il diabete di tipo 2 nel bambino e nell`adolescente
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il diabete di tipo 2 nel bambino e nell`adolescente
*DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 67 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 IL DIABETE DI TIPO 2 NEL BAMBINO E NELL’ADOLESCENTE F. CHIARELLI, M. MARCOVECCHIO, A. MOHN riassunto Negli ultimi anni una vera e propria epidemia di casi di diabete di tipo 2 (T2DM) si è verificata tra i bambini e gli adolescenti tanto da rappresentare la forma a più rapida crescita nella popolazione pediatrica in Europa, USA, Giappone, Australia e in molti altri Paesi. Il T2DM nel bambino, come nell’adulto, deriva da una combinazione di resistenza all’azione insulinica e alterazione della secrezione insulinica. Diversi fattori di rischio concorrono allo sviluppo del T2DM: obesità, stile di vita sedentario, storia familiare di T2DM, appartenenza a minoranze etniche, sesso femminile, fattori perinatali e condizioni associate a insulino-resistenza. Inoltre, è certa l’esistenza di una componente genetica su base multigenica, anche se ancora non del tutto definita. La prevenzione e il trattamento del T2DM sono aspetti importanti che richiedono un approccio basato su terapia dietetica, promozione di esercizio fisico e terapia con ipoglicemizzanti orali e talora con insulina. Fondamentale è l’intervento precoce volto a ottenere un buon controllo metabolico, un normale accrescimento psicofisico del bambino e dell’adolescente e a prevenire le complicanze cardiovascolari associate al diabete. Parole chiave. Diabete mellito di tipo 2, insulino-resistenza, MODY, bambini, adolescenti. summary Clinica Pediatrica, Università di Chieti, Chieti Type 2 diabetes in children and adolescents. Over the last years an epidemic increase of type 2 diabetes mellitus (T2DM) has occurred and now it represents the most growing form of diabetes in Europe, USA, Japan, Australia and many other countries. T2DM in children as in adults derives from a combination of insulin resistance and impaired insulin secretion. Many risk factors influence the development of T2DM: obesity, sedentary lifestyle, family history of T2DM, perinatal factors and conditions associated with insulin resistance. Moreover, there is a genetic component to the disease, which is multigenic but not well defined. Prevention and treatment of T2DM are essential and are based on dietary treatment, physical activity and pharmacotherapy with oral hypoglycaemic agents and sometimes with insulin. Intervention must be started early in order to obtain a good metabolic control, a normal physical and psychological growth of children and adolescents and to prevent cardiovascular complications associated with diabetes. Key-words. Type 2 diabetes mellitus, insulin resistance, MODY, children, adolescents. Introduzione Durante l’ultimo decennio c’è stato un notevole aumento dei casi di T2DM nei bambini e negli adolescenti, una malattia storicamente considerata come tipica dell’età adulta e senile. Infatti, prima del 1990 il T2DM era diagnosticato solo nell’1-2% dei giovani con diabete mellito mentre la gran parte dei casi erano forme di diabete autoimmune (1). A partire dal 1994 i pazienti con T2DM hanno raggiunto una proporzione del 16% e dal 1999 il T2DM rappresenta dall’8% al 45% di tutti i casi di diabete, risultando la forma in più rapida crescita in molte aree dell’America, dell’Europa, del Giappone, dell’Australia (2, 3). In accordo con l’OMS “un’apparente epidemia del diabete si sta verificando ed essa è strettamente correlata ai cambia- menti dello stile di vita ed economici” (4). L’aumentata incidenza del T2DM nel bambino e nell’adolescente rispecchia l’aumento simile dell’incidenza dell’obesità in questi soggetti (5). I primi dati epidemiologici disponibili sul T2DM nei giovani riguardano le comunità di nativi americani degli Stati Uniti e del Canada. Negli Indiani Pima in Arizona, una popolazione nota per la più alta prevalenza di T2DM, è stata riscontrata una prevalenza del 22,3 per 1000 in un gruppo di età compresa fra 10 e 14 anni e del 50,9 per 1000 nel gruppo di età compresa fra 15 e 19 anni nel periodo tra il 1992 e 1996 con un netto aumento rispetto alla prevalenza del T2DM nel 1979 che era del 9 per 1000 nei soggetti di età compresa tra 67 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 68 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 15 e 24 anni e addirittura nulla nei soggetti di età inferiore a 15 anni (6). Dati provenienti dal Navajo Health and Nutrition Survey relativi al periodo 1991-1992 evidenziano una prevalenza di 14,1 per 1000 nella popolazione di età compresa tra 12 e 19 anni (7). Un trend di aumento simile dei casi di T2DM emerge anche da altri studi clinici condotti in USA (8). Un incremento di tale patologia è stato riscontrato anche in Giappone dove, nei bambini in età scolare, l’incidenza è raddoppiata dal 7,3 per 100.000 tra il 1976 e il 1980, al 13,9 per 100.000 tra il 1991 e il 1995 e il T2DM è attualmente più comune del T1DM (9). Un altro studio condotto in Libia ha evidenziato un’incidenza del 19,6 e del 35,3 per 100.000 rispettivamente in maschi e femmine di età compresa tra 12 e 14 anni (10). Attualmente sono disponibili anche i dati relativi alla prevalenza del T2DM in Europa. In particolare essi riguardano uno studio retrospettivo condotto su una popolazione pediatrica di 67 bambini in Birmingham (Inghilterra) in cui nell’arco di 12 mesi tra i nuovi casi di diabete sono stati diagnosticati 4 casi di T2DM (11). Sulla base di tali dati la prevalenza nazionale stimata del T2DM in soggetti di età inferiore a 18 anni è stata del 3,8 per 100.000, con una incidenza annuale di 1,52 per 100.000. Un altro recente studio è stato condotto su una coorte di 491 giovani severamente obesi di origine multietnica europea. In particolare, esso ha evidenziato una prevalenza di IGT del 36,3% e di T2DM pari a 5,9% nel sottogruppo di 102 pazienti definiti ad alto rischio sulla base dei criteri dell’ADA (12). Fisiopatologia dell’insulino-resistenza e del T2DM Il T2DM è una patologia complessa determinata dall’interazione tra fattori di rischio sociali, ambientali e genetici (13). La predisposizione genetica, su base poligenica, gioca un ruolo importante come dimostrato sia da studi condotti su gemelli monozigoti, da cui è emersa una concordanza fino al 90%, sia dal riscontro di un rischio di sviluppare il T2DM in un parente di primo grado pari a circa il 40% (14). Inoltre, l’importanza della predisposizione genetica è supportata dalla diversa prevalenza del T2DM riscontrata in diversi gruppi etnici. Vari geni, soprattutto implicati nella regolazione dell’omeostasi glicidica, sono stati proposti come candidati per lo sviluppo del T2DM. Tuttavia, il ruolo di tali geni nel T2DM non è ancora definito così bene come quello dei geni dell’HLA nel T1DM (15, 16). Variazioni nella suscettibilità genetica, tuttavia, non possono spiegare da sole l’aumento così rapido dei nuovi casi di T2DM riscontrato negli ultimi anni. Pertanto, rilevante è senza dubbio l’influenza di fattori ambientali che hanno subito variazioni rapide nel corso del tempo. Il T2DM nel bambino così come nell’adulto è un disordine metabolico cronico che risulta da una combinazione di resistenza all’azione insulinica e incapacità della β-cellula a mantenere una adeguata secrezione insulinica (17). L’insulino-resistenza è caratterizzata da un’anomala risposta ai fisiologici effetti dell’insulina, comprendendo alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico, proteico e alterazioni anche della funzione dell’endotelio vascolare (14). L’insulino-resistenza gioca un ruolo determinante nello sviluppo del T2DM ed è stato ampiamente dimostrato che molti dei più noti fattori di rischio per lo sviluppo del T2DM agiscono proprio attraverso l’induzione di uno stato di resistenza all’azione insulinica. La prima tappa nello sviluppo del T2DM è rappresentata proprio da uno stato di insulino-resistenza con iperinsulinemia compensatoria e con normoglicemia. Il graduale declino della risposta compensatoria della β-cellula determina la comparsa di iperglicemia postprandiale e successivamente di iperglicemia a digiuno. Anche il declino della funzione β-cellulare dipende da fattori genetici e ambientali (17). Occorre, inoltre, sottolineare come l’iperglicemia di per se ha un’influenza negativa sia sull’insulino-resistenza sia sulla funzione β-cellulare, accelerando in tal modo il passaggio verso l’intolleranza glucidica e il diabete clinicamente manifesto. Tale effetto deleterio dell’iperglicemia è noto come glucotossicità e può essere ridotto con un adeguato e precoce controllo metabolico (18). Fattori di rischio Molti fattori di rischio sono associati allo sviluppo di T2DM: l’obesità, una storia familiare di T2DM, l’appartenenza ad alcuni gruppi etnici, la presenza di segni di insulino-resistenza, la pubertà, alcuni fattori perinatali (17) (fig. 1). L’obesità, soprattutto l’obesità viscerale, associata a uno stile di vita sedentario, è uno tra i più importanti fattori di rischio per lo sviluppo di T2DM, la cui incidenza sembra inoltre aumentare linearmente in funzione della durata dell’obesità. La principale alterazione associata all’obesità è la presenza di insulino-resistenza (19). In realtà, il tessuto adiposo, oltre a svolgere il classico e ormai da tempo noto ruolo di deposito energetico, rappresenta un vero e proprio organo endocrino in grado di rilasciare in circolo un gran 68 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 69 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 Obesità Etnia Storia familiare Pubertà Fattori perinatali Inattività fisica Fattori genetici INSULINO RESISTENZA Sesso femminile Alterata funzione della β-cellula Normale funzione della β-cellula DIABETE DI TIPO 2 Normale glicemia iperinsulinemia Fig. 1. Fattori di rischio per il diabete di tipo 2. numero di adipochine e fattori metabolici che influenzano la sensibilità e la secrezione insulinica (20). L’attuale epidemia dell’obesità sta dilagando in diversi Paesi sia sviluppati sia in via di sviluppo, rappresentando un serio problema già tra i bambini e gli adolescenti. In USA si calcola che circa 22 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni sono in sovrappeso. Un andamento simile si riscontra in Europa; la prevalenza di obesità nei bambini in Italia è la più alta di Europa (5). In un recente studio condotto in un ampio gruppo di 710 bambini italiani obesi è emerso che un’alta prevalenza di eccesso ponderale correla direttamente con la presenza di insulino-resistenza e alterata secrezione insulinica e nello stesso tempo il grado di obesità in questi bambini è risultato anche direttamente correlato con la presenza di fattori di rischio cardiovascolari (12). Bambini obesi presentano iperinsulinemia e resistenza periferica all’azione dell’insulina con una riduzione di circa il 40% della sensibilità insulinica (22, 23). Nel bambino come nell’adulto ha grande importanza la distribuzione del tessuto adiposo. Infatti, uno studio condotto su un gruppo di adolescenti obese ha evidenziato una diretta correlazione tra il grasso viscerale addominale, valutato con risonanza magnetica nucleare, e indici di insulino-resistenza quali l’insulina basale e stimolata dal glucosio e una inversa correlazione con indici di insulino-sensibilità quale per esempio la captazione del glucosio. Nessuna significativa correlazione è stata invece trovata tra gli indici sopra citati e il grasso sottocutaneo. Il maggiore impatto metabolico del grasso viscerale è stato correlato con la sua maggiore attività lipolitica e quindi con una gran quantità di acidi grassi e glicerolo direttamente trasportati al fegato (24). L’attuale stile di vita caratterizzato da una dieta a contenuto calorico sempre più elevato e da una scarsa attività fisica influenza notevolmente lo sviluppo di obesità e le complicanze a essa associate (25, 26). L’esercizio fisico è in grado di migliorare la sensibilità insulinica incrementando l’espressione del GLUT-4 sulle cellule muscolari. Nello stesso tempo l’attività fisica ha un ruolo chiave nel mantenimento di un normale peso corporeo, influenzando quindi anche indirettamente la sensibilità insulinica. Il ruolo della dieta e in modo particolare dei grassi saturi e delle proteine è stato ben sottolineato in uno studio giapponese soprattutto rapportandolo al contemporaneo aumento di incidenza del T2DM (26). La pubertà rappresenta uno stato di insulino-resistenza con un aumento sia nella secrezione basale che stimolata dell’insulina (27). In particolare, la captazione del glucosio insulino-stimolata è ridotta di circa il 30% durante gli stadi 2-4 di Tanner rispetto allo stadio 1 nel corso di valutazione con il clamp iperinsulinemicoeuglicemico (28). Generalmente tale ridotta sensibilità insulinica è compensata, in presenza di una normale funzionalità β-cellulare, da un incremento della secrezione insulinica. Le variazioni puberali nella sensibilità insulinica sono state correlate soprattutto con variazioni nell’attività dell’asse GH-IGF-1 che si hanno nello stesso periodo. Infatti, si è visto come la somministrazione di GH ad adolescenti non GH-deficienti comportava una notevole alterazione della secrezione insulinica (29). Tale effetto non consegue invece alla somministrazione di testosterone o di diidrotestosterone in ragazzi dando quindi enfasi al ruolo dell’ormone della crescita piuttosto che agli ormoni sessuali nel decremento puberale della sensibilità insulinica (30). Questi dati ben si correlano con quella che è l’età media alla diagnosi di T2DM nei giovani che è di circa 13,5 anni, proprio quindi nel mezzo del periodo puberale (17). La maggior parte dei bambini e adolescenti con T2DM appartiene a minoranze etniche, includendo nativi Americani, Ispano-Americani, Afro-Americani e Asiatico-Americani. L’insulino-resistenza è ridotta del 3540% negli adolescenti Afro-Americani rispetto ad adolescenti caucasici paragonabili per età, sesso e peso (31). Il Bogalusa Heart Study ha dimostrato che, tra i gruppi etnici, gli Afro-Americani sono quelli più insulino-resistenti. I giovani Afro-Americani, infatti, sono più obesi e hanno livelli di insulinemia e di glicemia più alti se paragonati ai coetanei Caucasici (32). È stato supposto che bambini appartenenti a minoranze etniche possano avere una predisposizione genetica al suo sviluppo. In particolare, la cosiddetta “thrifty genotype” ipotesi cerca di spiegare il tutto sulla base di un corredo genotipico che conferisce un vantaggio a tali popolazioni in presenza di scarse riserve di cibo, ma che diviene deleterio in presenza della abbondante disponibilità di nutrienti dell’attuale società con conseguente incremento del rischio di sviluppare obesità e T2DM (33). 69 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 70 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 Una storia familiare di T2DM è un fattore di rischio maggiore per il T2DM nei giovani con una ricorrenza fino al 74-100% in parenti di primo o secondo grado (34). Inoltre, tra gli Indiani Pima il T2DM al di sotto dei 25 anni è stato esclusivamente riscontrato in soggetti con almeno un parente affetto (35). La storia familiare di T2DM si associa infatti a una riduzione di circa il 25% nella insulino-sensibilità in bambini Afro-Americani non diabetici rispetto a coetanei senza storia familiare di T2DM (36). Uno studio condotto recentemente ha evidenziato dati simili in bambini di origine caucasica. In particolare, da un confronto tra 28 bambini normopeso con una storia familiare positiva per T2DM e 26 bambini di simile età e sesso ma senza anamnesi familiare positiva per T2DM è emerso che una storia familiare si associa con una riduzione della sensibilità e della clearance insulinica e con un alterato rapporto tra azione insulinica e compensazione della β-cellula (37). La ricorrenza familiare del T2DM, tuttavia, può indicare non solo l’intervento di fattori genetici ma anche la presenza di un comune pattern comportamentale in ambito familiare. Ciò è emerso chiaramente da uno studio condotto su 11 famiglie di adolescenti con T2DM e in cui sono stati valutati 42 soggetti tra genitori e figli. Tale studio ha mostrato che in tali famiglie il sovrappeso e il diabete erano molto comuni tra i componenti che, tra l’altro, avevano in comune anche diete ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di fibre e svolgevano minimi livelli di attività fisica (38). Anche il sesso influenza lo sviluppo del T2DM, come dimostrato da un rischio 1,7 volte maggiore nelle ragazze rispetto ai ragazzi (34). La maggiore suscettibilità femminile al T2DM è stata correlata con la presenza di elementi tipici della policistosi ovarica (PCOS) nelle ragazze studiate quali insulino-resistenza, anomalie della first-phase della secrezione insulinica e perdita della capacità compensatoria della β-cellula (39). La predisposizione al T2DM può essere anche programmata in utero. Infatti, il rischio di T2DM è aumentato in presenza sia di un basso sia di un elevato peso alla nascita, probabilmente perché sia una ridotta sia una eccessiva nutrizione in utero causano alterazioni metaboliche e ormonali permanenti che predispongono allo sviluppo di obesità, insulino-resistenza e disfunzione della β-cellula più tardi nel corso della vita (40, 41). La presenza di diabete materno è un importante fattore di rischio sia per lo sviluppo di obesità che di T2DM. I bambini a maggior rischio di diabete sono quelli nati da madri con uno scarso controllo metabolico della malattia (42, 43). Condizioni associate all’insulino-resistenza quale la PCOS o l’achantosis nigricans si associano a un aumentato rischio di sviluppare intolleranza glicidica e diabe- te conclamato. L’achantosis nigricans è una lesione cutanea caratterizzata da aree iperpigmentate e ruvide localizzate soprattutto a livello delle aree intertriginose e si riscontra spesso associata con insulino-resistenza e iperinsulinemia e può riscontrarsi fino a un 90% di giovani con T2DM (44). La PCOS, caratterizzata da aspetti quali irsutismo, acne, obesità, achantosis nigricans, si associa a insulino-resistenza e iperinsulinemia. In particolare, uno screening di adolescenti con PCOS ha evidenziato la presenza di un 30% di IGT e un 4% di T2DM. Inoltre, è stato anche dimostrato che adolescenti con PCOS e IGT hanno una riduzione del 40% della first-phase della secrezione insulinica rispetto a quelle con PCOS e normale tolleranza glicidica (45, 46). È stato dimostrato inoltre che un trattamento a breve termine con metformina di adolescenti con PCOS e IGT migliora la tolleranza glicidica e l’insulinosensibilità (47). Diagnosi e screening La diagnosi di T2DM è basata sui criteri stabiliti dall’ADA ovvero 1) presenza di sintomi di diabete associati a glicemia basale ≥ 200mg/dl (11,1 mmol/L) o 2) riscontro di una glicemia random ≥ 126 mg/dl (7 mmol/L) o 3) riscontro di una glicemia ≥ 200mg/dl a due ore da un OGTT (3). Tuttavia, in assenza di una inequivocabile iperglicemia con scompenso metabolico acuto, è necessario eseguire in una seconda occasione un test di conferma. Nella maggior parte dei pazienti pediatrici la classificazione delle diverse forme di diabete è possibile sulla base della presentazione clinica (3). Tuttavia, talora il diabete mellito può presentarsi in maniera anomala. In particolare, a causa della crescente epidemia dell’obesità pediatrica, il 20-25% dei nuovi casi di diabete di tipo 1 (T1DM) può essere obeso. Allo stesso modo può aversi una anomala presentazione del T2DM con chetosi o chetoacidosi fino a circa un terzo dei pazienti, con conseguente rischio di misclassificazione come forme di T1DM. Pertanto, nei casi dubbi può essere necessario il ricorso a test laboratoristici come il dosaggio dell’insulina basale e del C-peptide, che in genere sono normali o elevati nel T2DM o la valutazione degli autoanticorpi (ICA, IAA, GADA, IA-2), in genere negativi nel T2DM (1). Per quanto riguarda invece lo screening per il T2DM, non è indicato nessun intervento generale a livello di popolazione. Tuttavia, sia l’American Academy of Pediatrics (AAP) sia l’ADA raccomandano che tutti i giovani che sono in sovrappeso e che hanno almeno altri due fattori di rischio dovrebbero essere sottoposti a 70 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 71 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 screening per il T2DM a 10 anni di età o all’inizio della pubertà e poi ogni due anni. I fattori di rischio comprendono: una storia familiare di T2DM in un parente di 1° o 2° grado, l’appartenenza a certi gruppi etnici (Nativi Americani, Afro-Americani, Ispanici, Giapponesi) o la presenza di segni associati con l’insulino-resistenza (ipertensione, dislipidemia, achantosis nigricans o sindrome dell’ovaio policistico). La glicemia basale è il primo test di screening per il T2DM nei giovani pazienti. L’OGTT con la valutazione della glicemia a due ore è più sensibile nel valutare un IGT nei giovani, ma è anche più invasivo, inconveniente e costoso (3). MODY (maturity-onset diabetes of the young) Tra le forme di diabete mellito da considerare nella diagnosi differenziale con il classico T2DM rientra anche il MODY, una forma monogenica di diabete non insulino-dipendente a trasmissione autosomica dominante e con esordio in genere durante l’infanzia, l’adolescenza o la prima età adulta. Il MODY si manifesta soprattutto in soggetti di razza caucasica e rappresenta circa il 5% dei casi di diabete in età pediatrica (3). Dal punto di vista patogenetico si caratterizza per un’alterata secrezione insulinica senza o con minimo deficit di azione insulinica a livello periferico. Lo spettro clinico del MODY è ampio, spaziando da forme di iperglicemia asintomatica a forme con acuta e severa presentazione. Tuttavia, le principali caratteristiche cliniche sono: comparsa di iperglicemia prima dei 25 anni, anamnesi familiare positiva per intolleranza al glucosio per 2 o 3 generazioni, diabete non insulino-dipendente per almeno 5 anni dopo la diagnosi, assenza di chetosi grave (48, 49). In genere l’obesità non è una caratteristica tipica de i soggetti con MODY; tuttavia, dato il crescente numero di bambini e adolescenti obesi, non si può escludere che soggetti in sovrappeso siano affetti da una forma di MODY. Pertanto, nei casi dubbi, test di laboratorio come la ricerca di autoanticorpi, negativi nel MODY come nel T2DM diversamente dal T1DM e dei livelli ematici basali di C-peptide e insulina, bassi nel MODY, diversamente dal T2DM possono aiutare a dirimere il dubbio diagnostico (3). Fino a ora sono stati identificati 6 tipi di mutazioni genetiche che corrispondono a sei diverse forme di MODY; altri geni tuttavia non sono ancora ben stati indviduati (48-50). Test molecolari per la diagnosi di MODY sono al momento disponibili solo in centri di ricerca. Pertanto, fino a qundo non sarà possibile una loro più ampia esecuzione, la diagnosi di MODY sarà basata soprattutto sulle principali caratteristiche cliniche delle diverse forme. Il MODY 1 è dovuto a mutazioni del gene codificante per il fattore nucleare epatico 4α (hepatic nuclear factor 4α; HNF-4α). HNF-4α è un fattore di trascrizione in grado di regolare la sintesi del fattore nucleare epatico 1α (hepatic nuclear factor 1α; HNF-1α). Le caratteristiche cliniche del MODY 1 sono simili al MODY 3: disfunzione progressiva della β-cellula, con deterioramento del controllo glicemico già in età adolescenziale. Circa un 30% dei pazienti richiede terapia insulinica. Inoltre, si può associare a severe complicanze microvascolari. Il MODY 1 differisce però dal MODY 3 per un’età di esordio più tardiva e per una minore penetranza, con una normale tolleranza glicidica in un 10-20% dei soggetti con mutazioni dell’HNF-4α (48-50). Il MODY 2 è dovuto a mutazioni del gene codificante per la glucochinasi (GCK), enzima coinvolto nel metabolismo intracellulare del glucosio e attivo sia nella β-cellula sia a livello epatico. Pazienti con mutazioni della glucochinasi in genere hanno una moderata glicemia basale (5,5-9 mmol/L) e con un piccolo incremento a 120’ durante OGTT. Inoltre, i pazienti sono spesso asintomatici con una bassa frequenza di complicanze micro- e macrovascolari e presentano un buon controllo a lungo termine della glicemia con la sola dieta. Raramente è necessario il trattamneto farmacologico (48-50). Il MODY 3 è la forma più comune di MODY, dovuta a mutazioni dell’HNF-1α, un fattore trascrizionale espresso in quasi tutti i tessuti. Questi pazienti sono normoglicemici alla nascita e poi sviluppano un progressivo difetto della funzione β-cellulare con intolleranza glucidica già nell’adolescenza o prima età adulta. Inoltre, essi sviluppano spesso complicanze microe macrovascolari come i pazienti con T1DM. Approssimativamente la stessa percentuale di pazienti è trattata con dieta, ipoglicemizzanti orali o insulina (48-50). Il MODY 4 è dovuto a mutazioni del fattore promotore dell’insulina 1 (insulin promoter factor 1; IPF-1), gene che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del pancreas e nella regolazione della trascrizione genica della β-cellula. Si caratterizza per una iperglicemia a esordio neonatale che richiede terapia insulinica negli omozigoti. Negli eterozigoti l’esordio si ha in età giovanile o adulta e la sola dieta permette in genere di controllare l’iperglicemia (48-50). Il MODY 5 è dovuto a mutazioni del fattore nucleare epatocitario 1β (hepatic nuclear factor 1β; HNF-1β), gene che è strettamente correlato all’HNF-1α, con il quale forma un eterodimero. È una forma rara di MODY caratterizzata da diabete associato ad alterazioni funzionali e morfologiche renali, con rischio di progressione verso l’insufficienza renale e anormalità anche a livello dell’apparato genitale e alterazioni dei test di funzionalità epatica (48-50). 71 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 72 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 Il MODY 6 è una forma molto rara, tipica del giovane adulto, dovuta a una mutazione nel gene del fattore di trascrizione NeuroD1/Beta2 e con comparsa di iperglicemia già nell’infanzia. Il MODY X comprende tutte le forme in cui il difetto genetico non è stato ancora individuato e include forme associate a iperinsulinismo, insulino-resistenza e obesità (48-50). Follow-up Una volta che la diagnosi di T2DM è posta, tutti i bambini e gli adolescenti e coloro che si prendono cura di loro dovrebbero essere istruiti a monitorare la glicemia e i chetoni plasmatici e urinari. È importante poi ricordare insieme al bambino o all’adolescente quelli che sono i sintomi tipici associati all’iperglicemia e all’ipoglicemia e raccomandare vivamente di controllare la glicemia ogni volta che tali sintomi si presentino. È importante anche far presente che, seppure uno stato di chetosi o di franca chetoacidosi non è tipico del T2DM, tuttavia talora può verificarsi, soprattutto in coincidenza con infezioni o malattie in genere. Pertanto, è fondamentale che il bambino e i genitori comprendano l’importanza di monitorare glicemia e chetoni qualora comparissero nausea, vomito o dolore addominale in coincidenza con malattie (3). In genere nei giovani pazienti in terapia insulinica la glicemia deve essere valutata prima dei pasti e prima di coricarsi. Nei pazienti in terapia con ipoglicemizzanti orali o in sola terapia dietetica la glicemia deve essere valutata a digiuno e 2 ore dopo cena. Una volta che è stato raggiunto un buon controllo glicemico tale valutazione può essere eseguita anche solo tre volte la settimana. I giovani pazienti con T2DM sono in genere controllati a intervalli di 3 mesi, o più spesso se le condizioni cliniche lo richiedono (51, 52). Un intenso controllo metabolico è richiesto come nel T1DM cercando di ottenere valori di HbA1c pari a 6,5-7% (52). Inoltre, è importante un attento e costante monitoraggio delle comorbilità che frequentemente si associano al T2DM. In particolare, diversamente dai bambini affetti da T1DM, quelli con T2DM devono essere indagati in tal senso già al momento della diagnosi, ricordando che il T2DM a lungo si mantiene asintomatico e che la condizione di prediabete di per sé comporta un aumentato rischio di sviluppo di comorbilità. Screening per retinopatia, microalbuminuria e profilo lipidico devono essere eseguiti annualmente nei ragazzi con T2DM. Importante è anche il controllo costante della pressione arteriosa (3). Prevenzione La prevenzione del T2DM rappresenta un elemento fondamentale e deve essere diretta alla popolazione generale attraverso la promozione di uno stile di vita migliore basato su una alimentazione equilibrata e sull’incremento dell’attività fisica (53, 54). Fondamentale risulta poi l’individuazione dei cosiddetti soggetti ad alto rischio per lo sviluppo di T2DM e un loro attento screening sulla base di quanto stabilito dall’ADA (3). La prevenzione del T2DM, così come quella di gran parte delle patologie, si articola in due fasi: una prevenzione primaria e una prevenzione secondaria. La prima applicata precocemente quando i livelli di glicemia sono ancora normali o solo indicativi di intolleranza glicidica (IGT) o alterata glicemia a digiuno (IFG), in modo da ritardare o se possibile evitare l’esordio del diabete stesso. La prevenzione secondaria consiste invece di interventi volti a garantire un controllo glicemico ottimale, un buon controllo della pressione arteriosa e un costante screening per le complicanze a lungo termine oltre all’educazione sul diabete e al supporto sociale ed economico (3). È importante poi sottolineare che la prevenzione del T2DM deve iniziare precocemente, addirittura già durante la vita intrauterina attraverso una buona nutrizione ed esercizio fisico adeguato della gestante e attraverso un costante monitoraggio della crescita del feto. Dopo la nascita bisogna promuovere l’allattamento, evitare un incremento ponderale troppo rapido, istituire una educazione incentrata su una alimentazione equilibrata e su una regolare attività fisica (15). Nei bambini e adolescenti ad alto rischio per T2DM il controllo del peso corporeo e la promozione dell’esercizio fisico devono essere prontamente istituiti (15). Questi interventi devono essere più intensivi e associati a uno stretto follow-up nei bambini che già si trovano in una condizione di IGT o di IFG. Il controllo del peso corporeo riveste un ruolo cardine nella prevenzione così come nel trattamento del T2DM, data la stessa associazione tra stato di sovrappeso e presenza di una alterata tolleranza ai carboidrati. L’attività fisica e la dieta equilibrata sono infatti i cardini del trattamento dell’obesità in età pediatrica, mentre il ricorso alla terapia farmacologica non è raccomandato in questa età, data l’assenza di dati sulla sicurezza ed efficacia dei farmaci usati nell’adulto obeso (3). Fino a oggi solo uno studio pilota ha mostrato che l’orlistat può avere un ruolo nel trattamento di bambini con obesità grave e mancano al momento ancora studi randomizzati controllati sull’argomento (55). Un programma di prevenzione proposto nella comu- 72 *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 73 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 nità indiana di Gila River nel 1996 aveva già evidenziato il ruolo fondamentale nei bambini della dieta e dell’esercizio fisico nella prevenzione del T2DM (56). Lo stesso è stato confermato da uno studio più recente in cui si è verificata l’efficacia delle modificazioni dello stile di vita sull’insulino-resistenza così come sulla sindrome metabolica (57). Alcuni autori hanno indagato l’uso della terapia farmacologica, in particolare della metformina, nella prevenzione del T2DM in adolescenti obesi con iperinsulinemia e una storia familiare di T2DM che hanno partecipato a uno studio randomizzato con placebo a doppio cieco. Dopo 6 mesi il gruppo trattato con metformina ha mostrato una riduzione del BMI di 0,12 SDS, una riduzione dei livelli basali di insulina da 31,3 a 19,3 µU/ml e della glicemia basale da 84,8 a 74,8 mg/dl, mentre nessun cambiamento è stato riscontrato nell’insulino-sensibilità, disponibilità di glucosio, HbA1c e lipidi. Al contrario, il gruppo trattato con placebo non ha mostrato miglioramenti significativi negli indici sopraccitati (60). Tuttavia, fino a quando i risultati degli attuali trial sull’uso degli ipoglicemizzanti orali nei bambini non saranno disponibili, l’uso di farmaci per la prevenzione del diabete nel bambino non è raccomandato. Trattamento Il trattamento del T2DM nei giovani pazienti deve mirare a ottenere un ottimale controllo metabolico, garantire un normale sviluppo psicofisico e controllare anche le comorbilità associate al T2DM, quali per esempio l’ipertensione e la dislipidemia, che possono concorrere ad aumentare il rischio di complicanze cardiovascolari in tali pazienti. Inoltre, la prevenzione di micro- e macroangiopatia rappresenta un altro punto cardine del trattamento del giovane diabetico (53). Il trattamento di questi pazienti dipende fondamentalmente dalla modalità di esordio della malattia, che è estremamente variabile, spaziando da forme del tutto asintomatiche con diagnosi incidentale a manifestazioni gravi di deficit insulinico (51, 58). Per i pazienti asintomatici al momento della diagnosi il primo step del trattamento è basato su un programma di controllo del peso corporeo, riduzione dell’introito di cibi a elevato contenuto calorico e lipidico, aumento dell’attività fisica. Il calo ponderale rappresenta un fattore importante per ridurre lo stato di insulino-resistenza così come la promozione di almeno 30 minuti di attività fisica al giorno (59). Qualora tale approccio non sia in grado di assicurare un buon controllo metabolico, è necessario intraprendere la terapia farmaco- logia, che rappresenta invece già il primo approccio nei casi sintomatici al momento della diagnosi (51). In genere gli ipoglicemizzanti orali (OHA) sono i primi a essere usati mentre è d’obbligo il ricorso all’insulina nei casi a esordio con disidratazione, chetosi, chetoacidosi, o con valori molto elevati di glicemia o di HbA1c. In questi casi poi nel corso del follow-up all’insulina si può associare la metformina per passare poi col miglioramento delle condizioni cliniche a una monoterapia con quest’ultima. Fino a oggi sono note ben cinque classi di agenti ipoglicemizzanti orali che agiscono influenzando la secrezione insulinica o incrementando la sensibilità all’insulina (51) (tab. I). Non si hanno molti dati a disposizione sull’uso degli OHA nel bambino e al momento sono in corso trial volti a valutarne l’efficacia e la sicurezza. L’unico OHA approvato per l’uso nel bambino e nell’adolescente è la metformina. I dati di un studio randomizzato a doppio cieco placebo-controllato condotto su 82 pazienti di età tra 10-16 anni che ricevevano una dose fino a 1000 mg due volte al giorno per circa 16 settimane ha mostrato un significativo miglioramento della glicemia e dell’HbA1c senza rilevanti effetti collaterali eccetto disturbi gastrointestinali o cefalea (61). Tali risultati così soddisfacenti hanno indotto la FDA e l’EMEA a convalidarne l’uso anche in età pediatrica. Controindicazioni all’uso della metformina sono rappresentate da: alterata funzione renale o epatica, insufficienza cardiaca o respiratoria, disidratazione, infezioni gravi, uso di mezzi di contrasto radiografici per evitare il rischio di acidosi lattica (51). Qualora la monoterapia con metformina non sia sufficiente dopo un periodo di 3-6 mesi è possibile aggiungere una sulfonilurea o una meglitinide. Tuttavia l’uso di questi farmaci nei bambini è ancora in fase speri- 73 Tab. I. Principali classi di ipoglicemizzanti orali Sulfaniluree: aumentano la secrezione insulinica. Le sulfaniluree di seconda generazione (gliburide, glimepiride) sono in genere preferite a quelle di prima generazione (acetoexamide, clorpropamide) per i minori effetti collaterali Meglitinidi (repaglinide, nateglinide): promuovono una secrezione di insulina stimolata dal glucosio di breve durata con minor rischio di ipoglicemia rispetto alle sulfaniluree Inibitori della glucosidasi (acarbosio, miglitolo): rallentano l’idrolisi dei carboidrati complessi e il loro assorbimento intestinale Tiazolidinedioni (troglitazone, rosiglitazone, pioglitazone): aumentano la sensibilità insulinica a livello muscolare, epatico e del tessuto adiposo Biguanidi (metformina): riducono l’output di glucosio dal fegato e aumentano la sensibilità insulinica epatica e muscolare, senza effetto diretto sulla funzione β-cellulare *DIAB.IMP N. 2/2005 14-06-2005 17:32 Pagina 74 GIDM Rassegna 25, 67-76, 2005 mentale; pertanto devono essere impiegati con cautela e soprattutto è necessario un continuo monitoraggio dei pazienti per la comparsa di possibili effetti collaterali. L’insulina può essere aggiunta se gli ipoglicemizzanti orali non sono in grado di ottenere il controllo metabolico (51). Per quanto riguarda invece il controllo delle comorbilità associate al T2DM è importante un controllo costante della pressione arteriosa e, nel caso di valori pressori al di sopra del 95° percentile in tre controlli successivi è necessario intervenire con modificazioni comportamentali e se necessario con farmaci quali gli ACE-inibitori o in seconda linea i sartanici. Anche il profilo lipidico richiede un accurato monitoraggio mantenendolo nei limiti proposti dall’ADA e intervenendo qualora necessario dapprima con terapia dietetica opportuna e nei casi più gravi con l’introduzione di resine o statine (51). Conclusioni Il T2DM è un problema emergente e in continuo aumento tra i bambini e gli adolescenti. Ai fini di una prevenzione e di un trattamento efficaci di tale patologia è necessario un approccio generale che coinvolga il bambino, la famiglia e la società. È fondamentale una precoce individuazione non solo dei nuovi casi di T2DM, ma anche delle forme di prediabete e nello stesso tempo bisogna individuare e agire sui fattori di rischio noti per lo sviluppo di T2DM, primo fra tutti l’obesità. Solo agendo in tal senso si può cercare di contrastare l’attuale andamento epidemiologico del T2DM. Bibliografia 1. Pinhas-Hamiel O, Dolan LM, Daniels SR, Standifor D, Khoury PR, Zeitler P: Increased incidence of noninsulin-dependent diabetes mellitus among adolescents. J Pediatr 128, 608-151, 1996 2. Silverstein JH, Rosenbloom AL: Type 2 diabetes in children. Curr Diab Rep 1, 19-27, 2001 3. American Diabetes Association: Type 2 diabetes in children and adolescents. Diabetes Care 23, 381-389, 2000 4. King H, Rewers M: Diabetes in adults is now a Third World problem. The WHO Ad Hoc Diabetes Reporting Group. Bull WHO Health Organ 69, 643-648, 1991 5. Deckelbaum RJ, Williams CL: Childhood obesity: The health issue. Obes Res 9 (suppl 4), 239-243, 2001 6. 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Francesco Chiarelli, Clinica Pediatrica, Università di Chieti, Via dei Vestini 5, 66100 Chieti e-mail: [email protected] Pervenuto in Redazione il 5/3/2005 - Accettato per la pubblicazione il 25/5/2005 76