RM 11, 25-36 - La Bottega del Vasaio

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RM 11, 25-36 - La Bottega del Vasaio
IL MISTERO DELLA SALVEZZA
RM 11, 25-36
«I DONI E LA CHIAMATA DI DIO SONO IRREVOCABILI»
1. La Chiesa di Roma
Roma conobbe una forte presenza giudaica – si parla di 50000 presenze nei primi anni dC di ebrei
provenienti dalla diaspora – già un secolo prima dell’arrivo in città del cristianesimo. In quella comunità
giunsero attorno alla prima metà degli anni 40 i primi evangelizzatori che, con buona probabilità, furono
degli ignoti giudei convertiti al Vangelo provenienti da Gerusalemme o dalla diaspora. Dunque,
diversamente da ciò che la tradizione afferma, certamente non fu Pietro tanto meno Paolo a fondare la
comunità cristiana romana (anche se certamente vennero a Roma in tempi diversi e vi furono martirizzati).
Testimonianze esterne: gli storici romani (Tacito) attestano di “disordini” tra gli ebrei causati da un certo
“Cresto”; probabili scontri all’interno della comunità giudaica a causa delle discussione causate
dall’annuncio evangelico. A causa di tali tumulti l’imperatore Claudio avrebbe allontanato, per quanto in
modo limitato, i Giudei da Roma (49 dC); Paolo a Corinto infatti incontra Aquila e Priscilla, giudei convertiti
fuggiti da Roma a causa di Claudio. Il cristianesimo romano è dunque di matrice giudaica. La comunità era
formata principalmente da ebrei convertiti, gentili passati al giudaismo e poi cristianizzati; forse esistevano
anche gentili divenuti cristiani, comunque in misura trascurabile. Possiamo considerare la lettera come
scritta a giudeo-cristiani.
2. Mittente, motivi dello scritto (interni ed esterni), tema della lettera.
(a) Due parole su Paolo. Contemporaneo di Cristo anche se non lo conosce personalmente. Nasce a Tarso
in Cilicia. Osservante rigoroso della Legge, fariseo. Si converte plausibilmente attorno al 35. Dopo Damasco
si ritira a Tarso dove arriva Barnaba (37-38) a cercarlo per portarlo a Gerusalemme. Da lì va ad Antiochia di
Siria da cui, dopo una significativa esperienza di comunità mista (giudeo-cristiani e etno-cristiani), parte per
il primo viaggio missionario con Barnaba e in parte Giovanni detto Marco (46-49), a cui segue un secondo
(51-53) preceduto da una lunga permanenza a Corinto (49-51). Il terzo viaggio missionario lo impegna dal
53 al 58. Tra il 49 e il 58 scrive le lettere a lui direttamente attribuibili, nell’ordine: 1Ts, 1 e 2Cor, Gal, Fil,
Fm, Rm. Mentre scrive Rm, probabilmente si trova in Grecia, a Corinto, da cui attende di partire alla volta di
Gerusalemme dove porterà i frutti di una colletta fatta tra le comunità greche; date probabili: fine 57-inizio
58. Paolo conosceva diversi romani, certamente era molto conosciuto dai romani, dunque può intervenire a
pieno titolo. A Gerusalemme verrà arrestato e portato a Roma in virtù del suo appello al giudizio
dell’imperatore. Dal 59 al 63 è a Roma dove, secondo la tradizione viene martirizzato nel 67.
(b) Situazione della Chiesa romana. Tensioni interne tra “deboli” (rigidi osservanti di regole alimentari e
liturgiche ritenute indispensabili e imprescindibili) e “forti” (liberi da ogni prescrizione, ritenendosi
dispensati); spinte interne a ribellarsi alle autorità costituite; calunnie nei confronti di Paolo circa alcune
tesi a lui attribuite dal carattere moralmente lassista. Non sono comunque motivazioni sufficienti a
motivare una lettera di tale portata.
(c) Motivi personali di Paolo. Non c’è una ragione prevalente, occorre raccogliere un grappolo di
motivazioni. (1) La personale intenzione di Paolo di recarsi a Roma: la lettera serviva come apripista. (2)
Sapendo la conformazione della comunità romana e del diffondersi di alcune versioni distorte del suo
pensiero circa il rapporto giudei-gentili, Paolo presenta una carta di identità teologica. (3) Era rimasto
scottato dall’esperienza in Galazia col rischio di una giudaizzazione delle Chiese; doveva andare a
Gerusalemme dopo aver fatto delle collette in Macedonia e, temendo di dover rendere conto, doveva
chiarire a se stesso alcuni concetti e contenuti teologici. (4) Vuole andare in Spagna e chiede aiuto a Roma.
(d) Tema generale della lettera. Lasciamo che lo riassuma Rm 1, 16-17: “Infatti non ho vergogna del
Vangelo perché è potenza di Dio per la salvezza di qualsiasi credente: tanto del giudeo, prima, quanto del
greco. E’ la giustizia di Dio, infatti, che in esso si rivela di fede in fede, come sta scritto: il giusto per fede
vivrà”. L’annuncio evangelico costituisce il vanto di Paolo e la lettera ne declina, di capitolo in capitolo i vari
elementi, siano essi teologici (la giustizia di Dio e il suo compiersi definitivo), cristologici (la mediazione
della Passione e Resurrezione di Cristo), antropologici (il dominio del peccato, la presunzione delle opere, la
sufficienza della fede), storico-salvifici (il ruolo di Israele e della sua incredulità), ecumenici (uguaglianza tra
giudei e gentili davanti alla grazia di Dio), morali (l’esigenza di un’etica adeguata alla grazia).
3. Il contesto prossimo e il tema del brano
Capitoli 9-11: larga sezione il cui tema è Israele e la sua sorte finale.
Paolo è costretto ad una costatazione di fatto: la maggior parte dei suoi consaguinei ebrei non ha accolto il
Vangelo di Cristo, mentre i cosiddetti “gentili” – non appartenenti ad Israele – hanno mostrato maggior
disponibilità all’annuncio evangelico. Nasce dunque l’interrogativo: perché il popolo in quanto tale, a cui
era rivolta la predicazione di Gesù terreno ma soprattutto quella post-pasquale della comunità dei
discepoli, e che pur costituì il primo nucleo storico della nuova comunità, non aderì alla nuova modalità
della fede giudaica? Paolo elabora una risposta di carattere prettamente teologico affrontando la questione
nella sua radice ultima: perché il Dio d’Israele ha permesso al suo popolo un tale rifiuto? Che senso ha nel
piano della salvezza? E’ un’accondiscendenza di Dio ad una via di salvezza diversa? C’è un altro popolo che
sostituisce Israele?
L’articolazione concettuale del discorso in cui Paolo affronta la questione può essere indicata come segue:
(a) il fatto impressionante della riprovazione di Israele, al quale erano state rivolte tutte le promesse di Dio,
suscita il dolore dell’Apostolo, legato fortemente al suo popolo (9, 1-5); (b) egli sa però che Dio non è
venuto meno alla sua parola in quanto rivolta a quell’Israele “secondo lo spirito” che vive in ogni tempo
della promessa ricevuta da Dio; infatti non tutti quelli che sono di Israele rappresentano “Israele” (9, 6-29).
(c) Israele ha voluto stabilire una giustizia propria e si è così privato della giustizia di Dio, la quale,
manifestata in Cristo, non si ottiene con le opere della legge ma con la fede suscitata dal vangelo (9, 30-10,
21). (d) In questa caduta però non è coinvolto un “resto”; e d’altra parte la caduta stessa serve a “far
entrare” i gentili i quali però non devono peccare d’arroganza (11, 1-24). La caduta di Israele è provvisoria:
Paolo comunica come uno speciale “mistero” il fatto che, compiuta la salvezza dei gentili, Dio salverà tutto
Israele dimostrando misericordia verso tutti gli uomini (11, 25-36).
1
Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch'io infatti sono Israelita, della
discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin
da principio. Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? 3Signore,
hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita. 4Che
cosa gli risponde però la voce divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il
ginocchio davanti a Baal. 5Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia.
6
E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. 7Che dire dunque?
Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi
ostinati, 8come sta scritto: Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non
sentire, fino al giorno d'oggi. 9E Davide dice: Diventi la loro mensa un laccio, un tranello, un inciampo e un
giusto castigo! 10Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano e fa' loro curvare la schiena per
sempre! 11 Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro
caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. 12Se la loro caduta è stata ricchezza per il
mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità! 13A voi, genti, ecco che cosa
dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, 14nella speranza di suscitare la gelosia di
quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. 15 Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del
mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti? 16Se le primizie sono sante, lo sarà
anche l'impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. 17Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che
sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa
dell'olivo, 18non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice
che porta te. 19Dirai certamente: i rami sono stati tagliati perché io vi fossi innestato! 20Bene; essi però sono
stati tagliati per mancanza di fede, mentre tu rimani innestato grazie alla fede. Tu non insuperbirti, ma abbi
timore! 21Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te!
22
Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; verso di te invece la
bontà di Dio, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via.
23
Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di
nuovo! 24Se tu infatti, dall'olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura,
sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di
nuovo innestati sul proprio olivo!
4. Struttura del brano
11, 1-10 = Dio non ha ripudiato certamente il suo popolo
11, 11-24 = i gentili accanto ad Israele nel piano di salvezza; su Israele però si regge l’identità dei gentili
11, 25-32 = salvezza definitiva (escatologica) di Israele garantita dalla fedeltà di Dio.
- 11, 25-27 = comunicazione di un mistero, seguita da deduzione e prova scritturistica
- 11, 28-32 = il mistero in riferimento a pagani e Giudei
11, 33-36 = lode a Dio
5. Lettura analitica
11, 25-27 Il mistero della salvezza definitiva di Israele
25
Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi:
l'ostinazione di una parte d'Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti.
26
Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà
l'empietà da Giacobbe. 27Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati.
- Paolo si presenta volendo rivelare qualcosa di misterioso e si sta rivolgendo, in questo passaggio, ai
cristiani di origine gentile. “Misterioso” è da intendersi in senso apocalittico, cioè come qualcosa che Dio
conosce e si riserva per la fine dei tempi, dunque che sfugge alla comune percezione. Di Israele si può
parlare solo accettandone la rivelazione nel mistero. La storia, la sociologia… Non bastano, Israele stesso è
mistero. Il richiamo a non essere presuntuosi rafforza l’idea: è l’invito a non giudicare le cose secondo
criteri umani a corto raggio.
- Il mistero (25c-26a): le tre affermazioni si concludono con tre verbi di tre tempi diversi (passato-presentefuturo). Il misterioso va considerato come qualcosa di globale, che investe sia il rapporto tra Israele e le
genti, sia l’intero piano temporale.
* “è in atto l’indurimento di Israele, in modo limitato”: versione da preferire perché Paolo non si sta
riferendo al “resto di Israele” (i pochi che hanno creduto), ne ha già parlato prima in relazione al passato;
ora Paolo riferisce una rivelazione nuova: il futuro vedrà la salvezza definitiva di Israele; ciò ci spinge a
interpretare la parzialità dell’indurimento in senso temporale e non numerico.
* “finchè entri la pienezza dei gentili”: il verbo “entrare” indica la partecipazione dei gentili alla
salvezza promessa ad Israele; la totalità delle genti è da intendersi in senso apocalittico, dunque un numero
incalcolabile che solo Dio conosce; sorprende il fatto che sia rovesciata la priorità di salvezza: prima i gentili,
poi i giudei.
* “e allora tutto Israele sarà salvato”: è sensato attribuire a questa espressione il significato “tutti i
membri, nessun escluso”. Nei versetti precedenti (“Non tutti quelli che vengono da Israele sono Israele, né
perché sono discendenza di Abramo sono tutti figli” 9, 6b-7a) Paolo aveva distinto coloro che già erano stati
oggetto della grazia da coloro che avevano disobbedito, ma ora la distinzione è superata senza
contraddizioni: nel cap 9 ragionava in termini di passato-presente, qui ragiona in termini di compimento
definitivo futuro.
- La citazione profetica (Is 59, 20-21a.27,9) variamente modificata da Paolo, intende indicare la sostanza
dell’opera di salvezza: i peccati di Israele saranno allontanati (questa è l’alleanza) in vista di una nuova e
particolare unione con Dio che avverrà, necessariamente per opera di Gesù Cristo.
11, 28-32 Spiegazione del mistero
28
Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla scelta di Dio, essi sono
amati, a causa dei padri, 29infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! 30Come voi un tempo
siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza,
31
così anch'essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché
anch'essi ottengano misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere
misericordioso verso tutti!
- Paolo completa il discorso spiegando i motivi per cui Dio ha a cuore la salvezza di Israele: la dignità dei
padri e l’irrevocabilità dei doni di Dio, di cui la misericordia è un elemento.
- 28: “Secondo il Vangelo essi sono nemici a motivo vostro; secondo l’elezione di Dio sono amati a motivo di
padri”. Il concetto potrebbe essere: voi siete così importanti che Dio considera “nemici” gli Israeliti non
credenti; i padri sono talmente decisivi da far amare a Dio anche gli increduli. Non si contrappone a 9, 6b
(crf sopra)? Là era importante sottolineare che il Vangelo è il “termine ultimo” dell’elezione; ora la
prospettiva di salvezza finale non permette a Paolo di abbandonare Israele alla sorte del ripudiato.
- La disobbedienza a Cristo ha reso possibile la manifestazione della misericordia di Dio verso le genti; ma
l’insistenza di Paolo ora è sulla corrispondenza tra ebrei e gentili: pari nella disobbedienza, pari nella
misericordia.
- La misericordia di Dio non ammette eccezioni. Ma attenzione qui Paolo non si riferisce alla totalità degli
uomini intesi in senso individuale, piuttosto indica l’imparzialità di Dio nei confronti dei gruppi religiosiculturali.
11,33-36 Inno alla sapienza di Dio
33
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i
suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi
mai è stato suo consigliere? 35O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il
contraccambio? 36Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei
secoli. Amen.
- Al termine di una lunga argomentazione: un senso di sorpresa! Come la presa di coscienza
dell’insufficienza argomentativa del discorso, come il riconoscimento del limite del ragionamento…
- I comportamenti di Dio appaiono inaccessibili da parte dell’uomo nel senso però di una inesauribilità,
un’irraggiungibilità delle radici profonde delle sue volontà. Ricchezza, sapienza, conoscenza infinite di Dio
sono sue caratteristiche: con Lui non si può competere. La citazione di Is 40,13 e Gb 41, 3 rafforzano
sostanzialmente il concetto pur con le sfumature proprie dei due testi.
- L’ultimo versetto afferma la potenza divina sulla totalità delle cose, anzi, considerato il contesto tematico,
sullo sviluppo della storia degli uomini e sul rapporto Israele-gentili in special modo.
6. Nuclei tematici e spunti di riflessione
1. La “misteriosità” dell’agire divino. La radice profonda dei suoi disegni, il nucleo dei ragionamenti di Dio,
l’essenza delle sue volontà rimangono per noi inattingibili, o meglio, inesauribili. Per noi, per quanto si sia
rivelato, per quanto Lo possiamo conoscere, Dio rimane un imprevedibile, un indefinito, un impossibile.
Così il Suo agire, tanto nei modi che nei significati. Ciò che apprezziamo di Lui è solo per “partecipazione”.
La comunione con Dio che siamo chiamati a vivere non annulla questo scarto, anzi, proprio il
mantenimento della distanza rende vera la comunione che non è annullamento delle diversità.
2. Dio opera in maniera inclusiva e non esclusiva. La fine dei tempi è una pienezza di salvezza.
L’agire di Dio è “comprensivo”, il suo atteggiamento è quello di chi crea le vie della comunione e non pianta
i paletti per definire le esclusioni. Il Suo desiderio è il raggiungimento della totalità della salvezza per tutti
gli uomini, di ogni tempo, di ogni cultura… Di ogni religione.
3. Nessuna superiorità da parte di alcuno è accettabile e dunque nessuna presunzione.
Questa volontà di salvezza, che nasce fondamentalmente dal riconoscimento dell’uomo da parte di Dio
quale un bene prezioso (“E vide che era cosa molto buona”) per cui vale la pena spendere e spendersi, è il
principio dell’uguaglianza tra uomini. Nessuno, in base ad alcun principio etnico, culturale, religioso, sociale,
politico può vantare qualsiasi tipo di superiorità. La presunzione è insopportabile agli occhi di Dio.
4. Il primato dell’iniziativa divina, la grandezza dell’uomo ai Suoi occhi, l’onnipotenza della Sua misericordia.
Il primo nelle intenzioni, il primo nelle azioni rimane Lui. La figura dell’uomo ha sempre e solo carattere
“responsoriale”; ma questa nostra caratteristica (“interlocutori di Dio” non per condiscendenza ma per
amore) costituisce la nostra dignità e la nostra grandezza. Questa dignità che lo sguardo di Dio
riconoscendola ci attribuisce, è il movente di una misericordia onnipotente. Nulla impedisce a Dio di
operare per salvare la ricchezza che ai Suoi occhi rappresentiamo, se non il rifiuto radicale e definitivo del
nostro legame con Lui. Ma… è possibile? Teoricamente sì, però…
5. L’irrevocabilità dei doni di Dio.
Il dono di Dio “sta”. Nulla lo smuove, neppure il rifiuto del dono. Rimane comunque e sempre una
possibilità di ritorno a Lui.