handout Mazzetti - Sapienza
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GLI ATOMISTI ANTICHI: LEUCIPPO E DEMOCRITO Manuel Mazzetti Sapienza Università di Roma [email protected] Roma,17 novembre 2016 Handout I. ESPOSIZIONE GENERALE DELLE TEORIE DI DEMOCRITO T1 – Diog. Laert. IX 44-45 (= 68 A 1 DK) [Δηµόκριτος] Δοκεῖ δ᾽ αὐτῷ τάδε: ἀρχὰς εἶναι τῶν ὅλων ἀτόµους καὶ κενόν, τὰ δ᾽ ἄλλα πάντα νενοµίσθαι: ἀπείρους τε εἶναι κόσµους καὶ γενητοὺς καὶ φθαρτούς. µηδέν τε ἐκ τοῦ µὴ ὄντος γίνεσθαι µηδὲ εἰς τὸ µὴ ὂν φθείρεσθαι. καὶ τὰς ἀτόµους δὲ ἀπείρους εἶναι κατὰ µέγεθος καὶ πλῆθος, φέρεσθαι δ᾽ ἐν τῷ ὅλῳ δινουµένας, καὶ οὕτω πάντα τὰ συγκρίµατα γεννᾶν, πῦρ, ὕδωρ, ἀέρα, γῆν: εἶναι γὰρ καὶ ταῦτα ἐξ ἀτόµων τινῶν συστήµατα: ἅπερ εἶναι ἀπαθῆ καὶ ἀναλλοίωτα διὰ τὴν στερρότητα. τόν τε ἥλιον καὶ τὴν σελήνην ἐκ τοιούτων λείων καὶ περιφερῶν ὄγκων συγκεκρίσθαι, καὶ τὴν ψυχὴν ὁµοίως: ἣν καὶ νοῦν ταὐτὸν εἶναι. ὁρᾶν δ᾽ ἡµᾶς κατ᾽ εἰδώλων ἐµπτώσεις. Πάντα τε κατ᾽ ἀνάγκην γίνεσθαι, τῆς δίνης αἰτίας οὔσης τῆς γενέσεως πάντων, ἣν ἀνάγκην λέγει. τέλος δ᾽ εἶναι τὴν εὐθυµίαν, οὐ τὴν αὐτὴν οὖσαν τῇ ἡδονῇ, ὡς ἔνιοι παρακούσαντες ἐξεδέξαντο, ἀλλὰ καθ᾽ ἣν γαληνῶς καὶ εὐσταθῶς ἡ ψυχὴ διάγει, ὑπὸ µηδενὸς ταραττοµένη φόβου ἢ δεισιδαιµονίας ἢ ἄλλου τινὸς πάθους. καλεῖ δ᾽ αὐτὴν καὶ εὐεστὼ καὶ πολλοῖς ἄλλοις ὀνόµασι. ποιότητας δὲ νόµῳ εἶναι, φύσει δ᾽ ἄτοµα καὶ κενόν. καὶ ταῦτα µὲν αὐτῷ ἐδόκει. Le sue [scil. di Democrito] dottrine sono queste: principi di tutte le cose sono gli atomi e il vuoto, e tutto il resto è opinione soggettiva; vi sono infiniti mondi, i quali sono generati e corruttibili; nulla viene dal non essere, nulla può perire e dissolversi nel non essere. E gli atomi sono infiniti sotto il rispetto della grandezza e del numero, e si muovono nell’universo aggirandosi vorticosamente e in tal modo generano tutti i composti, fuoco, acqua, aria, terra; poiché anche questi sono dei complessi di certi particolari atomi: i quali invece non sono né scomponibili né alterabili appunto per la loro solidità. Il sole e la luna sono pure composti di tali atomi, [di quelli cioè] lisci e rotondi; e ugualmente l’anima, che è tutt’uno con l’intelletto. Noi vediamo per effetto degli idoli che penetrano nei nostri occhi. Tutto si produce conforme a necessità, poiché la causa della formazione di tutte le cose è quel movimento vorticoso che egli chiama appunto necessità. Il fine supremo della vita è la tranquillità dell’anima, che non è la medesima cosa del piacere, come credevano certuni che avevano frainteso, bensì quello stato in cui l’animo è calmo ed equilibrato, non turbato da paura alcuna o da superstizioso timore degli dèi o da qualsiasi altra passione. A tale stato dell’anima egli dà il nome di benessere e parecchie altre denominazioni. Le qualità sensibili sono puramente soggettive, in realtà esistono solo atomi e vuoto. E queste sono le sue dottrine. (trad. Alfieri in G. Giannantoni (a cura di), I presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari 1969) II. LA TEORIA ATOMISTA T2 - Aristot., GC I 8, 325 a 2 (= 30 A 8 DK) Ἐνίοις γὰρ τῶν ἀρχαίων ἔδοξε τὸ ὂν ἐξ ἀνάγκης ἓν εἶναι καὶ ἀκίνητον· τὸ µὲν γὰρ κενὸν οὐκ ὄν, κινηθῆναι δ’ οὐκ ἂν δύνασθαι µὴ ὄντος κενοῦ κεχωρισµένου. […] ἐπεὶ δὲ ἐπὶ µὲν τῶν λόγων δοκεῖ ταῦτα συµβαίνειν, ἐπὶ δὲ τῶν πραγµάτων µανίᾳ παραπλήσιον εἶναι τὸ δοξάζειν οὕτως· οὐδένα γὰρ τῶν µαινοµένων ἐξεστάναι τοσοῦτον ὥστε τὸ πῦρ ἓν εἶναι δοκεῖν καὶ τὸν κρύσταλλον, ἀλλὰ µόνον τὰ καλὰ καὶ τὰ φαινόµενα διὰ συνήθειαν, ταῦτ’ ἐνίοις διὰ τὴν µανίαν οὐθὲν δοκεῖ διαφέρειν. Λεύκιππος δ’ ἔχειν ᾠήθη λόγους οἵ τινες πρὸς τὴν αἴσθησιν ὁµολογούµενα λέγοντες οὐκ ἀναιρήσουσιν οὔτε γένεσιν οὔτε φθορὰν οὔτε κίνησιν καὶ τὸ πλῆθος τῶν ὄντων Ὁµολογήσας δὲ ταῦτα µὲν τοῖς φαινοµένοις, τοῖς δὲ τὸ ἓν κατασκευάζουσιν ὡς οὐκ ἂν κίνησιν οὖσαν ἄνευ κενοῦ τό τε κενὸν µὴ ὄν, καὶ τοῦ ὄντος οὐθὲν µὴ ὄν φησιν εἶναι. Τὸ γὰρ κυρίως ὂν παµπλῆρες ὄν· ἀλλ’ εἶναι τὸ τοιοῦτον οὐχ ἕν, ἀλλ’ ἄπειρα τὸ πλῆθος 1 καὶ ἀόρατα διὰ σµικρότητα τῶν ὄγκων. Ταῦτα δ’ ἐν τῷ κενῷ φέρεσθαι (κενὸν γὰρ εἶναι), καὶ συνιστάµενα µὲν γένεσιν ποιεῖν, διαλυόµενα δὲ φθοράν. Infatti alcuni degli antichi filosofi credevano che l’essere fosse necessariamente uno e immobile: il vuoto non è, né è possibile che ci sia movimento senza l’esistenza di un vuoto separato. E nemmeno la molteplicità può esserci, poiché manca ciò che opera la separazione. […] se si seguono i ragionamenti, sembra che accada così; se invece si considerano i fatti, sembra quasi una follia: non c’è nessuno infatti che sia così folle da credere che il fuoco e il ghiaccio siano una sola realtà, ma solo alcuni, per la loro stoltezza, non vedono nessuna differenza tra le cose belle e le cose che appaiono tali per abitudine. Leucippo invece pensava di possedere argomenti che, accordandosi con la sensazione, non distruggono né la generazione né la corruzione né il movimento né la pluralità degli enti. Avendo fatte queste concessioni ai dati fenomenici, egli accetta, della teoria di coloro che sostengono l’Uno, che non può esserci movimento senza vuoto e che il vuoto è non essere e che nessuna parte dell’essere è non essere. Infatti in senso proprio l’essere è interamente pieno; ma un tale essere non è, per Leucippo, uno, ma è infinito di numero e invisibile per la piccolezza degli elementi. Questi esseri si muovono nel vuoto (infatti per Leucippo il vuoto esiste) e associandosi producono generazione, dissociandosi corruzione. (trad. Migliori in Aristotele, La generazione e corruzione, a cura di M. Migliori-L. Palpacelli, Bompiani, Milano 2013) T3 - Aristot., Metaph. I 4, 985 b 4 (= 67 A 6 DK) Λεύκιππος δὲ καὶ ὁ ἑταῖρος αὐτοῦ Δηµόκριτος στοιχεῖα µὲν τὸ πλῆρες καὶ τὸ κενὸν εἶναί φασι, λέγοντες τὸ µὲν ὂν τὸ δὲ µὴ ὄν, τούτων δὲ τὸ µὲν πλῆρες καὶ στερεὸν τὸ ὄν, τὸ δὲ κενὸν τὸ µὴ ὄν (διὸ καὶ οὐθὲν µᾶλλον τὸ ὂν τοῦ µὴ ὄντος εἶναί φασιν, ὅτι οὐδὲ τοῦ κενοῦ τὸ σῶµα), αἴτια δὲ τῶν ὄντων ταῦτα ὡς ὕλην. καὶ καθάπερ οἱ ἓν ποιοῦντες τὴν ὑποκειµένην οὐσίαν τἆλλα τοῖς πάθεσιν αὐτῆς γεννῶσι, τὸ µανὸν καὶ τὸ πυκνὸν ἀρχὰς τιθέµενοι τῶν παθηµάτων, τὸν αὐτὸν τρόπον καὶ οὗτοι τὰς διαφορὰς αἰτίας τῶν ἄλλων εἶναί φασιν. ταύτας µέντοι τρεῖς εἶναι λέγουσι, σχῆµά τε καὶ τάξιν καὶ θέσιν: διαφέρειν γάρ φασι τὸ ὂν ῥυσµῷ καὶ διαθιγῇ καὶ τροπῇ µόνον: τούτων δὲ ὁ µὲν ῥυσµὸς σχῆµά ἐστιν ἡ δὲ διαθιγὴ τάξις ἡ δὲ τροπὴ θέσις: διαφέρει γὰρ τὸ µὲν Α τοῦ Ν σχήµατι τὸ δὲ ΑΝ τοῦ ΝΑ τάξει τὸ δὲ Ζ τοῦ Η θέσει. περὶ δὲ κινήσεως, ὅθεν ἢ πῶς ὑπάρξει τοῖς οὖσι, καὶ οὗτοι παραπλησίως τοῖς ἄλλοις ῥᾳθύµως ἀφεῖσαν. Leucippo e il suo discepolo Democrito pongono come elementi il pieno e il vuoto, chiamando l’uno essere e l’altro non essere, e precisamente chiamano essere il pieno, e il solido, non essere il vuoto e il raro (onde essi affermano che l’essere non è affatto più reale del non essere, perché neanche il vuoto è 〈meno reale〉 del corpo), e pongono questi [elementi] come cause materiali degli esseri. E come quei filosofi che, considerando unica la sostanza che serve di sostrato, ricavano tutto il resto da modificazioni di quella, ponendo il raro e il denso come principi delle modificazioni, così anche costoro dicono che le differenze [originarie] son causa di tutte le altre cose. E quelle [originarie] essi affermano che sono tre, la figura, l’ordine e la posizione; infatti essi così si esprimono: l’essere può presentare differenze soltanto per la misura, per il contatto reciproco e per la direzione; e, di questi, la misura equivale alla forma, il contatto reciproco all’ordine, la direzione alla posizione: per esempio A differisce da N per la forma, AN differisce da NA per l’ordine, Ζ differisce da H per la posizione. Quanto poi al movimento, donde [provenga] e come appartenga alle cose, anche costoro, suppergiù come gli altri, sbrigativamente trascurarono di cercare. (trad. Alfieri, cit.) T4 - Plutarch., Adv Col. 1108F (= 68 B 156 DK) ὁ Κωλώτης ἐσφάλη περὶ λέξιν τοῦ ἀνδρός, ἐν ἧι διορίζεται µὴ µᾶλλον τὸ δὲν ἢ τὸ µηδὲν εἶναι, δὲν µὲν ὀνοµάζων τὸ σῶµα, µηδὲν δὲ τὸ κενόν, ὡς καὶ τούτου φύσιν τινὰ καὶ ὑπόστασιν ἰδίαν ἔχοντος. Colote si è ingannato sul valore dell’espressione democritea, nella quale si determina soltanto che l’ente non esiste a maggior ragione del niente, designando con ente il corpo, con niente il vuoto, giacché per Democrito anche il vuoto ha una sua propria natura e realtà. (trad. Alfieri, cit.) T5 - Aristot., GC I 2, 315b28-316a11 (con omissioni; omesso in DK) Καὶ πάλιν εἰ µεγέθη, πότερον, ὡς Δηµόκριτος καὶ Λεύκιππος, σώµατα ταῦτ’ ἐστίν, ἢ ὥσπερ ἐν τῷ Τιµαίῳ ἐπίπεδα. Τοῦτο µὲν οὖν αὐτό, καθάπερ καὶ ἐν ἄλλοις εἰρήκαµεν, ἄλογον µέχρι ἐπιπέδων διαλῦσαι. […] οὐδὲν γὰρ γίνεται πλὴν στερεὰ συντιθεµένων· πάθος γὰρ οὐδ’ ἐγχειροῦσι γεννᾶν οὐδὲν ἐξ αὐτῶν. […] Ἴδοι δ’ ἄν τις καὶ ἐκ τούτων ὅσον διαφέρουσιν οἱ φυσικῶς καὶ λογικῶς σκοποῦντες. E ancora, posto che gli indivisibili siano grandezze, essi sono corpi, come per Democrito e Leucippo, oppure sono superfici, come nel Timeo? Quest’ultima tesi, secondo cui la divisione prosegue fino alle superfici, è assurda, come abbiamo sostenuto altrove […] infatti, ad eccezione dei corpi solidi, nulla può essere genersato dalla composizione delle superfici; e infatti essi non tentano di spiegare la generazione delle affezioni partendo da queste superfici. 2 […] Anche da questo si può vedere quanto differiscono coloro che indagano con strumenti fisici da coloro che lo fanno con strumenti logici. (trad. Migliori, cit.) III. COSMOGONIA T6 – Diog. Laert. IX 30 (= 67 A 1 DK) [Leuc.] πρῶτός τε ἀτόµους ἀρχὰς ὑπεστήσατο. <καὶ> κεφαλαιωδῶς µὲν ταῦτα: ἐπὶ µέρους δ᾽ ὧδε ἔχει. [31] Τὸ µὲν πᾶν ἄπειρόν φησιν, ὡς προείρηται: τούτου δὲ τὸ µὲν πλῆρες εἶναι, τὸ δὲ κενόν, <ἃ> καὶ στοιχεῖά φησι. κόσµους τε ἐκ τούτων ἀπείρους εἶναι καὶ διαλύεσθαι εἰς ταῦτα. γίνεσθαι δὲ τοὺς κόσµους οὕτω: φέρεσθαι κατ᾽ ἀποτοµὴν ἐκ τῆς ἀπείρου πολλὰ σώµατα παντοῖα τοῖς σχήµασιν εἰς µέγα κενόν, ἅπερ ἀθροισθέντα δίνην ἀπεργάζεσθαι µίαν, καθ᾽ ἣν προσκρούοντα <ἀλλήλοις> καὶ παντοδαπῶς κυκλούµενα διακρίνεσθαι χωρὶς τὰ ὅµοια πρὸς τὰ ὅµοια. […] εἶναί τε ὥσπερ γενέσεις κόσµου, οὕτω καὶ αὐξήσεις καὶ φθίσεις καὶ φθοράς, κατά τινα ἀνάγκην, ἣν ὁποία ἐστὶν <οὐ> διασαφεῖ. Leucippo fu il primo a porre come princìpi delle cose gli atomi. Questa la sua dottrina per sommi capi; nei particolari, poi, essa si presenta come segue. Afferma che l’universo è infinito, come si è detto avanti; e che una parte di esso è il pieno e l’altra il vuoto, che egli chiama anche elementi. Perciò vi sono infiniti mondi e si dissolvono poi in quegli elementi primordiali. E i mondi si generano così: molti corpi di ogni forma, mediante una netta separazione dallo spazio infinito, vengono portati in un grande vuoto e sono essi appunto che, raccolti insieme, producono un unico vortice, pel quale, urtandosi reciprocamente e muovendosi in giro in ogni senso, vengono a separarsi, i simili unendosi coi simili. […] Come il mondo ha processi di formazione, così ha anche accrescimenti, diminuzioni e processi di distruzione, secondo una necessità che egli non spiega quale propriamente sia. (trad. Alfieri, cit.) T7 – Aet. I 25, 4, Dox. Gr. 321 (= 67 B 2 DK) οὐδὲν χρῆµα µάτην γίνεται, ἀλλὰ πάντα ἐκ λόγου τε καὶ ὑπ᾿ἀνάγκης. Nulla si produce senza motivo, ma tutto con una ragione e necessariamente. (trad. Alfieri, cit.) IV. PSICOLOGIA ED EPISTEMOLOGIA T8 - Aristot., De An. I 2, 405 a 5 (= 68 A 101 DK) ἔδοξέ τισι πῦρ εἶναι· καὶ γὰρ τοῦτο λεπτοµερέστατόν τε καὶ µάλιστα τῶν στοιχείων ἀσώµατον, ἔτι δὲ κινεῖταί τε καὶ κινεῖ τὰ ἄλλα πρώτως. Δηµόκριτος δὲ καὶ γλαφυρωτέρως εἴρηκεν ἀποφαινόµενος διὰ τί τούτων ἑκάτερον· ψυχὴν µὲν γὰρ εἶναι ταὐτὸ καὶ νοῦν, τοῦτο δ’ εἶναι τῶν πρώτων καὶ ἀδιαιρέτων σωµάτων, κινητικὸν δὲ διὰ µικροµέρειαν καὶ τὸ σχῆµα· τῶν δὲ σχηµάτων εὐκινητότατον τὸ σφαιροειδὲς λέγει· τοιοῦτον δ’ εἶναι τόν τε νοῦν καὶ τὸ πῦρ. Alcuni ritennero l’anima composta di fuoco; perché è il fuoco tra tutti gli elementi quello composto di particelle più sottili ed il più incorporeo; inoltre esso possiede come proprietà originaria quella di muoversi e di mettere in moto le altre cose. Democrito poi ha trovato una soluzione ancor più sottile, per spiegare perché [l’anima] possiede ambedue queste proprietà. Anima e intelletto infatti sono la stessa cosa e questo elemento sarebbe composto di corpi primi indivisibili e atto a produrre il movimento a cagione della piccolezza delle particelle che lo compongono e della loro forma; aggiunge che, delle forme, quella sferica è la meglio adatta a produrre il movimento; e tanto l’intelletto quanto il fuoco hanno appunto questa composizione. (trad. Alfieri, cit.) T10 - Theophr., De sens. 50 (= 68 A 135 DK) ὁρᾶν µὲν οὖν ποιεῖ τῆι ἐµφάσει˙ ταύτην δὲ ἰδίως λέγει˙ τὴν γὰρ ἔµφασιν οὐκ εὐθὺς ἐν τῆι κόρηι γίνεσθαι, ἀλλὰ τὸν ἀέρα τὸν µεταξὺ τῆς ὄψεως καὶ τοῦ ὁρωµένου τυποῦσθαι συστελλόµενον ὑπὸ τοῦ ὁρωµένου καὶ τοῦ ὁρῶντος˙ ἅπαντος γὰρ ἀεὶ γίνεσθαί τινα ἀπορροήν˙ ἔπειτα τοῦτον στερεὸν ὄντα καὶ ἀλλόχρων ἐµφαίνεσθαι τοῖς ὄµµασιν ὑγροῖς˙ καὶ τὸ µὲν πυκνὸν οὐ δέχεσθαι τὸ δ’ ὑγρὸν διἱέναι. Il vedere, dunque, secondo lui è prodotto dall’immagine, sulla quale egli espone una teoria sua propria: e cioè che l’immagine non si forma direttamente sulla pupilla, ma che l’aria frapposta tra l’organo della vista e l’oggetto veduto, venendo compressa per opera dell’oggetto veduto e del soggetto che vede, riceve un’impronta, giacché da ogni cosa proviene in ogni istante un certo effluvio; quest’aria poi, divenuta consistente e improntata dai diversi colori, si riflette nell’umido degli occhi, e l’elemento denso non l’accoglie, mentre l’umido la lascia penetrare. (trad. Alfieri, cit.) 3 T11 - Alex. Aphr., De sens. 24, 14 (= 67 A 29 DK) λέγει γὰρ Δηµόκριτος τὸ ὁρᾶν εἶναι τὸ τὴν ἔµφασιν τὴν ἀπὸ τῶν ὁρωµένων δέχεσθαι˙ ἔστι δὲ ἔµφασις τὸ ἐµφαινόµενον εἶδος ἐν τῆι κόρηι, ὁµοίως δὲ καὶ ἐν τοῖς ἄλλοις τῶν διαφανῶν, ὅσα οἷά τε τὴν ἔµφασιν φυλάττειν ἐν αὑτοῖς. ἡγεῖται δὲ αὐτός τε καὶ πρὸ αὐτοῦ Λ. καὶ ὕστερον δὲ οἱ περὶ τὸν Ἐπίκουρον εἴδωλά τινα ἀπορρέοντα ὁµοιόµορφα τοῖς ἀφ’ ὧν ἀπορρεῖ (ταῦτα δέ ἐστι τὰ ὁρατά) ἐµπίπτειν τοῖς τῶν ὁρώντων ὀφθαλµοῖς καὶ οὕτως τὸ ὁρᾶν γίνεσθαι. Dice infatti Democrito che il vedere consiste nel ricevere l’immagine proveniente dall’oggetto che vediamo: e quest’immagine è la figura che appare nella pupilla, come pure in tutti gli altri corpi diafani capaci di conservare sopra di sé l’immagine. Ed egli, e prima di lui Leucippo e dopo di essi tutti i seguaci di Epicuro, ritengono che degli idoli continuamente emananti dai corpi e di forma simile agli oggetti donde emanano (che sono appunto i corpi visibili) penetrino negli occhi di colui che vede e così si produca il vedere. (trad. Alfieri, cit.) T12 - Sext. Emp., M VII 135-139 (= 68 B 9 e 11 DK) Δηµόκριτος δὲ ὁτὲ µὲν ἀναιρεῖ τὰ φαινόµενα ταῖς αἰσθήσεσι καὶ τούτων λέγει µηδὲν φαίνεσθαι κατ’ ἀλήθειαν, ἀλλὰ µόνον κατὰ δόξαν, ἀληθὲς δὲ ἐν τοῖς οὖσιν ὑπάρχειν τὸ ἀτόµους εἶναι καὶ κενόν˙ ‘νόµῳ’ γάρ φησι ‘γλυκὺ καὶ νόµῳ πικρόν, νόµῳ θερµόν, νόµῳ ψυχρόν, νόµῳ χροιή˙ ἐτεῇ δὲ ἄτοµα καὶ κενόν.’ (ὅπερ 〈ἔστι〉˙ νοµίζεται µὲν εἶναι καὶ δοξάζεται τὰ αἰσθητά, οὐκ ἔστι δὲ κατ’ ἀλήθειαν ταῦτα, ἀλλὰ τὰ ἄτοµα µόνον καὶ τὸ κενόν). […] καὶ µόνον ἐξαιρέτως καθάπτεται τῶν αἰσθήσεων˙ ἐν δὲ τοῖς Κανόσι δύο φησὶν εἶναι γνώσεις, τὴν µὲν διὰ τῶν αἰσθήσεων τὴν δὲ διὰ τῆς διανοίας, ὧν τὴν µὲν διὰ τῆς διανοίας γνησίην καλεῖ, προσµαρτυρῶν αὐτῇ τὸ πιστὸν εἰς ἀληθείας κρίσιν, τὴν δὲ διὰ τῶν αἰσθήσεων σκοτίην ὀνοµάζει, ἀφαιρούµενος αὐτῆς τὸ πρὸς διάγνωσιν τοῦ ἀληθοῦς ἀπλανές. λέγει δὲ κατὰ λέξιν˙ ‘γνώµης δὲ δύο εἰσὶν ἰδέαι, ἡ µὲν γνησίη, ἡ δὲ σκοτίη˙ καὶ σκοτίης µὲν τάδε σύµπαντα, ὄψις ἀκοὴ ὀδµὴ γεῦσις ψαῦσις˙ ἡ δὲ γνησίη, ἀποκεκριµένη δὲ ταύτης. εἶτα προκρίνων τῆς σκοτίης τὴν γνησίην ἐπιφέρει λέγων˙ ὅταν ἡ σκοτίη µηκέτι δύνηται µήτε ὁρῆν ἐπ’ ἔλαττον µήτε ἀκούειν µήτε ὀδµᾶσθαι µήτε γεύεσθαι µήτε ἐν τῇ ψαύσει αἰσθάνεσθαι, ἀλλ’ ἐπὶ λεπτότερον 〈....〉.’ οὐκοῦν καὶ κατὰ τοῦτον ὁ λόγος ἐστὶ κριτήριον, ὃν γνησίην γνώµην καλεῖ. Democrito talora rifiuta le apparenze sensibili e dice che nulla in esse ci appare conforme a verità, ma solo conforme a opinione, e che il vero negli oggetti consiste in ciò ch’essi sono atomi e vuoto. Infatti egli dice: «opinione il dolce, opinione l’amaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il colore; verità gli atomi e il vuoto»; vale a dire: si ritiene e si opina che esistano le qualità sensibili, ma in verità non esistono queste, sibbene soltanto gli atomi e il vuoto. […] Nei Canoni afferma che vi sono due modi di conoscenza, cioè mediante i sensi e mediante l’intelletto: e chiama genuina la conoscenza mediante l’intelletto, riconoscendo ad essa la credibilità nel giudicare il vero, mentre all’altra dà il nome di oscura, negandole la sicurezza nel conoscere il vero. Dice testualmente: «vi sono due forme di conoscenza, l’una genuina e l’altra oscura; e a quella oscura appartengono tutti quanti questi oggetti: vista, udito, odorato, gusto e tatto. L’altra forma è la genuina, e gli oggetti di questa sono nascosti [alla conoscenza sensibile od oscura]. Poi, mostrando la superiorità della conoscenza genuina su quella oscura, prosegue dicendo: «quando la conoscenza oscura non può più spingersi ad oggetto più piccolo né col vedere né coll’udire né coll’odorato né col gusto né con la sensazione del tatto, ma 〈si deve indirizzar la ricerca〉 a ciò che è ancor più sottile, allora soccorre la conoscenza genuina, come quella che possiede appunto un organo più fine, appropriato al pensare. (trad. Alfieri, cit.) 4