il mondo cresce…e si sposta in città - Gsanews

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il mondo cresce…e si sposta in città - Gsanews
FOCUS CITTÀ
il mondo cresce…e si sposta in città
alla ricerca di qualità
di Fortunato Gallico
Nel 2050 la popolazione mondiale
raggiungerà i nove miliardi di abitanti. Il 70 per cento di loro abiterà in città che è dunque il centro dello sviluppo futuro. Alla base
dell’attenzione dei cittadini, ma anche dei potenziali investitori e degli amministratori, dovrà esserci la
qualità della vita.
La popolazione mondiale è in continua
crescita e si stima che nel 2050 supererà
abbondantemente quota 9 miliardi. Il nostro Paese è previsto in controtendenza,
con una diminuzione della popolazione
dell’ordine del 4.5-5%, in altre parole passeremo dagli attuali 60 milioni a circa 57.
In entrambi gli scenari, quello della crescita
che riguarda soprattutto i paesi in via di sviluppo e quello del decremento che riguarda esclusivamente il Vecchio Continente, è
però costante la tendenza all’urbanizzazione che, dopo avere recentemente scavalcato la soglia del 50%, arriverà, sempre nel
2050, al livello record del 70%.
Cresce la popolazione ma
anche gli interrogativi
I problemi che deriveranno dalla crescita demografica sono sostanzialmente riconducibili a quello della alimentazione
e a quello della disponibilità di energia,
essenziale per lo sviluppo: due problemi
che vanno poi a incidere profondamente sull’ancor più generale tema della salvaguardia dell’ambiente. Come verranno
risolti? A sfamare il mondo provvederà la
scienza, l’industrializzazione, l’agribusiness
oppure prevarrà la ricerca della sostenibilità? A dargli l’energia necessaria e sufficien-
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Il premio Capitale Verde
te provvederanno ancora in larghissima misura carbone, gas, petrolio e nucleare, o
al contrario faremo nostra la lezione di Jeremy Rifkin, che propone il decentramento energetico, trasformando ogni abitazione in una fonte di energia, in un network
di democrazia energetica? Io penso che gli
anni che ci separano dalla metà del secolo
non siano sufficienti a cancellare una opzione a favore dell’altra, e probabilmente nel
2050 saremo ancora a metà del guado, in
un contesto ancora caratterizzato da aspre
battaglie ideologiche.
Stoccolma, capitale verde europea 2010
L’urbanizzazione richiede
nuovi modelli di città
Ma quello che qui mi preme sottolineare
è un terzo problema, che emerge dai dati
sopra riportati, ossia quello della progressiva, inarrestabile urbanizzazione. Se a livello
mondiale assisteremo al crescente sviluppo
di megalopoli da 20, 30, 40 milioni di abitanti (si stima che quelle con oltre 10 milioni saranno ben 27, con Tokyo in testa alla graduatoria, a quota 36 milioni o giù di
lì), è del tutto palese che occorrerà pensare a innovativi modelli di crescita delle
città, in grado di sopportare questo enorme impatto; ma occorrerà altresì pensare
a come progettare lo sviluppo delle piccole e medie città europee, che non dovran-
maggio
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FOCUS CITTÀ
no fare fronte a masse di popolazione crescenti a tassi eccezionali, ma dovranno fornire risposte a cittadini che richiederanno
sempre migliore “qualità”. I due temi, quello della crescita demografica e quello della crescita delle aspettative, dovranno evolvere secondo percorsi che molto spesso e
inevitabilmente si incroceranno, interferiranno l’uno con l’altro reciprocamente influenzandosi, anche se le priorità, gli obiettivi strategici, le azioni da intraprendere saranno inevitabilmente diversi tra loro.
Il grande sorpasso:
benvenuto in città!
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Come ho già ricordato più sopra, da un paio d’anni si è realizzato il grande sorpasso:
più della metà della popolazione del nostro
pianeta, infatti, vive ora nelle città. Stiamo
parlando di qualche miliardo di persone
che, a svariato titolo, hanno progressivamente abbandonato le campagne, per una
scelta di vita che ha privilegiato, appunto, le
grandi conurbazioni o anche città di dimensioni più contenute, ma sempre caratterizzate da un più accentuato vivere sociale.
Se questo è vero, come è vero, allora il tema della qualità della vita nelle città diventa una priorità assoluta e assai complessa
da sviluppare.
La città richiede qualità…
Amburgo, capitale
verde europea 20111
Vorrei richiamarmi a quelli che sono da
tempo accettati come i tre principali in-
dicatori, ai quali guardano gli investitori,
grandi e piccoli, allo scopo di individuare
le aree nelle quali indirizzare i propri sforzi, ovvero la qualità ambientale, la qualità
sociale e la propensione all’innovazione.
Cosa si deve intendere con questi indicatori? In buona sostanza, si deve intendere
che se io penso di investire il mio denaro
in una intrapresa è perché voglio che essa abbia successo, che si traduca cioè in
profitto, e questo è tanto più probabile
quanto più le condizioni in cui dovrò operare sono favorevoli. Voglio quindi scegliere una “location” che mi consenta di sviluppare il mio business in un ambiente
favorevole sotto molteplici aspetti, dove
la criminalità sia contenuta, dove il contesto sociale sia scarsamente conflittuale, dove i servizi siano efficienti e la burocrazia snella, dove io possa reperire partner, collaboratori, dipendenti in grado di
darmi un contributo fattivo, dove vi sia
un elevato livello di scolarità e così via. E
questo è il caso dei grandi investitori. Ma
c’è poi una vasta popolazione di piccoli
investitori, se così possiamo definire ad
esempio i pensionati, che al termine di
una vita di lavoro possono decidere di rimanere dove hanno sempre vissuto oppure di stabilirsi altrove, in un contesto a loro più favorevole: le “pantere grigie” portano con sé, frequentemente, una buona
capacità di spesa, ma questa disponibilità
li induce a cercare una città, una regione,
un Paese che sia a loro misura: insomma,
dove si viva bene.
…e la qualità in città chiama
investimenti (e lavoro)
Richiamare investitori, è chiaro, significa
moltiplicare occasioni di lavoro, accrescere il benessere, innescare un meccanismo
evolutivo: la qualità richiama i capitali, che
contribuiscono ad accrescere la qualità, che
richiama altri capitali eccetera.
Pensiamo ad esempio ad una città come
New York: non è la capitale degli Stati Uniti, né è la città più industrializzata, però è
da sempre la città che viene in mente per
prima se uno pensa all’America; perché?
Perché è certamente la città più stimolante, quella dove si esalta in massima misura la creatività, la città dove avviene tutto,
e prima che da ogni altra parte del mondo; è un gigantesco pentolone, un “melting pot” come dicono loro, dove convivono genti di tutte le provenienze, di tutte le
razze, di tutti i colori, di tutte le religioni,
un mix incredibile che sta alla base di una
infinità di esperienze di avanguardia, che
consente di considerare la Grande Mela come un luogo dove la propensione all’innovazione è ai massimi livelli! Però New York,
come tutte le grandi conurbazioni, presentava e in parte presenta tuttora una quantità di problemi sociali: ebbene, un sindaco particolarmente impegnato a tentare di
risolverli, Rudolph Giuliani, ha puntato, in
passato, molta della sua gestione a contrastare la micro-criminalità, ottenendo notevoli successi quanto a qualità sociale; e
ora si punta con decisione a migliorare la
qualità ambientale, investendo sul verde
urbano, sulle piste ciclabili, sulla pedonalizzazione, su uno sforzo per “rallentare” la
frenesia della città.
Per rimanere ancora all’interno della capacità di attrarre investitori, grandi o piccoli
che siano, vale forse la pena di ricordare anche alcune considerazioni, che scaturiscono da uno studio del McKinsey Global Institute, dal titolo “Urban world: mapping
the economic power city”. Questa ricerca,
che naturalmente parte dalla osservazione
della crescita costante della popolazione
mondiale e della progressiva tendenza alla
FOCUS CITTÀ
I vantaggi di (tornare a)
vivere nella city
urbanizzazione, sottolinea il sensibile spostamento del peso economico delle città
dall’Occidente verso il Sud e l’Est del mondo, ma sottolinea altresì che la crescita sembra privilegiare le medie città piuttosto che
le megalopoli: se a prima vista questa considerazione sembrerebbe dare qualche vantaggio alle nostre principali città, Milano,
Roma, Torino, Napoli, ebbene la smentita
arriva subito, con la nostra città più ricca,
Milano, che esce dalle prime venti a livello
mondiale nella proiezione al 2025, laddove
in precedenza figurava nelle parti alte della
classifica. Ciò parrebbe sottolineare la scarsa capacità del nostro Paese a mantenere
i ruoli conquistati nel passato, se non ad
aumentarli: da un lato, le nostre città non
possono crescere “fisicamente”, anche per
l’evidente carenza di spazio (e non è detto che questo sia un male…); dall’altro, le
strategie sin qui messe in atto per sostenere la crescita economica non sono sufficienti a competere con successo nel mercato
mondiale, che non sarà più, osserva qualche studioso, un mercato di paesi, bensì un
mercato di città.
Proviamo ora a chiederci per quale ragione si stia sviluppando in maniera abnorme
l’urbanizzazione, ossia perché la tendenza a
uscire dalle grandi città per andare a vivere
nelle città satellite o comunque nelle estreme periferie stia cambiando direzione: certo vi è da mettere in conto la crescita demografica, ma altri sono gli elementi da considerare. Pensiamo ad esempio ai trasporti:
chi nei decenni passati aveva scelto la strada del “commuting”, lavorando cioè in città ma fuggendo dalla stessa al termine della
giornata lavorativa, si trova oggi a dover fare i conti con un traffico sempre più caotico
e a costi crescenti del trasporto pubblico, e
dunque è portato a riconsiderare l’ipotesi
di stabilirsi in città. Pensiamo al fenomeno
della immigrazione: è molto evidente che
sia destinato a crescere in misura esponenziale, ma esso non punta ai sobborghi, bensì alla città, dove maggiori sono le probabilità di trovare lavoro. Pensiamo ai giovani,
che sempre più sono attratti da ciò che le
grandi città possono offrire per il tempo libero, per lo studio, per la cultura. Pensia-
Victoria Gasteiz,
capitale verde
europea 2012
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Nantes, capitale
europea verde 2013
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mo ai consumi energetici: è meno energivoro un grattacielo, rispetto a una serie di
villette a schiera di pari capacità abitativa.
Insomma, sono molteplici i driver che nei
prossimi decenni accelereranno i processi di urbanizzazione: è chiaro che diviene
prioritario, per le amministrazioni, pianificare molto attentamente lo sviluppo, onde
evitare che questa urbanizzazione produca
mostri di invivibilità quali ad esempio Lagos. In altre parole, occorre pianificare in
termini di sostenibilità ambientale, di qualità della vita.
Cosa si deve fare
per migliorare
Molte sono le opzioni alle quali pensare
in questo processo di sistematizzazione, di
pianificazione, di organizzazione, e naturalmente sempre secondo una logica di customizzazione, ossia tenendo ben presenti le
specifiche realtà, per costruire piani “su misura” che utilizzino tutto ciò che la tecnologia mette a disposizione, ma adattandoli
caso per caso. Guardiamo, per esempio, a
quanto si sta facendo a Stoccolma per ottimizzare traffico e trasporti, dove un sistema gps montato sui taxi fornisce ai cittadini, che inviano tramite sms la propria
posizione, in tempo reale informazioni sui
flussi, sui tempi di percorrenza eccetera.
Guardiamo, per esempio, allo sviluppo delle aree pedonali, che in Italia stentano a
trovare spazio, contrastate come sono dalle lobby dei commercianti, mentre in altre
realtà si punta ad interi quartieri pedonalizzati: eppure sappiamo che l’eliminazione o
la riduzione del traffico consente di ridurre sensibilmente l’inquinamento acustico
e dell’aria che respiriamo, aumenta signifi-
cativamente il ricorso al trasporto pubblico (evidenti le ricadute sui bilanci dei comuni…), riduce i livelli di pericolosità e via
discorrendo. Non è poco, specie in un Paese come l’Italia che ha nel turismo una delle voci più importanti del proprio bilancio!
Guardiamo ancora, per esempio, a quanto
si può fare e in molti casi si sta già facendo, dal punto di vista del risparmio energetico, riqualificando l’edilizia, sia privata che
pubblica, montando pannelli solari, migliorando l’isolamento di soffitti e pareti, intervenendo sull’efficienza di caldaie e così via
(tra l’altro con effetti benefici sui livelli occupazionali…). Guardiamo al verde…e si
potrebbe continuare a guardare a un sacco di cose fattibili, sempre che si riuscisse
davvero a fare propria quella cultura della
pianificazione che sta alla base di tutti i processi di sviluppo.
La grandezza non fa Capitale:
ma le credenziali ecologiche sì
Mi sia consentito di segnalare che il titolo
di “Capitale verde europea 2013” è andato a Nantes, una città francese di non grandi dimensioni, che vanta molte credenziali
ecologiche, che hanno contribuito alla vincita del titolo. Ad esempio: tutti i cittadini
di Nantes vivono a non più di 300 metri da
un’area verde; vi sono 57 m² di spazio verde a persona; in città vi sono 100 000 alberi;
il 15% dei residenti utilizza i trasporti pubblici quotidianamente; la città ha presentato un ambizioso piano d’azione sul clima che mira a ridurre le emissioni di CO2
pro capite entro il 2020 del 30% rispetto ai
livelli del 2003; il 60% della superficie della città è costituito da terreni agricoli o da
aree verdi; la città presenta quattro siti Na-
tura 2000 e 33 aree naturali di interesse floreale, faunistico o ecologico. Della serie,
non bisogna inventarsi niente, basta guardare a chi fa meglio di noi e usare il buon
senso e il cervello!
Progettare la crescita partendo
dall’attenzione alla qualità
Certo è che nel nostro Paese sembra essersi del tutto perduta la capacità di pianificazione, che in un lontano passato aveva
portato addirittura alla creazione di “città
ideali”, quali Pienza o Palmanova. I centri
storici sono state assorbiti, in molti casi se
non sempre, all’interno di sistemi urbani
privi di governo del territorio. Il malessere
sembra essere in costante sviluppo. I piani
regolatori sembrano essere diventati strumenti di potere e non di pianificazione, di
progettazione della crescita. A progettare
ci prova ogni tanto, qua e là, qualche archistar, ma non sempre in contesti alieni
ai condizionamenti. Ma è del tutto evidente che se non sapremo riprendere in mano
la capacità di planning, il governo del territorio, la capacità di attrarre investitori, le
nostre città, e con loro l’intero Paese, sono destinate ad un progressivo inarrestabile declino. Quanto ho cercato di illustrare
conferma che al centro dello sviluppo futuro, c’è la città, e che al centro dell’attenzione ci deve dunque essere la “qualità”:
al centro dell’attenzione dei cittadini, ovviamente, ma anche dei potenziali investitori e, naturalmente, degli amministratori
locali, cui corre l’obbligo di fare della qualità il proprio faro.