Cassandra – Christa Wolf - Atlante digitale del `900 letterario

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Cassandra – Christa Wolf - Atlante digitale del `900 letterario
Atlante digitale del '900 letterario
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Cassandra, di Christa Wolf
ma, in un certo senso, era connaturato alla
sua essenza.
“Ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
«Imparai solo tardi, e a fatica, a distinguere
Le fea parlar di Troja il dì mortale,
le qualità che uno riconosce a se stesso, da
Venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
quelle che sono innate e, in un certo senso,
non riconoscibili. Essere socievole, modesta,
E guidava i nepoti, e l’amoroso
senza pretese – ciò era parte dell’immagine
Apprendeva lamento a’ giovinetti”.
che mi facevo di me e che da ogni catastrofe
risorgeva quasi indenne. Perdipiù: quando
Ugo Foscolo, Dei Sepolcri
essa risorgeva, la catastrofe mi era alle
Poche sono le donne che sono state
influenti
nel
corso
della
storia
greca.
spalle».
(C.
Wolf,
Cassandra,
Roma,
e/o,1983, p.16)
Numerose sono invece le figure femminili
presenti nel mito, nella poesia e nella
Vivendo
tragedia ellenica: Elena, Andromaca, Saffo,
periodo
Elettra,
donne non avevano
Medea,
Persefone,
Clitemnestra,
Cassandra
e
Antigone,
molte
altre.
nessun
in
in
un
cui
tipo
le
di
Quest’ultima è la più bella delle figlie del re
autonomia, lei riuscì
troiano Priamo e di Ecuba, sorella di Ettore e
a vedere a dispetto
Paride, schiava e concubina di Agamennone,
delle
sacerdotessa
uomini e degli dei ed
di
Apollo
e
soprattutto
volontà
degli
aspirò ad una visione
veggente.
che
fu
al
servizio
Il dio del Sole, innamoratosi di lei, le
della sua città e di suo padre, ma nel
concesse
ma
contempo sganciata da qualsiasi tipo di
successivamente, poiché da lei rifiutato,
ausilio. Libera. Non le importava di esser
l’aveva condannata a non esser mai creduta
creduta, questa è altra cosa di cui occuparsi.
il
dono
della
profezia,
da nessuno. In realtà, il dono di guardare
oltre non le era stato donato da alcun dio,
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Con questo preambolo Christa Wolf intreccia
più aumentare, ora dovevamo riconoscere
il suo racconto, presentando una situazione
che non c’è limite alle atrocità che gli esseri
non
umani commettono gli uni contro gli altri; che
diversa
dai versi ricchi
di pathos
dell’Agamennone di Eschilo.
noi siamo capaci di rovistare nelle viscere
dell’altro, di schiacciargli il cranio alla ricerca
Sullo sfondo di Micene, seduta nella fortezza,
dell’acme del tormento». (p. 124)
Cassandra ora attende che il suo nefasto
destino giunga a compimento.
I ricordi di Cassandra giungono sino alla
memoria di un’infanzia felice, costellata dal
«Mai fui più viva che nell’ora della morte. Che
saldo affetto paterno, e arrivano all’amore
cosa intendo per viva? Che cosa intendo per
che
viva. Non evitare la cosa più difficile,
propriamente fisico con Pantoo, sacerdote di
cambiare l’immagine di sé. […] L’uomo non
Apollo, a quello più alto e profondo per Enea:
cambia niente, perché dovrebbe cambiare
l’uomo sempre altrove e mai presente.
assume
diverse
forme,
da
quello
proprio se stesso, perché proprio l’immagine
di sé». (p.25)
In effetti, l’universo maschile non ha forme,
né parole, né un margine di confronto,
Ella rievoca così, a poche ore dalla sua sorte
poiché troppo impegnato alla violenza e alla
nefasta e inevitabile, il tramonto di Troia,
distruzione
attraverso un incessante fluire di ricordi e
diventato una prigione. In particolare, la sua
pensieri, che tinge di un rosso vermiglio
città, Troia, che viene presentata in un
anche la Germania, terra natìa della scrittrice.
equilibrio perfetto durante gli anni della
«La lingua del presente si è ridotta alle
parole per questa cupa fortezza. La lingua del
futuro ha in serbo per me questa sola frase:
oggi sarò colpita a morte». (p.18)
La sacerdotessa è l’unica superstite dello
splendore di Troia, città ormai distrutta. Sono
le parole dell’eroina, infatti, a farci da guida
nel nostro percorso a ritroso nel tempo, fra le
rovine della città e tra gli eroi e i miti. «Se
avevamo creduto che l’orrore non potesse
di un mondo
che è ormai
fanciullezza, è ora ricca di stravolgimenti: si
trova in bilico tra il prestigio di Priamo e
l’ostentata affermazione di Ecuba. È la città
dei ciechi, o meglio di color che non vogliono
vedere per comodità, ma che allo stesso
tempo sono controllati e puniti. È una città
passiva, compassionevole e ormai in rovina.
Destinata a perire e a soccombere. E con lei
la sua Cassandra, la quale a poche ore dalla
morte, emerge in una vera e propria elegia
con lamenti, invocazioni, paure, amore e odio
che è «gonfio e succoso». (p. 13)
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«Io, per la quale i nomi di principi, di re e di
si ribella dando vita ad una voce che le
città straniere, di merci con cui trafficavamo
attraversa il corpo spingendosi oltre il limite
o che trasportavamo attraverso l’Ellesponto
della follia. La sua è una voce profetica di
sulle nostre navi famose, le cifre delle entrate
sventure e di morte. Fin quando riesce,
e la discussione sul loro investimento si
scende a compromessi con la sua coscienza e
mescolarono per sempre al severo, pulito
infine non può che opporsi totalmente, costi
odore del padre – principi ormai caduti, città
quel che costi.
ridotte in miseria o distrutte, merci andate a
male o depredate: io sono stata, di tutti i
«Termino qui, impotente, e niente, niente di
suoi figli io, come il padre affermò, quella che
quello che avrei potuto fare o non fare,
ha tradito la nostra città e lui». (p.18)
volere o pensare, mi avrebbe condotto a una
meta diversa». (p.1)
«Tra uccidere e morire c’è una terza via:
vivere. Vivevano, dunque. Si conoscevano.
Senza di me». (p. 123). Cassandra lo sa
bene, soprattutto quando vive d’indolenza e
Contributo
Chiara de Stefano, IV A (L.C. Gioacchino da Fiore,
Rende)
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