La direttiva sul distacco dei lavoratori.
Transcript
La direttiva sul distacco dei lavoratori.
La direttiva sul distacco dei lavoratori: una legislazione da rivedere? L’impresa per cui lavora il sig. Martin, in Francia, si è aggiudicata l’appalto per l’installazione di 50 ascensori per un progetto edilizio a Bratislava. Il sig. Martin viene quindi inviato dal suo datore di lavoro in Slovacchia per effettuare l’installazione. Egli lascia la sua città natale, Marsiglia, per un periodo determinato, ma resta vincolato dal suo contratto di lavoro francese. Diventa un “lavoratore distaccato”. Chi gli paga lo stipendio? Quanto guadagna? E il suo diritto al congedo annuale retribuito? Quale legislazione regolamenta le condizioni di lavoro, quella francese o quella slovacca? La direttiva sul distacco dei lavoratori, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel 1996, tenta di dare una risposta a tali quesiti. Eppure, a dieci anni dalla sua adozione e considerate le imperfezioni, alcuni si interrogano sui miglioramenti da apportare, se non addirittura sulla sua completa revisione. In vista della preparazione della relazione d’iniziativa (di cui è relatrice Elisabeth Schroedter, del gruppo Verdi-ALE) con la quale il Parlamento esprimerà il suo parere, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha organizzato,il 26 gennaio, un’audizione pubblica per analizzare la questione. La direttiva intende agevolare la mobilità dei lavoratori e la prestazione dei servizi oltre le frontiere nazionali, creando un quadro giuridico che favorisca gli scambi e, al contempo, impedisca gli abusi e la concorrenza sleale. La direttiva garantisce ai lavoratori distaccati il rispetto di talune condizioni minime (salario, congedo, sicurezza, salute e igiene sul lavoro, orario di lavoro) stabilite sia da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, sia da contratti collettivi dello Stato nel quale viene prestato il servizio. L’impresa del paese d’origine è quindi soggetta a tali disposizioni. Per comprendere meglio il funzionamento dei diversi sistemi nazionali, è stato istituito un meccanismo di scambio d’informazioni (punti di collegamento e siti internet) fra gli Stati membri. Tanto i deputati quanto gli esperti invitati all’audizione si sono trovati d’accordo: vi sono troppe zone d’ombra nella direttiva. Cosa significa, concretamente, la nozione di salario minimo? E quella di contratto collettivo? Come regolare la questione dei lavoratori autonomi? I regimi sono differenti in tutti gli Stati e l’informazione rimane spesso di non facile accesso per le imprese. Secondo Catelene Passchier della Confederazione europea dei sindacati (CES), occorre migliorare diversi punti, ma anche fare attenzione: il meglio è nemico del bene, non bisogna toccare le basi della direttiva, che sono buone. Questo punto di vista ha riscosso il consenso della maggior parte degli intervenuti, fra cui Agnès Thibault dell’UEAPME (Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese) e Theresa de Liedekerke dell’UNICE (Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro). Emendare la direttiva o rifarla completamente? Per la deputata socialista belga Anne Van Lancker, la questione resta aperta. La Commissione europea dovrebbe comunque accelerare la preparazione della relazione sull’applicazione della direttiva, che si fa attendere da troppo tempo. Bisogna fare in fretta, vi sono troppi abusi, ha dichiarato la deputata, tanto più che dal 1° maggio prossimo i mercati del lavoro di svariati vecchi Stati membri si apriranno maggiormente agli Stati che hanno aderito all’UE nel 2004. Alejandro CERCAS, socialista spagnolo, ha attaccato le lacune della direttiva che permettono, a suo avviso, di “mettere in liquidazione le condizioni sociali” aggiungendo che: “non vogliamo un sistema selvaggio di distacco”. Il rappresentante della Commissione europea, vivamente criticato, si è impegnato a presentare , in breve tempo, al Parlamento la sua relazione d’analisi . RIF.: 20060131STO04864 (Fonte:Parlamento europeo)