salis_files/antonello salis

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Suono - novembre 2007
Le due anime di Antonello, il
musicista che fa sudare la
musica
La Casa del Jazz dedica al
pianista e fisarmonicista sardo
tre serate, “Salis 3D”, per far
conoscere il suo mondo in
equilibrio tra la terra e il sogno
Ci vuole coraggio a mostrare al mondo
la propria anima doppia mentre si sta
cercando il punto di equilibrio tra i due
opposti. Antonello Salis lo ha fatto, con
spontaneità,
spregiudicatezza
e
irruenza, ed è forse proprio per questo
che oggi può godere dell’armonia del
suo essere duale sul palcoscenico: da
un lato fisarmonicista, dall’altro
pianista. La fisarmonica rappresenta la
sua parte infantile, istintiva e ingenua,
l’anima di quel bambino che in piccolo
villaggio della Sardegna, Villamar in
provincia di Cagliari, si innamorò del
suono delle campane e passò giorni a
cercare di riprodurlo con le bombole
vuote del gas. Il pianoforte è la
maturità, il lato turbolento e inquieto, la
consapevolezza di essere un musicista
creativo, fantasioso ed esplosivo, ma
anche fragile e timoroso. “Vivo per
suonare e ormai ho capito di aver
bisogno di tutti e due gli strumenti:
sono complementari per me” dice il
musicista al quale la Casa del Jazz
dedica una tre gironi dal titolo “Salis
3D”, dal 4 al 6 dicembre, durante la
quale si esibirà prima da solo, poi con
il trombettista Fabrizio Bosso e infine
con il polistrumentista sardo Gavino
Murgia e lo scrittore Marcello Fois.
“Ho avuto la mia prima fisarmonica a
cinque anni. Me ne regalarono una
giocattolo i miei nonni – racconta Salis
– Fu emozionante. Presto suonavo nelle
balere e nelle feste sarde. Con il passar
degli anni però ho vissuto un distacco
con questo strumento. A 19 anni
cominciai a frequentare gruppi rock. In
quel periodo la fisarmonica divenne per
me prigioniera di una retorica primitiva
che non mi piaceva. Simboleggiava il
mondo arcaico, il folklore. Io invece
cercavo
cosa
nuove,
quindi
l’abbandonai. Negli anni ’70 formai ad
Alghero il gruppo Cadmo (con
Riccardo Lay al basso elettrico e Mario
Paliano alla batteria) nel quale suonavo
l’organo Hammond e il piano elettrico
miscelando progressive rock con il free
jazz e la musica tradizionale sarda. Mi
piaceva Frank Zappa, i Beatles, la
musica sudamericana e caraibica e non
pensavo che la fisarmonica potesse
essere usata per suonare musiche
lontane da quella popolare. Solo negli
anni ’80, dopo essermi trasferito nel
Contenente, prima al Nord poi a Roma,
l’ho riabbracciata ed è ho scoperto
nuovi mondi. Oggi per me la
fisarmonica è il padre dei sintetizzatori
e posso usarla per qualsiasi musica”. Il
mondo sonoro di Antonello Salis è
ampio e ricco di riferimenti diversi tra
loro. “Il rock è la musica che ho
ascoltato con maggiore piacere, dai
Genesis ai Jetro Tull, ma amo anche
Strawinsky, Debussy, Bach e l’hip hop,
le percussioni brasiliane e africane,
Keith Jarret e James Taylor, John Cage
e Joe Zawinul – spiega questo
musicista versatile che ha collaborato
con i più grandi musicisti della scena
attuale, da Enrico Rava a Paolo Fresu,
da Riccardo Fassi a Paolino Dalla
Porta, da Furio Di Castri a Rita
Marcotulli, da Evan Parker a Javier
Girotto da Michel Portal all’Art
Ensemble Of Chicago, da Don Cherry
a Don Pullen, da Billy Hart a Ed
Blackwell, da Billy Cobham a Horacio
"El Negro" Hernandez, da Han
Bennink a Nana Vasconcelos, da Cecil
Taylor a Pat Metheny, e ha inciso
quattro cd da solista, “Orange Juice,
Nice Food”, “Salis!”, “Quelli che
restano”
e
“Pianosolo”.
“Non
condivido l’immagine romantica del
piano, né l’uso della fisarmonica solo
per il tango di Astor Piazzola”
aggiunge, pur sottolineando di aver
lavorato per due anni con il collega
Richard Galliano. La sua esplorazione
nel mondo della musica segue una linea
contorta, un zig zag vulcanico come il
suo temperamento, eppure ha una sua
direzione ben precisa: la miscela. Salis
è oggi uno dei musicisti più creativi,
curiosi e originali della scena italiana.
La sua ricerca non è intellettuale, ma
fisica e istintiva. “Nella musica cerco la
libertà” dice mentre sospira e svela un
suo sogno: “suonerei sempre all’aperto
senza amplificazioni”. Sentir parlare
Salis è come una boccata d’ossigeno
puro. Non appartiene a quella categoria
di musicisti che lamentano la “morte”
del jazz. Questa parola non compare
nel suo vocabolario. Per lui “il jazz è
vivo eccome”. “A me è servito con
capire e conoscere il mondo – spiega –
Permette di avere una grande libertà
perchè offre spazi all’improvvisazione
e all’imprevisto. Non esistono più
musiche codificate. La mia esperienza
mi insegna che tutto confluisce in un
unico serbatoio”. Solo così due anime
contrapposte possono unirsi per
formarne una sola, solida e radicata
nella terra da un lato, ma anche
birichina e imprevedibile come un
bambino dall’altra.