Le responsabilità degli amministratori di società a

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Le responsabilità degli amministratori di società a
“Le responsabilità degli amministratori di società
a partecipazione pubblica”
Roma, 4 febbraio 2014
Evoluzione giurisprudenziale in materia di responsabilità contabile degli amministratori
delle società a partecipazione pubblica
Nel corso degli anni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute
ripetutamente in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile
nelle controversie aventi ad oggetto la responsabilità degli amministratori o dipendenti di
società a partecipazione pubblica per gli atti di mala gestio commessi con dolo o colpa
grave.
Il tema è stato particolarmente approfondito nella nota sentenza n. 26806/2009, che ha
individuato un sistema per la delimitazione dei predetti confini totalmente innovativo, in
netto contrasto con i precedenti orientamenti emersi in materia, consolidatisi, in
particolare, a partire dalla sentenza n. 3899/2004; quelli che, ricordiamo, facendo leva
sulla sostanziale equiparazione tra società ed ente proprietario, sulla natura pubblica delle
funzioni svolte e delle risorse finanziarie utilizzate, avevano giustificato l'esercizio della
giurisdizione contabile non dando rilievo, in tale sede, alla natura privatistica del gestore e
dello strumento contrattuale con il quale si era costituito ed attuato il rapporto in
questione.
In estrema sintesi, nella pronuncia n. 26806, la Suprema Corte ha ritenuto imprescindibile
per l’individuazione del giudice competente alla cognizione della controversia, accertare
se il danno cagionato dall’azione illegittima degli amministratori o dei dipendenti di una
società a partecipazione pubblica investa direttamente l’ente pubblico o, per contro, sia
inferto solo al patrimonio della società dallo stesso partecipata. Partendo da tale
distinzione, soltanto nel primo caso - che si sostanzia, tipicamente, nel danno all’immagine
– si configurerebbe l’azione del procuratore contabile. Nella seconda ipotesi, la Corte,
avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, ha, infatti negato la
sussistenza sia di un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della
partecipazione, sia di un danno qualificabile come erariale, ossia un pregiudizio
direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che vanti
partecipazioni nella società. La responsabilità contabile sussisterebbe per contro, nei
confronti del rappresentante dell'ente partecipante (o comunque del titolare del potere
di decidere per esso) che abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di
socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione.
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L’interpretazione de qua è stata “sposata” successivamente dalla prevalente
giurisprudenza della Cassazione (si vedano, ex pluribus, le pronunce delle Sezioni Unite n.
14655/2011, n. 14957/2011, n. 20940/2011, n. 20940/2011, n. 3692/2012), pur essendosi
registrate anche alcune decisioni di segno diverso, orientate a confermare - con
riferimento a fattispecie analoghe - la posizione per così dire “tradizionale” illustrata supra
(si vedano ex pluribus, SS.UU. pronunce n. 27092/2009, n. 5032/2010, n. 10063/2011).
Orientamenti ondivaghi sono parimenti rinvenibili guardando alle statuizioni rese dalla
Corte dei Conti in materia, soprattutto con riferimento alle società a totale partecipazione
pubblica. Successivamente allo svilupparsi del fenomeno delle “privatizzazioni” e della
conseguente trasformazione di aziende pubbliche in società di capitali il tema della
soggezione di tali società al controllo ed alla giurisdizione contabile si pose in tutta la sua
evidenza. Una interessante lettura del quadro normativo venne fornita nel 2001 dalla
Corte dei Conti - Sezioni Riunite in sede di controllo – che, con la deliberazione n. 16/2001,
partendo da un’analisi della legge 259/1958 – giunse ad affermare che nei confronti delle
società partecipate da Regioni ed Enti Locali la Corte dei Conti incontra tutti i limiti che
derivano dal sistema dei controlli sulle amministrazioni regionali e locali. Non un controllo
sulla gestione delle società, quindi, ma sulle decisioni degli azionisti circa il perseguimento
dei fini sociali, i risultati della gestione ecc.
Tuttavia, in epoca recente alcune Sezioni hanno comunque classificato dette società alla
stregua di un organo indiretto dell’amministrazione, con la conseguente qualificazione del
danno prodotto dagli amministratori al patrimonio delle stesse quale danno erariale da
giudicare in sede “contabile” (ex pluribus: Sezione giurisdizionale per le Marche, sentenza
n. 248/2010, Sezione giurisdizionale per il Lazio, sentenze n. 327/2011 e n. 603/2012; Sezione I
d’appello sentenza 406/2011); mentre altre hanno dichiarato il proprio difetto di
giurisdizione basandosi sulla natura privata del soggetto (società) danneggiato dall’atto di
mala gestio(ex pluribus: Sezione giurisdizionale per la Calabria, sentenza n. 184/2012;
Sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 194/2012; Sezione III d’appello della
Corte, sentenza n. 573/2012).
In questo quadro articolato si inserisce la recente sentenza delle Sezioni Unite della
Cassazione n. 26283/2013, che esamina approfonditamente una fattispecie particolare –
“cui solo di sfuggita v'era stata occasione di far cenno” in alcune delle precedenti
pronunce – in quanto “la società asseritamente danneggiata dai propri gestori ed organi
di controllo presenta le caratteristiche di una cosiddetta società in house”. Dopo aver
esaminato le caratteristiche di tale modello gestionale, la Corte conclude che le in house
provider “hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle
articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici
ad essa esterni e da essa autonomi”. Conseguentemente, i loro organi, “assoggettati […]
a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere
considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a
partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un
rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad
una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica
amministrazione, è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e
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proprio rapporto di servizio”. Sulla scorta delle precedenti considerazioni, le Sezioni Unite
sostenendo che “la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre
in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”, qualificano come
erariale il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli
amministratori, con conseguente attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla
relativa azione di responsabilità.
Sempre la Cassazione, con successiva decisione n. 27993/2013, ha dichiarato il difetto di
giurisdizione della Corte dei Conti sugli atti commessi dagli amministratori di una società a
totale partecipazione pubblica, in quanto la stessa, dall’esame dello statuto, non risultava
in possesso dei requisiti richiesti per la configurazione del modello in house providing.
Le ultime statuizioni esaminate sembrerebbero circoscrivere il sindacato della Corte dei
conti agli atti di mala gestio – ovviamente, in presenza dell'elemento soggettivo del dolo o
della colpa grave - compiuti dagli amministratori o dipendenti di società in house. Per le
altre società a partecipazione pubblica rimarrebbero, pertanto, fermi i principi enunciati
dalla sentenza n. 26806/2009 richiamati supra con conseguente devoluzione delle
controversie al giudice contabile tutte le volte in cui la condotta illegittima cagioni un
danno diretto all’ente locale che, pertanto, si qualifica come danno erariale.
Resta ferma la soggezione alla giurisdizione contabile degli amministratori di società
pubbliche o private che, gestendo o avendo maneggio di denaro pubblico a
destinazione vincolata, lo distraggano dagli usi e dalle finalità cui è destinato (ex pluribus,
Cassazione SS.UU. sentenze n. 1774/2013 e n. 17660/2013).
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