Sogni e delitti (Cassandra`s Dream)

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Sogni e delitti (Cassandra`s Dream)
Federico Magi
Sogni e delitti (Cassandra's Dream)
7 febbraio 2008
Il bel titolo originale, Cassandra’s Dream (inutile dirvi che l’italiana “traduzione” Sogni e delitti, per
quanto prossima al tema trattato, è assai più banale), ispirato a giusta ragione, vista la vicenda,
all’omerica profetessa di sventure, è già di per sé un indizio per capire dove culmina il trittico di
pellicole londinesi di Woody Allen. Non in un luogo fisico, o per lo meno non soltanto, visto che
Londra si è rivelata scenario quanto mai suggestivo e verosimile per le opere in questione, ma in un
luogo psichico, esistenziale. Come nel capostipite Match Point, con la stessa fredda geometria, il
regista di Manhattan ci parla ancora di delitto e castigo, di rovesci della sorte legati al senso di
colpa, di un destino beffardo e crudele. Ma non è solo il destino, a ben indagare le tre opere, il
responsabile dei castighi mancati o sopraggiunti, delle vicende che rompono drammaticamente le
consuetudini dei trentenni protagonisti, quanto il vuoto esistenziale e il grigiore valoriale del mondo
che ci ospita, soprattutto a certe latitudini. Anche in Cassandra’s Dream, come in Match Point, è la
scalata sociale di ragazzi che vivono esistenze grigie e ripetitive ad innescare il dramma che porterà
alle inevitabili tragiche conseguenze.
Ian e Terry sono due fratelli che vivono alla periferia di Londra: Ian, più scaltro e ambizioso, lavora
nel deficitario ristorante del padre, Terry è dipendente di un’officina e ha una passione sfrenata per
il gioco e per l’alcol. Vogliono acquistare una vecchia barca (Cassandra’s Dream, nella quale si
consumerà l’epilogo) per evadere dal contesto sociale che li accoglie, andando in cerca della giusta
occasione per emergere. Che pare arrivare quando Terry vince una somma considerevole a poker e,
contestualmente, Ian conosce un’avvenente giovane attrice con la quale si spaccia per uomo d’affari.
Conseguenza di ciò sarà per il primo l’acquisto di una casa con cui andare a convivere con la
fidanzata, per il secondo l’accentuazione della bramosia per il salto sociale, dovuta anche alla
passione per la giovane e pretenziosa attrice. Ma Terry viene abbandonato dalla sua buona stella e,
tradito dal demone del gioco, perde una vera e propria fortuna, finendo cosi in mano agli strozzini.
Sogni infranti e pericolo imminente: che fare? Ian e Terry, pur essendo di origine modesta, hanno un
zio ricchissimo che ha aperto cliniche in Oriente e che sovente aiuta la famiglia nei momenti di
difficoltà. Approfittando del suo breve soggiorno londinese gli sottopongono la questione spiegando
nel dettaglio l’evoluzione degli accadimenti. Lo zio garantisce loro il suo aiuto, promettendogli una
svolta repentina per le loro vite. Ma ad un prezzo inatteso: l’omicidio. Eh sì, pare che le attività del
grande uomo d’affari non siano proprio limpidissime, e c’è qualcuno che vuole incastrarlo e che può
mandarlo in rovina. I due ragazzi sono dapprima sconvolti dalla inattesa richiesta, poi sempre più
persuasi che è l’unica possibilità non solo per emergere, ma anche per non subire le imminenti
ritorsioni degli strozzini. Nonostante i dubbi e gli imprevisti il tutto si consumerà senza lasciare
alcuna traccia. Niente può far risalire ai due autori materiali, né tanto meno allo zio mandante: Ian e
Terry ora si possono godere la vita. L’interiorizzazione dell’accaduto avrà però effetti opposti nella
psiche dei due fratelli.
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Un’opera gelida come la città che l’accoglie, per certi versi ancor più agghiacciante rispetto a Match
Point nel suo voler fotografare impietosamente la debolezza emotiva e la crisi valoriale dell’uomo
moderno occidentale. È un Allen pessimista quanto non lo è mai stato in precedenza quello che
confeziona questa trilogia londinese – due drammi intervallati da una commedia, Scoop, che
nasconde sotto la sua comicità di facciata le stesse inquietudini presenti in Match Point e
Cassandra’s Dream -, sempre ispirato nella scrittura e grande direttore d’attori. I dialoghi, ancora
una volta, sono la cifra più rimarchevole che evidenzia la pellicola del regista newyorkese, privi certo
di quella geniale autoreferenzialità che emerge in forma di commedia, ma sottilmente paradossali e
ironici in alcuni frangenti – sempre meno con l’evolvere del dramma -, comunque assolutamente
calzanti per alimentare la tragedia cui andranno incontro i protagonisti. E sarà tragedia a tutti gli
effetti, una volta arrivati all’epilogo, una tragedia senza pathos, fatta di vuoto, di assenza, di
lontananza emotiva e perché no – per una volta si può anche dire – morale. Lo sguardo di Allen è
impietoso, come lo era stato in Match Point e in Scoop (si potrebbe scrivere un saggio sull’unità o la
continuità delle tre opere in questione), assolutamente non giudicante perché impossibilitato a
partecipare emotivamente a una vicenda che par essergli fastidiosamente estranea: Allen filma ciò
che odia, in sostanza, azioni e sentimenti nei quali non solo non può, ma soprattutto non vuole
identificarsi. Ecco che Cassandra’s Dream, in questo senso, come degna conclusione del vuoto
morale e spirituale filmato in tutta l’esperienza artistica londinese, è l’opera in cui il regista
newyorchese si distanzia maggiormente dai suoi personaggi: non ci sono né redenzione né salvezza,
né tanto meno il pianto di nessuno a conclusione di tutto. Non c’è perché è il regista stesso che
sceglie di non filmarlo: non c’è nulla di commovente, è solo una delle tante grigie e drammatiche
vicende figlie del nostro tempo.
Allen non sposa i suoi protagonisti ma sa dirigerli a meraviglia, tanto che anche il solitamente
impresentabile Colin Farrell trova, grazie alla sapienza del regista, il suo ruolo più congeniale, un
personaggio tragicomico mai veramente lucido, a tratti involontariamente autoironico. Altro che i
ruoli ridicoli incarnati in Alexander di Stone o nell’ultimo Mallick (The New World), mai nessuno
pare averlo valorizzato come nel film in questione. Al contrario McGregor, molto più attore di
Farrell, interpreta un ruolo che ne esalta la misura e l’ambiguità, convincendo fino ad inquietare – in
prossimità dell’epilogo – lo spettatore. Brave anche le non note attrici di contorno, tra le quali non
lascia indifferente la bella Hayley Atwell. Magistrale la prova del consumato Tom Wilkinson, perfetta
incarnazione dell’orrore che sovente si cela dietro la maschera del successo.
I toni da tragedia greca, da Allen amata e spesso dissimulata attraverso la comicità (ricordate
l’esilarante La dea dell’amore, opera strutturata proprio come una tragedia greca), sono alimentati
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dalla colonna sonora di Philip Glass, assai consonante con l’atmosfera del film, e dal talento
fotografico di Zsigmond (qui alla seconda prova con Allen, del quale si ricorda anche il bel lavoro con
De Palma), strutturati su una sceneggiatura che non ha cedimenti e che ci accompagna all’epilogo
senza mai incontrare cesure narrative. Tutto molto lineare e non a caso: l’idea di Allen è quella di
accompagnarci lungo il dramma insinuando il dubbio prima di tutto in noi stessi, tratteggiando solo
in superficie la psicologia dei personaggi proprio per non alterare la nostra interiorizzazione della
vicenda. Ian e Terry sono specchi in cui guardarsi ma allo stesso tempo contenitori emozionali
svuotati, marionette: e se fossimo noi al loro posto? Questa è la domanda, l’angoscioso
interrogativo che ci restituisce la pellicola.
Cassandra’s Dream è un film da vedere, convincente e a tratti coinvolgente, certo non tra gli
assolutamente imperdibili della sterminata filmografia alleniana (del resto, su tematiche simili Allen
ha costruito un gioiello della cinematografia d’ogni tempo, Crimini e misfatti, difficilmente
ripetibile), forse lievemente meno affascinante di Match Point ma comunque di livello rispetto alla
media proposta sul grande schermo. Chiusa questa inattesa trilogia il regista newyorchese s’è
spostato a Barcellona per il prossimo film, certamente per trovare ambientazioni più solari rispetto
alle grigie e a conti fatti ispirate atmosfere londinesi.
Federico Magi, febbraio 2008.
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