Indicazione d`origine - Confindustria Bergamo

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Indicazione d`origine - Confindustria Bergamo
Problematiche per la corretta etichettatura:
indicazioni d'origine dei prodotti
commercializzati in UE
(artt. 22-26 Reg. CEE n. 2913 del 12.10.1992).
Si intendono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese, ovvero, qualora
alla produzione delle merci contribuiscano due o più paesi, si definisce come paese d'origine
quello in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale
Accordo di Madrid
La normativa di riferimento è, in primo luogo, data dall'Accordo sulla repressione delle false o
ingannevoli indicazioni di provenienza del 14 aprile 1891 c.d. Accordo di Madrid.
Ratificato dall'Italia e da numerosissimi altri paesi (vedi lista completa nei riferimenti riportati
sul sito) l'Accordo di Madrid si preoccupa principalmente di tutelare il consumatore evitando
che quest'ultimo possa essere tratto in inganno circa la provenienza effettiva del prodotto
acquistato.
L'art. 1 dell'Accordo di Madrid sanziona infatti le false e ingannevoli indicazioni di
provenienza prevedendo il sequestro dei prodotti recanti indicazioni di provenienza false o
ingannevoli. Sequestro che può aver luogo all'importazione e nel paese in cui l'indicazione è
stata apposta.
Sebbene l'Accordo di Madrid faccia riferimento solo alle indicazioni di "provenienza", un
orientamento ormai consolidato ricomprende tra ipotesi sanzionate dall'Accordo anche le
indicazioni d'origine, quali "Made in..." o "Produced from..." qualora tali indicazioni risultino
apposte illegittimamente.
La legge n. 350 del 24.12.2003 (Finanziaria 2004) che istituisce un controllo più severo alle
dogane mediante la creazione di un comitato nazionale anticontraffazione prevede all'art. 4,
comma 49 che "L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la
commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce
reato ed è punita ai sensi dell'art. 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la
stampigliatura "Made in Italy" su prodotti e merci non originari dell'Italia ai sensi della
normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata
l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure o quant'altro
possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana. [..].
In questi casi è tuttavia possibile sanare, sul piano amministrativo, la fallace o falsa indicazione
del paese di fabbricazione del prodotto asportando a cura e spese del contravventore i segni, o
indicando la corretta indicazione.
Pertanto alla luce delle suddette norme non è possibile indicare che un prodotto è di origine
italiana e/o apporvi l'indicazione "Made in Italy" ove l'attività di lavorazione o trasformazione
non sia svolta in Italia o l'attività svolta in Italia sia del tutto marginale o irrilevante.
Diversa è invece la problematica relativa all'eventuale esistenza di un obbligo di indicazione del
luogo di effettiva fabbricazione del prodotto. Al riguardo in Italia e in Europa (diversamente che
negli Stati Uniti) non vi è nessuna norma che impone di indicare il luogo materiale di
fabbricazione.
I commi 61 e 63 dell'art. 4 della Finanziaria 2004 si sono limitati a demandare alla successiva
normazione secondaria (regolamento delegato) l'istituzione e la tutela del "Made in Italy" per
contraddistinguere i prodotti fabbricati in Italia.
Pertanto, alla luce della normativa attuale, mentre esiste l'obbligo, per chi commercializza
prodotti diretti a consumatori, di indicare la propria ragione sociale sul prodotto importato
e commercializzato nell'Unione Europea, non sussiste invece l'obbligo di indicare sui prodotti
importati il Paese d'origine degli stessi.
A livello giurisprudenziale.
La Corte di Cassazione si è infatti recentemente trovata a dover decidere su situazioni in cui su
confezioni di prodotti fabbricati all'estero (e.g. Cina, Romania), sebbene non vi fosse apposta
l'indicazione "Made in Italy", vi era stampigliata accanto al marchio, alla denominazione
sociale e all'indirizzo della sede del produttore italiano, la dicitura "ITALY" senza che vi
fosse alcun riferimento all'origine estera dei prodotti.
Ebbene, con riguardo a tali situazioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l'etichetta recante il
nome della società seguito dalla dicitura "ITALY" o un'indicazione del nome della società
accompagnato da una striscia recante i colori della bandiera italiana, non sia idonea ad indicare il
luogo di fabbricazione della merce (se così fosse, la dicitura ITALY costituirebbe una
indicazione falsa o fallace punibile ex art. 4 comma 49 della lex. 350/2003 nonché ex art. 517
c.p.) ma indica semplicemente il nome e la nazionalità del produttore, che è il soggetto
garante e responsabile del prodotto finale nei confronti del consumatore
(Cass. Pen. n. 3352 21 ottobre 2004-2 febbraio 2005; Cass. Pen. n. 13712 del 14 aprile 2005).
D.Lgs 6 settembre 2005 n. 206 “Il Codice del consumo”
Le cose si complicano con l’inserimento dell’articolo 6:
Art. 6. Contenuto minimo delle informazioni
1. I prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio
nazionale, riportano, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative:
a)alla denominazione legale o merceologica del prodotto;
b)al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore
stabilito nell'Unione europea;
c)al Paese di origine se situato fuori dell'Unione europea;
d)all'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo,alle cose o
all'ambiente;
e)ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o
le caratteristiche merceologiche del prodotto;
f)alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d'uso, ove utili ai fini di fruizione e
sicurezza del prodotto.
L’INCROCIO DELLE LEGGI STA CREANDO NOTEVOLI PROBLEMI DI
VALUTAZIONE