il diabete di tipo 2 nel bambino e nell`adolescente

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il diabete di tipo 2 nel bambino e nell`adolescente
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IL DIABETE DI TIPO 2 NEL BAMBINO
E NELL’ADOLESCENTE
F. CHIARELLI, M. MARCOVECCHIO, A. MOHN
riassunto
Negli ultimi anni una vera e propria epidemia di casi di diabete di tipo 2 (T2DM) si è verificata tra i bambini e
gli adolescenti tanto da rappresentare la forma a più rapida crescita nella popolazione pediatrica in Europa,
USA, Giappone, Australia e in molti altri Paesi. Il T2DM nel bambino, come nell’adulto, deriva da una combinazione di resistenza all’azione insulinica e alterazione della secrezione insulinica. Diversi fattori di rischio concorrono allo sviluppo del T2DM: obesità, stile di vita sedentario, storia familiare di T2DM, appartenenza a
minoranze etniche, sesso femminile, fattori perinatali e condizioni associate a insulino-resistenza. Inoltre, è
certa l’esistenza di una componente genetica su base multigenica, anche se ancora non del tutto definita. La
prevenzione e il trattamento del T2DM sono aspetti importanti che richiedono un approccio basato su terapia
dietetica, promozione di esercizio fisico e terapia con ipoglicemizzanti orali e talora con insulina. Fondamentale
è l’intervento precoce volto a ottenere un buon controllo metabolico, un normale accrescimento psicofisico
del bambino e dell’adolescente e a prevenire le complicanze cardiovascolari associate al diabete.
Parole chiave. Diabete mellito di tipo 2, insulino-resistenza, MODY, bambini, adolescenti.
summary
Clinica Pediatrica, Università di Chieti, Chieti
Type 2 diabetes in children and adolescents. Over the last years an epidemic increase of type 2 diabetes mellitus
(T2DM) has occurred and now it represents the most growing form of diabetes in Europe, USA, Japan, Australia and
many other countries. T2DM in children as in adults derives from a combination of insulin resistance and impaired
insulin secretion. Many risk factors influence the development of T2DM: obesity, sedentary lifestyle, family history of
T2DM, perinatal factors and conditions associated with insulin resistance. Moreover, there is a genetic component to
the disease, which is multigenic but not well defined. Prevention and treatment of T2DM are essential and are based
on dietary treatment, physical activity and pharmacotherapy with oral hypoglycaemic agents and sometimes with
insulin. Intervention must be started early in order to obtain a good metabolic control, a normal physical and psychological growth of children and adolescents and to prevent cardiovascular complications associated with diabetes.
Key-words. Type 2 diabetes mellitus, insulin resistance, MODY, children, adolescents.
Introduzione
Durante l’ultimo decennio c’è stato un notevole
aumento dei casi di T2DM nei bambini e negli adolescenti, una malattia storicamente considerata come
tipica dell’età adulta e senile. Infatti, prima del 1990 il
T2DM era diagnosticato solo nell’1-2% dei giovani con
diabete mellito mentre la gran parte dei casi erano
forme di diabete autoimmune (1). A partire dal 1994 i
pazienti con T2DM hanno raggiunto una proporzione
del 16% e dal 1999 il T2DM rappresenta dall’8% al
45% di tutti i casi di diabete, risultando la forma in più
rapida crescita in molte aree dell’America, dell’Europa,
del Giappone, dell’Australia (2, 3). In accordo con
l’OMS “un’apparente epidemia del diabete si sta verificando ed essa è strettamente correlata ai cambia-
menti dello stile di vita ed economici” (4). L’aumentata
incidenza del T2DM nel bambino e nell’adolescente
rispecchia l’aumento simile dell’incidenza dell’obesità
in questi soggetti (5).
I primi dati epidemiologici disponibili sul T2DM nei
giovani riguardano le comunità di nativi americani
degli Stati Uniti e del Canada. Negli Indiani Pima in
Arizona, una popolazione nota per la più alta prevalenza di T2DM, è stata riscontrata una prevalenza del 22,3
per 1000 in un gruppo di età compresa fra 10 e 14 anni
e del 50,9 per 1000 nel gruppo di età compresa fra 15
e 19 anni nel periodo tra il 1992 e 1996 con un netto
aumento rispetto alla prevalenza del T2DM nel 1979
che era del 9 per 1000 nei soggetti di età compresa tra
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15 e 24 anni e addirittura nulla nei soggetti di età inferiore a 15 anni (6). Dati provenienti dal Navajo Health
and Nutrition Survey relativi al periodo 1991-1992 evidenziano una prevalenza di 14,1 per 1000 nella popolazione di età compresa tra 12 e 19 anni (7). Un trend
di aumento simile dei casi di T2DM emerge anche da
altri studi clinici condotti in USA (8). Un incremento di
tale patologia è stato riscontrato anche in Giappone
dove, nei bambini in età scolare, l’incidenza è raddoppiata dal 7,3 per 100.000 tra il 1976 e il 1980, al 13,9
per 100.000 tra il 1991 e il 1995 e il T2DM è attualmente più comune del T1DM (9). Un altro studio condotto in Libia ha evidenziato un’incidenza del 19,6 e
del 35,3 per 100.000 rispettivamente in maschi e femmine di età compresa tra 12 e 14 anni (10).
Attualmente sono disponibili anche i dati relativi alla
prevalenza del T2DM in Europa. In particolare essi
riguardano uno studio retrospettivo condotto su una
popolazione pediatrica di 67 bambini in Birmingham
(Inghilterra) in cui nell’arco di 12 mesi tra i nuovi casi di
diabete sono stati diagnosticati 4 casi di T2DM (11).
Sulla base di tali dati la prevalenza nazionale stimata
del T2DM in soggetti di età inferiore a 18 anni è stata
del 3,8 per 100.000, con una incidenza annuale di
1,52 per 100.000. Un altro recente studio è stato condotto su una coorte di 491 giovani severamente obesi
di origine multietnica europea. In particolare, esso ha
evidenziato una prevalenza di IGT del 36,3% e di
T2DM pari a 5,9% nel sottogruppo di 102 pazienti
definiti ad alto rischio sulla base dei criteri dell’ADA
(12).
Fisiopatologia dell’insulino-resistenza
e del T2DM
Il T2DM è una patologia complessa determinata dall’interazione tra fattori di rischio sociali, ambientali e
genetici (13). La predisposizione genetica, su base
poligenica, gioca un ruolo importante come dimostrato sia da studi condotti su gemelli monozigoti, da cui è
emersa una concordanza fino al 90%, sia dal riscontro
di un rischio di sviluppare il T2DM in un parente di
primo grado pari a circa il 40% (14). Inoltre, l’importanza della predisposizione genetica è supportata dalla
diversa prevalenza del T2DM riscontrata in diversi
gruppi etnici. Vari geni, soprattutto implicati nella
regolazione dell’omeostasi glicidica, sono stati proposti come candidati per lo sviluppo del T2DM. Tuttavia,
il ruolo di tali geni nel T2DM non è ancora definito così
bene come quello dei geni dell’HLA nel T1DM (15,
16).
Variazioni nella suscettibilità genetica, tuttavia, non
possono spiegare da sole l’aumento così rapido dei
nuovi casi di T2DM riscontrato negli ultimi anni.
Pertanto, rilevante è senza dubbio l’influenza di fattori
ambientali che hanno subito variazioni rapide nel
corso del tempo.
Il T2DM nel bambino così come nell’adulto è un disordine metabolico cronico che risulta da una combinazione di resistenza all’azione insulinica e incapacità
della β-cellula a mantenere una adeguata secrezione
insulinica (17). L’insulino-resistenza è caratterizzata da
un’anomala risposta ai fisiologici effetti dell’insulina,
comprendendo alterazioni del metabolismo glucidico,
lipidico, proteico e alterazioni anche della funzione dell’endotelio vascolare (14). L’insulino-resistenza gioca
un ruolo determinante nello sviluppo del T2DM ed è
stato ampiamente dimostrato che molti dei più noti
fattori di rischio per lo sviluppo del T2DM agiscono
proprio attraverso l’induzione di uno stato di resistenza all’azione insulinica. La prima tappa nello sviluppo
del T2DM è rappresentata proprio da uno stato di insulino-resistenza con iperinsulinemia compensatoria e
con normoglicemia. Il graduale declino della risposta
compensatoria della β-cellula determina la comparsa
di iperglicemia postprandiale e successivamente di
iperglicemia a digiuno. Anche il declino della funzione
β-cellulare dipende da fattori genetici e ambientali
(17). Occorre, inoltre, sottolineare come l’iperglicemia
di per se ha un’influenza negativa sia sull’insulino-resistenza sia sulla funzione β-cellulare, accelerando in tal
modo il passaggio verso l’intolleranza glucidica e il diabete clinicamente manifesto. Tale effetto deleterio dell’iperglicemia è noto come glucotossicità e può essere
ridotto con un adeguato e precoce controllo metabolico (18).
Fattori di rischio
Molti fattori di rischio sono associati allo sviluppo di
T2DM: l’obesità, una storia familiare di T2DM, l’appartenenza ad alcuni gruppi etnici, la presenza di segni di
insulino-resistenza, la pubertà, alcuni fattori perinatali
(17) (fig. 1).
L’obesità, soprattutto l’obesità viscerale, associata a
uno stile di vita sedentario, è uno tra i più importanti
fattori di rischio per lo sviluppo di T2DM, la cui incidenza sembra inoltre aumentare linearmente in funzione della durata dell’obesità. La principale alterazione associata all’obesità è la presenza di insulino-resistenza (19). In realtà, il tessuto adiposo, oltre a svolgere il classico e ormai da tempo noto ruolo di deposito
energetico, rappresenta un vero e proprio organo
endocrino in grado di rilasciare in circolo un gran
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Obesità
Etnia
Storia familiare
Pubertà
Fattori perinatali
Inattività fisica
Fattori genetici
INSULINO
RESISTENZA
Sesso femminile
Alterata funzione
della β-cellula
Normale funzione
della β-cellula
DIABETE DI TIPO 2
Normale glicemia
iperinsulinemia
Fig. 1. Fattori di rischio per il diabete di tipo 2.
numero di adipochine e fattori metabolici che influenzano la sensibilità e la secrezione insulinica (20).
L’attuale epidemia dell’obesità sta dilagando in diversi
Paesi sia sviluppati sia in via di sviluppo, rappresentando un serio problema già tra i bambini e gli adolescenti. In USA si calcola che circa 22 milioni di bambini di
età inferiore ai 5 anni sono in sovrappeso. Un andamento simile si riscontra in Europa; la prevalenza di
obesità nei bambini in Italia è la più alta di Europa (5).
In un recente studio condotto in un ampio gruppo di
710 bambini italiani obesi è emerso che un’alta prevalenza di eccesso ponderale correla direttamente con la
presenza di insulino-resistenza e alterata secrezione
insulinica e nello stesso tempo il grado di obesità in
questi bambini è risultato anche direttamente correlato con la presenza di fattori di rischio cardiovascolari
(12). Bambini obesi presentano iperinsulinemia e resistenza periferica all’azione dell’insulina con una riduzione di circa il 40% della sensibilità insulinica (22, 23).
Nel bambino come nell’adulto ha grande importanza
la distribuzione del tessuto adiposo. Infatti, uno studio
condotto su un gruppo di adolescenti obese ha evidenziato una diretta correlazione tra il grasso viscerale
addominale, valutato con risonanza magnetica
nucleare, e indici di insulino-resistenza quali l’insulina
basale e stimolata dal glucosio e una inversa correlazione con indici di insulino-sensibilità quale per esempio la captazione del glucosio. Nessuna significativa
correlazione è stata invece trovata tra gli indici sopra
citati e il grasso sottocutaneo. Il maggiore impatto
metabolico del grasso viscerale è stato correlato con la
sua maggiore attività lipolitica e quindi con una gran
quantità di acidi grassi e glicerolo direttamente trasportati al fegato (24).
L’attuale stile di vita caratterizzato da una dieta a contenuto calorico sempre più elevato e da una scarsa attività fisica influenza notevolmente lo sviluppo di obesità e le complicanze a essa associate (25, 26). L’esercizio
fisico è in grado di migliorare la sensibilità insulinica
incrementando l’espressione del GLUT-4 sulle cellule
muscolari. Nello stesso tempo l’attività fisica ha un
ruolo chiave nel mantenimento di un normale peso
corporeo, influenzando quindi anche indirettamente
la sensibilità insulinica. Il ruolo della dieta e in modo
particolare dei grassi saturi e delle proteine è stato ben
sottolineato in uno studio giapponese soprattutto rapportandolo al contemporaneo aumento di incidenza
del T2DM (26).
La pubertà rappresenta uno stato di insulino-resistenza
con un aumento sia nella secrezione basale che stimolata dell’insulina (27). In particolare, la captazione del
glucosio insulino-stimolata è ridotta di circa il 30%
durante gli stadi 2-4 di Tanner rispetto allo stadio 1 nel
corso di valutazione con il clamp iperinsulinemicoeuglicemico (28). Generalmente tale ridotta sensibilità
insulinica è compensata, in presenza di una normale
funzionalità β-cellulare, da un incremento della secrezione insulinica. Le variazioni puberali nella sensibilità
insulinica sono state correlate soprattutto con variazioni nell’attività dell’asse GH-IGF-1 che si hanno nello
stesso periodo. Infatti, si è visto come la somministrazione di GH ad adolescenti non GH-deficienti comportava una notevole alterazione della secrezione insulinica (29). Tale effetto non consegue invece alla somministrazione di testosterone o di diidrotestosterone in
ragazzi dando quindi enfasi al ruolo dell’ormone della
crescita piuttosto che agli ormoni sessuali nel decremento puberale della sensibilità insulinica (30). Questi
dati ben si correlano con quella che è l’età media alla
diagnosi di T2DM nei giovani che è di circa 13,5 anni,
proprio quindi nel mezzo del periodo puberale (17).
La maggior parte dei bambini e adolescenti con T2DM
appartiene a minoranze etniche, includendo nativi
Americani, Ispano-Americani, Afro-Americani e Asiatico-Americani. L’insulino-resistenza è ridotta del 3540% negli adolescenti Afro-Americani rispetto ad adolescenti caucasici paragonabili per età, sesso e peso
(31). Il Bogalusa Heart Study ha dimostrato che, tra i
gruppi etnici, gli Afro-Americani sono quelli più insulino-resistenti. I giovani Afro-Americani, infatti, sono più
obesi e hanno livelli di insulinemia e di glicemia più alti
se paragonati ai coetanei Caucasici (32). È stato supposto che bambini appartenenti a minoranze etniche possano avere una predisposizione genetica al suo sviluppo. In particolare, la cosiddetta “thrifty genotype” ipotesi cerca di spiegare il tutto sulla base di un corredo
genotipico che conferisce un vantaggio a tali popolazioni in presenza di scarse riserve di cibo, ma che diviene deleterio in presenza della abbondante disponibilità
di nutrienti dell’attuale società con conseguente incremento del rischio di sviluppare obesità e T2DM (33).
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Una storia familiare di T2DM è un fattore di rischio
maggiore per il T2DM nei giovani con una ricorrenza
fino al 74-100% in parenti di primo o secondo grado
(34). Inoltre, tra gli Indiani Pima il T2DM al di sotto dei
25 anni è stato esclusivamente riscontrato in soggetti
con almeno un parente affetto (35). La storia familiare
di T2DM si associa infatti a una riduzione di circa il 25%
nella insulino-sensibilità in bambini Afro-Americani
non diabetici rispetto a coetanei senza storia familiare
di T2DM (36). Uno studio condotto recentemente ha
evidenziato dati simili in bambini di origine caucasica.
In particolare, da un confronto tra 28 bambini normopeso con una storia familiare positiva per T2DM e 26
bambini di simile età e sesso ma senza anamnesi familiare positiva per T2DM è emerso che una storia familiare si associa con una riduzione della sensibilità e della
clearance insulinica e con un alterato rapporto tra azione insulinica e compensazione della β-cellula (37). La
ricorrenza familiare del T2DM, tuttavia, può indicare
non solo l’intervento di fattori genetici ma anche la
presenza di un comune pattern comportamentale in
ambito familiare. Ciò è emerso chiaramente da uno
studio condotto su 11 famiglie di adolescenti con
T2DM e in cui sono stati valutati 42 soggetti tra genitori e figli. Tale studio ha mostrato che in tali famiglie il
sovrappeso e il diabete erano molto comuni tra i componenti che, tra l’altro, avevano in comune anche
diete ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di
fibre e svolgevano minimi livelli di attività fisica (38).
Anche il sesso influenza lo sviluppo del T2DM, come
dimostrato da un rischio 1,7 volte maggiore nelle
ragazze rispetto ai ragazzi (34). La maggiore suscettibilità femminile al T2DM è stata correlata con la presenza di elementi tipici della policistosi ovarica (PCOS)
nelle ragazze studiate quali insulino-resistenza, anomalie della first-phase della secrezione insulinica e perdita
della capacità compensatoria della β-cellula (39).
La predisposizione al T2DM può essere anche programmata in utero. Infatti, il rischio di T2DM è aumentato in presenza sia di un basso sia di un elevato peso
alla nascita, probabilmente perché sia una ridotta sia
una eccessiva nutrizione in utero causano alterazioni
metaboliche e ormonali permanenti che predispongono allo sviluppo di obesità, insulino-resistenza e disfunzione della β-cellula più tardi nel corso della vita (40,
41). La presenza di diabete materno è un importante
fattore di rischio sia per lo sviluppo di obesità che di
T2DM. I bambini a maggior rischio di diabete sono
quelli nati da madri con uno scarso controllo metabolico della malattia (42, 43).
Condizioni associate all’insulino-resistenza quale la
PCOS o l’achantosis nigricans si associano a un aumentato rischio di sviluppare intolleranza glicidica e diabe-
te conclamato. L’achantosis nigricans è una lesione
cutanea caratterizzata da aree iperpigmentate e ruvide
localizzate soprattutto a livello delle aree intertriginose
e si riscontra spesso associata con insulino-resistenza e
iperinsulinemia e può riscontrarsi fino a un 90% di giovani con T2DM (44). La PCOS, caratterizzata da aspetti quali irsutismo, acne, obesità, achantosis nigricans, si
associa a insulino-resistenza e iperinsulinemia. In particolare, uno screening di adolescenti con PCOS ha evidenziato la presenza di un 30% di IGT e un 4% di
T2DM. Inoltre, è stato anche dimostrato che adolescenti con PCOS e IGT hanno una riduzione del 40%
della first-phase della secrezione insulinica rispetto a
quelle con PCOS e normale tolleranza glicidica (45,
46). È stato dimostrato inoltre che un trattamento a
breve termine con metformina di adolescenti con
PCOS e IGT migliora la tolleranza glicidica e l’insulinosensibilità (47).
Diagnosi e screening
La diagnosi di T2DM è basata sui criteri stabiliti
dall’ADA ovvero 1) presenza di sintomi di diabete associati a glicemia basale ≥ 200mg/dl (11,1 mmol/L) o 2)
riscontro di una glicemia random ≥ 126 mg/dl (7
mmol/L) o 3) riscontro di una glicemia ≥ 200mg/dl a
due ore da un OGTT (3). Tuttavia, in assenza di una
inequivocabile iperglicemia con scompenso metabolico acuto, è necessario eseguire in una seconda occasione un test di conferma.
Nella maggior parte dei pazienti pediatrici la classificazione delle diverse forme di diabete è possibile sulla
base della presentazione clinica (3). Tuttavia, talora il
diabete mellito può presentarsi in maniera anomala. In
particolare, a causa della crescente epidemia dell’obesità pediatrica, il 20-25% dei nuovi casi di diabete di
tipo 1 (T1DM) può essere obeso. Allo stesso modo può
aversi una anomala presentazione del T2DM con chetosi o chetoacidosi fino a circa un terzo dei pazienti,
con conseguente rischio di misclassificazione come
forme di T1DM. Pertanto, nei casi dubbi può essere
necessario il ricorso a test laboratoristici come il dosaggio dell’insulina basale e del C-peptide, che in genere
sono normali o elevati nel T2DM o la valutazione degli
autoanticorpi (ICA, IAA, GADA, IA-2), in genere negativi nel T2DM (1).
Per quanto riguarda invece lo screening per il T2DM,
non è indicato nessun intervento generale a livello di
popolazione. Tuttavia, sia l’American Academy of
Pediatrics (AAP) sia l’ADA raccomandano che tutti i giovani che sono in sovrappeso e che hanno almeno altri
due fattori di rischio dovrebbero essere sottoposti a
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screening per il T2DM a 10 anni di età o all’inizio della
pubertà e poi ogni due anni. I fattori di rischio comprendono: una storia familiare di T2DM in un parente
di 1° o 2° grado, l’appartenenza a certi gruppi etnici
(Nativi Americani, Afro-Americani, Ispanici, Giapponesi) o la presenza di segni associati con l’insulino-resistenza (ipertensione, dislipidemia, achantosis nigricans
o sindrome dell’ovaio policistico). La glicemia basale è il
primo test di screening per il T2DM nei giovani pazienti. L’OGTT con la valutazione della glicemia a due ore è
più sensibile nel valutare un IGT nei giovani, ma è anche
più invasivo, inconveniente e costoso (3).
MODY (maturity-onset diabetes of the young)
Tra le forme di diabete mellito da considerare nella diagnosi differenziale con il classico T2DM rientra anche il
MODY, una forma monogenica di diabete non insulino-dipendente a trasmissione autosomica dominante
e con esordio in genere durante l’infanzia, l’adolescenza o la prima età adulta. Il MODY si manifesta soprattutto in soggetti di razza caucasica e rappresenta circa
il 5% dei casi di diabete in età pediatrica (3). Dal punto
di vista patogenetico si caratterizza per un’alterata
secrezione insulinica senza o con minimo deficit di
azione insulinica a livello periferico. Lo spettro clinico
del MODY è ampio, spaziando da forme di iperglicemia asintomatica a forme con acuta e severa presentazione. Tuttavia, le principali caratteristiche cliniche
sono: comparsa di iperglicemia prima dei 25 anni,
anamnesi familiare positiva per intolleranza al glucosio
per 2 o 3 generazioni, diabete non insulino-dipendente per almeno 5 anni dopo la diagnosi, assenza di chetosi grave (48, 49). In genere l’obesità non è una caratteristica tipica de i soggetti con MODY; tuttavia, dato il
crescente numero di bambini e adolescenti obesi, non
si può escludere che soggetti in sovrappeso siano affetti da una forma di MODY. Pertanto, nei casi dubbi, test
di laboratorio come la ricerca di autoanticorpi, negativi nel MODY come nel T2DM diversamente dal T1DM
e dei livelli ematici basali di C-peptide e insulina, bassi
nel MODY, diversamente dal T2DM possono aiutare a
dirimere il dubbio diagnostico (3).
Fino a ora sono stati identificati 6 tipi di mutazioni
genetiche che corrispondono a sei diverse forme di
MODY; altri geni tuttavia non sono ancora ben stati
indviduati (48-50). Test molecolari per la diagnosi di
MODY sono al momento disponibili solo in centri di
ricerca. Pertanto, fino a qundo non sarà possibile una
loro più ampia esecuzione, la diagnosi di MODY sarà
basata soprattutto sulle principali caratteristiche cliniche delle diverse forme.
Il MODY 1 è dovuto a mutazioni del gene codificante
per il fattore nucleare epatico 4α (hepatic nuclear factor
4α; HNF-4α). HNF-4α è un fattore di trascrizione in
grado di regolare la sintesi del fattore nucleare epatico
1α (hepatic nuclear factor 1α; HNF-1α). Le caratteristiche cliniche del MODY 1 sono simili al MODY 3: disfunzione progressiva della β-cellula, con deterioramento del controllo glicemico già in età adolescenziale.
Circa un 30% dei pazienti richiede terapia insulinica.
Inoltre, si può associare a severe complicanze microvascolari. Il MODY 1 differisce però dal MODY 3 per un’età di esordio più tardiva e per una minore penetranza,
con una normale tolleranza glicidica in un 10-20% dei
soggetti con mutazioni dell’HNF-4α (48-50).
Il MODY 2 è dovuto a mutazioni del gene codificante
per la glucochinasi (GCK), enzima coinvolto nel metabolismo intracellulare del glucosio e attivo sia nella
β-cellula sia a livello epatico. Pazienti con mutazioni
della glucochinasi in genere hanno una moderata glicemia basale (5,5-9 mmol/L) e con un piccolo incremento a 120’ durante OGTT. Inoltre, i pazienti sono
spesso asintomatici con una bassa frequenza di complicanze micro- e macrovascolari e presentano un
buon controllo a lungo termine della glicemia con la
sola dieta. Raramente è necessario il trattamneto farmacologico (48-50).
Il MODY 3 è la forma più comune di MODY, dovuta a
mutazioni dell’HNF-1α, un fattore trascrizionale
espresso in quasi tutti i tessuti. Questi pazienti sono
normoglicemici alla nascita e poi sviluppano un progressivo difetto della funzione β-cellulare con intolleranza glucidica già nell’adolescenza o prima età adulta. Inoltre, essi sviluppano spesso complicanze microe macrovascolari come i pazienti con T1DM.
Approssimativamente la stessa percentuale di pazienti
è trattata con dieta, ipoglicemizzanti orali o insulina
(48-50).
Il MODY 4 è dovuto a mutazioni del fattore promotore dell’insulina 1 (insulin promoter factor 1; IPF-1), gene
che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del pancreas e nella regolazione della trascrizione genica della
β-cellula. Si caratterizza per una iperglicemia a esordio
neonatale che richiede terapia insulinica negli omozigoti. Negli eterozigoti l’esordio si ha in età giovanile o
adulta e la sola dieta permette in genere di controllare
l’iperglicemia (48-50).
Il MODY 5 è dovuto a mutazioni del fattore nucleare
epatocitario 1β (hepatic nuclear factor 1β; HNF-1β),
gene che è strettamente correlato all’HNF-1α, con il
quale forma un eterodimero. È una forma rara di
MODY caratterizzata da diabete associato ad alterazioni funzionali e morfologiche renali, con rischio di progressione verso l’insufficienza renale e anormalità
anche a livello dell’apparato genitale e alterazioni dei
test di funzionalità epatica (48-50).
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Il MODY 6 è una forma molto rara, tipica del giovane
adulto, dovuta a una mutazione nel gene del fattore di
trascrizione NeuroD1/Beta2 e con comparsa di iperglicemia già nell’infanzia. Il MODY X comprende tutte le
forme in cui il difetto genetico non è stato ancora individuato e include forme associate a iperinsulinismo,
insulino-resistenza e obesità (48-50).
Follow-up
Una volta che la diagnosi di T2DM è posta, tutti i
bambini e gli adolescenti e coloro che si prendono
cura di loro dovrebbero essere istruiti a monitorare la
glicemia e i chetoni plasmatici e urinari. È importante
poi ricordare insieme al bambino o all’adolescente
quelli che sono i sintomi tipici associati all’iperglicemia e all’ipoglicemia e raccomandare vivamente di
controllare la glicemia ogni volta che tali sintomi si
presentino. È importante anche far presente che, seppure uno stato di chetosi o di franca chetoacidosi non
è tipico del T2DM, tuttavia talora può verificarsi,
soprattutto in coincidenza con infezioni o malattie in
genere. Pertanto, è fondamentale che il bambino e i
genitori comprendano l’importanza di monitorare
glicemia e chetoni qualora comparissero nausea,
vomito o dolore addominale in coincidenza con
malattie (3).
In genere nei giovani pazienti in terapia insulinica la glicemia deve essere valutata prima dei pasti e prima di
coricarsi. Nei pazienti in terapia con ipoglicemizzanti
orali o in sola terapia dietetica la glicemia deve essere
valutata a digiuno e 2 ore dopo cena. Una volta che è
stato raggiunto un buon controllo glicemico tale valutazione può essere eseguita anche solo tre volte la settimana. I giovani pazienti con T2DM sono in genere
controllati a intervalli di 3 mesi, o più spesso se le condizioni cliniche lo richiedono (51, 52).
Un intenso controllo metabolico è richiesto come nel
T1DM cercando di ottenere valori di HbA1c pari a
6,5-7% (52). Inoltre, è importante un attento e
costante monitoraggio delle comorbilità che frequentemente si associano al T2DM. In particolare,
diversamente dai bambini affetti da T1DM, quelli
con T2DM devono essere indagati in tal senso già al
momento della diagnosi, ricordando che il T2DM a
lungo si mantiene asintomatico e che la condizione
di prediabete di per sé comporta un aumentato
rischio di sviluppo di comorbilità. Screening per retinopatia, microalbuminuria e profilo lipidico devono
essere eseguiti annualmente nei ragazzi con T2DM.
Importante è anche il controllo costante della pressione arteriosa (3).
Prevenzione
La prevenzione del T2DM rappresenta un elemento
fondamentale e deve essere diretta alla popolazione
generale attraverso la promozione di uno stile di vita
migliore basato su una alimentazione equilibrata e sull’incremento dell’attività fisica (53, 54).
Fondamentale risulta poi l’individuazione dei cosiddetti soggetti ad alto rischio per lo sviluppo di T2DM e un
loro attento screening sulla base di quanto stabilito
dall’ADA (3).
La prevenzione del T2DM, così come quella di gran
parte delle patologie, si articola in due fasi: una prevenzione primaria e una prevenzione secondaria. La
prima applicata precocemente quando i livelli di glicemia sono ancora normali o solo indicativi di intolleranza glicidica (IGT) o alterata glicemia a digiuno (IFG), in
modo da ritardare o se possibile evitare l’esordio del
diabete stesso. La prevenzione secondaria consiste
invece di interventi volti a garantire un controllo glicemico ottimale, un buon controllo della pressione arteriosa e un costante screening per le complicanze a
lungo termine oltre all’educazione sul diabete e al supporto sociale ed economico (3).
È importante poi sottolineare che la prevenzione del
T2DM deve iniziare precocemente, addirittura già
durante la vita intrauterina attraverso una buona nutrizione ed esercizio fisico adeguato della gestante e
attraverso un costante monitoraggio della crescita del
feto. Dopo la nascita bisogna promuovere l’allattamento, evitare un incremento ponderale troppo rapido, istituire una educazione incentrata su una alimentazione equilibrata e su una regolare attività fisica (15).
Nei bambini e adolescenti ad alto rischio per T2DM il
controllo del peso corporeo e la promozione dell’esercizio fisico devono essere prontamente istituiti (15).
Questi interventi devono essere più intensivi e associati a uno stretto follow-up nei bambini che già si trovano in una condizione di IGT o di IFG. Il controllo del
peso corporeo riveste un ruolo cardine nella prevenzione così come nel trattamento del T2DM, data la
stessa associazione tra stato di sovrappeso e presenza
di una alterata tolleranza ai carboidrati. L’attività fisica
e la dieta equilibrata sono infatti i cardini del trattamento dell’obesità in età pediatrica, mentre il ricorso
alla terapia farmacologica non è raccomandato in questa età, data l’assenza di dati sulla sicurezza ed efficacia
dei farmaci usati nell’adulto obeso (3). Fino a oggi solo
uno studio pilota ha mostrato che l’orlistat può avere
un ruolo nel trattamento di bambini con obesità grave
e mancano al momento ancora studi randomizzati
controllati sull’argomento (55).
Un programma di prevenzione proposto nella comu-
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nità indiana di Gila River nel 1996 aveva già evidenziato il ruolo fondamentale nei bambini della dieta e dell’esercizio fisico nella prevenzione del T2DM (56). Lo
stesso è stato confermato da uno studio più recente in
cui si è verificata l’efficacia delle modificazioni dello
stile di vita sull’insulino-resistenza così come sulla sindrome metabolica (57).
Alcuni autori hanno indagato l’uso della terapia farmacologica, in particolare della metformina, nella prevenzione del T2DM in adolescenti obesi con iperinsulinemia e una storia familiare di T2DM che hanno partecipato a uno studio randomizzato con placebo a doppio
cieco. Dopo 6 mesi il gruppo trattato con metformina
ha mostrato una riduzione del BMI di 0,12 SDS, una
riduzione dei livelli basali di insulina da 31,3 a 19,3
µU/ml e della glicemia basale da 84,8 a 74,8 mg/dl,
mentre nessun cambiamento è stato riscontrato nell’insulino-sensibilità, disponibilità di glucosio, HbA1c e
lipidi. Al contrario, il gruppo trattato con placebo non
ha mostrato miglioramenti significativi negli indici
sopraccitati (60). Tuttavia, fino a quando i risultati degli
attuali trial sull’uso degli ipoglicemizzanti orali nei
bambini non saranno disponibili, l’uso di farmaci per la
prevenzione del diabete nel bambino non è raccomandato.
Trattamento
Il trattamento del T2DM nei giovani pazienti deve
mirare a ottenere un ottimale controllo metabolico,
garantire un normale sviluppo psicofisico e controllare
anche le comorbilità associate al T2DM, quali per
esempio l’ipertensione e la dislipidemia, che possono
concorrere ad aumentare il rischio di complicanze cardiovascolari in tali pazienti. Inoltre, la prevenzione di
micro- e macroangiopatia rappresenta un altro punto
cardine del trattamento del giovane diabetico (53).
Il trattamento di questi pazienti dipende fondamentalmente dalla modalità di esordio della malattia, che è
estremamente variabile, spaziando da forme del tutto
asintomatiche con diagnosi incidentale a manifestazioni gravi di deficit insulinico (51, 58).
Per i pazienti asintomatici al momento della diagnosi il
primo step del trattamento è basato su un programma
di controllo del peso corporeo, riduzione dell’introito
di cibi a elevato contenuto calorico e lipidico, aumento dell’attività fisica. Il calo ponderale rappresenta un
fattore importante per ridurre lo stato di insulino-resistenza così come la promozione di almeno 30 minuti
di attività fisica al giorno (59). Qualora tale approccio
non sia in grado di assicurare un buon controllo metabolico, è necessario intraprendere la terapia farmaco-
logia, che rappresenta invece già il primo approccio
nei casi sintomatici al momento della diagnosi (51).
In genere gli ipoglicemizzanti orali (OHA) sono i primi
a essere usati mentre è d’obbligo il ricorso all’insulina
nei casi a esordio con disidratazione, chetosi, chetoacidosi, o con valori molto elevati di glicemia o di HbA1c.
In questi casi poi nel corso del follow-up all’insulina si
può associare la metformina per passare poi col miglioramento delle condizioni cliniche a una monoterapia
con quest’ultima. Fino a oggi sono note ben cinque
classi di agenti ipoglicemizzanti orali che agiscono
influenzando la secrezione insulinica o incrementando
la sensibilità all’insulina (51) (tab. I).
Non si hanno molti dati a disposizione sull’uso degli
OHA nel bambino e al momento sono in corso trial
volti a valutarne l’efficacia e la sicurezza. L’unico OHA
approvato per l’uso nel bambino e nell’adolescente è la
metformina. I dati di un studio randomizzato a doppio
cieco placebo-controllato condotto su 82 pazienti di
età tra 10-16 anni che ricevevano una dose fino a 1000
mg due volte al giorno per circa 16 settimane ha
mostrato un significativo miglioramento della glicemia
e dell’HbA1c senza rilevanti effetti collaterali eccetto disturbi gastrointestinali o cefalea (61). Tali risultati così
soddisfacenti hanno indotto la FDA e l’EMEA a convalidarne l’uso anche in età pediatrica. Controindicazioni
all’uso della metformina sono rappresentate da: alterata funzione renale o epatica, insufficienza cardiaca o
respiratoria, disidratazione, infezioni gravi, uso di
mezzi di contrasto radiografici per evitare il rischio di
acidosi lattica (51).
Qualora la monoterapia con metformina non sia sufficiente dopo un periodo di 3-6 mesi è possibile aggiungere una sulfonilurea o una meglitinide. Tuttavia l’uso
di questi farmaci nei bambini è ancora in fase speri-
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Tab. I. Principali classi di ipoglicemizzanti orali
Sulfaniluree: aumentano la secrezione insulinica. Le sulfaniluree di
seconda generazione (gliburide, glimepiride) sono in genere preferite
a quelle di prima generazione (acetoexamide, clorpropamide) per i
minori effetti collaterali
Meglitinidi (repaglinide, nateglinide): promuovono una secrezione di
insulina stimolata dal glucosio di breve durata con minor rischio di ipoglicemia rispetto alle sulfaniluree
Inibitori della glucosidasi (acarbosio, miglitolo): rallentano l’idrolisi
dei carboidrati complessi e il loro assorbimento intestinale
Tiazolidinedioni (troglitazone, rosiglitazone, pioglitazone): aumentano
la sensibilità insulinica a livello muscolare, epatico e del tessuto adiposo
Biguanidi (metformina): riducono l’output di glucosio dal fegato e
aumentano la sensibilità insulinica epatica e muscolare, senza effetto
diretto sulla funzione β-cellulare
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mentale; pertanto devono essere impiegati con cautela e soprattutto è necessario un continuo monitoraggio dei pazienti per la comparsa di possibili effetti collaterali.
L’insulina può essere aggiunta se gli ipoglicemizzanti
orali non sono in grado di ottenere il controllo metabolico (51).
Per quanto riguarda invece il controllo delle comorbilità
associate al T2DM è importante un controllo costante
della pressione arteriosa e, nel caso di valori pressori al di
sopra del 95° percentile in tre controlli successivi è
necessario intervenire con modificazioni comportamentali e se necessario con farmaci quali gli ACE-inibitori o in seconda linea i sartanici. Anche il profilo lipidico
richiede un accurato monitoraggio mantenendolo nei
limiti proposti dall’ADA e intervenendo qualora necessario dapprima con terapia dietetica opportuna e nei
casi più gravi con l’introduzione di resine o statine (51).
Conclusioni
Il T2DM è un problema emergente e in continuo
aumento tra i bambini e gli adolescenti.
Ai fini di una prevenzione e di un trattamento efficaci
di tale patologia è necessario un approccio generale
che coinvolga il bambino, la famiglia e la società. È fondamentale una precoce individuazione non solo dei
nuovi casi di T2DM, ma anche delle forme di prediabete e nello stesso tempo bisogna individuare e agire
sui fattori di rischio noti per lo sviluppo di T2DM, primo
fra tutti l’obesità. Solo agendo in tal senso si può cercare di contrastare l’attuale andamento epidemiologico del T2DM.
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Corrispondenza a: prof. Francesco Chiarelli, Clinica Pediatrica,
Università di Chieti, Via dei Vestini 5, 66100 Chieti
e-mail: [email protected]
Pervenuto in Redazione il 5/3/2005 - Accettato per la pubblicazione il 25/5/2005
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