SIMONE MARTINI – MAESTA`

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SIMONE MARTINI – MAESTA`
MICHELANGELO – INTRODUZIONE AL GENIO
(1475 Caprese (AR) – 1564 Roma)
Michelangelo è il punto, il momento in cui l’arte supera il proprio limite tecnico. Con il “non finito”
egli segna una svolta radicale: chiude il ciclo dell’arte Classica, di rappresentazione, che può
aspirare solo alla perfezione di questa, vedi Raffaello e apre la porta all’arte moderna, quella che
esprime invece gli “stati dell’esistenza.” (G.Argan) E Michelangelo è moderno, ancora adesso,
perché riesce a parlare a noi e a dire qualcosa di noi, dei problemi della vita, dello scorrere del tempo
inesorabile, della fine delle cose, della ricerca dell’anima e della salvezza spirituale, della solitudine
e delle contraddizioni dell’uomo, antico come contemporaneo, uomo in quanto essere umano.
Egli si disse scultore per vocazione, pittore senza voglia d’esserlo, architetto senza interessi
professionali, ed anche poeta, senza essere un letterato.
Diversamente da Leonardo che credeva nella superiorità della pittura (per indagare tutti i
fenomeni della natura) per Michelangelo era la Scultura la prima delle arti, perché si faceva per
via di levare, la pittura invece per via di porre. Via di levare significava distruggere la materia e
liberare lo spirito del soggetto che si voleva creare. E questo è anche metafora della sua concezione
della vita : la saggezza non arriva dall’accumulo di sapere ma dalla scoperta di non sapere.
Arrivando ad affermare addirittura di non essere pittore, non architetto e non scultore.
Inoltre per la scultura non a caso si dice creare e non raffigurare come in pittura: la scultura (solo
statuaria, poi) per lui non era una rappresentazione di qualcosa ma un altro oggetto, che doveva
vivere di vita propria, infusa dall’artista. E poi come il suo carattere, la scultura è radicale, difficile,
faticosa e implacabile: non ammette errori o pentimenti.
Certo egli tentò anche di unire le tre arti maggiori, e fare così un’opera d’arte totale, una specie di
polifonia delle arti, che forse avrebbe dovuto compiersi nella tomba di Giulio II da porre al centro
di San Pietro, e che invece non si compì, definitivamente, mai.
Nella Pittura, intrapresa quasi controvoglia, parte seguendo la lezione fiorentina, ovvero
scegliendo pochi colori puri > Tondo Doni e arriva all’opposto: i colori cangianti, che trapassano
dall’uno all’altro, come un corrispettivo del non-finito > Volta Cappella Sistina. Anche qui si scontra
con Leonardo: non gli interessa la prospettiva aerea che tutto avvolge e unifica ma la varietà degli
effetti di luce che modella le diverse figure e insistendo nello scorcio di cui era maestro (unione e
superamento illusorio dello spazio).
Infine in Architettura, dopo aver progettato con fini funzionali civili-politici giunge al noncominciato con opere che rimangono solo pensieri e gesti, e quindi modernissimo fermandosi
all’astrazione dell’idea che precede la realizzazione che rende questa in quanto derivata, secondaria,
obsoleta, già inutile.
Ma tornando alla scultura, egli è ossessionato dall’idea della morte come tema fondamentale
e paradossale della vita dell’uomo, l’enigma del dopo, del passaggio dalla fine a …che cosa? , tema
cresciuto man mano con Michelangelo, fino a quella misteriosa e drammatica rappresentazione della
morte vissuta, diremmo ora in gergo televisivo,” in diretta”, che è la >Pietà Rondanini, testamento
vitale in quanto scolpito fino alle ultime istanti di vita. Michelangelo è rivoluzionario anche nella sua
idea della morte, e non a caso negli ultimi anni si dedica soltanto al tema della pietà, del peccato e
della salvezza, della morte e resurrezione. Se è insopportabile l’idea della morte senza l’idea di un
possibile superamento, egli è il primo a pensare l’arte come continuo, non mai finito superamento
della morte.
Il suo carattere era tormentato, alla ricerca della salvezza spirituale, ma anche contradditorio, tanto
celebrato quanto solitario, generoso ma anche avaro, passionale e maliconico, irascibile e pietoso.