P. Fossati - Accademia Nazionale dei Lincei
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P. Fossati - Accademia Nazionale dei Lincei
PAOLA FOSSATI Università degli Studi di Milano ASPETTI GIURIDICI E REGOLAMENTAZIONE EUROPEA DELLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE La nuova sensibilità nei confronti degli animali non umani e il progredire delle conoscenze in campo scientifico, hanno reso improcrastinabile una modifica della normativa vigente in materia di sperimentazione animale, ancora ferma alla disciplina di cui alla direttiva n. 86/609/CEE. Il lavoro di revisione è frutto di confronti e discussioni che hanno coinvolto le diverse parti interessate: comunità scientifica, mondo protezionistico e industria. Senza dimenticare l’opinione pubblica, La nuova Direttiva Europea, n. 63/2010/UE, che ne è scaturita, rafforza il principio delle 3R, che prevede di Rimpiazzare (Replacement), ovvero sostituire il modello animale con metodologie alternative, quando possibile; Ridurre (Reduction) il numero di animali impiegati a fini sperimentali, al minimo indispensabile per ottenere dati statisticamente significativi e risultati di sufficiente precisione; Rifinire (Refinement) le procedure sperimentali, limitando a un minimo assoluto, il disagio imposto agli animali usati nella sperimentazione, garantendo al contempo la migliore qualità di ricerca possibile. Altro pilastro della normativa comunitaria sulla sperimentazione animale rinforzato dalla Direttiva Europea n. 63/2010/UE è l’armonizzazione delle regole vigenti nei diversi Stati membri, perseguita al fine di eliminare le disparità tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici. L’articolo 2 della direttiva consentiva che misure nazionali di protezione degli animali più rigorose fossero mantenute se già vigenti al 9 novembre 2010. La Commissione avrebbe però dovuto esserne informata prima del 1 gennaio 2013. In linea generale, comunque, la norma europea tende a contrastare misure di ostacolo al funzionamento del mercato europeo (il riferimento è, in particolare, agli scambi di prodotti e sostanze per lo sviluppo dei quali siano effettuati esperimenti su animali). L’obiettivo di perseguire un presupposto di sostanziale omogeneità rileva anche in funzione dello strumento normativo adottato dalla UE. Come noto, infatti, la direttiva è 1 uno strumento di articolazione flessibile del diritto comunitario e dei diritti nazionali degli Stati membri. Essa nasce con la finalità di armonizzare le legislazioni nazionali vincolando gli Stati membri cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Lascia, però, agli organi nazionali la competenza in merito alla forma e ai mezzi da impiegare per l’atto di recepimento nell’ordinamento giuridico nazionale (principio dell’autonomia procedurale). Ne deriva che, pur se affida agli Stati membri la scelta tra i diversi strumenti giuridici disponibili per assicurare la realizzazione dell’obiettivo ricercato, una direttiva non può essere applicata in modo incompleto, selettivo o parziale, appunto perché vincolante per tutti gli obiettivi da conseguire. Per quanto riguarda la sua applicazione, la direttiva prevede un termine entro il quale il Paese membro è tenuto a porre in essere le misure necessarie per adempiere agli obblighi posti, integrandoli nel proprio sistema normativo. Scaduto tale termine, la Commissione può chiedere alla Corte di giustizia di condannare gli Stati membri; la mancata esecuzione della sentenza emessa in tale occasione può comportare una nuova condanna che prevede il pagamento di penalità pecuniarie. IN ITALIA In Italia, il recepimento della Direttiva n. 63/2010/UE è avvenuto con Decreto legislativo n. 26 del 4 marzo 2014, pubblicato su G.U. il 14/03/2014, quindi con ritardo rispetto ai tempi indicati dalla Dir. N. 63/2010/UE, che indicava il 10 novembre 2012 come termine ultimo per l’adozione e pubblicazione delle nuove disposizioni legislative e il 1° gennaio 2013 per la relativa applicazione. Inoltre, il contenuto del decreto esprime la precedente ricerca di una mediazione tra posizioni molto distanti e diverse fra loro, che si sono confrontate sia a livello politico che istituzionale. Il testo contiene, infatti alcune disposizioni di livello più restrittivo rispetto a quello europeo. In parte esse sono state rese oggetto di una moratoria per cui diverranno vigenti nel 2017. 2 Le difformità introdotte sulle quali si è creato il maggiore dibattito e sono state manifestate più preoccupazioni da parte della comunità scientifica sono riassumibili nelle seguenti: • divieto di utilizzo di animali per gli esperimenti bellici, per gli xenotrapianti d’organo e per le ricerche su sostanze d’abuso, negli ambiti sperimentali. • divieto di allevare, ma non di utilizzare, nel territorio nazionale cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione. Sono differite al 1° gennaio 2017 le misure relative all’utilizzo di animali per gli xenotrapianti e per le sostanze di abuso. Al fine di dare attuazione a queste disposizioni, entro il 30 giugno 2016, il Ministero della Salute, avvalendosi delle strutture dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, dovrà svolgere un monitoraggio sulla effettiva disponibilità di metodi alternativi. Dall’esito di tale verifica dipenderà la valutazione delle iniziative da adottare in vista del termine del primo gennaio 2017. A decorrere dalla stessa data il Ministero potrà anche autorizzare, in via eccezionale e previo parere favorevole del veterinario designato, le procedure in cui è previsto il riutilizzo di animali in procedure successive classificate “lieve” e “non risveglio”. È immediato, invece, il divieto di allevamento di primati, gatti e cani sul suolo italiano. Poiché non ne sono vietati l’acquisto all’estero, la stabulazione, e l’utilizzo, la conseguenza paventata è che, di fatto, questi animali, qualora sia ritenuto necessario impiegarli, dovranno essere sempre importati, subendo, quindi, una fase di trasporto prolungato, potenziale fonte di stress aggiunto. È comunque noto che, in Italia, l’entità di tale forma di allevamento è sempre stata limitata a pochissime strutture autorizzate. Sono state vietate anche le esercitazioni didattiche con uso di animali, concedendo una deroga per quelle svolte nell’ambito della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell’alta formazione di medici e veterinari. Divieto, infine, per gli esperimenti e le procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse comportino dolore all’animale, ad eccezione dei casi di sperimentazione di anestetici o di analgesici. Altro punto in cui la norma italiana ha mantenuto una scelta di maggiore garanzia per gli animali, in continuità con il decreto legislativo previgente, è l’obbligo della presenza negli stabulari degli stabilimenti in cui, a diverso titolo, sono mantenuti animali da laboratorio (allevatori, fornitori, utilizzatori) di un veterinario che fornisca consulenza 3 sul benessere e trattamento degli animali stessi (veterinario designato). La direttiva n. 63/2010/UE consente, invece, che questo ruolo possa essere in alternativa ricoperto da un “esperto adeguatamente qualificato”. Si rileva che nessuna indicazione è fornita in merito al percorso di formazione che dovrebbe sostenerne la formazione perché questa possa essere ritenuta adeguata secondo le finalità della direttiva. Una novità che modifica significativamente l’iter di esecuzione dei progetti è l’introduzione dell’obbligo di ottenere sempre una preventiva autorizzazione del Ministero della salute. A questa si collega direttamente l’istituzione dello “Organismo preposto al benessere degli animali”, che dovrà essere presente in ciascuno stabilimento allevatore, fornitore o utilizzatore e assume il compito di inoltrare tutte le domande di autorizzazione dei progetti di ricerca al Ministero, esprimendo prima un parere motivato sui progetti stessi e seguendone poi lo sviluppo e l’esito. Da un punto di vista generale la normativa europea è stata, dunque, recepita dall’Italia con ritardo, ma è ora il dispositivo vigente per la disciplina della protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici o educativi sul territorio nazionale. Le differenze che discostano il decreto di recepimento dal disposto UE riguardano principalmente alcuni limiti all’utilizzo degli animali, a causa dei quali la comunità scientifica italiana lamenta ora una condizione di disparità rispetto all’Europa, con la conseguenza di potenziali penalizzazioni, anche nella partecipazione a progetti di ricerca europei e nell’accesso alle risorse messe a disposizione dalla stessa UE. In sostanza, la nuova regolamentazione nazionale si è orientata verso un incremento delle misure di protezione degli animali impiegati per scopi sperimentali o educativi. Come ulteriore esempio si può citare anche la richiesta, presente nel decreto, di compiere una valutazione preventiva del presumibile rapporto danno/beneficio, per decidere se consentire l’allevamento (e quindi l’utilizzo nelle procedure) di animali geneticamente modificati. Tali animali sono presi in considerazione per la prima volta dal legislatore, con una specifica previsione cautelare. Verosimilmente, però, ciò che può considerarsi davvero presumibile, trattando soggetti la cui condizione è ab origine così particolare, è solo la difficoltà di definire sistemi universali di valutazione da rispettare, dato che i cambiamenti indotti dalla modificazione genetica sono spesso sconosciuti e ciò rende oggettivamente difficile valutare il benessere animale. Tale previsione del legislatore nazionale consente, comunque, di porre l’accento sul più delicato margine di apprezzamento lasciato (o forse è meglio dire richiesto) dal nuovo 4 strumento normativo vigente: quello della valutazione etica delle scelte compiute, impiegando animali in nome della ricerca o per finalità di formazione (quale beneficio?). Si tratta di un “potere” di valutazione concesso, di fatto, agli Stati membri, che, quando usato per esprimere l’interesse prevalente in un sistema plurale in cui il consenso non è unanime, potrebbe valere anche come giustificazione per misure nazionali apparentemente incompatibili con il diritto comunitario; garanzia di ogni peculiare compromesso sociale (inteso come estrinsecazione del nucleo dei valori fondamentali di una società, in un bilanciamento che differisce da un sistema all’altro), a costo di accrescere la difficoltà della costruzione di standard europei. 5