805/2004, è evidente la sua piena
adattabilità sia alle vere e proprie sentenze di merito, sia ad altre categorie di provvedimenti che, in
base alla disciplina dello Stato dove sono stati pronunciati, possono essere assimilati nella sostanza
a decisioni di merito (anche non definitive) (rinvio a CARRATTA, A., [16], 1150 ss.).
In quest’ultimo caso il riferimento è tanto a provvedimenti sommari propriamente anticipatori (ad
es., le nostre ordinanze anticipatorie di condanna, di cui agli artt. 186 bis, ter e quater e 423 c.p.c., o
il référé-provision francese e belga, l’interim payment anglosassone), quanto ai provvedimenti
decisori sommari (ad es., il provvedimento monitorio, l’ordonnance d’injunction, il Mahnverfahren
tedesco) (CARPI, F., [13], 1130), quanto alle misure provvisorie cautelari (OLIVIERI, G., [44], 74;
MERLIN, E., Le misure provvisorie cautelari nello spazio giudiziario europeo, in Riv. dir. proc.,
2002, 759 ss.).
Sempre che – come ha più volte rilevato la Corte di giustizia – non si tratti di «provvedimenti
provvisori o cautelari disposti o autorizzati da un giudice senza che la parte contro cui essi si
rivolgono sia stata citata a comparire e destinati ad essere eseguiti senza essere stati prima
comunicati a detta parte» (Corte giust., 21 maggio 1980, C-125/79, in Racc., 1980, 1553, al punto
17; Corte giust., 13 luglio 1995, C-474/93, in Foro it., 1996, IV, c. 395 ss., con nota di V.
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Salvatore) e si tratti di provvedimenti che garantiscono, comunque, la restituzione della prestazione
provvisoria, qualora il soggetto che la riceve non risulti vincitore nella causa di merito (Corte giust.,
17 novembre 1998, C-391/95, in Racc., 1998, 7091 e in Riv. dir. inter. priv. e proc., 1999, 140 ss.;
Corte giust., 27 aprile 1999, C-99/96, ivi, 1999, 658 ss.; Corte giust., 14 ottobre 2004, C-39/02, ivi,
2005, 178 ss.).
Si è dubitato dell’utilizzabilità dei provvedimenti sommari come titolo esecutivo europeo, a causa
della loro provvisorietà e revocabilità. Tuttavia, alla luce dell’art. 6, par. 1, lett. a) e della previsione
della semplice esecutività della decisione giudiziaria nello Stato d’origine, è da escludere che la
precarietà dell’efficacia esecutiva possa rappresentare un ostacolo al rilascio della certificazione del
provvedimento come titolo esecutivo europeo.
Quanto, poi, alla provenienza della «decisione giudiziaria», l’art. 4 presuppone che questa sia stata
«emessa da un giudice» di uno Stato contraente (o membro) e che lo stesso art. 4, al punto 7, solo
con riferimento alla Svezia ammette che, in caso di procedimenti sommari relativi ad ingiunzioni di
pagamento (betalningsföreläggande) «il termine ‘giudice’, comprende l’autorità pubblica svedese
per l’esecuzione forzata (kronofogdemyndighet)» (in proposito v. FRIDEN, H., The Order for
Payment and Summary Procedings in Sweden, in RECHBERGER, W.H.-KODEK, G.E., a cura di,
Orders for Payment in the European Union, The Haugue-London-New York, 2001, 249 ss.).
La medesima funzione assolve il richiamo dell’art. 4, par. 1 – fra le «decisioni giudiziarie» - anche
della «determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliere». Esso mira a consentire la
certificazione come titolo esecutivo europeo delle decisioni giudiziarie con riferimento a tutte le
determinazioni in esse contenute aventi ad oggetto crediti per il pagamento di somme di denaro,
anche quando la determinazione di tale credito sia giustificata dal pagamento delle spese giudiziali e
non sia avvenuta ad opera del giudice, ma del suo cancelliere. In termini generali, infatti, l’art. 7
dispone che la decisione giudiziaria, che ha efficacia esecutiva per quanto riguarda l’importo delle
spese riguardanti i procedimenti giudiziari, «è certificata come titolo esecutivo europeo anche nei
confronti di tali spese, ameno che il debitore abbia espressamente contestato di essere tenuto al
pagamento di tali spese nel corso del procedimento, secondo la legislazione dello Stato membro
d’origine».
2.2.2. - Le «transazioni giudiziarie». – Accanto alle «decisioni giudiziarie» l’art. 3 richiama fra i
provvedimenti e gli atti idonei a diventare titolo esecutivo europeo anche le «transazioni
giudiziarie», e cioè le sole transazioni «approvate dal giudice o concluse dinanzi al giudice nel
corso di un procedimento giudiziario ed aventi efficacia esecutiva nello Stato membro in cui sono
state approvate o concluse» (art. 24, par. 1). A differenza del Reg. n. 44/2001, il cui art. 58 richiama
le sole conciliazioni giudiziali concluse nel corso di un processo, per essere idonea a diventare titolo
esecutivo europeo la transazione può essere emersa o nella pendenza di un procedimento (ad es.,
per l’ordinamento italiano, ex artt. 185 e 420 c.p.c.) oppure a seguito di accordi stragiudiziali,
successivamente approvati dal giudice (ad es., sempre per l’ordinamento italiano, ex artt. 411 e 696
bis c.p.c.) (v. anche DE CESARI, P., [27], 229 ss.; FARINA, M., [30], 55 s.). Va anche rilevato, d’altro
canto, che sia nel caso della transazione stragiudiziale, approvata e resa esecutiva dal giudice, sia
nel caso della transazione giudiziale vera e propria l’autorità giudiziaria si limita a documentare il
raggiunto accordo fra le parti (Corte giust., 2 giugno 1994, C-414/92, in Raccolta, 1994, 2237 ss.; v.
anche CAFARI PANICO, R., [9], 44 ss.). Questo non toglie, tuttavia, che anche la transazione, per
effetto della certificazione come titolo esecutivo europeo, possa diventare esecutiva anche negli altri
Stati membri «senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile
opporsi alla sua esecutività» (art. 24, par. 2).
2.2.3. – Gli atti pubblici. – Infine, vengono ricompresi fra gli atti idonei a divenire titolo esecutivo
europeo anche gli atti pubblici, vale a dire – secondo la definizione assunta dall’art. 4, par. 3 «qualsiasi documento che sia stato formalmente redatto o registrato come atto pubblico e la cui
autenticità: i) riguardi la firma e il contenuto e ii) sia stata accertata da un’autorità pubblica o da
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altra autorità a ciò autorizzata dallo Stato membro di origine» oppure «qualsiasi convenzione in
materia di obbligazioni alimentari conclusa davanti alle autorità amministrative o da queste
autenticata». A parte quest’ultima previsione relativa alle obbligazioni alimentari e conforme a
quanto già previsto dall’art. 57, par. 2, Reg. n. 44/2001, la definizione di atto pubblico assunta ai
fini del titolo esecutivo europeo appare pienamente in linea con la nozione di atto pubblico che
emerge dall’art. 2699 c.c.
Peraltro, il riferimento all’autenticità della firma e del contenuto dell’atto pubblico (v. anche Corte
giust., 17 giugno 1999, C-260/97, in Foro it., 1999, IV, 513 ss.), al fine di ottenerne l’esecutività
pan-europea, induce ad escludere che possa essere annoverata fra gli atti idonei a diventare titolo
esecutivo europeo anche la scrittura privata con sottoscrizione autenticata da notaio o da altro
pubblico ufficiale a norma dell’art. 2703 c.c. E questo, nonostante che la stessa scrittura privata
autenticata costituisca titolo esecutivo interno per le obbligazioni pecuniarie, a seguito della
modifica dell’art. 474 c.p.c. introdotta dalla l. n. 263 del 2005.
2.3. – La natura del credito. – Quanto alla natura del credito emergente dal titolo, esso deve essere
«relativo al pagamento di uno specifico importo di denaro esigibile o la cui data di esigibilità è
indicata nella decisione giudiziaria, nella transazione o nell’atto pubblico» (art. 4, par. 2). Ne deriva
che, in primo luogo, è da escludere l’utilizzabilità del titolo esecutivo europeo per i crediti diversi
dal pagamento di somme di denaro (come, ad es., crediti ad un facere o a un non facere o alla
consegna di un bene mobile). Circostanza, questa, che suscita non poche perplessità in
considerazione della differente efficacia riservata a crediti nascenti dal medesimo atto o
provvedimento, ma di natura diversa. Peraltro, non si può affatto escludere il ricorso al titolo
esecutivo europeo tutte le volte che si abbia a che fare con crediti pecuniari accessori a obbligazioni
di facere o non facere, come nel caso della condanna al pagamento di una determinata somma di
denaro a titolo di penalità per l’inadempimento dell’obbligazione principale. E’ vero che, in
proposito, non si rinviene alcuna specifica disposizione nel Reg. n. 805/2004, ma la lacuna può
essere agevolmente colmata con il richiamo dell’art. 49 del Reg. n. 44/2001, a tenore del quale «le
decisioni straniere che applicano una penalità sono esecutive nello Stato membro richiesto solo se la
misura di quest’ultima è stata definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro d’origine».
In secondo luogo, il credito che emerge dal titolo deve avere uno «specifico importo». Il requisito
appare strettamente legato sia all’esigenza di celerità di rilascio della certificazione, sia all’esigenza
di tutelare il debitore nel momento in cui decida di assumere un comportamento «non contestativo»
del credito nell’ambito del giudizio instaurato dal creditore. Non è un caso, dunque, se fra i requisiti
necessari per la formulazione dell’atto introduttivo del procedimento di formazione del titolo
esecutivo europeo, l’art. 16 richieda espressamente l’indicazione puntuale anche dell’importo del
credito vantato.
Inoltre, il credito deve essere o immediatamente esigibile (perché già scaduto o non sottoposto a
condizione sospensiva o comunque sottoposto a condizione già verificatasi) oppure esigibile ad una
data indicata espressamente nella decisione giudiziaria, nella transazione o nell’atto pubblico.
Occorre anche aggiungere che l’applicazione del Reg. n. 805/2004 non presuppone affatto
l’esistenza di una controversia di natura transfrontaliera (come, ad es., fa il Reg. n. 1896/2006 sul
procedimento ingiuntivo europeo). Piuttosto, presuppone che – a prescindere dalla nazionalità delle
parti – il creditore intenda utilizzare il titolo per l’esecuzione forzata ed il riconoscimento
inoppugnabile in uno Stato membro diverso da quello d’origine (ad es., perché in quest’ultimo non
si rinvengono a sufficienza beni del debitore, che, invece, potrebbe avere beni a disposizione in altri
Stati membri).
3. – LA FORMAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO
3.1. – Il certificato di titolo esecutivo europeo e i requisiti per il suo rilascio. – Stante la particolare
efficacia attribuita al provvedimento o all’atto costituente titolo esecutivo europeo il legislatore
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comunitario si preoccupa non solo di subordinare tale efficacia al rilascio di un apposito certificato,
ma anche di fissare «norme procedurali minime» per i procedimenti giudiziari che sfociano in
decisioni idonee a costituire titolo esecutivo europeo. Per quanto riguarda il certificato di titolo
esecutivo europeo, il suo rilascio spetta esclusivamente all’autorità dello Stato d’origine e – ai sensi
dell’art. 12, par. 1 – non può essere oggetto di riesame da parte dello Stato dell’esecuzione (in senso
critico DE CRISTOFARO, M., [28], 147). Ai fini del rilascio del prescritto certificato, il Regolamento
prevede soluzioni diverse a seconda della natura del provvedimento o dell’atto da certificare come
titolo esecutivo europeo. Ed infatti, mentre dei requisiti e del procedimento per il rilascio del
certificato in relazione alle decisioni giudiziarie si occupano i capi II e III del Regolamento, ai
requisiti e a l procedimento per il rilascio del certificato alle transazioni giudiziarie e agli atti
pubblici si occupano, rispettivamente, gli artt. 24 e 25, i quali, peraltro, si preoccupano anche di
indicare le disposizioni del capo II che non possono trovare applicazione al procedimento di
certificazione delle transazioni e degli atti pubblici.
3.2. – Il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo alle decisioni giudiziarie. - Ai sensi
dell’art. 6 il certificato relativo alle decisioni giudiziarie viene rilasciato dalla stessa autorità
d’origine: a) se la decisione è esecutiva nello Stato membro d’origine e sempre che tale efficacia
esecutiva non sia venuta meno, sia stata sospesa o limitata; b) la decisione non è in conflitto con le
norme in materia di competenza giurisdizionale di cui al capo II, sezioni 3 e 6, del Reg. CE n.
44/2001 (ossia con le norme che regolano la competenza giurisdizionale in materia di assicurazioni
e quelle che regolano le c.d. competenze esclusive); c) il procedimento giudiziario svoltosi nello
Stato membro d’origine è conforme alle «norme minime procedurali» di cui al capo III del Reg. n.
805/2004 (infra, 3.9.).
Va anche aggiunto che – sempre ai sensi dell’art. 6 – per poter essere certificata come titolo
esecutivo europeo la decisione, pronunciata contro il consumatore e fondata sulla «non
contestazione» tacita di quest’ultimo (art. 3, par. 1, lett. b e c), deve essere pronunciata nello Stato
membro del domicilio del debitore. E questo in linea con quel che in termini generali già stabiliva
l’art. 16, par. 2, Reg. n. 44/2001, e cioè che «l’azione dell’altra parte del contratto contro il
consumatore può essere proposta solo davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è
domiciliato il consumatore».
Il certificato va richiesto – come detto – al giudice dello Stato di origine, ma non necessariamente
questo coincide con l’autorità delegata a rilasciarlo, potendo anche accadere che la legislazione
attuativa di ogni singolo Stato membro affidi la competenza al rilascio del certificato ad altra
autorità (in questo senso anche DE CRISTOFARO, M., [28], 146, nt. 55). In realtà, la necessità che
prima di emettere il certificato venga verificata la sussistenza dei presupposti indicati dallo stesso
Regolamento, e dunque anche la «non contestazione» del debitore e il rispetto delle «norme minime
procedurali», induce a ritenere preferibile che l’autorità delegata a rilasciarlo sia lo stesso giudice
che ha pronunciato la decisione. Questo, del resto, accadrà normalmente tutte le volte che la
richiesta di certificazione sia inserita nello stesso atto introduttivo del giudizio, sebbene subordinata
al sopravvenire della «non contestazione» del debitore.
3.3. – Il credito «non contestato» nelle decisioni giudiziarie. – Come detto, l’ambito di applicazione
del nuovo Regolamento viene espressamente limitata ai soli crediti «non contestati» dal debitore. E
ciò, evidentemente, perché con riferimento a questi crediti il legislatore comunitario ritiene che, in
sede di esecuzione in uno degli Stati membri, al debitore possa essere preclusa la possibilità di
rimettere in discussione la fondatezza del credito vantato e si possa, di conseguenza, prevedere
l’abolizione dell’exequatur. Ma sulla definizione di «credito non contestato» il Regolamento non è
univocamente orientato. Secondo il considerando 5 la nozione di «credito non contestato» dovrebbe
comprendere tutte le situazioni in cui un creditore ha ottenuto, per effetto dell’accertata assenza di
contestazione da parte del debitore in ordine alla natura o all’entità del debito, «o una decisione
giudiziaria contro quel debitore o un documento avente efficacia esecutiva che richieda l’esplicito
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consenso del debitore stesso, sia esso una transazione giudiziaria o un atto pubblico». A sua volta,
poi, l’art. 3, che si limita a disciplinare il presupposto della «non contestazione» con riferimento alle
decisioni giudiziarie, non va oltre la previsione che si può avere credito non contestato nelle
decisioni giudiziarie quando: a) il debitore non abbia mai contestato nel corso del procedimento
giudiziario, conformemente a quanto previsto dalla legislazione processuale interna allo Stato in cui
la decisione è resa; b) il debitore, che pure abbia inizialmente contestato il credito nel corso del
procedimento, non sia successivamente comparso o non si sia fatto rappresentare in un’udienza,
sempre che tale comportamento inerte equivalga ad un’ammissione tacita del credito in base alla
legislazione processuale interna allo Stato in cui la decisione viene resa (in proposito, con
valutazioni differenti, OLIVIERI, G., [44], 62 ss.; DE CESARI, P., [26], 103 ss.; CONSALVI, E., [19],
655 ss.; FARINA, M., [30], 29 ss.; FUMAGALLI, L., [32], 27 ss.; CANELLA, M.G., in [15], 1314 s.;
CARBONE, S.M., [12], 291).
Ne deriva che, al di là delle generiche definizioni offerte dal Regolamento, con riferimento sia ai
comportamenti che possono integrare il presupposto della «non contestazione» del credito e alle
modalità attraverso le quali deve essere accertata l’assenza di contestazione del debitore il
Regolamento si limita a rinviare alla legislazione interna dello Stato d’origine del titolo. E questo
non potrà non influire sullo stesso ambito di applicazione del Regolamento, essendo noto che
nell’area giudiziaria europea la disciplina interna sulla configurazione e sugli effetti della «non
contestazione» di natura processuale assume connotazioni notevolmente diverse fra i diversi Stati
(CARRATTA, A:, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995).
3.4. – Le decisioni giudiziarie fondate sulla «non contestazione» del debitore. - E’ indubbio, in ogni
caso, che come regola generale fissata dallo stesso Regolamento debba valere quella secondo cui è
idonea ad essere certificata come titolo esecutivo europeo qualsiasi decisione giudiziale che, in base
alla legislazione interna allo Stato d’origine, sia il frutto del comportamento non contestativo (anche
parziale, come vedremo) del debitore. Ma evidentemente l’intenzione del legislatore comunitario è
di estendere l’applicazione del Regolamento anche alle ipotesi nelle quali comunque la decisione di
accoglimento della domanda nasce da un comportamento processuale del debitore tale da vincolare
il giudice – sempre in base alla legislazione interna – a ritenere fondata la pretesa di controparte.
Sarà tale, di conseguenza:
a) anzitutto, la decisione di accoglimento della domanda pronunciata dal giudice per effetto della
contumacia del debitore e proveniente da uno degli Stati membri nei quali la legislazione
processuale interna equipara la contumacia ad automatico riconoscimento della domanda avanzata
dalla controparte (così, ad es., la Versäumnisurteil del par. 331 Z.P.O. tedesca; il default judgment
della rule 4, part 12, C.P.R. inglesi; nell’ordinamento italiano, con riferimento all’art. 13 d. legisl.
n. 5/2003 o con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto dall’ingiunto ai sensi dell’art. 647
c.p.c. o all’ordinanza ingiuntiva di cui all’art. 186 ter, 4° co., c.p.c.). ;
b) ma anche la decisione di accoglimento della domanda giudiziale pronunciata dal giudice per
effetto dell’esplicito riconoscimento della stessa da parte del debitore costituitosi in giudizio e
proveniente da uno degli Stati che prevedono il vincolo del giudice ad accogliere la domanda tutte
le volte che nel corso del procedimento dovesse emergere il riconoscimento della stessa ad opera
della controparte (così, ad es., l’Anerkenntnisurteil del § 307 Z.P.O. tedesca e del § 395 Z.P.O.
austriaca o l’acquiescement à la demande dell’art. 408 n.c.p.c. francese);
c) inoltre, la decisione di accoglimento della domanda giudiziale pronunciata per effetto di un
comportamento non contestativo della controparte e proveniente da uno degli Stati nei quali vige il
principio della equiparazione della «non contestazione» (espressa o tacita) della domanda ad una
vera e propria relevatio ab onere probandi per la parte che l’ha proposta (ad es., la decisione
pronunciata sulla base del Nichtbestreiten di cui al § 138 Z.P.O. tedesco o l’ordinanza di cui agli
artt. 186 bis e 423, 1° co., c.p.c. italiano). Peraltro, proprio con riferimento a quest’ipotesi assume
rilevanza la specifica connotazione da parte del legislatore dello Stato d’origine dei comportamenti
processuali del debitore come comportamenti non contestativi, connotazione che, evidentemente, va
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valutata caso per caso ed essere diversamente graduata dai singoli legislatori interni, in un ventaglio
di opzioni che può andare dall’ammissione espressa della fondatezza della pretesa (ad es. la
dichiarazione espressa del debitore di ammettere la fondatezza della domanda avversaria),
all’ammissione tacita della stessa (vale a dire, l'impostazione del proprio sistema di difesa in
giudizio da parte del debitore in modo tale da presupporre implicitamente la fondatezza della
pretesa avversaria), alla non contestazione dei fatti costitutivi della domanda (ad es., per avere il
debitore impostato la propria difesa solo su eccezioni o contestazioni di natura processuale) o alla
generica contestazione o al silenzio sugli stessi tutte le volte in cui nell’ordinamento processuale di
riferimento viga l’onere di prendere posizione in maniera specifica sui fatti allegati dalla
controparte (ad es., § 138 Z.P.O. tedesca o artt. 167 e 416 c.p.c. italiano);
d) infine, la decisione di accoglimento della domanda giudiziale pronunciata per effetto della
confessione resa nel corso del procedimento dal debitore, in tutti i casi in cui la confessione
giudiziale (spontanea o provocata), per la legislazione processuale interna, determina un vincolo per
il giudice a ritenere fondata la domanda alla quale la declaratio contra se del debitore fa riferimento
o perché integra una fattispecie di prova legale (così, ad es., l’art. 2735 c.c. italiano) o perché è
ritenuta strumento idoneo a rendere pacifici (e quindi, non bisognosi di prova) i fatti sui quali verte
(così, ad es., il § 288 Z.P.O. tedesca).
3.5. – La «non contestazione» parziale del credito. – Lo stretto legame sussistente fra la
certificazione come titolo esecutivo europeo della decisione giudiziale e la «non contestazione» (nei
termini ampi sopra specificati) del credito vantato con la domanda giudiziale giustifica la previsione
dell’art. 8 secondo la quale una decisione può ottenere una certificazione limitata nel caso in cui
solo alcune delle sue parti siano conformi alla disciplina regolamentare. In altri termini, siccome
non si può affatto escludere che il debitore assuma – nel corso del procedimento – un
comportamento non contestativo limitato solo ad una parte del credito vantato dalla controparte,
parimenti non può escludersi che il creditore possa ottenere un titolo esecutivo europeo parziale.
Basti pensare, solo per fare alcuni esempi, all’ipotesi in cui per l’ordinamento italiano l’opponente
al decreto ingiuntivo si limiti a proporre opposizione solo con riferimento ad una parte del credito ai
sensi dell’art. 648, 2° co., c.p.c. oppure, in altro contesto, all’ipotesi in cui la confessione giudiziale
o il riconoscimento della domanda abbia ad oggetto solo una parte del credito e non la sua totalità.
In tali casi, dunque, mentre il provvedimento giudiziale relativo alla parte del credito non contestato
è in grado di essere certificato come titolo esecutivo europeo (sempre che – come detto - possa
assumere efficacia esecutiva per la legislazione processuale interna allo Stato d’origine), la
decisione sulla restante parte di credito, se di accoglimento, non potendo usufruire del circuito
privilegiato della circolazione del titolo istituito dal Reg. n. 805/2004, potrà eventualmente
acquistare l’efficacia esecutiva pan-europea solo attraverso il rimedio residuale di cui agli artt. 38
ss. Reg. n. 44/2001.
3.6. – La definitività della «non contestazione» del credito. – Sempre con riferimento alle decisioni
giudiziarie fondate sulla «non contestazione» del credito da parte del debitore assume rilevanza il
profilo della natura provvisoria o definitiva di questo presupposto. Si è dubitato, infatti, della
possibilità che possa essere certificato come titolo esecutivo europeo un provvedimento giudiziale
esecutivo nello Stato d’origine, ma provvisorio perché modificabile e revocabile dallo stesso
giudice che l’ha pronunciato (FUMAGALLI, L., [32], 50, nt. 17; FARINA, M., [30], 30 ss.). Si pensi,
ad es., alle ordinanze anticipatorie di condanna degli artt. 186 bis e 423, 1° co., c.p.c. italiano,
suscettibili di essere modificate o revocate nel prosieguo del giudizio.
In realtà, la natura provvisoria del provvedimento non sembra essere d’ostacolo al rilascio della
certificazione come titolo esecutivo europeo, sia perché fra i presupposti della certificazione il
Regolamento si limita a richiedere che la decisione giudiziaria sia fondata sulla «non contestazione»
del credito – intesa nei termini sopra indicati – e non anche che detta decisione non sia più
revocabile o modificabile, sia perché lo stesso Regolamento prevede la possibilità che la decisione
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giudiziaria certificata come titolo esecutivo europeo possa, in base alla disciplina interna allo Stato
d’origine, perdere l’efficacia esecutiva o vedersi limitata o sospesa tale efficacia (art. 6, par. 2) o
che possa essere oggetto di impugnazione nonostante la «non contestazione» del debitore (art. 6,
par. 3).
Se ne deve dedurre non solo che la decisione giudiziaria idonea ad essere certificata come titolo
esecutivo europeo può anche rivestire natura di provvedimento esecutivo provvisorio, ma che
laddove dovesse essere modificato o revocato (nel prosieguo del procedimento all’interno del quale
è stato pronunciato o all’esito dell’impugnazione proposta) anche la certificazione originariamente
rilasciata è destinata a subire gli effetti di tale revoca o modifica. In altri termini, così come per
l’ordinamento interno il provvedimento provvisoriamente esecutivo pronunciato sulla base della
«non contestazione» del debitore, ove dovesse essere successivamente revocato o modificato, è
destinato a perdere l’efficacia esecutiva (interna) originaria, determinando la conseguente
caducazione degli eventuali atti esecutivi nel frattempo compiuti, allo stesso modo il provvedimento
provvisorio certificato come titolo esecutivo europeo, ove revocato o modificato, è destinato a
perdere la certificazione che l’accompagna, o d’ufficio ad opera dello stesso giudice che ha disposto
la modifica o la revoca o su istanza di parte ai sensi dell’art. 10, par. 1, lett. b), del Regolamento
anche della certificazione che l’accompagna.
Semmai, proprio con riferimento a tale profilo assumerà particolare rilevanza la questione della
preclusione che, nell’ambito dei diversi procedimenti giurisdizionali, viene fissata alla facoltà del
debitore di contestare il credito in un primo momento non contestato, tutte le volte in cui a questo
comportamento processuale la legislazione processuale interna ricolleghi la pronuncia di una
decisione provvisoria e dunque revocabile e modificabile nel prosieguo del giudizio. Ma si tratta di
questione che – sebbene di indubbia rilevanza per l’applicabilità del Reg. n. 805/2004 – interessa
esclusivamente la disciplina processuale interna ai singoli Stati ed a questa occorrerà fare
riferimento per comprendere se e quando il singolo provvedimento esecutivo provvisorio certificato
come titolo esecutivo europeo sia destinato a vedersi revocata o modificata l’efficacia esecutiva
pan-europea.
3.7. – L’impugnazione della decisione giudiziaria utilizzata come titolo esecutivo europeo. – Si è
già accennato alla presenza, nel par. 2 dell’art. 3, della previsione generale secondo cui la
certificazione come titolo esecutivo, e dunque l’applicazione del Regolamento, può interessare
anche le decisioni giudiziarie pronunciate a seguito di impugnazione. Il riferimento, evidentemente,
è all’ipotesi in cui nel passaggio dal primo grado all’impugnazione la decisione giudiziaria, già
certificata come titolo esecutivo europeo, abbia subito delle modifiche contenutistiche tali da
richiedere il rilascio di un nuovo certificato sostitutivo del precedente (il cui modello standard
risulta dall’Allegato V al Regolamento), sempre che la decisione riguardante l’impugnazione risulti
esecutiva anche nello Stato d’origine (art. 6, par. 3).
Ciò potrà verificarsi, in primo luogo, quando la decisione già certificata come titolo esecutivo
europeo venga impugnata dal debitore ed il giudice dell’impugnazione accolga in tutto o in parte
detta impugnazione. E’ indubbio che in una situazione come questa l’originario certificato vada
sostituito con il nuovo che tiene conto di quanto deciso dal giudice dell’impugnazione e sempre che
l’accoglimento dell’impugnazione proposta non abbia comportato l’annullamento integrale della
decisione di primo grado (dovendosi ricorrere, in quest’ultimo caso, alla revoca e non alla
sostituzione del certificato già rilasciato con riferimento alla decisione impugnata).
Va anche osservato, peraltro, che le ragioni sulle quali il debitore potrebbe fondare la propria
impugnazione non necessariamente debbono derivare da un mutamento di atteggiamento nei
confronti del credito, che, a seguito dell’impugnazione potrebbe diventare contestato in tutto o in
parte (e sempre che la disciplina processuale dello Stato d’origine consenta un simile mutamento
con la proposizione dell’impugnazione). Potrebbe trattarsi anche di ragioni processuali, che, di
conseguenza, lasciano invariata la «non contestazione» del credito già manifestata nel corso del
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giudizio di primo grado (v., infatti, il punto 8 del modello standard di certificato sostitutivo di cui
all’Allegato V).
In secondo luogo, l’opportunità di emettere un certificato sostitutivo di quello già emesso a seguito
della pronuncia di primo grado potrà emergere anche nell’ipotesi in cui il comportamento non
contestativo del debitore abbia interessato solo una parte del credito vantato e nella decisione di
primo grado il giudice si sia limitato ad accogliere solo la parte non contestata del credito.
Impugnata la decisione da parte del creditore che voglia ottenere l’accoglimento della propria
domanda anche per la restante parte del credito, non si può escludere che proprio in sede di
impugnazione il debitore assuma un comportamento processuale tale da integrare la non
contestazione del credito residuo. Anche in questo caso l’originaria certificazione di titolo esecutivo
europeo è destinata ad essere sostituita da una nuova che estenda l’efficacia esecutiva della
decisione giudiziaria anche alla parte di credito successivamente non contestata (v. anche VAN
DROOGHENBROECK, J.F.-BRIJS, S., [54], 132; FARINA, M., [30], 40 s.; CAMPEIS, G.-DE PAULI, A.,
[11], 426 s.).
3.8. – La certificazione come titolo esecutivo europeo di una decisione pronunciata all’esito
dell’impugnazione. – Diversa dalla situazione finora presa in considerazione è quella che si
determina nell’ipotesi in cui la certificazione come titolo esecutivo interessi direttamente la
decisione giudiziaria pronunciata all’esito del giudizio di impugnazione. In tal caso, infatti,
l’efficacia esecutiva pan-europea viene riconosciuta per la prima volta alla decisione giudiziaria con
la quale viene decisa l’impugnazione, mentre la decisione impugnata ne era priva. Ebbene, l’art. 12,
par. 2, eliminando qualsiasi possibilità di equivoco in proposito ammette che anche la decisione
pronunciata in sede di impugnazione possa essere certificata come titolo esecutivo europeo, sempre
che ricorrano «le condizioni di cui all’art. 3, par. 1, lett. b o c». In altri termini, anche la decisione
emessa all’esito dell’impugnazione può presentare l’idoneità ad essere certificata per la prima volta
come titolo esecutivo europeo se il credito oggetto della controversia risulti comunque non
contestato dal debitore o perché il presupposto della «non contestazione» era già emerso nel corso
del procedimento di primo grado, ma la decisione che ne era seguita non era stata di accoglimento
(ad es., per ragioni di natura processuale), oppure emerge per la prima volta proprio nel corso del
giudizio di impugnazione (ad es., riconoscimento della domanda di credito sopraggiunta in sede di
impugnazione). E’ evidente che, mentre nel primo caso, essendosi la «non contestazione» del
credito già manifestata nel corso del procedimento di primo grado, vi era già il presupposto perché
la decisione, se fosse stata di accoglimento, potesse essere certificata come titolo esecutivo europeo
ai sensi dell’art. 3, par.1, lett. b), nel secondo caso, invece, la contestazione del credito avanzata dal
debitore nel corso del primo grado è mutata in non contestazione solo dopo che la decisione era
stata pronunciata. Se ne deve dedurre che, in assenza della previsione espressa di cui al par. 2
dell’art. 12, l’ipotesi della «non contestazione» del credito sopraggiunta solo in sede di
impugnazione non sarebbe stata riconducibile all’art. 3, par. 1, lett. b) e c).
3.9. – Le «norme procedurali minime».
3.9.1. – Scopo delle «norme procedurali minime». – La funzione attribuita alle «norme procedurali
minime» emerge chiaramente dai considerando 10 e 12 del medesimo Reg. n. 805/2004, i quali, da
una parte, evidenziano che «nel caso di una decisione relativa a un credito non contestato resa in
uno Stato membro nei confronti di un debitore contumace, la soppressione di qualsiasi controllo
nello Stato membro dell’esecuzione è intrinsecamente legata e subordinata all’esistenza di garanzie
sufficienti del rispetto dei diritti di difesa» e, dall’altra, puntualizzano che esse devono servire a
«garantire che il debitore abbia conoscenza in tempo utile ed in modo tale da potersi difendere, da
una parte, dell’esistenza dell’azione giudiziaria promossa nei suoi confronti, nonché degli
adempimenti necessari per poter partecipare attivamene al procedimento al fine di contestare il
credito e, dall’altra, le conseguenze della sua mancata partecipazione» (v. anche COMOGLIO, L.P.,
[18], 851 ss.; CARPI, F., [14], 688 ss.). Sulla base di queste premesse – e del tradizionale
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orientamento della giurisprudenza della Corte di giustizia (11 giugno 1985, C-49/84, in Racc., 1985,
1779 ss.; 13 settembre 1979, C-44/79, ivi, 1979, 3727 ss.) - il Regolamento individua, al capo III,
una serie di disposizioni processuali «minime», alle quali devono risultare conformi i vari
procedimenti giurisdizionali interni idonei a produrre decisioni giudiziarie certificabili come titoli
esecutivi europei. Sebbene non si possa affatto escludere a priori che anche in mancanza del
rispetto delle norme procedurali minime la stessa decisione giudiziaria possa essere comunque
oggetto di riconoscimento ed esecuzione sulla base delle disposizioni di cui al Reg. n. 44/2001,
stante la verifica riservata in tal caso al giudice dello Stato di destinazione.
Si tratta, per lo più, di disposizioni miranti ad assicurare non solo la correttezza nell’instaurazione
del contraddittorio nei confronti del debitore (FUMAGALLI, L., [32], 36, che parla di «contraddittorio
informato»; COMOGLIO, L.P., [18], 855), ma anche le ulteriori garanzie processuali perché
l’eventuale comportamento non contestativo di questi maturi nella maniera più genuina e
consapevole possibile. E dunque, invece di introdurre disposizioni processuali uniformi e vincolanti
per tutti gli Stati membri, in relazione ai procedimenti interni idonei a produrre titoli esecutivi
europei, come accadrà – sia pure con riferimento alle sole controversie transfrontaliere - quando
comincerà ad essere applicato il recente Reg. n. 1896/2006 che istituisce un procedimento
ingiuntivo uniforme (infra, 5.), il legislatore comunitario preferisce seguire la strada più morbida
della predisposizione di «norme processuali minime» che condizionino l’efficacia esecutiva paneuropea delle decisioni giudiziarie. In tal modo egli si limita ad offrire «un incentivo …,
agevolando l’accesso a una più efficiente e rapida esecuzione delle decisioni giudiziarie in un altro
Stato membro solo a condizione che siano rispettate tali norme minime» (considerando 19). Ed
impone al giudice competente a rilasciare il certificato di titolo esecutivo europeo alla decisione di
effettuare la verifica circa il rispetto delle norme procedurali minime da parte del procedimento nel
quale la decisione è stata pronunciata, esplicitando nello stesso certificato il controllo effettuato ed i
risultati ai quali ha portato (Allegato I, punti 11 e 13).
3.9.2. – Le garanzie in materia di notificazione. – Un primo profilo preso in considerazione dal
legislatore comunitario nel predisporre le «norme procedurali minime» è quello che riguarda il
procedimento di notificazione della domanda giudiziale introduttiva del procedimento destinato a
produrre la decisione da certificare come titolo esecutivo europeo o di qualsiasi citazione a
comparire in udienza. Ed in proposito, stanti le notevoli divergenze esistenti fra i procedimenti
notificatori adottati dai diversi Stati membri, fa una scelta ben precisa a favore dei procedimenti di
notificazione che meglio assicurino la ricezione dell’atto da parte del debitore, sebbene distingua fra
modalità di notificazione che prevedono anche la prova del ricevimento dell’atto da parte del
debitore (o del suo rappresentante: art. 15) e modalità nelle quali una simile prova manca (TARZIA,
G., [53], 990 ss.; FUMAGALLI, L., [32], 36 ss.; TAGARAS, H., [52], 580 ss.; JEULAND, E., [37], 18 ss.;
VAN DROOGHENBROECK, J.F.-BRIJS, S., [54], 134 ss.). L’obiettivo perseguito è di non considerare
sufficiente, ai fini della certificazione relativa al titolo esecutivo europeo, «qualsiasi forma di
notificazione basata su una fictio juris o su una presunzione senza prova effettiva in ordine
all’osservanza di tali norme minime» (considerando 13).
Stando all’art. 13, perciò, la domanda giudiziale o la citazione a comparire all’udienza può essere
notificata in uno dei seguenti modi: a) in primo luogo, mediante la notificazione «in mani proprie»
del debitore, «attestata da una dichiarazione di ricevimento datata e sottoscritta» dallo stesso
debitore; b) oppure mediante la notificazione «in mani proprie» del debitore, attestata (non
direttamente dal debitore, ma) da un documento firmato dall’incaricato della notificazione, in cui lo
stesso dichiari (oltre alla data di notificazione) che il debitore ha ricevuto l’atto o ha rifiutato di
riceverlo senza giustificazione legale (nell’ordinamento italiano la notificazione eseguita nelle mani
proprie del debitore a norma dell’art. 138 c.p.c.); c) oppure, mediante la notificazione a mezzo
servizio postale, attestata da una dichiarazione di ricevimento dell’atto datata, sottoscritta e rinviata
dallo stesso debitore (nell’ordinamento italiano, la notificazione eseguita ai sensi degli artt. 149
c.p.c. e 8 l. n. 890/1982); c) infine, mediante notificazione con mezzi elettronici, in particolare
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mediante telecopia o posta elettronica, ma sempre attestata da una dichiarazione di ricevimento
datata, sottoscritta e rinviata dallo stesso debitore. Queste modalità di notificazione sono considerate
dal legislatore comunitario privilegiate perché assicurano senza incertezze la ricezione da parte del
destinatario dell’atto da notificare.
In aggiunta a queste, tuttavia, lo stesso legislatore considera idonee modalità di notificazione anche
quelle che assicurano comunque l’ingresso dell’atto da notificare nella sfera di conoscibilità del
debitore. Si tratta delle modalità di notificazione sussidiarie indicate dall’art. 14, tutte caratterizzate
dalla mancanza della prova di ricevimento da parte del debitore, ma comunque condizionate alla
conoscenza «con certezza» dell’indirizzo del debitore (art. 14, par. 2). Vale a dire: a) la
notificazione presso l’indirizzo personale del debitore «in mani proprie» a persona convivente con il
debitore o che lavori come dipendente nella sua abitazione (ad es., nell’ordinamento italiano le
modalità di cui all’art. 139, 2° co., c.p.c.) ; b) se il destinatario è lavoratore autonomo o persona
giuridica, la notificazione «in mani proprie» nei suoi locali commerciali ad una persona alle
dipendenze del debitore; c) la notificazione mediante deposito dell’atto nella cassetta delle lettere
del debitore; d) la notificazione mediante deposito dell’atto presso un ufficio postale o un’autorità
pubblica competente e deposito nella cassetta delle lettere del debitore di una comunicazione scritta
dalla quale emerga la natura giudiziaria dell’atto o il fatto che la comunicazione ha l’efficacia legale
della notificazione e che determina la decorrenza dei termini ai fini del calcolo della loro scadenza
(nell’ordinamento italiano, le modalità di cui all’art. 8, co. 2, l. n. 890/1982).
In tutti questi casi, però, la notificazione deve essere attestata o da un documento sottoscritto
dall’incaricato della notificazione che certifichi la forma della notificazione utilizzata, la data della
stessa e il nome della persona alla quale la notificazione è stata effettuata e il legame con il debitore,
o da una dichiarazione di ricevimento sottoscritta dalla persona alla quale è stata effettuata la
notificazione (art. 14, par. 3).
Più discutibili appaiono, invece, le modalità residuali di notificazione previste sempre dall’art. 14
alle lett. e) ed f), in quanto queste, per come strutturate, non offrono sicure garanzie di conoscibilità
dell’atto da parte del debitore. Il riferimento è, da un lato, alla notificazione a mezzo posta senza
avviso di ricevimento, ma soltanto laddove il debitore è domiciliato nello Stato d’origine e la
notificazione venga effettuata conformemente alle prescrizioni di cui al par. 3 dell’art. 14 (modalità
evidentemente ispirata al service by first class post di cui alla Rule 6.2, lett. b, C.P.R. inglesi), e,
dall’altro lato, la notificazione con mezzi elettronici attestata da conferma automatica della
trasmissione, ma nel solo caso in cui lo stesso debitore abbia preventivamente accettato in modo
esplicito questa modalità di notificazione. In entrambi i casi, infatti, manca qualsiasi elemento che
consenta di far quanto meno presumere che l’atto sia entrato nella sfera di conoscibilità del debitore.
Va rammentato, peraltro, che laddove la notificazione vada effettuata in uno Stato membro diverso
da quello d’origine, ulteriori garanzie a favore del debitore deriveranno dall’applicazione – fatta
salva dall’art. 28 - del Reg. n. 1348/2000, che disciplina le modalità di notificazione e
comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziali e stragiudiziali in materia civile e
commerciale (NOTIFICAZIONE: II – DIR. PROC. CIV.) e che, in ogni caso, laddove la notificazione sia
avvenuta con le modalità di cui all’art. 14 (senza prova di ricevimento da parte del debitore), va
assicurato al debitore il rimedio del riesame completo della decisione giudiziaria di cui all’art. 19.
3.9.3. – Le informazioni al debitore riguardo al credito. – Un secondo profilo preso in
considerazione dalle «norme procedurali minime» attiene alle informazioni sul credito da fornire al
debitore con la notificazione della domanda giudiziale. Con riferimento a ciò l’art. 16 stabilisce che,
«al fine di garantire la debita informazione del debitore riguardo al credito», dalla domanda
giudiziale (o atto equivalente) debba emergere i seguenti elementi identificativi del contenuto della
stessa: a) nome e indirizzo delle parti; b) importo del credito; c) se è previsto il pagamento di
interessi, il tasso di interesse e il periodo per il quale sono richiesti, a meno che la legislazione delle
Stato d’origine non preveda comunque la maturazione di un tasso di interesse legale che si aggiunga
al capitale; d) motivi della domanda. Dalla domanda giudiziale (o atto equivalente), dunque,
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debbono emergere tutti gli elementi che consentano al debitore di identificare in modo non
equivoco l’azione giudiziale esercitata, in relazione sia ai soggetti fra i quali intercorra, sia
all’oggetto della stessa (petitum e causa pretendi).
Di queste indicazioni, peraltro, discutibile appare la previsione secondo cui l’indicazione del tasso
di interesse non sia richiesto laddove nello Stato d’origine della decisione giudiziaria sia prevista la
maturazione di un tasso legale, essendo noto che per avere la maturazione di interessi secondo il
tasso legale occorre guardare alla disciplina del rapporto sostanziale da cui nasce il credito vantato e
non a quella dello Stato presso il quale viene instaurata la controversia giudiziale (v. anche
RAUSCHER, T., [48], 55; VAN DROOGHENBROECK, J.F.-BRIJS, S., [54], 155). La previsione, di
conseguenza, ha una sua plausibilità solo in relazione all’ipotesi in cui la legge sostanziale
applicabile al rapporto di credito coincida con quella dello Stato d’origine della decisione, mentre
laddove così non fosse e l’applicazione di un tasso legale di interesse derivasse da una disciplina
sostanziale appartenente ad uno Stato membro diverso, dovrebbe riemergere l’applicabilità della
regola generale sulla necessaria indicazione nella domanda giudiziale (o atto equivalente) del tasso
di interesse applicabile.
3.9.4. – Le informazioni al debitore sugli adempimenti procedurali. – Un terzo profilo delle «norme
procedurali minime» riguarda le informazioni di natura processuale da fornire al debitore al quale la
domanda giudiziale (o atto equivalente o eventuali citazioni a comparire all’udienza) viene
notificata. Sempre con l’obiettivo di favorire il contraddittorio «informato» del debitore, l’art. 17
specifica che nell’atto notificato devono essere indicati con chiarezza: a) i requisiti procedurali per
contestare il credito, compresi i termini per proporre la contestazione per iscritto o, se del caso, il
termine fissato per l’udienza, il nome e l’indirizzo dell’istituzione alla quale, a seconda dei casi,
deve essere data una risposta o dinanzi alla quale si richiede di comparire e se vi sia obbligo di
difesa tecnica; b) le conseguenze derivanti dalla mancata eccezione o dalla mancata comparizione,
in particolare, se del caso, la possibilità che sia pronunciata o resa esecutiva una decisione
giudiziaria contro il debitore e la responsabilità delle spese connesse al procedimento giudiziario.
L’esigenza di inserire nell’atto da notificare queste informazioni è strettamente legata sia alle
particolari conseguenze che scaturiscono dal comportamento non contestativo del debitore, sia alla
circostanza che il procedimento potrebbe interessare soggetti che non appartengono allo Stato nel
quale viene avviato il procedimento (COMOGLIO, L.P., [18], 851 ss.; FARINA, M., [30], 44 ss.).
Questo dovrebbe comportare, di conseguenza, che laddove la disciplina processuale interna dello
Stato d’origine non prevedesse l’inserimento di queste informazioni nella domanda giudiziale (o
atto equivalente) introduttiva del procedimento (come, ad es., accade nell’ordinamento italiano per
l’atto di citazione ai sensi dell’art. 163 c.p.c., per il ricorso introduttivo del processo del lavoro ai
sensi dell’art. 414 c.p.c., per il ricorso per decreto ingiuntivo di cui all’art. 633 c.p.c. o per la
citazione introduttiva del processo societario ai sensi dell’art. 2 d. legisl. n. 5/2003; in proposito v.
anche TARZIA, G., [53], 995), le stesse potranno essere inserite direttamente dal creditore che voglia
utilizzare la decisione giudiziaria come titolo esecutivo europeo. Essendo evidente che, in caso
contrario, l’efficacia esecutiva pan-europea non possa essere ottenuta attraverso al certificazione del
Reg.n. 805/2004, ma – ancora una volta - solo attraverso la richiesta di riconoscimento ed
esecuzione nello Stato membro di destinazione ai sensi degli artt. 38 ss. del Reg. n. 44/2001.
3.9.5. - Sanatoria dell’inosservanza delle «norme procedurali minime». – Il mancato rispetto della
«norme minime procedurali» indicate dagli artt. 13-17 del Regolamento non comporta
automaticamente il rigetto della richiesta di certificazione della decisione giudiziaria pronunciata
all’esito del procedimento come titolo esecutivo europeo, perché – nonostante ciò – potrebbe essersi
prodotta comunque la sanatoria del vizio. Ai sensi dell’art. 18, par. 1, infatti, può essere certificata
come titolo esecutivo europeo anche la decisione giudiziaria che, sebbene pronunciata senza il
rispetto delle «norme procedurali minime», è stata prodotta all’esito di un procedimento nel quale:
a) la stessa decisione è stata notificata al debitore a norma degli artt. 13 o 14 del Regolamento e il
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debitore ha avuto la possibilità (secondo la disciplina processuale dello Stato d’origine) di
impugnare la decisione con un mezzo che ne consenta il riesame completo; b) il debitore è stato
debitamente informato con la decisione o con atto ad essa contestuale delle norme procedurali per
proporre l’impugnazione, compreso il nome e l’indirizzo dell’istituzione alla quale l’impugnazione
va proposta e, se del caso, il termine previsto; c) il debitore non ha esperito la prescritta
impugnazione della decisione.
Nel prevedere il particolare meccanismo della sanatoria del vizio derivante dal mancato rispetto
delle «norme procedurali minime» l’art. 18 non fa altro che riprendere il principio già inserito
nell’art. 34 n. 2 del Reg. n. 44/2001, in base al quale – ai fini del riconoscimento della decisione
pronunciata in altro Stato membro - va attribuita efficacia sanante dell’irregolarità della
notificazione della domanda giudiziale (o atto equivalente) alla circostanza che il convenuto
contumace, pur avendo avuto la possibilità, per essere venuto a conoscenza della decisione
(attraverso la notificazione della stessa: Corte giust., 14 dicembre 2006, C-283/05), non l’abbia
impugnata.
E’ significativo rilevare, peraltro, come dal confronto fra quanto prescritto dall’art. 18 ai fini del
maturare della sanatoria del vizio di mancata osservanza delle «norme procedurali minime» e la
disciplina processuale interna all’ordinamento italiano, dalla quale non emerge alcun onere
informativo a favore del destinatario della notificazione della decisione circa i mezzi di
impugnazione esperibili e i termini per proporli, renda di fatto inapplicabile una simile previsione
(v. anche TARZIA, G., [53], 996). Anche se non si può affatto escludere che alla lacuna della
disciplina processuale si sopperisca attraverso il ricorso alla possibilità di fornire le informazioni
richieste dall’art. 18, par. 1, lett. b), mediante un atto separato da allegare alla decisione notificata al
debitore.
Un ulteriore rimedio sanante, infine, è previsto per l’ipotesi in cui l’inosservanza riguardi i soli
requisiti procedurali di cui agli artt. 13 e 14, e cioè le modalità di notificazione della domanda
giudiziale (o atto equivalente o citazioni a comparire all’udienza). In questo caso, infatti, l’art. 18,
par. 2 – facendo sostanzialmente applicazione del principio della sanatoria della nullità formale
dell’atto processuale per raggiungimento dello scopo (art. 156, co. 2, c.p.c.) – stabilisce che la
decisione potrà essere comunque certificata come titolo esecutivo europeo «se il comportamento del
debitore nel corso del procedimento giudiziario dimostra che questi ha ricevuto il documento da
notificare personalmente ed in tempo utile per potersi difendere».
3.9.6. – «Norme minime» per il riesame della decisione in casi eccezionali. – Infine, occorre tener
presente che, anche laddove vi sia stato il rispetto delle «norme procedurali minime» nella
pronuncia della decisione giudiziaria, la stessa potrebbe non ricevere la certificazione come titolo
esecutivo europeo se l’ordinamento processuale dello Stato d’origine non preveda – sempre a
favore del debitore – un’ulteriore tutela: quella del riesame nel merito della decisione giudiziaria, se
comunque la non contestazione del credito non sia imputabile alla volontà del debitore, ma sia
dipesa da cause esterne a lui non imputabili. Ai sensi dell’art. 19, infatti, la decisione giudiziaria per
poter essere certificata come titolo esecutivo europeo – oltre ad essere stata pronunciata nel pieno
rispetto dei requisiti di cui agli artt. 13-17 e salva la sanatoria di cui all’art. 18 – deve essere anche
suscettibile, conformemente alla legislazione dello Stato d’origine, di essere riesaminata nel caso in
cui: a) o la domanda giudiziale (o atto equivalente o le citazioni a comparire all’udienza) è stata
notificata secondo una delle modalità di cui all’art. 14 (e cioè, senza prova di ricevimento da parte
del debitore) e la notificazione non sia stata effettuata in tempo utile per consentire al debitore di
avanzare le proprie difese, per ragioni a lui non imputabili; b) o il debitore non abbia avuto la
possibilità di contestare il credito a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze
eccezionali per ragioni a lui non imputabili (in proposito v. anche VAN DROOGHENBROECK, J.F.BRIJS, S., [54], 164 ss.; TARZIA, G., [53], 992 ss.; CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 238 s.; CRIFÒ,
C., [23], 221 ss.). D’altro canto, va anche aggiunto che, sebbene l’art. 19 preveda la necessità di
mettere a disposizione del debitore un rimedio che consenta il riesame della decisione giudiziaria
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pronunciata sulla base di una non contestazione del credito non imputabile al debitore, non esige
anche che il rimedio consenta un riesame «completo» della decisione (come, invece, prevede l’art.
18, par. 1, lett. b).
In altri termini, la legislazione dello Stato d’origine (salva la possibilità per gli Stati membri di
prevedere condizioni di riesame più vantaggiose per il debitore: art. 19, par. 2) deve quanto meno
consentire al debitore di agire tempestivamente per poter dimostrare che la mancata contestazione
del credito è dipesa da ragioni a lui non imputabili. Spetta, dunque, al giudice chiamato a certificare
la decisione come titolo esecutivo europeo verificare, attraverso un semplice esame della
legislazione interna, se nell’ordinamento nel quale la decisione è stata pronunciata sia rinvenibile un
rimedio a favore del debitore per sottrarsi alle conseguenze di un comportamento non contestativo a
lui non imputabile. Rimedio non necessariamente esperito dal debitore, ma che questi avrebbe
potuto utilizzare in presenza dei presupposti richiamati dall’art. 19. In proposito si può pensare a
rimedi come quelli che, per l’ordinamento italiano, si rinvengono nell’art. 327, 2° co., c.p.c. circa
l’inapplicabilità al contumace involontario dei termini (brevi o lunghi) di impugnazione della
sentenza con i mezzi ordinari o, nel contesto del procedimento monitorio, nell’art. 650 c.p.c. a
proposito dell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo.
3.10. – Il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo alle transazioni giudiziarie ed agli atti
pubblici. – Come già rilevato, il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo può interessare
non solo le decisioni giudiziarie, ma anche le transazioni raggiunte nel corso o all’esito di un
procedimento giudiziario e gli atti pubblici. Ed anzi, è facile prevedere che proprio l’ambito dei
titoli esecutivi stragiudiziali sia quello dove maggiormente troverà applicazione il nuovo
Regolamento, sia perché con riferimento a questi non emergono dalla disciplina comunitaria
limitazioni particolari, sia perché con riferimento alle decisioni giudiziarie – come abbiamo visto –
emerge il problema della conformità della disciplina processuale interna ai singoli Stati con le
«norme procedurali minime». A proposito della certificazione dei titoli esecutivi stragiudiziali il
legislatore comunitario distingue fra le transazioni e gli atti pubblici, sebbene preveda per entrambi
che, una volta certificati come titoli esecutivi europei in uno degli Stati membri, potranno essere
eseguiti negli altri Stati membri «senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza
che sia possibile opporsi alla sua esecutività» (artt. 24, par. 2, e 25, par. 2). L’accostamento delle
transazioni giudiziarie agli atti pubblici, piuttosto che alle decisioni giudiziarie, si spiega con la
natura negoziale e non giurisdizionale delle transazioni, come da tempo messo in luce dalla dottrina
civilistica (per tutti, v. SANTORO PISARELLI, F., L’accertamento negoziale e la transazione, in Riv.
trim. dir. e proc. civ., 1956, 1 ss., sp. 13; ID., Nozione della transazione, in Riv. dir. civ., 1956, I,
303 ss., sp. 309; ID., Negozio e giudizio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, 1157 ss., sp. 1158; ID.,
La transazione, Napoli, 1959, 46 ss.; PUGLIATTI, S., Della transazione, in Comm. c.c. D’AmelioFinzi, II, 2, Firenze, 1949; D’ONOFRIO, P., Della transazione, in Comm. c.c. Scialoja-Branca,
Bologna-Roma, 1974, 232 ss., sp. 243 s.).
Con riferimento alle transazioni giudiziarie, ovvero alle transazioni approvate dal giudice o
concluse davanti a lui nel corso di un procedimento giudiziario, se queste rivestono efficacia
esecutiva già nello Stato d’origine, potranno essere certificate come titoli esecutivi europei
mediante l’utilizzazione del modello di cui all’Allegato II, su richiesta del creditore rivolta al
giudice che le ha approvate o davanti al quale sono state concluse. Sempreché – va ribadito –
oggetto siano crediti relativi al pagamento di somme di uno specifico importo di denaro esigibile o
la cui data di esigibilità sia indicata nella stessa transazione. Ne deriva che, laddove dalla
transazione giudiziaria dovessero emergere obbligazioni di pagamento di somme di denaro e
obbligazioni di altra natura, la stessa potrà essere certificata come titolo esecutivo solo
parzialmente, per la parte relativa ai crediti di pagamento di somme di denaro.
Invece, con riferimento agli atti pubblici, dotati di efficacia esecutiva in uno Stato membro, l’art. 25
ammette che possano essere certificati come titoli esecutivi dall’autorità designata dallo Stato
membro d’origine (e dunque, non necessariamente coincidente con quella rogante), utilizzando il
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modello di cui all’Allegato III. In tal caso, dunque, il Reg. n. 805/2004 riprende quanto già previsto
dall’art. 57, par. 4, Reg. n. 44/2001 a proposito dell’attribuzione di efficacia esecutiva pan-europea
agli atti pubblici formati o registrati in uno degli Stati membri, riproponendo i medesimi problemi
che già sono emersi sia in relazione alla individuazione dell’autorità certificante (soprattutto, per gli
ordinamenti che non conoscano figure come quella del nostro notaio), sia in relazione all’ampiezza
dei poteri di verifica da riconoscere all’autorità certificante non essendo state recepite nella versione
definitiva del Regolamento le istanze emerse in sede di preparazione dello stesso e tendenti ad
introdurvi criteri procedurali minimi standard (in proposito v. soprattutto MORA CAPITÀN, B., [42],
539 ss.; VAN DROOGHENBROECK, J.F.-BRIJS, S., [54], 229 ss.).
A proposito, poi, del credito che può essere oggetto del titolo esecutivo europeo fondato sull’atto
pubblico, occorre ricordare che – a differenza delle transazioni giudiziarie – l’art. 4, par. 3, lett. b)
ricomprende fra gli atti da considerare pubblici, come abbiamo visto (infra, 2.2.3.), anche le
convenzioni in materia di obbligazioni alimentari concluse davanti alle autorità amministrative o da
queste autenticate (riprendendo, in sostanza, quanto già previsto dall’art. 57, par. 2, Reg. n.
44/2001). E dunque, ammette che, per quanto riguarda gli atti pubblici, l’esecutività pan-europea
possa interessare anche crediti pecuniari non di natura civile e commerciale, ma alimentare.
3.11. – Il credito «non contestato» risultante da transazioni giudiziarie e atti pubblici. – Alcune
considerazioni particolari vanno fatte con riferimento al presupposto della non contestazione da
parte del debitore del credito pecuniario risultante dalla transazione giudiziaria o dall’atto pubblico.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 3, lett. a) e d) il credito risultante dalle transazioni giudiziarie e dagli atti
pubblici si considera non contestato, ai fini della certificazione dell’atto come titolo esecutivo
europeo, quando risulti che il debitore l’abbia espressamente riconosciuto mediante una transazione
approvata dal giudice o conclusa dinanzi al giudice nel corso del procedimento giudiziario o
all’interno di un atto pubblico. E dunque, per poter configurare il presupposto della non
contestazione, in caso di transazioni giudiziarie e atti pubblici, è sufficiente la stessa conclusione
dell’atto transattivo, essendo implicito in questo il riconoscimento esplicito dell’altrui credito, e che
dall’atto pubblico emerga il riconoscimento del credito da parte del debitore. In altri termini,
nonostante la prolissità delle definizioni utilizzate nel Regolamento, è la presenza stessa di una
transazione giudiziaria o di un atto pubblico, dal quale risulti un credito a favore di una delle parti
del rapporto sostanziale, che consente di configurare questo credito come non contestato e dunque
certificabile (in proposito, v. anche OLIVIERI, G., [44], 63 ss.; FARINA, M., [30], 54; CAFARI
PANICO, R., [9], 44; DE CESARI, P., [27], 230 ss.; MORA CAPITÀN, B., [42], 537 ss.; CAMPEIS, G.-DE
PAULI, A., [11], 456 ss.). E’ questa un’ulteriore considerazione a favore della prevedibile più ampia
utilizzazione del Reg. n. 805/2004 nel campo dei titoli esecutivi stragiudiziali rispetto a quelli di
formazione giudiziale.
Occorre anche aggiungere, d’altra parte, che la certificazione come titolo esecutivo europeo potrà
riguardare – ai sensi del par. 2 dell’art. 3 – anche le decisioni pronunciate a seguito dell’eventuale
impugnazione delle transazioni giudiziarie e degli atti pubblici, sebbene non sia facile ipotizzare in
quali casi la disposizione possa trovare applicazione, essendo evidente che la proposizione di
un’impugnativa negoziale della transazione o dell’atto pubblico potrà approdare ad una decisione
giudiziaria (di primo grado) suscettibile di certificazione come titolo esecutivo europeo soltanto se,
con riferimento a questa, sussistono i presupposti indicati dallo stesso Regolamento (in primis,
l’emersione del comportamento non contestativo da parte del debitore).
3.12. – Il procedimento per il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo. - Quanto, poi, al
procedimento da seguire per il rilascio del certificato l’art. 6 non offre alcuna indicazione e non va
oltre il richiamo delle modalità di introduzione dello stesso e dell’autorità competente. Né alcun
aiuto in tal senso può venire dall’art. 9, che si limita a prevedere il rilascio del certificato secondo il
formulario standard allegato al Regolamento, da compilare nella stessa lingua della decisione. Di
conseguenza, non v’è dubbio sull’opportunità che siano i singoli Stati membri a predisporre una
16
legislazione integrativa circa il procedimento da seguire per il rilascio del certificato (v., per la
situazione tedesca, WAGNER, R., [58], 401 ss.; per altre indicazioni, VAN DROOGHENBROECK, J.F.BRIJS, S., [54], 91 ss.).
Peraltro, proprio il silenzio su questo rilevante profilo ha indotto parte della dottrina italiana a
ritenere che il procedimento per il rilascio del certificato sia destinato a svolgersi senza formalità
alcuna, secondo le modalità dei procedimenti in camera di consiglio e senza instaurazione del
contraddittorio nei confronti del debitore (FARINA, M., [30], 36 s.; CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11],
425 s.). E questo anche in considerazione del fatto che il debitore ha comunque la possibilità di far
valere le proprie ragioni in sede di istanza di revoca.
In realtà, stante la funzione assolta, e cioè quella di attribuire alla decisione un’efficacia esecutiva
pan-europea, privando il debitore del potere di opporsi al suo riconoscimento nello Stato di
destinazione, è indispensabile che nel procedimento venga assicurato il contraddittorio anche nei
confronti del debitore (nello stesso senso DE CRISTOFARO, M., [28], 148; CONSALVI, E., [19], 650).
La scelta del legislatore comunitario di non accennare al procedimento da seguire per il rilascio del
certificato di titolo esecutivo europeo, rinviando alle soluzioni avanzate in sede di legislazione
interna di ricezione, e di prevedere che il debitore possa opporsi al rilascio del certificato con la
revoca giustifica anche soluzioni del legislatore municipale che impongano all’autorità competente
(sul modello del rilascio dell’art. 41 Reg. n. 44/2001) di limitarsi alla sola verifica di sussistenza
delle condizioni (o presupposti) di ammissibilità per riconoscere al provvedimento l’efficacia
esecutiva europea. Salva, comunque, la possibilità per il debitore, il quale dubiti della sussistenza di
questi presupposti, di attivarsi davanti al medesimo giudice per ottenere, all’esito di un
procedimento improntato alla cognizione piena ed esauriente, la revoca del certificato rilasciato.
Rilevata la sussistenza dei presupposti per rilasciare il certificato di titolo esecutivo europeo
l’autorità competente vi provvederà attraverso la compilazione del formulario redatto secondo le
indicazioni dell’allegato 1 al Regolamento, dal quale risulti con chiarezza il controllo effettuato e il
suo risultato (v. considerando 17). In caso contrario, il creditore avrà la possibilità di riproporre
nuovamente l’istanza oppure seguire la via alternativa del Reg. n. 44/2001 e chiedere che la
dichiarazione di esecutività venga rilasciata dopo i controlli richiesti da quest’ultimo. L’art. 27,
infatti, ammette esplicitamente la possibilità – già rilevata in precedenza - che il creditore possa
chiedere il riconoscimento e l’esecuzione conformemente al Reg. n. 44/2001 di una decisione
giudiziaria, di una transazione giudiziaria o di un atto pubblico relativi a un credito non contestato.
3.13. – Il procedimento per la rettifica e la revoca del certificato di titolo esecutivo europeo. –
Rilasciato il certificato di titolo esecutivo europeo, lo stesso – secondo quel che prevede
espressamente l’art. 10, par. 4 - non può essere oggetto di alcun mezzo di impugnazione, potendo
soltanto essere sottoposto, eventualmente, al procedimento di rettifica o di revoca, come già
anticipato nel paragrafo precedente. Si tratta di due rimedi che prendono in considerazioni alcuni
particolari vizi che possono emergere proprio in relazione al rilascio del certificato di titolo
esecutivo europeo (a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia annesso ad una decisione
giudiziaria, ad una transazione giudiziaria o ad un atto pubblico): nel caso della rettifica, il rimedio
mira ad eliminare eventuali errori materiali del certificato, che abbiano determinato una divergenza
fra quanto indicato nel certificato e quanto emergente dal titolo; nel caso della revoca, invece, il
rimedio è finalizzato all’eliminazione del certificato «manifestamente concesso per errore», tenuto
conto dei requisiti fissati dallo stesso Regolamento per il rilascio del certificato. Tuttavia, al di là
della determinazione dell’ambito di applicazione dei due rimedi e del richiamo del modello, di cui
all’allegato VI per la presentazione dell’istanza di rettifica o revoca, l’art. 10 non va, rinviando alla
legislazione interna allo Stato membro d’origine, nel quale il certificato è stato rilasciato, per tutti
gli altri profili processuali (v. anche art. 30, par. 1, lett. a). Il silenzio in proposito serbato dal
legislatore comunitario potrà determinare l’adozione, da parte dei diversi Stati membri, di soluzioni
fra loro notevolmente divergenti. Peraltro, la situazione sembra complicarsi ulteriormente a causa
del necessario coordinamento che va delineato fra i due rimedi ed il procedimento predisposto per il
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rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo, anch’esso rimesso – come detto – alla
legislazione interna ai singoli Stati membri.
Ora, se si condivide quanto già espresso a proposito della funzione assolta dal procedimento per il
rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo, e cioè quella di attribuire alla decisione
un’efficacia esecutiva pan-europea, privando il debitore del potere di opporsi al suo riconoscimento
nello Stato di destinazione, non si può non distinguere, sul piano dell’articolazione processuale, il
rimedio della rettifica da quello della revoca.
Nel primo caso, consistendo il vizio da eliminare in un errore materiale che emerge chiaramente dal
confronto fra il certificato e il contenuto della decisione o dell’atto sottostante, non si pone alcuna
questione di incertezza sulla sussistenza dei requisiti perché il certificato potesse essere rilasciato. E
dunque, si può anche ammettere che il relativo procedimento abbia le stesse forme del
procedimento di rilascio e appartenga alla competenza del medesimo giudice, nel caso delle
decisioni e delle transazioni giudiziarie, o della medesima autorità, nel caso degli atti pubblici, che
ha rilasciato il certificato.
Diverso, invece, il discorso da fare con riferimento al rimedio della revoca. In questo caso, infatti,
siccome si contesta la sussistenza dei requisiti previsti dallo stesso Regolamento per il rilascio del
certificato, e dunque la sussistenza dei presupposti per conferire alla decisione o all’atto l’efficacia
esecutiva pan-europea, sembra doveroso assicurare alle parti un procedimento giurisdizionale
improntato alla pienezza del contraddittorio e della cognizione. Tanto più se dovesse accogliersi la
tesi – pure avanzata da una parte della dottrina italiana (infra, 3.12.) – secondo la quale, con
riferimento al rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo ad opera del giudice, potrebbe
trovare applicazione un procedimento strutturato secondo le forme dei procedimenti in camera di
consiglio di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.
E dunque, delle due l’una: o il procedimento predisposto dal singolo Stato membro per il rilascio
del certificato da parte dell’autorità giudiziaria è già strutturato in modo tale da assicurare la
pienezza del contraddittorio e della cognizione, ed allora anche quello di revoca non può non
adeguarsi ad una strutturazione di tal fatta, assumendo propriamente la natura e funzione di mezzo
di impugnazione avverso la decisione di rilascio del certificato; oppure il procedimento di rilascio
viene strutturato secondo forme sommarie (e dunque, senza pienezza del contraddittorio e della
cognizione), sul modello dell’exequatur per il riconoscimento e l’esecuzione pan-europea del Reg.
n. 44/2001, ed allora la revoca assumerà propriamente la funzione di opposizione al rilascio del
certificato di titolo esecutivo europeo e non potrà non essere esaminata secondo un procedimento a
contraddittorio pieno e a cognizione esauriente («secondo le norme sul procedimento in
contraddittorio» recita in proposito l’art. 43, par. 3, del Reg. 44/2001)
4. – IL PROCESSO ESECUTIVO FONDATO SUL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO
4.1. – La disciplina processuale applicabile al processo esecutivo fondato sul titolo esecutivo
europeo. – Se dalla formazione dei provvedimenti ed atti idonei ad essere certificati come titoli
esecutivi europei si passa al processo esecutivo che, sulla loro base, viene instaurato, riacquista
nuovamente prevalenza la disciplina interna ai singoli Stati membri, fatte salve le disposizioni
uniformi inserite nel capo IV del Regolamento ed incidenti su alcuni profili marginali del processo
esecutivo. La ragione di una simile scelta è da ricollegare al fatto che nel caso del Reg. n. 805/2004
l’esecuzione va intesa in senso stretto ovvero «come procedimento espropriativo tipico, non già
nell’accezione di cui al Regolamento 44/2001, capo terzo, sez. II, in cui per esecuzione s’intende
invece il procedimento di exequatur che, dell’eventuale esecuzione in senso stretto, sta a monte»
(CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 432). Di conseguenza, è alla disciplina processuale dello Stato
membro dell’esecuzione alla quale fare riferimento per individuare le modalità le modalità
dell’instaurazione del processo espropriativo, delle eventuali opposizioni all’esecuzione, dei
possibili interventi di terzi creditori, delle modalità di vendita o assegnazione forzata dei beni del
debitore sottoposti all’espropriazione.
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Piuttosto, il legislatore comunitario si preoccupa di fissare il principio generale secondo il quale la
decisione, la transazione o l’atto pubblico, certificati come titolo esecutivo europeo, devono essere
eseguiti a parità di condizioni rispetto a quelle pronunciate nello Stato membro dell’esecuzione,
come se fosse a tutti gli effetti resa da un giudice dello stesso Stato (art. 20, par. 1). Aggiungendo,
peraltro, che in ogni caso alla parte che chieda in uno Stato membro l’esecuzione di un titolo
esecutivo europeo non possono essere imposte cauzioni, garanzie o depositi, comunque siano
denominati, a causa della qualità di straniero/a o per difetto di domicilio o residenza nello Stato
membro dell’esecuzione (art. 20, par. 3).
4.2. – La documentazione da produrre. – Una prima integrazione della disciplina esecutiva interna,
che emerge appunto dal capo IV del Regolamento, è quella relativa alla documentazione che deve
presentare il creditore nel momento in cui intenda portare ad esecuzione un titolo esecutivo europeo
in uno Stato membro diverso da quello d’origine. S’impone, infatti, al creditore di presentare alle
autorità competenti per l’esecuzione dello Stato nel quale si intende intraprendere il processo
esecutivo una copia autentica della decisione o dell’atto da eseguire e del relativo certificato e, «se
del caso», una trascrizione o traduzione del certificato nella lingua ufficiale dello Stato
dell’esecuzione oppure in altra lingua che lo stesso Stato abbia dichiarato preventivamente di
accettare, purché autenticata da persona abilitata (art. 20, par. 2). La volontà del legislatore
comunitario sembra essere quella di non appesantire oltre modo gli oneri incombenti sul creditore
procedente. E dunque, va letta in questa direzione la previsione come meramente eventuale anche
della traduzione del certificato, e cioè quando la lingua dello Stato d’origine non sia comune a
quella ufficiale o non rientri fra quelle accettate dallo Stato dell’esecuzione.
Piuttosto, sempre a proposito del problema della traduzione va rilevato come l’art. 20 non si
soffermi affatto sull’eventualità che la decisione o l’atto su cui si basa il certificato di titolo
esecutivo europeo vada depositato tradotto. Probabilmente, la lacuna nasce dalla circostanza che
normalmente, in base alle legislazioni interne agli Stati membri, al debitore va notificato il solo
certificato di titolo esecutivo europeo e non anche la decisione o l’atto su cui si basa. Ma questo non
vale, invece, per l’ordinamento italiano, dove l’art. 479 c.p.c. richiede come attività preliminare
all’inizio dell’esecuzione forzata anche la notificazione del titolo esecutivo. Si deve ritenere,
dunque, che quando la legislazione dello Stato dell’esecuzione richieda anche la notificazione del
titolo esecutivo insieme al certificato, il creditore non si possa limitare a depositare la trascrizione o
la traduzione del solo certificato, ma debba provvedere nello stesso senso anche con riferimento alla
decisione o all’atto da portare ad esecuzione.
Per il resto, troveranno applicazione anche nei confronti del titolo esecutivo europeo le attività
preliminari all’esecuzione eventualmente richieste prima di dare inizio al processo espropriativi
(come, ad es., nell’ordinamento italiano, la notificazione del titolo e del precetto nel domicilio
personale del debitore ai sensi dell’art. 479 c.p.c.). Stante la funzione che tradizionalmente viene
riconosciuta, negli ordinamenti nei quali sia prevista, all’apposizione della formula esecutiva sul
titolo, e cioè quella di consentire al cancelliere, nel caso dei titoli esecutivi giudiziali, ed ai soggetti
competenti, per i titoli stragiudiziali, di verificare la permanenza dell’esecutività e del carattere
liquido ed esigibile del credito, sembra doversi escludere che essa vada apposta anche sul titolo
esecutivo europeo. E questo perché il titolo che si porta ad esecuzione, in tal caso, è già munito del
certificato, proveniente dall’autorità dello Stato d’origine, che ha come contenuto proprio la
conferma dell’esecutività della decisione o dell’atto cui fa riferimento e la natura liquida ed
esigibile del credito (nello stesso senso CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 432 ss.; FARINA, M., [30],
48; FUMAGALLI, L., [32], 41, nt. 39; in senso contrario OLIVIERI, G., [44], 63 ss.; BALLARINO, T.MARI, L., [5], 19 ss.).
4.3. – L’intangibilità del titolo esecutivo europeo nello Stato membro dell’esecuzione. - Come già
evidenziato in precedenza, l’art. 20 esclude qualsiasi possibilità di riesame, da parte dei giudici
dello Stato dell’esecuzione, della decisione o dell’atto costituente titolo esecutivo europeo e della
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certificazione rilasciata dal giudice o da altra autorità competente nello Stato d’origine della
decisione o dell’atto (art. 21, par. 2). E questo perché la volontà del legislatore comunitario è di
riservare allo Stato d’origine del titolo qualsiasi controllo di questo tipo o attraverso il procedimento
di rettifica o revoca, di cui all’art. 10, o attraverso il riesame in casi eccezionali, di cui all’art. 19. In
altri termini, stante la volontà del legislatore comunitario di superare, attraverso il nuovo
Regolamento, il meccanismo dell’exequatur alla base del Reg. n. 44/2001, era inevitabile spostare
al momento del rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo qualsiasi controllo sulla
sussistenza dei requisiti per poter riconoscere efficacia esecutiva pan-europea al titolo e sul rispetto
delle «norme procedurali minime» e delle norme di competenza. Altrettanto inevitabile era privare
il giudice dello Stato membro dove il titolo viene portato ad esecuzione di qualsiasi potere di
controllo o di riesame del titolo e del certificato.
Vi possono essere, tuttavia, delle ipotesi nelle quali il riesame viene ammesso, in deroga appunto al
principio generale dell’intangibilità della certificazione di titolo esecutivo europeo compiuta nello
Stato d’origine. Si può dire, tuttavia, che queste eccezioni riguardano esclusivamente fattispecie
nelle quali il riesame da parte del giudice dello Stato d’esecuzione s’impone in quanto interessa
circostanze sopravvenute al rilascio del certificato o che, comunque, non potevano essere verificate
nel momento in cui il certificato di titolo esecutivo europeo è stato rilasciato.
4.4. – Il rifiuto dell’esecuzione per «incompatibilità» con una decisione anteriore. – Una prima
ipotesi è prevista dallo stesso art. 21 e riguarda l’eventualità del contrasto fra la decisione certificata
come titolo esecutivo europeo ed altra decisione anteriore pronunciata in uno Stato membro o in
uno paese terzo. In tal caso, il par. 1 dell’art. 21 ammette che, su richiesta del debitore, il giudice
competente dello Stato membro dell’esecuzione rifiuti l’esecuzione, purché rilevi che: a) vi sia
incompatibilità fra la decisione che è stata certificata come titolo esecutivo europeo ed altra
decisione avente lo stesso oggetto e le stesse parti pronunciata anteriormente alla prima nello Stato
membro dell’esecuzione (o comunque idonea ad essere riconosciuta in questo); b) il debitore non
abbia fatto valere o non abbia avuto la possibilità di far valere l’incompatibilità nel procedimento
svoltosi nello Stato d’origine della decisione certificata come titolo esecutivo europeo.
La previsione mira ad evitare il prodursi del fenomeno del contrasto fra giudicati e riprende da
vicino quanto già previsto nell’art. 34, n. 3 e 4, del Reg. n. 44/2001, dove si esclude la possibilità di
riconoscimento di decisioni che siano «in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti
nello Stato membro richiesto» o che siano «in contrasto con una decisione emessa precedentemente
tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il
medesimo oggetto e il medesimo titolo, allorché tale decisione presentale condizioni necessarie per
essere riconosciuta nello Stato membro richiesto» (in proposito, MERLIN, E., Il conflitto di decisioni
nello spazio giudiziario europeo, in Studi di diritto processuale civile in onore di G. Tarzia, Milano,
2005, 487 ss.). E tuttavia, dal confronto fra l’art. 21 Reg. n. 805/2004 e l’art. 34 Reg. n. 44/2001
non si può non rilevare che, mentre nel primo caso l’elemento ostativo al riconoscimento e
all’esecuzione è dato dal contrasto della decisione certificata con altra decisione sul medesimo
oggetto e fra le stesse parti emessa nello Stato membro dell’esecuzione in un momento precedente
la pronuncia della decisione certificata, nel secondo l’ostacolo al riconoscimento è dato dal
contrasto con una decisione emessa (prima o dopo) sul medesimo oggetto e fra le stesse parti nello
Stato membro richiesto. Con la conseguenza che, nel caso del Reg. n. 805/2004, l’eventualità che si
produca il fenomeno del contrasto fra giudicati si presenta molto più concreta (DE CRISTOFARO, M.,
[28], 146, nt. 50; CARPI, F., [13], 1142; CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 436).
4.5. – L’eventuale sospensione del processo esecutivo. – Una seconda ipotesi di possibile
interferenza del giudice dello Stato membro dell’esecuzione sull’esecutività del titolo certificato
come titolo esecutivo europeo si rinviene nell’art. 23 e riguarda circostanze sopravvenute al rilascio
del certificato. Ed infatti, qualora il debitore abbia impugnato la decisione certificata come titolo
esecutivo europeo (anche mediante la richiesta di riesame di cui all’art. 19) o abbia chiesto la
20
rettifica o la revoca di un certificato a norma dell’art. 10, il giudice o l’autorità competente dello
Stato membro dell’esecuzione, su istanza del debitore, può: o disporre la limitazione del
procedimento esecutivo ai soli provvedimenti conservativi, o subordinare l’esecuzione alla
costituzione di una cauzione o, in casi eccezionali, sospendere il procedimento esecutivo.
La disposizione assume una particolare rilevanza, anzitutto, perché coordina l’eventuale
impugnazione della decisione certificata o i rimedi esperiti avverso il certificato di titolo esecutivo
europeo nello Stato d’origine con il processo esecutivo avviato o da avviare in un altro Stato
membro. Ma soprattutto perché introduce delle «norme minime» uniformi a tutela del debitore,
imponendo a tutti gli Stati membri di riconoscere a questi le garanzie dell’art. 23, anche laddove la
legislazione interna dello Stato membro dell’esecuzione non contenga cautele di questo tipo.
Peraltro, la formulazione graduata della disposizione induce a ritenere che la sospensione del
processo esecutivo rappresenti l’extrema ratio, alla quale potrà ricorrere il giudice o l’autorità
competente dello Stato membro dell’esecuzione nei casi in cui le altre due misure cautelari non
dovessero rivelarsi efficaci in concreto. Quanto, poi, alle modalità per l’adozione delle misure
stesse, il silenzio del Regolamento riporta ancora una volta la questione alla legislazione interna allo
Stato dell’esecuzione. Con riferimento all’ordinamento italiano, dunque, assumerà rilevanza l’art.
487 c.p.c. circa l’adozione del provvedimento con la forma dell’ordinanza da parte del giudice
dell’esecuzione e l’art. 617 c.p.c. circa il rimedio esperibile nei confronti della stessa (a meno che
non si voglia ricorrere ad un’interpretazione estensiva dell’art. 624 c.p.c. che porti ad ammettere
l’esperibilità del reclamo cautelare avverso l’ordinanza sospensiva).
4.6. – I rimedi interni. – Infine, una possibile interferenza – anche se non espressamente richiamata
dal Regolamento – può derivare dall’esperibilità dei rimedi delle opposizioni interne al processo
esecutivo, previsti dalle legislazioni interne.
Come già detto, anche per quel che riguarda i possibili incidenti cognitivi del processo esecutivo
avviato sulla base del titolo esecutivo europeo il legislatore comunitario si limita a rinviare alla
disciplina dello Stato membro dell’esecuzione. Anche da questo punto di vista, dunque, al titolo
esecutivo europeo non va riservata una disciplina diversa da quella prevista nei confronti del titolo
esecutivo interno. Di conseguenza, se lo Stato dell’esecuzione è quello italiano, non vi saranno
impedimenti all’esperimento sia dell’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, sia
dell’opposizione di terzo e dunque alla possibile sospensione del processo esecutivo in applicazione
(non dell’art. 23 del Regolamento, ma ) dell’art. 624 c.p.c. Peraltro, se l’opposizione agli atti
esecutivi e quella del terzo non necessitano di particolari adattamenti nel caso del processo
esecutivo avviato sulla base del titolo esecutivo europeo, non altrettanto può dirsi per l’opposizione
all’esecuzione, stante il principio generale dell’intangibilità della certificazione del titolo. E’ stato
già evidenziato, tuttavia, come la salvaguardia di tale principio incontri un rilevante limite in tutti i
casi in cui siano da prendere in considerazione o circostanze sopravvenute al rilascio del certificato
o circostanze che, comunque, nel momento del rilascio non potevano essere conosciute. Non
sfuggirà, dunque, che il rimedio attraverso il quale far valere questo limite è rappresentato proprio
dall’opposizione all’esecuzione. In proposito, certo, l’esempio di più facile approccio sembra essere
quello che riguarda gli eventi estintivi, modificativi o impeditivi del credito oggetto del titolo
esecutivo europeo, sopravvenuti alla certificazione (dall’avvenuto pagamento del credito, alla
remissione o alla prescrizione dello stesso) (CARPI, F., [13], 1141; OLIVIERI, G., [44], 64 ss.;
CAMPEIS, G.-DE PAULI, A., [11], 435). Sebbene anche in tal caso si ponga il problema della
determinazione della sopravvenienza dell’evento modificativo, impeditivo o estintivo non alla luce
della legislazione interna allo Stato membro dell’esecuzione, ma a quello d’origine della decisione
certificata (sul medesimo problema, prima del nuovo Regolamento, v. CONSOLO, C., Limiti
all’esecuzione di decisioni straniere, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000, 397 ss.).
Ma evidentemente l’ambito di applicazione del rimedio non può limitarsi a questo. E così, sarà
attraverso un simile rimedio che il debitore farà valere l’istanza per ottenere, ai sensi dell’art. 21,
par. 1, l’incompatibilità della decisione certificata come titolo esecutivo europeo con altra decisione
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anteriore pronunciata sul medesimo oggetto e fra le stesse parti nello Stato membro dell’esecuzione
(o comunque in questo riconoscibile) (infra, 4.4.). E sarà sempre attraverso il rimedio
dell’opposizione all’esecuzione che è da ritenere possa essere sollevato il problema del contrasto fra
la decisione certificata e il c.d. ordine pubblico processuale dello Stato membro dell’esecuzione (e
questo, ancora una volta, sul presupposto che nel momento del rilascio del certificato il giudice
dello Stato d’origine non poteva valutare questo profilo) (in proposito v. anche CARBONE, S.M.,
[12], 294; DE CRISTOFARO, M., [28], 146 ss.; FUMAGALLI, L., [32], 44; ID., [31], 635 ss.;
D’AVOUT, L., [24], 40 ss.).
5. – NORME PROCESSUALI UNIFORMI E TITOLO ESECUTIVO EUROPEO L’INGIUNZIONE DI PAGAMENTO
EUROPEA
Un ulteriore passo avanti sulla strada della diffusione del titolo esecutivo europeo e del superamento
dei problemi che inevitabilmente sorgono dall’applicazione di diverse discipline interne agli Stati
membri va considerata la recente introduzione del procedimento ingiuntivo europeo, destinato a
trovare applicazione a decorrere dal 12 dicembre 2008. Ed infatti, con la pubblicazione del Reg. n.
1896 del 12 dicembre 2006 è giunto a conclusione il lungo iter legislativo per l’istituzione di un
procedimento ingiuntivo comune (CARRATTA, A.-CHIZZINI, A.-CONSOLO, C.-DE CRISTOFARO, M.,
Risposte al libro verde sul procedimento ingiuntivo europeo, in Int’l Lis, 2003, 146 ss.). In conseguenza
dell’innovazione normativa il provvedimento ingiuntivo ottenuto in uno degli Stati membri, ma
all’esito di un procedimento disciplinato in maniera uniforme in tutti gli Stati dell’Unione, acquista
immediatamente ed automaticamente efficacia esecutiva nell’intero spazio giudiziario europeo (sui
lavori preparatori v. CARRATTA, A., in [17]).
Fondamentali, in proposito, si presentano sia il considerando 9, dal quale emerge che l’obiettivo del
legislatore comunitario è quello di «semplificare, accelerare e ridurre i costi dei procedimenti per le
controversie transfrontaliere in materia di crediti pecuniari non contestati … e assicurare la libera
circolazione in tutti gli Stati membri dell’ingiunzione di pagamento europea», sia l’art. 19, il quale –
riprendendo quanto già previsto dall’art. 5 del Reg. n. 805/2004 – stabilisce che «l’ingiunzione di
pagamento europea divenuta esecutiva nello Stato membro d’origine è riconosciuta ed eseguita
negli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia
possibile opporsi al suo riconoscimento».
Per la prima volta, dunque, si assiste alla creazione di un procedimento giudiziario uniforme in
grado di consentire il superamento degli ostacoli finora emersi dal riconoscimento ed esecuzione
delle decisioni giudiziarie pronunciate sulla base dell’applicazione di disposizioni processuali
interne. Attraverso il nuovo procedimento ingiuntivo europeo il singolo non solo potrà ottenere
l’emissione del titolo esecutivo direttamente nello Stato ove debba essere compiuta l’esecuzione
forzata, senza necessità alcuna di far circolare il provvedimento, ma quand’anche ciò dovesse essere
necessario per la non coincidenza del luogo d’esecuzione con quello d’emissione del
provvedimento secondo le norme di giurisdizione per le cause transfrontaliere, ciò potrà avvenire
liberamente senza alcuna formalità d’exequatur essendo il provvedimento compatibile con gli
ordinamenti processuali di tutti gli Stati membri in quanto emesso in base a norme comuni. E
dunque, a norma dell’art. 4, chi vanti un credito pecuniario «di uno specifico importo» ed «esigibile
alla data in cui si propone la domanda di ingiunzione di pagamento europea», può chiedere nei
confronti del debitore un’ingiunzione di pagamento, qualora la controversia abbia natura
«transfrontaliera», ossia – ai sensi dell’art. 3 – sia una controversia «in cui almeno una delle parti ha
domicilio o residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito», e verta in
«materia civile e commerciale, indipendentemente dall’organo giurisdizionale». Una volta concesso
e notificato il provvedimento ingiuntivo, l’ingiunto ha a sua disposizione un termine di 30 giorni
per avanzare opposizione, decorrenti dal momento in cui l’ingiunzione è stata notificata al
convenuto (art. 16, par. 2). Se l’ingiunto segue tale soluzione, il procedimento proseguirà dinanzi ai
giudici competenti dello Stato membro d’origine secondo le norme di procedura civile ordinaria, a
meno che l’istante non abbia esplicitamente richiesto in tal caso l’estinzione del procedimento (art.
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17, par. 1) ed il passaggio al «procedimento civile ordinario» resta disciplinato dalla legge dello
Stato membro d’origine. Qualora, invece, l’ingiunto non avanzi opposizione nei termini, il giudice
che ha emesso l’ingiunzione di pagamento - «tenuto conto di un lasso di tempo adeguato affinché la
domanda di opposizione arrivi a destinazione» (art. 18, par. 1) - la dichiara, senza ritardo, esecutiva
e la trasmette al ricorrente (sul problema dell’efficacia rinvio a CARRATTA, A., in [17]).
In conclusione, proprio perché adottata all’esito di un procedimento uniforme in tutti gli Stati
membri, la decisione pronunciata attraverso l’utilizzazione del procedimento ingiuntivo europeo
diventa automaticamente e senza alcuna ulteriore certificazione titolo esecutivo europeo nell’intero
spazio giudiziario dell’Unione.
6. - FONTI NORMATIVE
Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo
esecutivo europeo per i crediti non contestati; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 12 dicembre 2006, che istituisce una procedura europea sull’ingiunzione di pagamento.
7. - BIBLIOGRAFIA
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ANTONIO CARRATTA
25