L`inserimento scolastico degli alunni migranti in

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L`inserimento scolastico degli alunni migranti in
L’inserimento scolastico degli alunni migranti in Italia
Appunti sul rapporto tra indicazioni centrali e pratiche locali
di
Arianna Santero
Paper for the Espanet Conference
“Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”
Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011
Scuola di Dottorato in Sociologia e Scienza Politica – indirizzo Sociologia
Dipartimento di Scienze Sociali - Università degli Studi di Torino
Via Sant’Ottavio 50 - 10124 Torino
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La ricerca sulle “seconde generazioni”1 in Europa è un fenomeno relativamente recente, sviluppato
a partire dagli anni Novanta (Crul, 2005), periodo caratterizzato dal consolidamento epistemologico
e metodologico della sociologia dell’istruzione e da un interesse prevalente verso due
problematiche: il nesso tra differenze e disuguaglianze, e l’istruzione come opportunità di mobilità
sociale (Besozzi, 2007).
In effetti gran parte degli studi condotti nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti per spiegare gli
effetti dello “svantaggio etnico”2 sui più generali meccanismi di riproduzione e mobilità sociale
iniziano con l’analisi dei processi attraverso cui l’origine sociale influenza esiti e transizioni nel
sistema scolastico, visti come fattori che condizionano la futura collocazione occupazionale di
individui e gruppi sociali (cfr. ad es. Lindemann e Sarr, 2011; Heat, Rothon e Kilpi, 2008;
Thompson e Crul, 2007).
Malgrado in Italia, come nel sud Europa, l’immigrazione sia un fenomeno relativamente recente,
cresce il numero dei migranti3 scolarizzati in Italia (cfr. rapporti Caritas Migrantes e Miur). La
1
Sull’appropriatezza del termine “seconde generazioni” come categoria sociologica si è molto discusso, con resistenze
anche da parte dei giovani migranti (cfr. Ambrosini, 2005; Comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006;
Chaloff e Queirolo Palmas, 2006; Ambrosini, 2011), qui è volto ad indicare i figli di almeno un genitore nato all’estero,
nati nel Paese di destinazione, secondo il noto approccio decimale proposto da Rumbaut. Con generazione 1.5 intenderò
i migranti arrivati dai 12 anni di età.
2
Il termine “etnia” nella letteratura anglosassone indica la provenienza nazionale o l’origine culturale e geografica.
Studiosi e studiose italiani hanno messo in luce il processo di costruzione sociale dell’etnicità dei migranti da parte della
società ricevente (Dal Lago, 2004; Queirolo Palmas, 2007), altri ritengono che la dizione possa essere impiegata,
proprio per intendere il processo di etichettamento da cui deriva, per sostituire il concetto di “razza”, il quale è basato su
una selezione di tratti fisici definiti culturalmente come salienti (ad es. Zanfrini, 2004), e va inteso anche alla luce dei
fenomeni di biologizzazione del sociale (v. Campani, 2003, sul contributo del Black feminism) e “gerarchizzazione
razziale” (Ambrosini, 2005, pp. 135-136). Un maturo filone di studi dell’antropologia culturale mostra che, sebbene il
concetto di “etnia” sia “finzione” in quanto “è stato fatto” (Fabietti, 1999, p. 60), esso possiede “una qualche realtà”,
pur non “coestensiva della nozione” (Id., p. 133), e ha effetti sulla strutturazione delle relazioni di potere tra gruppi
sociali con interessi diversi in interazione tra loro (Remotti, 1996; Aime, 2004 e 2006). Riflessioni utili emergono dalle
teorie del triplice svantaggio sulle migrazioni femminili (per una breve rassegna cfr. Santero, 2008). Dal punto di vista
dell’analisi sociologica, mi sembrano necessarie tre cautele, di natura metodologica, teorica e di divulgazione dei
risultati, nell’impiego del concetto di “etnia”. Innanzitutto, come sottolinea FitzGerald (2008), per aggregare
provenienze diverse occorre tenere conto dei fattori socio-economici alla base della caratterizzazione dei gruppi
nazionali e delle minoranze native, nonché del mutamento nel tempo della loro collocazione sociale relativa nel Paese
di riferimento, per non impiegare categorie troppo eterogenee al loro interno e quindi distorcenti. Dal punto di vista
teorico, inoltre, pur indagando le specificità legate all’origine nazionale o geografica, va evitato il ricorso al concetto di
etnia come “variabile rifugio”, a cui imputare tutta la varianza non spiegata da altri fattori, con la consapevolezza di
maneggiare una “tipica categoria sociologica” (cfr. Ambrosini, 2011) , senza reificare il concetto di etnia traendo
conclusioni generali a partire dall’analisi di singoli gruppi. Occorre quindi sforzarsi di guardare ai fenomeni sociali di
interesse, siano la criminalità, l’inserimento scolastico o altri, nel loro complesso, per individuare i meccanismi sociali
(per una rassegna cfr. Barbera, 2004) validi per la maggioranza e per i nativi. Infine, ultimo ma non meno importante,
data la responsabilità delle scienze sociali nella costruzione e legittimazione del discorso pubblico sulle relazioni “interetniche” e sulle migrazioni, nella divulgazione dei risultati di ricerca occorre tentare di prevenire l’errato utilizzo dei
dati evitando eccessivo schematismo, specie in Paesi, come l’Italia, in cui il rischio di semplificazioni, se non di vere e
proprie politiche securitarie (cfr. Sciarrone, 2006) è elevato.
3
Ricordo che il concetto di “migrante”, ampliando la definizione delle Nazioni Unite “una persona che si è spostata in
un Paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel Paese da più di un anno” (in Ambrosini 2005, p. 17),
può includere anche spostamenti più brevi o interni ai confini nazionali e, rispetto al termine “immigrato/a”, connesso
alla prospettiva del Paese ricevente i flussi migratori (Busoni, 2003), sottolinea la natura transitoria e bidirezionale della
2
distribuzione delle presenze non è omogenea sul territorio nazionale e nei diversi ordini di scuola:
più consistente nel Nord e meno nel Sud e nelle Isole, maggiore nella scuola primaria e ancora
ridotta nella secondaria di secondo grado. Si tratta tuttavia di una presenza strutturale, non solo nei
centri metropolitani ma frammentata anche in piccoli e medi comuni. Inoltre la varietà delle
provenienze è molto elevata (cfr. Fischer e Fischer, 2002), i gruppi nazionali più presenti variano da
un’area di inserimento all’altra, anche se recentemente sembra che i principali gruppi nazionali
stiano raggruppando una porzione maggiore del totale degli studenti immigrati. La disomogeneità
delle origini nazionali e della distribuzione territoriale, insieme alla grande rapidità del
cambiamento in atto, complicano la gestione dei processi di inserimento scolastico, per cui, rispetto
ai Paesi a più lunga tradizione migratoria nei quali l’arrivo degli immigrati a scuola è stato più
graduale, il modello italiano è stato definito “policentrico” e “diffuso” (Miur, 2003, p. 7). Per i
giovani migranti arrivati dall’estero la scuola rappresenta la prima – obbligatoria – misura di
integrazione e socializzazione alla lingua, alle norme, alla struttura sociale e alle competenze
richieste nella società ricevente. Vediamo come alcune ricerche hanno tentato di dare conto delle
diverse risposte istituzionali ai bisogno educativi degli alunni migranti4.
1. Dai tipi ideali alla ricerca-azione sulle “buone prassi”
Guardando all’organizzazione scolastica, il rapporto Eurydice (2004) ha identificato quattro modelli
di integrazione scolastica in Europa5: i) modello integrato, in cui i minori immigrati sono inseriti
nelle classi scolastiche ordinarie con i loro coetanei e le misure di supporto, in prevalenza
linguistiche, sono fornite individualmente durante l’orario curriculare, o, talvolta, ii)
extracurriculare; iii) modello separato transitorio che prevede la costituzione di classi separate per
gli alunni immigrati per un periodo di inserimento iniziale, e in parallelo la possibilità di assistere
mobilità spaziale, enfatizzata dal campo teorico del transnazionalismo (Wimmer e Glick Schiller, 2003; Portes,
Guarnizo e Halle, 2002; Cingolani, 2005).
4
Altri filoni di studio sull’inserimento scolastico dei migranti riguardano la riuscita scolastica, le scelte scolastiche
familiari, l’inserimento sociale e identitario delle seconde generazioni tra scuola ed extrascuola. Questo insieme di
ricerche si è maggiormente sviluppato rispetto a quello direttamente dedicato agli aspetti istituzionali, inclusi negli altri
approccio come variabili o fattori influenti.
5
La politica europea sull’educazione-istruzione dei minori stranieri può essere letta all’interno di un graduale processo
di sviluppo di una linea di azione comune sull’immigrazione e sull’asilo a partire dal Trattato di Amsterdam del 1999.
La direttiva del Consiglio del 25 luglio 1977 prevedeva, per i soli figli di lavoratori immigrati cittadini di Paesi membri,
accoglimento dei loro bisogni specifici e insegnamento di lingua e cultura dei Paesi d’origine. I Consigli europei da
Lisbona a Bruxelles sembrano esprimere progressivamente la volontà di garantire ai bambini immigrati gli stessi diritti
all’istruzione dei bambini cittadini degli Stati membri, quanto meno nel caso di regolari residenti di lungo periodo,
tuttavia rimangono disposizioni diverse in base allo status giuridico dei bambini: il diritto all’istruzione per gli irregolari
e le misure di sostegno per i bambini immigrati non sono sempre previsti, anche se mirano in quasi tutti gli stati ad
assicurare conoscenze linguistiche in L2 indipendentemente dallo status. Le normative in materia dei singoli stati si
sviluppano per la maggior parte tra la fine degli anni Novanta e gli inizi degli anni Duemila (Eurydice, 2004).
3
alle lezioni ordinarie con gli altri coetanei; iii) modello separato a lungo termine per cui sono
istituite classi speciali per uno o più anni scolastici in base alle competenze linguistiche in L2 degli
alunni.
All’interno di questi modelli, talvolta misti, i Paesi europei hanno sviluppato misure molto
eterogenee, riconducibili secondo il rapporto a tre gruppi di interventi: 1. sostegno linguistico; 2.
adattamento dei contenuti disciplinari, specialmente in relazione alle difficoltà linguistiche iniziali;
3. riduzione delle dimensioni delle classi scolastiche. Per attribuire fondi aggiuntivi, molti Paesi
richiedono caratteristiche rigidamente controllate, quali una determinata percentuale di allievi
stranieri sul totale per scuola, una determinata età di arrivo nel Paese di destinazione degli allievi
stranieri (Eurydice, 2004). Le misure per la valorizzazione e l’insegnamento della lingua e della
cultura d’origine dei migranti si realizzano decisamente in subordine rispetto alle prime tre misure
menzionate, in orari extrascolastici, brevi, facoltativi, sotto finanziati. Nonostante da tempo si
riconosce il ruolo positivo del plurilinguismo per l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo dei
bambini, in alcuni Paesi le iniziative sono addirittura diminuite (Eurydice, 2004; Fieri, 2007).
Per quanto utile, questa tipologia compilata dalla Commissione europea non verifica applicazione o
finanziamento delle misure dichiarate dai contributi nazionali, i quali possono sottointendere prassi
diverse e arbitrarietà nel grado di attuazione. Inoltre occorrerebbe leggere queste misure in relazione
alle norme sugli ingressi e sull’immigrazione in generale, nonché al sistema scolastico e alle
presenze dei migranti in esso. Ad esempio il fatto di fornire informazioni sul sistema scolastico in
lingua 1 può non essere particolarmente risolutivo in fasi di riorganizzazione del livello di
istruzione di interesse e quindi confusione e incertezza anche per le famiglie madrelingua del Paese
di residenza e per gli operatori educativi stessi attualmente per l’Italia6. Le pratiche ufficiali o
informali di adattamento della vita scolastica a culture diverse (menù, festività, abbigliamento)
sembrano le meno facili da monitorare (Eurydice, 2004).
Per cogliere meglio l’adattamento del sistema scolastico alla diversità culturale occorre quindi
guardare non solo agli aspetti organizzativi ma anche a quelli curricolari, didattici e pedagogici7.
Questo filone di studi, per quanto riguarda l’inserimento degli alunni stranieri si sviluppa grazie ai
contributi della storia dei sistemi scolastici, agli studi organizzativi sulla scuola, a quelli che si
6
Secondo quanto emerso dalle interviste a studenti migranti di scuola secondaria di II grado condotte a Torino
nell’ambito della tesi di Dottorato in Sociologia “Istruzione e inserimento sociale degli adolescenti migranti in
Piemonte: scelte e aspettative familiari pre- e post- diploma”, Università degli Studi di Torino, dottoranda Arianna
Santero, tutor Rocco Sciarrone, documentazione empirica attualmente in fase di analisi.
7
La teoria del curriculum riguarda non solo i contenuti dell’insegnamento, ma anche la visione pedagogica dei processi
educativi organizzati dalla scuola in modo esplicito e implicito (curriculum nascosto). Secondo questa tesi, il curriculum
scolastico è l’esito di un processo di istituzionalizzazione della trasmissione culturale volutamente selettivo,
determinato da giochi culturali, politici e sociali, e esprime non solo le pratiche istituzionali di organizzazione scolastica
e insegnamento, ma anche i principi che le ispirano o che dovrebbero ispirarli, in ottica prescrittiva-ideale (cfr. ad es.
Forquin, 1989; Schizzerotto e Barone, 2006).
4
concentrano sulla trasmissione dei saperi e i curricula e sul ruolo e gli atteggiamenti degli attori
sociali nella scuola (Besozzi, 2006 e 2007; Fischer, 2003 e 2007; Schizzerotto e Barone, 2006). La
differenza culturale sfida la legittimità dei criteri di selezione dei contenuti e dei modi
dell’istruzione formale, e a questa sfida sistemi scolastici diversi hanno storicamente risposto in
maniera differente. Gli studiosi sono pervenuti all’individuazione di alcune tipologie analitiche,
finalizzate a identificare le peculiarità nazionali (ad esempio assimilazione in Francia, segregazione
in Germania, melting pot negli U.S.A.), oppure le concezioni della società (v. Besozzi, 1999) o della
filosofia politica (ad es. Fischer e Fischer, 2002) alla base dei diversi curricula. Malgrado manchi
un accordo generale, con riferimento alla letteratura italiana è possibile individuare tre approcci
idealtipici, definiti nel corso degli anni Novanta: assimilazionismo, multiculturalismo e intercultura
(cfr. ad es. Martiniello, 1997; Besozzi, 1999; Giovannini, 1998; Fischer e Fischer 2002; Fischer
2003 e 2007; Della Zuanna et. al., 2009; Santagati, 2009)8.
I curricula assimilazionisti sono uniformanti e etnocentrici, finalizzati all’assorbimento delle
differenze, o alla loro negazione (Besozzi, 1998). I docenti che seguono questa impostazione
richiedono dunque agli alunni un adattamento unilaterale alla cultura maggioritaria, vivono la
diversità come un deficit, da rimuovere nell’interesse del bambino (Cuturi, 2003; Spagna, 2003)
tramite diverse forme di “educazione compensativa”, di solito poco efficaci (Fischer e Fischer,
2002). Tra i rischi di questa impostazione sono stati evidenziati: omologazione culturale (Besozzi,
1998), sradicamento identitario dei ragazzi (Gobbo, 2002 e 2003), abbandono e insuccesso per la
mancata condivisione degli obiettivi scolastici. A questo modello in passato è stato accostato il caso
francese, in cui la scuola pubblica, strumento di socializzazione allo Stato laico e all’identità
nazionale, ha scelto di escludere anche fisicamente, in nome di principi universalistici, elementi
simbolo della diversità culturale, rifiutandosi persino di rilevare la provenienza degli alunni, e in
questo modo rendendo difficile monitorare e nominare le diseguaglianze “etnica”. Le politiche in
questo contesto sembrerebbero formulate principalmente a livello nazionale e concentrate su
specifiche cause di disagio più che indirizzate ai migranti (Fieri, 2007). L’impatto delle “Zep”,
zones d’éducation prioritaires, è stato messo in relazione alla concentrazione scolastica degli allievi
meno avvantaggiati e alla loro stiigmatizzazione, anche in relazione alla politica che limitava la
scelta scolastica al quartiere di residenza (con conseguenti trasferimenti delle famiglie per
consentire l’iscrizione scolastica dei figli in istituti meno stigmatizzati). Le contraddizioni di questo
modello sono venute recentemente alla ribalta nell’opinione pubblica dopo le rivolte delle banlieue
parigine (Lagrange e Oberti, 2006).
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Il quadro sarà mosso in futuro dalle politiche di inserimento scolastico degli allievi immigrati nei Paesi dell’Est
Europa, che, come per il Sud Europa, saranno caratterizzati da flussi non più prevalentemente in uscita, ma anche in
entrata. Al momento, con qualche eccezione (cfr. Fieri, 2007), si tratta di situazioni poco studiate.
5
Il tipo ideale del curriculum multiculturalista prevederebbe invece tolleranza e compresenza di
diverse culture, e mantenimento da parte degli alunni di specificità valoriali e comportamentali, ma
solo nella sfera privata, in modo da non entrare in contraddizione con i riferimenti normativi
stabiliti dalla maggioranza (o dalla società di arrivo), ritenuti base comune e inviolabile della
convivenza a cui tutti devono aderire. Questa impostazione può portare a stereotipia o reificazione
delle differenze, occultando le disuguaglianze socio-economiche con spiegazioni culturaliste. Nel
caso tedesco, ad esempio, prima delle riforme della legge sulla cittadinanza del 2002 e
sull’immigrazione del 2004, il modello del lavoratore ospite si accompagnava a poche indicazioni
didattiche, classi differenziali e tendenza all’etnicizzazione dei problemi scolastici, malgrado la
grande differenza di approcci istituzionali sub nazionali (cfr. Fieri, 2007). Altri modelli
riconducibili a forme di pluralismo multiculturale, come quelli inglese e olandese, prevedevano
invece l’inserimento degli alunni stranieri nelle classi ordinarie, con eventuali corsi aggiuntivi.
Oltre che inclusivo, il modello interculturale è basato sullo scambio e sulla conoscenza di tutte le
forme culturali presenti a scuola, valorizza la diversità degli alunni e li coinvolge in un processo di
modificazione e adattamento delle proposte didattiche. La relazione educativa non è concepita come
trasmissione di conoscenze, ma come negoziazione e co-costruzione. Questa impostazione è stata
adottata come riferimento pedagogico dal sistema scolastico italiano, anche se, come vedremo, le
risorse per l’applicazione di questi principi sono frammentate e le pratiche educative si avvicinano
spesso ai primi due tipi ideali illustrati.
Inoltre in realtà la maggior parte dei Paesi europei tiene conto dell’approccio interculturale, come
apprendimento della diversità culturale come contrasto alla xenofobia, studio di questioni socioeconomiche internazionali, modo per favorire l’integrazione delle diversità culturali all’interno
dell’Unione (Eurydice, 2004).
In seguito all’Anno Europeo per il Dialogo Interculturale 2008, Eurydice (2009) ha sviluppato il
monitoraggio di due ambiti di policies per l’inserimento dei bambini immigrati a scuola: la
comunicazione scuola-famiglia (tramite pubblicazioni di informazioni plurilingue, interpreti e
mediatori) e l’insegnamento delle lingue madri dei bambini. Entrambi gli elementi sono
normalmente etichettati come pratiche interculturali. Mentre in alcuni Paesi questi ambiti sono
gestiti a livello nazionale o dalle autorità educative centrali, in Italia sono curate da Enti locali o
singoli istituti scolastici. Questo mostra che nonostante in Italia i proclama interculturali siano
inseriti da tempo nelle indicazioni nazionali, il sistema di erogazione di questi servizi rimane
decentrato. Le risorse di orientamento e accoglienza sono centralizzate, ma perché non si tratta di
6
personale esperto e qualificato, ma normalmente di docenti delle classi ordinarie9. Nel rapporto
della Commissione europea risulta inoltre che l’uso di interpreti e l’insegnamento delle lingue
materne dei migranti sia gestito in Italia centralmente, ma in realtà esistono principalmente
raccomandazioni, e spesso i corsi in L1 nascono da accordi bilaterali con i Paesi di origine degli
immigrati (ad esempio con i Ministeri dell’Istruzione oppure con i Consolati). Come nella gran
parte dei Paesi Europei, si tratta di occasioni formative di solito extracurricolari. Questo ha due
conseguenze: non garantire pari opportunità di partecipazione; non modificare il curriculum
scolastico in chiave plurilingue10. Tuttavia diversi piani strategici nazionali per l’istruzione nel
periodo 2007-2013 in Europa si fondano sulla diversità linguistica e culturale, anche in Paesi che in
letteratura non sono inseriti nei modelli “interculturali” (ad esempio: Germania, Estonia, Spagna,
Portogallo, Finlandia, Irlanda, Grecia, Lussemburgo, Slovenia). In generale le caratteristiche
immigratorie non sembrano correlate con le politiche plurilinguiste né paiono aiutare a formulare
modelli coerenti (Eurydice, 2009).
I tentativi di individuare modelli di inserimento dei migranti, non solo a scuola ma più in generale
nella società, attualmente hanno mostrato numerosi limiti, innanzitutto quello di non riuscire a
cogliere la complessità dei mutamenti in atto. Come è noto, con la nozione di “tipo ideale” in
sociologia si intende una costruzione concettuale ottenuta mediante l’accentuazione unilaterale di
una quantità di fenomeni (Weber, 1999 [1922]), per cui si tratta di uno strumento euristico, e
l’operazione di astrazione che lo genera, con Löwith, “non forza la realtà ma la costituisce”.
Tuttavia i modelli troppo generali rischiano di perdere di efficacia, per cui nel corso degli anni
Duemila la tendenza è stata problematizzarli, individuare obiettivi e dimensioni comuni, e renderli
con maggiori dettagli relativi alle situazioni sub-nazionali e locali. In questo modo i modelli
possono rimanere utili per definire il contesto istituzionale e fornire orientamenti per le politiche
(Zincone, 2009).
Con queste cautele, attualmente si evidenziano quindi elementi di convergenza tra i tipi ideali sopra
menzionati: in Europa l’attenzione politica si sposta dall’accesso al successo scolastico in
prospettiva interculturale. Inoltre si lega sempre di più la concessione della cittadinanza
all’acquisizione di competenze linguistiche e culturali (Zincone, 2009). Alcuni osservatori hanno
notato che i corsi di lingua e cultura del Paese di destinazione, nell’ottica dei Paesi riceventi, non
sono visti tanto come strumenti per conferire competenze che favoriscano un buon inserimento
9
Risorse in questo senso sono i docenti funzione-obiettivo (dal CCNL 1999), impiegati presso il Miur, e il personale
esterno alla scuola, tra cui mediatori e altri operatori normalmente assunti a livello locale.
10
Emerge anche che raramente le iniziative di plurilinguismo coinvolgono l’istruzione superiore, livello scolastico che
invece potrebbe favorire l’utilizzo di queste competenze anche in chiave lavorativa o per favorire la mobilità
internazionale degli studenti.
7
sociale e occupazionale dei migranti, ma piuttosto come strumenti per testare la lealtà degli
immigranti.
Gli stati riceventi tendono a chiedere di più ai nuovi arrivati, in termini di requisiti e prove di
integrazione, ricodificando la cittadinanza come una relazione contrattuale. Rispetto alla posizione
liberale, che vede la cittadinanza come un veicolo di integrazione, si torna almeno parzialmente verso una
concezione più conservatrice e restrittiva, della cittadinanza come premio all’integrazione (Ambrosini,
2011, p. 23)11.
Dall’altro lato si stanno attuando più diffusamente politiche di riconoscimento linguistico e si
sviluppano riflessioni sul contributo della scuola nel rapporto tra cittadinanza e educazione civica:
mentre per i nativi la scuola svolge un ruolo complementare alla famiglia, per i migranti
l’educazione alla convivenza civile assumerebbe una funzione di integrazione eminentemente
importante. Mentre le ricerche francesi mettono in luce il tentativo di recupero delle tradizioni per
tutti, di origine francese o meno, attraverso la scuola statale, in Gran Bretagna il focus è sul ruolo
della comunità locale come comunità educante sia per la maggioranza che per le minoranze.
Comparare la reazione istituzionale alla presenza dei migranti in diversi Paesi di arrivo presenta
notevoli difficoltà non solo pragmatiche, dovute alla mancanza di informazioni standardizzate sulle
politiche e sulle pratiche locali. Le ricerche devono tener conto di diverse tradizioni migratorie
nazionali, modalità di incorporazione dei migranti nelle società, caratteristiche dei sistemi educativi,
valorizzazione dei titoli educativi sul mercato del lavoro (Queirolo Palmas, 2005). Occorre inoltre
riconoscere le specificità per ogni gruppo nazionale di migranti tenendo conto delle disomogenee
classificazioni adottate dai Paesi di destinazione. Da un lato i sistemi educativi si differenziano
molto per grado di standardizzazione e stratificazione, dall’altro lato i flussi migratori hanno
caratteristiche e storie molto eterogenee: mentre in Italia la scelta della scuola secondaria di secondo
grado interessa prevalentemente migranti di prima generazione e mezzo, ad esempio, o in minor
misura quelli di seconda generazione, in Paesi a più lunga storia migratoria le scuole e le famiglie
stanno gestendo la transizione alla scuola secondaria di migranti di terza o quarta generazione, ed
assume rilevanza il passaggio all’università.
Gli studi quindi si concentrano sul come i singoli interventi di policies educativa nazionale e locale
plasmino l’ambiente istituzionale e interagiscano con la normativa sulle migrazioni in un contesto
di confronto internazionale sempre più esplicito (Chaloff e Queirolo Palmas, 2006; Queirolo
Palmas, 2006; Cobalti, 2007; Luciano, Demartini e Ricucci, 2009).
11
Il D.M. del 4 giugno 2010 sul permesso di soggiorno a punti, criticato da docenti, Università e alcune Regioni, tende
a ribaltare quest’ottica anche per le migrazioni temporanee (cfr. Zincone, 2010).
8
Le iniziative della Commissione europea per l’Educazione interculturale in questo senso risalgono
al 1992. Tra le attività con possibile ricaduta nella prassi didattica cito quella della progettazione e
realizzazione di esperienze e strumenti di educazione interculturale definite, non solo teoricamente
ma anche operativamente, in cooordinamento internazionale (cfr. Comenius, 2000).
Anche in Paesi a recente immigrazione come l’Italia si stanno inoltre moltiplicando le esperienze di
ricerca-azione, che, con il sostegno di Osservatori e centri di ricerca, preparano supporti alle attività
di progettazione e monitoraggio in prospettiva interculturale (cfr. ad es. Colombo e Santagati, 2011;
Colussi, 2010; Besozzi, Colombo e Santagati, 2010; Orim, 2009). Per quanto riguarda l’Italia,
tuttavia, è ancora da costruire un sistema centrale di valutazione dell’impatto delle politiche
pubbliche e delle pratiche educative, sia in generale che nello specifico per l’inserimento degli
alunni immigrati12. È possibile identificare un “modello italiano” di integrazione scolastica? Esiste
una discrepanza tra orientamenti e pratiche? Quale livello di intervento appare più aperto
all’innovazione? Proviamo a rispondere a queste domande guardando a tre livelli di intervento:
nazionale, locale e scolastico (cfr. Caponio e Borkert, 2010).
2. In cerca di un modello italiano
La scuola statale italiana ha storicamente dovuto gestire la diversità culturale (cfr. ad esempio
Gobbo, 2002; Dutto, 2000; Giovannini, 1998; Bonifazi, 1998), sia per effetto delle migrazioni
interne, sia per la presenza di minoranze linguistiche, sia per l'eterogeneità di dialetti e culture che
ha caratterizzato la penisola prima e dopo l'Unità, peraltro recentissima rispetto ad altri Paesi
ricettori di flussi immigratori.
Fino al termine degli anni Settanta, tuttavia, il problema della diversità culturale a scuola è assente
dalle politiche educative. Proprio per il suo compito costitutivo della giovane identità e cultura
nazionale, quella italiana rimane ufficialmente una scuola monolingue, poco incline a tenere conto
dell’eterogeneità culturale nei programmi istituzionali13. Nel corso degli anni Ottanta il concetto di
educazione multiculturale viene finalmente impiegato per fare riferimento alle minoranze storiche e
alle loro esigenze linguistiche (Dutto, 2000). Bisognerà attendere il 1989 per vedere riformulata la
legislazione degli anni Venti (Regio decreto n. 653 del 4 maggio 1925 sull’inserimento nella scuola
12
Anche se esistono eccezioni (cfr. Battistin, Covizzi e Schizzerotto, 2010) si veda ad esempio il dibattito
sull’allargamento dell’applicazione dei test INVALSI. Nello specifico per le politiche scolastiche per gli immigrati,
tuttavia, anche a livello europeo c’è poca attenzione per la valutazione (Eurydice, 2004).
13
Anche se, di fatto, specialmente nelle aree rurali, gli insegnanti di scuola elementare fino ad anni recenti utilizzavano
anche il dialetto.
9
italiana dei giovani provenienti dall’estero). Proprio in quell’anno viene istituita la prima
Commissione per l’educazione interculturale del Ministero della pubblica istruzione14.
L’articolo 36 della Legge 40 del 1998, recependo molti contenuti delle precedenti circolari
ministeriali su iscrizione e vita scolastica degli alunni stranieri, prevede:
-
obbligo scolastico e pari opportunità di istruzione per tutti i minori stranieri;
-
educazione interculturale come fondamento pedagogico dell’organizzazione scolastica e
della didattica;
-
mediazione qualificata e interculturale;
-
costruzione di reti interistituzionali per favorire il diritto allo studio degli studenti stranieri.
I testi più recenti di riferimento sono la C.M. 24/2006, Linee guida per l’accoglienza e
l’integrazione degli alunni stranieri (Miur, 2006) e il documento del neo-istituito Osservatorio
nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale: La via italiana
per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (Miur, 2007). Questi ribadiscono
l’adesione all’approccio pedagogico interculturale, il diritto all’istruzione per tutti, l’importanza
della programmazione di corsi di italiano come L2 e dell’orientamento alle famiglie con attenzione
alle differenze linguistiche, l’impiego di mediatori e interpreti, la formazione del personale a scuola
(ad es. D.M. 45/2005), la valutazione formativa15; pluralismo nella costruzione di biblioteche e
materiali didattici. I principi che guidano l’inserimento dei migranti in Italia sono universalismo,
scuola comune, centralità della persona in relazione con l’altro, intercultura. Le tre macro-aree di
intervento sono le seguenti: 1. integrazione (accoglienza e inserimento, apprendimento dell’italiano
come seconda lingua, valorizzazione del plurilinguismo, relazioni con le famiglie, orientamento); 2.
interazione interculturale (relazioni a scuola e nell’extrascuola, discriminazioni e pregiudizi,
prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze); 3. attori e risorse (dirigenza, autonomia,
reti tra istituzioni scolastiche, società civile e territorio, formazione di personale docente e non
docente).
Il tentativo centrale di individuare un modello italiano si scontra con una situazione ancora molto
dinamica, non solo dal punto di vista migratorio, ma anche delle politiche dell’istruzione,
caratterizzate da una fase di grande trasformazione e razionalizzazione delle risorse. Vediamo
14
In Portogallo fu creato nel 1991 all’interno del Ministero dell’Educazione il Secretariado Coordenador dos
Programas de Educação Intercultural. In Spagna nella Ley Organica 1/1990 di Ordenamiento General del Sistema
Educativo (Logse) si menziona il rispetto per il pluralismo linguistico e culturale ma i principi dell’educazione
interculturale comparvero la prima volta nel Real Decreto 299/1996. In Svezia invece la dizione fu utilizzata la prima
volta nei documenti ufficiali dieci anni prima, quando nel 1986 il Parlamento stabilì che dovesse trattarsi di un
approccio da adottare in tutti i tipi di scuola, su proposta della Commissione governativa per il Linguaggio e l’eredità
culturale (Comenius, 2000).
15
L’adattamento dei programmi per i migranti previsto dal DPR 394/1999 art. 45, comma 4, secondo la C.M. 24/2006 è
riferibile anche alla valutazione, in relazione alle Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati e al più
generale passaggio, dall’epoca della L. 517/1977, a una valutazione non più certificativa ma regolativa.
10
quindi come procedono dalla fine degli anni Ottanta le indicazioni rispetto alle seguenti questioni,
cercando di evidenziare il livello di politiche di maggiore interesse: ammissione a scuola;
assegnazione alla classe; integrazione linguistica; tutela dell’identità culturale del minore;
educazione interculturale; politiche per l'integrazione e risorse istituzionali.
2.1.
Ammissione a scuola
L’istruzione in Italia è un diritto/dovere per tutti, indipendentemente dalla regolarità del soggiorno
dei genitori (C.M. 400/1991)16. Diversi studiosi hanno segnalato in passato la frattura tra politiche
educative e legislazione sugli ingressi: all’istituzione scolastica spetta quindi il compito di
collegare, oltre che genitori e figli, situazioni di regolarità e irregolarità, sentimenti di accoglienza a
reazioni di chiusura.
Negli ultimi anni alcune misure e proposte sono state lette come passi indietro: portando il dibattito
politico nazionale dal successo scolastico, all’accesso all’istruzione. Tra queste, la mozione Cota
sulle “classi ponte”, molto criticata, modificata, e infine non adottata. Un altro passo in questa
direzione è stato introdotto dalla legge 94/2009 che modificando il TU sull’immigrazione stabilisce
l’obbligo17 per lo straniero di esibire il permesso di soggiorno per richiedere alla Pubblica
amministrazione “licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello
straniero comunque denominati”, fatto salvo, tra l’altro, alle prestazioni scolastiche obbligatorie. A
questa modifica si accompagnano con la legge 94/2009 l’introduzione del reato di ingresso e
soggiorno illegale (art. 10-bis TU 286/98) e dell’obbligo per il pubblico ufficiale e per l’incaricato
di pubblico servizio di denunciare le notizie di reato (art. 331 c.p.p.). Tuttavia per l’Asgi (2009)
l’accezione di prestazioni scolastiche obbligatorie può essere ampliata a includere, nella logica del
diritto all’istruzione garantito da Costituzione italiana, Convenzione internazionale di New York sui
diritti del fanciullo, la Legge delega 53/2003 e il D.M. 139/2007, anche la scuola dell’infanzia e la
scuola secondaria di II grado fino alla maggiore età18. Inoltre il personale scolastico non sarebbe
tenuto a richiedere documenti comprovanti la regolarità del soggiorno, e l’obbligo di denuncia di
fatto non si concretizza se non in caso di certezza del reato di soggiorno illegale, difficilmente
valutabile da parte di PU e inoltre potenzialmente lesivo del diritto di istruzione del minore. Anche
la nota ministeriale dell’8 maggio 2009 sull’esibizione del codice fiscale all’esame di maturità
16
Secondo il decreto presidenziale 394/1999 “i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto
all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi
previsti dai cittadini italiani” (art. 45, co. 1) e “l’iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli
conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine a grado”.
17
Obbligo poi parzialmente attenuato da successive circolari interpretative.
18
Per gli studenti di origini straniere maggiorenni diventa importante la questione della naturalizzazione, che sembra
pensata per un’Italia più Paese di emigrazione che di immigrazione (cfr. Zincone, 2006). I nessi tra (non) acquisizione
della cittadinanza e riuscita scolastica sarebbero da indagare ulteriormente.
11
dell’attuale Ministro dell’istruzione Gelmini è stata letta dall’opposizione e dalle confederazioni
sindacali come possibile fonte di discriminazione per gli studenti irregolari, nonostante le
rassicurazioni sulla funzione meramente conoscitiva della disposizione, legata all’Anagrafica degli
studenti e alla lotta alla dispersione scolastica, e sulle possibilità di essere ammessi all’esame anche
senza codice fiscale. Il presunto esito discriminatorio della misura è stato definito dal Ministro “la
solita montatura della sinistra”.
La messa in discussione del diritto all’istruzione per gli irregolari sembra quindi piuttosto retorica,
effettivamente legata a posizioni ideologiche. Di fatto secondo le indicazioni centrali l’iscrizione
rimane obbligatoria in qualunque momento dell’anno19. Esistono però strategie di ri-orientamento, o
rifiuto dell’iscrizione, attuate dalle singole scuole, strategie che potrebbero risultare con-cause del
ritardo scolastico che caratterizza gravemente i percorsi degli allievi immigrati in Italia, in
particolare di generazione 1.520. Con le leggi sull’autonomia scolastica (L. 59/1997) e il
decentramento amministrativo (L. 267/2000) è aumentata la discrezionalità degli istituti scolastici in
termini di innovazione e pratiche didattiche, per cui le procedure di (non) iscrizione degli allievi
stranieri possono differenziarsi notevolmente. La concentrazione degli allievi stranieri in alcune
scuole o aree, ad esempio, è stata rilevata a Bologna (Comune di Bologna, Osservatorio sulle
Differenze, 2006), Milano (www.orimregionelombardia.it) e Torino (Comitato Oltre il Razzismo,
2006; Luciano, Demartini e Ricucci, 2009). Esistono processi di rifiuto di iscrizione per implicite
strategie di chiusura, selezione delle categorie di stranieri “accettabili” o delega ad altre scuole
(Luciano, Demartini e Ricucci, 2009). I meccanismi meso-istituzionali che li provocano sono
ampiamente sotto indagati in Italia, così come il loro legame con la percezione (reale o meno) da
parte degli operatori scolastici di processi di concentrazione “etnica” degli utenti o white-flight.
2.2.
Assegnazione alla classe
Una differenza con l’Europa del nord è costituita dalla scelta di non istituire “classi speciali”21.
Questa decisione si può collegare agli orientamenti più generali che negli anni Settanta dettarono
l’abolizione di classi differenziali e scuole speciali per alunni in difficoltà o con handicap (Dutto,
2000, pp. 247-248). La CM 205/1990 consigliava di raggruppare gli alunni per gruppo linguistico, e
procedere per raggruppamenti transitori in base alle esigenze, ma sempre all’interno delle scuole e
delle classi con tutti gli altri allievi nativi.
19
Rispetto ai servizi educativi prescolastici a gestione locali che hanno proposto di permettere l’iscrizione ai soli figli di
immigrati regolari (o italiani), con riferimento alla cronica carenza di posti e al presunto tentativo di incarnare la volontà
delle famiglie italiane, la reazione del centro è stata sanzionatoria.
20
Materiale empirico tesi di Dottorato, cit..
21
Una esplicitazione di questo principio è rappresentata dal veto posto all’iniziativa del liceo Agnesi di Milano di
istituire una sezione per soli musulmani, raccontato dai quotidiani a partire dal 13 luglio 2004.
12
Su questo punto, un’innovazione è rappresentata dalla circolare sull’istituzione del limite del 30%
di allievi stranieri per classe (C.M. 2/2010). Gli esiti sono ancora in gran parte da verificare. La
circolare sembra avere colto esigenze espresse anche dal mondo della scuola. La circolare
sottolinea, oltre alle ragioni organizzative dell’istituzione della soglia, una visione degli immigrati
in classe come fonte di “disagio”, “difficoltà”, “aspetti problematici e criticità di non facile gestione
e soluzione, che incidono negativamente sull’efficacia dei servizi scolastici e sugli esiti formativi”,
mentre in precedenza l’approccio interculturale, sempre a livello di retorica, aveva valorizzato la
funzione dei migranti come stimolo all’innovazione didattica e pedagogica per tutti gli alunni. Si
può leggere quindi nella circolare un rovesciamento dell’approccio: non è l’istituzione scolastica e
la sua organizzazione a determinare gli insuccessi scolastici dei migranti, ma sono gli alunni
stranieri portatori di insuccesso all’organizzazione scolastica. La gradualità dell’entrata in vigore
della circolare, le possibilità di modificare il limite secondo le valutazioni del Direttore generale
dell’Usr, la richiesta di evitare “ogni rigidità burocratica” nell’applicazione, in relazione a Paese di
nascita e competenze linguistiche dei bambini stranieri da inserire nel computo, alle strutture
professionali e alle “consolidate esperienze attivate da singole istituzioni scolastiche”, a cui si
aggiungono “ragioni di continuità didattica” e “stati di necessità provocati dall’oggettiva assenza di
soluzioni alternative”, rendono al momento difficilmente interpretabili i primi esiti dell’intervento,
ma fanno presumere un certo margine di negoziazione a livello locale tramite deroghe e
applicazioni parziali. Molto dipenderà da come si organizzeranno le strutture di coordinamento
previste (scuole polo, task force regionale, gruppo nazionale di lavoro). La circolare ribadisce
comunque in nota l’adesione al progetto interculturale e il maggior impegno nello studio mostrato
in taluni casi dagli studenti migranti.
2.3.
Integrazione linguistica
Su questo il centro invita da tempo a coordinarsi con associazioni e enti locali (Miur, 2007). Il DPR
89/2009 prevede anche che le due ore settimanali per l’insegnamento della seconda lingua
comunitaria nella scuola secondaria di I grado possano essere impiegate a determinate condizioni
“anche per potenziare l’insegnamento della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso
delle necessarie conoscenze e competenze nella medesima lingua italiana”. Tuttavia l’ammontare di
queste ore nella secondaria è diminuito per effetto delle ultime razionalizzazioni. La C.M. 2/2010
invita alla collaborazione con il territorio per indirizzare gli studenti verso occasioni informali ed
extrascolastiche di apprendimento della L2. Per verificare l’applicazione di queste misure dunque
sembra più opportuno guardare al livello locale.
13
2.4.
Tutela dell’identità culturale del minore
Anche se si raccomanda un ripensamento dell’offerta formativa relativa alle lingue non italiane
nell’ottica di conferire maggiore attenzione nel curriculum ordinario alle lingue madri dei residenti
in Italia (Miur, 2007), su questa dimensione di intervento sembrano più attivi gli operatori locali
che, come precedentemente accennato, uniscono una logica mista di finanziamento attraverso
accordi bilaterali e nazionali. Peraltro ancora prima dell’utilizzo del termine “intercultura” spettava
alle Regioni l’organizzazione di “appositi corsi di lingua e cultura italiana al fine di favorire
l’integrazione nella comunità italiana dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie” (L.
943/1986).
2.5.
Formazione degli insegnanti e dei dirigenti
Malgrado le raccomandazioni del Ministero (2007) in Italia non è prevista formazione iniziale
specifica obbligatoria (a parte i corsi di pedagogia interculturale presso le lauree in scienze della
formazione primaria e le SISS, oggi chiuse e forse riorganizzate in Tirocini formativi abilitanti, la
cui struttura non è ancora nota) e l’unico personale responsabile del sostegno di solito è l’insegnante
di classe. Neanche la formazione in servizio specifica è obbligatoria22. Secondo la C.M. 205/1990
gli organismi decentrati del Ministero dell’istruzione dovrebbero sostenere la formazione in servizio
dei docenti con il fine di predisporre “competenze e strumenti idonei in grado di favorire
l’inserimento di soggetti, culture, problematiche interculturali nel sistema educativo”. Inoltre
dovrebbero sostenere esperienze di formazione integrate con il territorio e le sue istituzioni, in
particolare con Regioni e Università. Questi concetti sono ribaditi dalla C.M. 73/1994, secondo cui
tra i contenuti della formazione per i docenti vanno incluse competenze metodologiche nella
gestione di classi multietniche e di insegnamento dell’italiano come L2, ma anche elementi relativi
al contesto istituzionale per favorire l’interazione con le famiglie e con gli Enti territoriali.
2.6.
Educazione interculturale
In sintesi, dalla normativa si evince un passaggio dell’attenzione dalla dimensione linguistica, con
l’obiettivo prioritario di garantire l’apprendimento della lingua italiana e, in subordine, di
valorizzare la lingua e la cultura d’origine (CM 8 settembre 1989, n. 301 “Inserimento degli
stranieri nella scuola dell’obbligo. Promozione e coordinamento delle iniziative per l’esercizio del
diritto allo studio”), all’obiettivo di coinvolgere alunni italiani e migranti in un approccio
22
A differenza che in gran parte degli altri Paesi europei dove prevale il ruolo di insegnanti di sostegno, assistenti di
classe, mentori o insegnanti qualificati sulla seconda lingua o sull’inclusione degli allievi stranieri (Eurydice, 2004).
14
pedagogico volto all’interazione tra le differenze23. Il Miur (2007) raccomanda di uscire dal
folklorico e di adottare una prospettiva interculturale in senso transdisciplinare e poi in particolare
nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza.
Le circolari e le indicazioni ministeriali su questo punto naturalmente vanno intesi alla luce dei più
generali programmi scolastici per la scuola primaria e secondaria e degli orientamenti per le scuole
dell’infanzia.
Besozzi e colleghe (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011) adottano l’approccio del “multiculturalismo
quotidiano” (Colombo e Semi, 2007) per studiare l’aspetto processuale del trattamento di differenze
e diversità nelle interazioni tra insegnanti, genitori, operatori e adolescenti italiani e stranieri nel
sistema di istruzione e formazione della Lombardia. Lo scopo della ricerca è sviluppare un indice di
integrazione scolastico, partendo dall’ipotesi che “un clima favorevole allo scambio nelle relazioni
iter-etniche sia positivamente correlato a un più alto grado di integrazione dei giovani stranieri e a
una maggiore soddisfazione complessiva degli utenti, sia autoctoni che immigrati” (Besozzi,
Colombo e Rinaldi, 2011, p. 122). Dal censimento delle attività interculturali in Lombardia emerge,
tra l’altro, una separazione “tra il modello di integrazione costruito all’interno delle realtà
scolastiche e formative, centrato sul riconoscimento, sul rispetto, sulla conoscenza e sulla
collaborazione e i modelli diffusi nella realtà sociale esterna, tendenzialmente segreganti e
omologanti” (Id., pp. 126-127). Tra i fattori che ostacolano l’adeguamento dei curricula e la
progettazione innovativa e di qualità in chiave interculturale, oppure che aumentano stress, senso di
ansia e inadeguatezza, stanchezza degli operatori del settore nelle realtà scolastiche più impegnate,
le studiose individuano:
- temporanea mancanza di leadership, dovuta a trasferimento di personale con elevato know how in
materia;
- mancanza di un indirizzo programmatico condiviso dalla maggioranza (almeno) dei docenti;
- conflittualità interne, anche di tipo ideologico, che trovano nell’accoglienza dei migranti un terreno
“sensibile” di esplicitazione e di scontro, rafforzando l’idea che è meglio non agire, piuttosto che
“prendere posizione”, o “dare fastidio”;
- difficoltà a commisurare gli impegni – a volte straordinari – ai risultati, soprattutto per i docenti e il
personale a contatto con l’utenza;
- scarso riconoscimento economico degli sforzi, non solo di quelli diretti agli allievi stranieri, ma anche (e
soprattutto) quelli di coordinamento, progettazione, valutazione, ecc.;
- debolezza ed eccessiva informalità delle intese con gli enti del territorio, con aggravio di responsabilità
sulle spalle del personale scolastico, ecc. (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011, p. 134).
A questi elementi aggiungerei l’opposizione talvolta espressa da parte degli utenti italiani verso
progetti “per stranieri” (Santero, 2008), problematica che sarebbe interessante studiare più
23
CM 22 luglio 1990, n. 205 “La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri. L’educazione interculturale”; pronuncia del
CNPI su “L’educazione interculturale nella scuola” del 23 aprile 1992 e su “Educazione civica, democrazia e diritti
umani” del 23 febbraio 1995; la CM del 2 marzo 1994, n. 73 “Proposte e iniziative per l’educazione interculturale”, la
DM del 8 febbraio 1996, n. 58, “Ruolo dell’educazione e della scuola nella società odierna”.
15
approfonditamente in relazione ai processi di policy making locale e alla contrazione della spesa
pubblica in istruzione.
2.7.
Politiche per l'integrazione e risorse istituzionali
Il Miur (2007) nota che molti istituti scolastici si sono attivati cogliendo le opportunità
dell’autonomia con responsabilità, ma avverte il rischio di una “localizzazione dei diritti” e
raccomanda di puntare alla sistematizzazione delle esperienze in corso anche tramite reti di scuole,
nella consapevolezza che l’integrazione scolastica è solo parte di processi più generali di
inclusione24.
A livello centrale, sono state fondate diverse agenzie di coordinamento. Nel 1999 è stata istituita la
Commissione nazionale per l’educazione interculturale, nel 2004 l’Ufficio per l’integrazione degli
alunni stranieri presso il Miur, Direzione generale dello studente, e nel 2006 l’Osservatorio
nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale. Tuttavia anche
processo non è stato lineare. Le nomine all’Osservatorio nazionale per esempio con il cambio di
governo hanno subito una battuta d’arresto dall’aprile 2008 (Gruppo CRC, 2009). Il Gruppo nota
anche l’azzeramento tramite D.l. 93/2008 del Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati istituito
presso il Ministero della Solidarietà Sociale che avrebbe finanziato progetti su inserimento a scuola,
orientamento e relazioni scuola-famiglia per un totale di 2.600.000 euro (art. 1, co. 1267, Legge
finanziaria 2007). Non sono stati stanziati finanziamenti simili negli anni a venire25. Anche le
risorse da aggiungere ai fondi ordinari per l’autonomia che provenivano dalle Regioni per istituti in
aree a forte flusso immigratorio sono diminuiti (Santagati, 2009).
2.8.
Dalle risorse normative alle pratiche
Le indicazioni del Miur (2006) esortano a utilizzare la normativa come risorsa. Da tempo gli
osservatori hanno segnalato il rischio di una politica interculturale solo simbolica, per mancaza di
mezzi e coordinamento centrale, notando che
il Ministero ha offerto alla scuola compendi efficaci delle esortazioni internazionali e della ricerca
educativa, ma, nella sostanza, ha lasciato gli insegnanti nella condizione di doversi soprattutto
arrangiare da sé, appoggiandosi agli Irrsae, agli enti locali, alle risorse della società civile ( Fischer e
Fischer, 2002, p. 33).
24
In proposito va notato che Paesi nei quali risulta relativamente buona l’integrazione scolastica degli immigrati nei
livelli di studio superiori possono risultare più problematici i processi di inserimento nel mercato del lavoro, come in
Francia, e viceversa in altri Paesi dove la selezione precoce dell’indirizzo di studi tendenzialmente orienta gli immigrati
verso percorsi professionali, i tassi di occupazione sono più elevati (cfr. progetti internazionali TIES e EFFNATIS).
25
Anche i fondi destinati al Piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio
educativi per la prima infanzia (446 milioni nel triennio 2007-2009) dal 2010 non sono più stati stanziati, e si è ridotto
notevolmente il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (art. 19, co. 3 D.L. 223/2006: 64,4 milioni
nel 2008, 30 nel 2009, 3,3 nel 2010 e 2,2 nel 2011).
16
Le indicazioni didattiche prodotte, comunque, sono molto ricche.
Protocolli di accoglienza, progetti specifici, risorse materiali e umane utilizzate per garantire
l’accesso e sostenere la riuscita scolastica degli allievi stranieri vengono sempre più spesso indicate
nei Piani dell’Offerta Formativa degli istituti scolastici della penisola. Anche nelle realtà con più
esperienza come il Piemonte, gli operatori e i funzionali locali del Miur rilevano differenze tra i
livelli di scuola:
-
scuola dell’infanzia sempre molto attiva didatticamente e fortemente legata al territorio
scuola elementare con grossa esperienza nell’accoglienza ed alfabetizzazione, sta impegnandosi nella ricerca di
percorsi disciplinari nella lingua italiana come L2 per le classi
scuola media in forte disagio per mancanza di risorse e personale e per difficoltà organizzative; impegnata in
percorsi di alfabetizzazione e studio
scuola superiore, impegnata in percorsi di alfabetizzazione e studio, ha le stesse difficoltà, ma accentuate da
aspetti connessi all’apprendimento disciplinare e alla valutazione sia del curriculo che degli apprendimenti
(Garosci, in Osservatorio interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, 2004, p. 266)
Gli interventi su due modelli, nel Sud, “tutto interno all’apparato scolastico”; nel Centro – Nord,
promosso da enti locali e associazionismo, individuati nei primi anni Duemila (Fischer e Fischer,
2002, p. 32), sembrano negli ultimi tempi lasciare il posto a un sistema misto di coordinamento tra
pubblico, privato sociale e terzo settore. Se negli anni Novanta, per Dutto (2000, p. 245) “le
istituzioni reagiscono ma non agiscono, mentre le risposte autentiche arrivano dalla società
civile”26, più recentemente l’attivazione delle politiche a livello nazionale e locale sembra più
consistente.
Gli studi che guardano alla dimensione istituzionale della ricezione scolastica degli allievi migranti
in Italia hanno sottolineano lo scarto tra indicazioni interculturali accurate e indicazioni applicative
e risorse finanziarie mancanti dall’alto, e la preminenza della dimensione volontaristica
nell’attivazione di proposte inclusive dal basso. Questa letteratura potrebbe arricchirsi includento
studi mirati sul ruolo di mediazione degli Enti locali (Comune, Regione, Provincia), in ottica topdown, e sulle strategie di (non) adeguamento alla normativa o di attivazione di policies da parte di
insegnanti e operatori, in ottica botton-up. Esistono alcuni lavori interessanti in questo senso che
ricostruistono la peculiarità di alcuni contesti urbani, ad esempio su Torino (Demartini et al.,
2008)27 oppure la realizzazione di interventi specifici a livello sub-regionale, come per esempio la
mediazione interculturale in Liguria (Lagomarsino e Torre, 2009). Anche l’interessantissimo
26
Peraltro in quegli anni anche la normativa sull’immigrazione in generale non sembrava dar forma a un modello chiaro
di gestione dei flussi di ingresso e dei processi di integrazione, ma faceva piuttosto pensare a “un atteggiamento
sostanzialmente dilatorio, teso più a governare le tensioni del momento che non a operare interventi di maggior respiro
[…] sviluppato in questi anni quasi spontaneamente, ricercando un punto di equilibrio tra le diverse spinte, interne e
esterne, più che come sintesi di un autonomo e maturo percorso di decisione politica” (Bonifazi, 1998, p. 204).
27
Dall’analisi delle procedure e degli interventi emergono tratti tipici di Torino: associazionismo, esperienza maturata
dalle insegnanti con le migrazioni interne, anche se non sempre implementata, imprenditività e interattività, anche se
con difficoltà di coordinamenti strutturali e diffusi. A questi elementi aggiungerei attivismo progettuale, cioè volto a
realizzare una solida cultura di progetto, legami stretti tra gli operatori che favoriscono passaggio di informazioni,
innovazione e qualità, importanza di finanziamenti privati, ad esempio da Fondazioni bancarie.
17
censimento delle “buone pratiche interculturali” in Lombardia, il quale ha il merito, oltre che di
essere l’unico disponibile in Italia, di non conteggiare semplicemente tutte le pratiche, come spesso
avviene28, ma inserire effettivamente pratiche “buone” secondo criteri che valutano il profilo della
qualità e dell’innovazione, non è volto espressamente a indagare il processo attraverso cui il
contesto istituzionale nazionale e quello micro-scolastico è plasmato dal livello locale.
3. Alcune riflessioni sul ruolo delle politiche locali in Piemonte
In Piemonte e a Torino l’attività istituzionale di inserimento scolastico dei migranti è storicamente
mediata dall’U.T.S. (Unità territoriale dei servizi) per l’inserimento degli allievi stranieri,
originariamente C.I.D.S.S., preposto alla formazione dei Docenti e alla documentazione e
diffusione di informazioni sull’inserimento Scolastico degli allievi stranieri, in collaborazione con il
Gruppo Regionale Intercultura per l’inserimento scolastico degli allievi stranieri nelle otto province
del Piemonte (attività documentate in Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri della Provincia
di Torino, 2003 e anni seguenti).
Da tempo è stata citata la rilevanza di questi centri polivalenti29 per strutturare reti di collaborazione
che si originano informalmente tra gli operatori (ad es. Dutto, 2000). Dal 2002 al 2009 le attività
coordinate e monitorate da questo organo interistituzionale sono state finanziate, con il
coordinamento dell’Usr, Ufficio Scolastico Regionale (ex Provveditorato agli Studi) del Piemonte,
da diversi soggetti: non solo il Miur, a livello centrale, ma anche l’Usr Piemonte, il Csa di Torino
(Centro Servizi Amministrativi), la Regione Piemonte (Assessorato alle Politiche Sociali), la
Provincia di Torino e il Comune di Torino (Id.). Esse riguardano i seguenti ambiti: i) analisi delle
presente degli allievi e dei bisogni formativi dei docenti della scuola dell’obbligo; ii) coordinamento
dei referenti provinciali presso l’Usr per la realizzazione dei progetti didattici e formativi, iii)
costruzione di materiale didattico e informativo per famiglie, insegnanti, personale amministrativo;
iv) progettualità interculturale con le famiglie.
28
Segnala questo limite il prezioso rapporto Fieri (2007).
Tra i numerosi sorti dagli anni Novanta, oltre ai Centri interculturali fondati nelle principali città italiane ma anche in
piccole e medie città, il Cdlei di Bologna, il Centro Come di Milano, l’Orim e l’Ismu in Lombardia, gli Irrsae regionali,
ora ridefiniti da normativa, i Centri Risorse Interculturali del Territorio in Puglia, rappresentano una realtà mossa e
interistituzionale i cui risultati di analisi sono talvolta impiegati, o commissionati, dallo stesso Miur (ad es. C.M.
24/2006). La scelta di parlare dell’Uts Piemonte è dovuto alla sua lunga tradizione di attività, tra le prime in Italia
(Dutto, 2000) e perché è un Ente strettamente collegato all’Usr, elemento istituzionale che ci interessa per riflettere sul
nesso tra politiche centrali e locali.
29
18
Tab. 1 – Alcune attività dell’Uts Inserimento Allievi Stranieri di Torino - a.s. 2002-2010.
Analisi delle presenze degli allievi stranieri e dei bisogni formativi dei docenti della scuola dell’obbligo
Monitoraggio sulle presenze e gli esiti degli allievi stranieri nelle scuole della provincia e approfondimento
descrittivo della realtà di alcuni istituti particolarmente interessati dal fenomeno
Indagine sulle esigenze formative espresse dagli insegnanti del territorio in merito all’inserimento scolastico degli
alunni migranti30 e indagine pilota sulle aspirazioni e i comportamenti linguistici degli studenti31
Documentazione statistica
Coordinamento de referenti provinciali presso l’Usr per realizzare progetti di formazione di docenti e dirigenti
Costituzione di diversi gruppi di ricerca-azione con insegnanti
Formazione didattica per docenti e dirigenti scolastici di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e
secondo grado sull’inserimento scolastico degli allievi stranieri, e sulla glottodidattica dell’italiano come L1 e L2
(corso di base, educazione all’abilità di ascolto32, interlingue e fasi di apprendimento della L2, seminari e
laboratori su analisi e correzione di errori, corsi di approfondimento sul linguaggio delle discipline e l’italiano per
studiare, testi ad alta comprensibilità, lingue a confronto e implicazioni culturali e didattiche, ad es. italiano e
arabo, plurilinguismo in classe, corsi di formazione avanzata secondo il modello dell’e-learning
Coordinamento dei referenti provinciali presso l’Usr per realizzare progetti didattici con gli alunni migranti
Progettazione regionale di insegnamento di italiano L2 e educazione civica per allievi stranieri delle scuole
secondarie e adulti33
Progetti sperimentali di multilinguismo a scuola
Raccolta e diffusione delle esperienze
Consulenza e costruzione di materiale didattico e informativo per famiglie, insegnanti, personale amministrativo
Costruzione di materiali didattici per la formazione professionale dei docenti, ad esempio strumenti audiovisivi
sull’educazione all’ascolto attraverso la partecipazione di docenti e la collana dei quaderni “Insegnare L2 e L1”
disponibili on-line
Costruzione e diffusione di guide normative all’inserimento scolastico degli allievi stranieri rivolte alle segreterie
scolastiche e disponibili on-line
Costruzione e diffusione di materiale informativo multimediale plurilingue per le famiglie
Costruzione e diffusione di materiale didattico per gli allievi disponibile presso il Centro di documentazione
didattica
Progettualità interculturale con le famiglie
Progetto “la scuola delle mamme” per l’insegnamento dell’italiano come L2, la costruzione di materiale educativo
interculturale, la socializzazione e il sostegno alla genitorialità di madri con figli iscritti presso scuole dell’infanzia
e primarie
Consulenze alle famiglie per accoglienza e orientamento scolastico dei minori stranieri
L’implementazione delle politiche è favorita, oltre alle iniziative direttamente coordinate dall’Uts,
anche da occasioni formative per insegnanti sull’intercultura e la glottodidattica dell’italiano L2
organizzati dai singoli istituti scolastici attraverso docenti referenti, mediatori interculturali o
personale educativo extrascolastico (cooperative, associazioni, volontari o personale in quiescenza)
finanziati con fondi di istituto oppure tramite la vincita di bandi di concorso di Enti locali o
Fondazioni.
30
Tra queste: formazione di glottodidattica dell’italiano come L2, disponibilità di materiale didattico individualizzato e
laboratoriale; opportunità di ricerca-azione e sperimentazione educativa; supporto di personale esperto e qualificato (o
ore di docenza aggiuntive). Le esigenze formative dal 2002 sono espresse anche da scuole dei centri più piccoli o delle
aree montane della provincia, e dalle scuole secondarie superiori, soprattutto istituti professionali ma anche licei e
istituti tecnici (Rapporto interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, 2003, p. 22).
31
Gli allievi italiani hanno indicato l’uso del dialetto con i genitori (piemontese e di altre 9 regioni italiane).
32
Corso appl. CM 160/01.
33
Realizzati tramite Accordi di programma siglato da Regione Piemonte, Assessorato al Welfare, Lavoro,
Immigrazione, Emigrazione con il Ministero della Solidarietà Sociale in collaborazione con Usr Piemonte e Miur, e
supportato scientificamente da una ricerca-azione coordinata da Usr con il sostegno finanziario della Regione Piemonte
in collaborazione con l’Università di Torino, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere e monitorato dal Tavolo Tecnico
previsto dall’accordo di programma.
19
L’Usr34, oltre a fornire risorse economiche e coordinamento, ha svolto consulenza normativa,
didattica e metodologica al personale scolastico (tecnici amministrativi, docenti e dirigenti) in
merito a: iscrizione, aspetti organizzativi e pedagogici dell’inserimento, piani di studio
individualizzati, eventuali problemi linguistici e culturali, progetti di inserimento e alfabetizzazione
di italiano L2, materiali didattici (Garosci, in Osservatorio interistituzionale sugli stranieri in
provincia di Torino, 2004, p. 267).
A livello del Comune di Torino diverse attività di sostegno scolastico specifiche per i migranti sono
svolte dal Settore Integrazione Educativa della Divisione Servizi Educativi. A queste attività si
affiancano altri progetti, o progetti svolti in partnership, della Divisione Servizi Educativi, come il
progetto “Provaci ancora Sam” di prevenzione della dispersione scolastica nella scuola secondaria.
Il Settore Integrazione ha gestito direttamente l’erogazione della quota di fondi destinati dalla
Regione al diritto allo studio (ex L.R. 49/85), e assegnati dalla città di Torino per progetti in favore
dei minori stranieri iscritti nelle scuole primarie e secondarie35. Ha anche svolto indagini non solo di
valutazione interna dei progetti attivati, ma anche sulla gestione dei fondi erogati e sulle iniziative
interculturali e di alfabetizzazione delle scuole primarie e secondarie di I grado. È emersa, anche in
questo contesto di grande impegno, la precarietà delle iniziative, dovuta sia all’erogazione di fondi
su progetti, e dunque sempre annuale, sia alle difficoltà di attivazione delle risorse dell’autonomia
scolastica tra cui organico funzionale, curriculum flessibile, piani educativi personalizzati (Conti e
Bonino, in Osservatorio interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, 2004, p. 273). Sia le
attività finanziate dai fondi per il diritto allo studio, sia quelle dei singoli istituti scolastici si sono
svolte principalmente nell’area dell’alfabetizzazione di italiano come L2 di primo e secondo livello,
coordinandosi con agenzie educative o operatori extrascolastici, tuttavia poco si sa della
modificazione didattica secondo l’approccio interculturale e degli effetti sulla riuscita scolastica dei
corsi attivati. Altri finanziamenti hanno fornito contributi per libri di testo nella scuola secondaria di
I grado ad allievi stranieri regolari e irregolari, e contributi per borse di studio ad allievi stranieri
nella scuola primaria e secondaria di I grado36. Oltre a questi, altri servizi ritenuti fondamentali
34
Ufficio V - Politiche Giovanili, Diritto allo Studio, Associazionismo e servizi agli studenti.
Nel 2001/02 la quota corrispondeva al 10% del totale, dal 2003/04 è salita al 15% (118mila euro), dal 2005/06 è salita
al 20%, intanto però è diminuito il fondo totale regionale per il diritto allo studio. Le richieste di finanziamento hanno
sempre superato di molto la quota disponibile, nel 2003/04 ad esempio i progetti presentati erano tre volte più di quelli
finanziabili. I progetti attivati, e finanziati, hanno coinvolto principalmente le scuole primarie e secondarie di I grado,
dove peraltro il costo medio pro-capite, cioè il rapporto tra costi delle attività e numero di soggetti coinvolti, è più
basso, e la concentrazione di alunni stranieri sul totale è maggiore rispetto alle scuole medie superiori (Conti e Bonino,
in Osservatorio interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, 2004, p. 268).
36
Nel 2005 la responsabile del Settore integrazione calcolava che circa il 60% degli studenti stranieri richiedevano un
aiuto di questo tipo per la frequenza scolastica. Sarebbe interessante aggiornare il dato controllando se c’è una
differenza di proporzione con gli studenti italiani e se esistono relazioni tra la richiesta di contributi per l’istruzione dei
minori e i trasferimenti intergenerazionali verso l’alto delle famiglie migranti verso parenti adulti left-behid in Paesi con
welfare meno generosi (cfr. Attias-Donfut e Wolff, 2008).
35
20
dalla Divisione per garantire il diritto allo studio in tutti gli istituti scolastici della città sono:
l’analisi precisa della situazione di partenza, l’accoglienza, la mediazione, i materiali informativi e
la modulistica tradotti in più lingue, la formazione diffusa dei docenti (Bonino, in Osservatorio
interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, 2007, p. 293). In particolare l’Ufficio
Migranti a Scuola del Settore Integrazione Educativa si è occupato di insegnamento dell’italiano
come lingua nelle scuole primarie e secondarie di I grado, e in subordine anche dell’infanzia e
secondarie di II grado, tramite attività di consulenza, formazione, progettazione, coordinamento con
l’Università e gestione delle operatrici extrascolastiche, reclutate in parte come Volontarie per il
Servizio Civile Nazionale, in parte con contratti stipulati dal Comune di Torino. Ha anche attivato
in collaborazione con due Centri Territoriali per l’Educazione Permanente e Istituti Comprensivi un
progetto sperimentale di punto gioco a custodia breve per madri e bambini in età prescolare per
favorirne socializzazione e formazione.
Da questi brevi cenni descrittivi si possono trarre alcune riflessioni sull’opportunità di analizzare
questo livello di elaborazione delle policies in ottica comparativa, includendo anche la dimensione
della creazione di reti informali tra operatori scolastici ed extrascolastici, per indagare la
mediazione delle istanze normative nazionali e il loro adeguamento territoriale, le decisioni in
merito alla ripartizione dei fondi, la partecipazione a progetti pilota collaborando con Comitati
tecnici scientifici nazionali ed esperti.
Alcuni segnali di mutamento37, e di variabilità regionale e sub-regionale, che varrebbe la pena
analizzare riguardano: la differenziazione e specializzazione dei servizi tra dinamiche di
istituzionalizzazione e rischi di frammentazione; la diffusione delle competenze sul territorio, non
solo nel capoluogo ma anche nei piccoli e medi centri di tutte le provincie e in diversi ordini
scolastici; l’effetto della contrazione delle risorse pubbliche per l’istruzione. Il sistema scolastico
italiano, inoltre, non sembra premiare con avanzamenti di carriera gli insegnanti referenti per
l’intercultura, se non con carichi di lavoro aggiuntivo, spesso non pagato e non riconosciuto da
parte di colleghi per i quali molte indicazioni non solo non vengono applicate, ma non sono neppure
note. Nella scuola come “organizzazione burocratica lascamente connessa” a livello di istituto
scolastico quindi andrebbero studiati processi di delega e negoziazione della normativa. Se le
priorità a livello nazionale e europeo risultano l’insegnamento della lingua seconda e l’approccio
interculturale con le famiglie, poi, per gli insegnanti questioni più urgenti potrebbero essere la
gestione della classe, il reperimento di risorse aggiuntive, i criteri di valutazione e inserimento da
adottare caso per caso.
37
Materiale empirico in analisi, tesi di dottorato, cit.
21
Dalle interviste condotte con testimoni qualificati nell’ambito della ricerca di tesi di dottorato
emerge anche che la contrazione degli orari scolastici, in particolare quelli dedicati ad attività più
pratiche in istituti tecnici e professionali (cfr. Miur, 201038), sembra penalizzare maggiormente gli
allievi con difficoltà di apprendimento, tra cui i migrati di generazione 1.5 in fase di acquisizione
della L2. L’affanno e il ritardo con cui compaiono i regolamenti centrali, inoltre, rendono più
complesso il lavoro di organizzazione scolastica e orientamento di tutte le famiglie, specie quelle
con meno risorse, relazionali, culturali-lingustiche, e di tempo a causa di lavori con orari lunghi o
presenza di un solo genitore, tra cui anche i migranti.
4. Conclusioni
Questi appunti sulle politiche per l’integrazione scolastica degli immigrati in Italia, anche se niente
affatto esaustivi e in corso di elaborazione, consentono di cogliere alcuni elementi di complessità
nell’interazione tra i diversi livelli di policies educative per i migranti in Italia.
La cornice istituzionale plasma le traiettorie di inserimento in modi peculiari e differenti da un
Paese all’altro, tuttavia essa non si costituisce in “modelli” identificabili univocamente come più
performanti su tutti gli aspetti dell’integrazione39. Non è detto che, tramite l’approccio dei tipi
ideali, sia possibile individuare insiemi coerenti di linee politiche sull’inserimento scolastico e
extrascolastico dei migranti: è più facile trovare sistemi misti ed elementi contradditori. Le tipologie
basate sull’analisi del curriculum o dei dispositivi di organizzazione scolastica possono essere
comunque utili sia per cogliere i mutamenti nel tempo nelle retoriche e nelle policies a livello
nazionale, sia per verificare come una stessa politica, una volta legittimata ed entrata a regime nella
burocrazia scolastica, possa nel tempo mutare nei suoi obiettivi impliciti. Così lo stesso progetto di
mediazione può essere inteso ad esempio in senso strumentale secondo un approccio
assimilazionista, rivendicativo in ottica pluralista o di scambio reciproco nell’ottica interculturale
(cfr. Lagomarsini e Torre, 2009).
Come è stato teorizzato (Caponio e Borkert, 2010) a livello centrale si stabiliscono i principi guida e
le priorità dell’agenda politica, anche in relazione all’approccio ideologico dei decisori politici, e,
probabilmente, ma su questo occorrerebbero indagini mirate, anche in reazione alle manifestazioni
di chiusura verso l’immigrazione del bacino elettorale di riferimento. Tuttavia per quanto riguarda
38
Tra i cambiamenti, compare la riduzione a 27 ore di lezione nel biennio, dove peraltro è più elevata la dispersione
specialmente dei migranti, la riduzione dell’insegnamento della seconda lingua europea, l’accorpamento degli indirizzi
ma al contempo la differenziazione dei curricula con conseguente maggiore difficoltà di passaggio da un tipo di
istruzione all’altro.
39
EFFNATIS, 2001, Final report, pp. 17-18, www.efms.uni-bamberg.de/pdf/finalreportk.pdf.
22
le politiche educative, fuori dalla retorica non sembrano dominare a questo livello tendenze alla
divergenza. I cambiamenti dei sistemi educativi nazionali, anche con la spinta della globalizzazione
e delle idee economiche neoliberiste che ne sono alla base (Cobalti, 2007), influenzano
notevolmente le decisioni dei singoli stati in merito alle politiche educative, verso tutti. Date le
minori risorse economiche e culturali degli studenti con background di immigrazione (intese come
conformità alle richieste scolastiche, conformi per mandato alla cultura di maggioranza) la
razionalizzazione delle risorse educative e i mutamenti in corso a livello ordinamentale,
organizzativo e didattico rischiano tuttavia di colpirli maggiormente.
La letteratura italiana, pur citando l’importanza del livello meso, spesso anche coinvolto
direttamente nel supporto e nella promozione della ricerca, sembra piuttosto concentrata a cogliere
lo iato esistente tra indicazioni centrali e pratiche nelle singole realtà scolastiche, forse anche per la
marginalità delle politiche scolastiche nel dibattito pubblico sull’immigrazione, lasciato
all’attenzione (al buonismo come è stato detto) degli addetti ai lavori oppure agli episodi di violenza
o scandalo (Chaloff e Queirolo Palmas, 2006). Viceversa, proprio in epoca di razionalizzazioni, può
essere utile approfondire le linee di azione degli Enti locali, tra cui per esempio: 1. sedi del Miur
regionali e provinciali; 2. centri istituzionali a livello urbano o inter-comunale; 3. reti associative tra
scuole o organizzazioni del privato sociale, tra operatori scolastici e intese interistituzionali. Proprio
perché soggetti attuatori delle politiche (Caponio e Borkert, 2010), gli Enti locali sono cruciali per
capire come si realizzano le policies educative per l’inserimento scolastico del migranti, come si
strutturano e gestiscono le risorse, come si determina la “localizzazione dei diritti” (ad es. in Miur,
2007) sul territorio nazionale. Il livello meso, anche nel caso delle politiche educative, risulta
dunque fondamentale per rendere effettive le politiche, anche per il legame tra pubblica
amministrazione e privato sociale che lo caratterizza (Id.).
Infine non è detto che al livello degli operatori, l’interfacciarsi direttamente con l’utenza immigrata
porti a soluzioni pragmatiche convergenti. A livello di confronto tra realtà scolastiche, il fatto che
alcune scuole adottino politiche più inclusive può essere dovuto a altri ordini di ragioni
sociologiche, ad esempio composizione dell’utenza e processi di concentrazione “etnica”, turn-over
degli insegnanti, sovraccarico di funzioni, ma anche diverse idee di successo scolastico, diverse idee
di come si diventa “buoni studenti” nell’interazione, diversa presenza propulsiva del sistema
associativo territoriale.
In questo contesto, di grande interesse è il ruolo dell’Unione, e in particolare della Commissione
europea. Senza dubbio le rilevazioni, le raccomandazioni, la mediazione con la ricerca universitaria
e l’autorevolezza degli organismi europei, nonché l’erogazione di fondi per specifici progetti,
possono essere strumenti per favorire la convergenza tra gli orientamenti centrali degli stati membri
23
(e degli aspiranti tali). La spinta verso l’approccio interculturale registrata dai rapporti Eurydice può
essere un segnale in questo senso. Tuttavia occorrono studi ulteriori per verificare come nel
concreto il livello sovranazionale possa influenzare le decisioni dei singoli Paesi. Forse il rapporto
diretto tra livello europeo e livello meso-locale potrebbe essere la chiave di volta per comprendere
meglio la situazione.
Le politiche per l’integrazione scolastica si coniugano coerentemente con quelle che regolano
l’immigrazione, in particolare per minori e famiglie? Presuppongono un più generale modello di
integrazione degli immigrati? Quali fattori influenzano l’implementazione delle politiche? Anche
per quanto riguarda l’istruzione, per rispondere a questo tipo di domande conviene guardare
all’interazione tra livelli di governance piuttosto che a uno solo di essi. Inoltre occorre osservare
non solo le politiche specifiche per l’inserimento scolastico dei migranti, isolatamente, ma anche i
cambiamenti più generali dei sistemi di istruzione in cui esse prendono forma.
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