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Merate: la ''Catturandi'' sale in cattedra per gli studenti delle superiori.
L’agente IMD parla di mafia, di antimafia e di dovere
Merate
Nome in codice IMD. Alle spalle 19 anni di intercettazioni,
la cattura di 40 pericolosi latitanti del calibro di Bernardo
Provenzano, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, e un reddito
annuo da 35mila euro. Roba da far accapponare la pelle.
Ma succede ed è la verità. Questa mattina nell'auditorium
di Via dei Lodovichi a Merate, oltre 200 studenti di Viganò
e Agnesi accompagnati dai professori hanno potuto vivere
una mattinata davvero speciale, probabilmente unica, che
rimarrà stampata nelle loro menti e che, si spera, potrà
significare per loro la consapevolezza che volontà,
impegno, passione e senso di responsabilità sono gli
ingredienti unici per costruire un uomo e regalare a chi
verrà
un
mondo
pulito.
In cattedra, grazie al coinvolgimento dell'Arci provinciale,
è salito un poliziotto della Squadra catturandi di Palermo,
portavoce di quella Sicilia che ha dato i natali alla mafia
ma anche all'antimafia, autore di due libri sulla sua vita da
"sbirro" e testimone di un cambiamento culturale in atto
negli ultimi anni, partito dal basso e che "sarà davvero la
salvezza
di
questa
terra".
Alto, robusto, vestito in giacca scura e camicia bianca,
assolutamente off limits a qualunque tipo di fotografia o
ripresa, il cui nome è rimasto celato nel perfetto
anonimato, IMD ha raccolto l'attenzione della folta platea di studenti che, a fine conferenza sono stati un
fiume
di
domande
e
di
riflessioni.
L'incontro è iniziato con la visione di alcuni brevi spezzoni di un film sulla cattura dei boss Lo Piccolo con la
testimonianza dei poliziotti che hanno preso parte all'operazione. Un racconto che IMD ha vissuto in prima
persona e che è stato proprio il punto di partenza dei suoi libri: 100% sbirro e Catturandi. Una sorta di diari
per raccontare la vita dello sbirro ma anche per parlare di una Sicilia pian piano diversa.
"Abbiamo capito che qualcosa stava cambiando quando sotto la Questura, i giorni in cui
catturavamo i boss non si presentavano più i parenti a inveire contro noi poliziotti ma giovani,
cittadini, aderenti ad associazioni ed istituzioni che applaudivano la Polizia e si congratulavano della
cattura dei latitanti, sbeffeggiando i boss fino ad allora intoccabili" ha raccontato IMD. Uno status che
passava dalla richiesta di favori e favoritismi, fino agli omicidi per futili sgarri o invasioni di territorio. "Un
anno in Sicilia ci fu un black out di due giorni. Una situazione disastrosa che paralizzò addirittura gli
ospedali, costretti a chiedere aiuto ai vigili del fuoco con gruppi elettrogeni temporanei per poter
continuare a operare e salvare vite umane. In una intercettazione di quei giorni, captammo la
conversazione tra un boss e un tecnico della società elettrica. Il primo chiamava Fabio (il tecnico,
ndr) e gli diceva che era senza corrente e che gli si stavano scongelando i cibi. Allora l'operaio,
subito, lo rassicurava dicendo che con la scusa di prestare aiuto ad un bar lì vicino avrebbe mandato
immediatamente qualcuno. La mafia è anche questo: non è solo violenza e omicidi, ma anche
sfruttamento, opportunismo, consapevolezza che a fronte di un favore oggi se ne otterrà un altro
domani".
Comunicazione ed educazione.
Due cardini imprescindibili nel
percorso di crescita del rampollo
mafioso.
"La
comunicazione
è
l'elemento fondamentale della
mafia, che si impara fin da
piccoli. Con le parole o con i
pizzini si dice e si decide tutto:
della vita e della morte.
Quando arrestammo Franzese,
Salvatore Lo Piccolo inviò alla vedova una busta con una lettera di cordoglio e 5mila euro. Quel
messaggio poteva esprimere dolore, ad una prima superficiale lettura. In realtà era ben altro: Lo
Piccolo stava dicendo alla donna e, indirettamente a suo marito, che il suo clan l'avrebbe aiutata ma
attenzione perché ben lui ben conosceva dove abitava. Dunque niente scherzi. Provenzano copiava
dalla Bibbia e poi inviava i suoi pizzini. Nessun messaggio nascosto: in realtà non sapeva scrivere e
per darsi carisma e importanza si limitava a copiare. Vito Palazzolo designò Lo Piccolo come suo
successore, senza fare proclami o annunci. Ma semplicemente passeggiando con lui a braccetto in
centro città".
Un percorso che, come dicevamo, la famiglia mafiosa inizia fin da quando i futuri boss sono bambini. "Vitale
abituò suo figlio fin da piccolo all'odore e al sapore del sangue. Un giorno lo portò nella stalla dove
avevano gli animali. Lo fece entrare nel box di un puledro e lì uccise la bestia con un colpo di pistola
alla testa. Il sangue ricoprì il bambino, ma quello era una sorta di battesimo. Infatti il figlio di Vitale a
14 anni aveva il primato di essere il primo arrestato d'Europa con le accuse di omicidio e collusione
mafiosa. A 16 anni Sandro Lo Piccolo iniziò a passare al setaccio il quartiere Zen di Palermo, una
zona franca per tutti. Lo Piccolo aveva deciso di impadronirsi del traffico di droga. Prese una 357
magnum e in sella ad una moto iniziò a girare per le strade. Appena incontrava uno spacciatore gli
puntava l'arma e lo freddava senza paura davanti a tutti. In poco tempo diventò il terrore del
quartiere. Ora su di lui pendono 16 ergastoli, vive in regime di 41 bis, in una gabbia di due metri per
due. Per sempre. Perché cosa nostra è sete di potere e di soldi per sé e per la propria famiglia. Ma
poi non è niente di bello". Una società a parte e diversa, senza moralità, dove la vita non ha valore, che
prospera se lo Stato è assente o colluso. "Anche da voi c'è la mafia. Almeno da 15 anni. Ma chi doveva
non se n'è accorto o non ha voluto vedere. E il fiorire di alberghi, ristorante, sale gioco, multisala ne
sono una testimonianza. Perché qui avviene il riciclaggio dei soldi". Ma se IMD non crede nella
possibilità di recupero di soggetti in carcere a vita, ha confessato di essere invece fermamente convinto che
"è solo estirpando le mele marce si combatte la corruzione. Un mese fa mi sono caduti in testa
318mila euro e 3 pistole che un latitante aveva gettato dal balcone durante la fuga. Sì, potevo
fermarmi, raccogliere quei soldi e dire: beh, al massimo mi scopriranno tra qualche anno. Io
guadagno 35mila euro e quei soldi avrebbero significato il lavoro di una buona fetta di carriera. Ma
no, non è così che funziona e deve funzionare. Sono assolutamente appagato di tutto quello che ho
fatto e che faccio tutt'ora. E spero in un futuro dove i problemi ci saranno ma le vostre generazioni li
avranno tramutati in altro, sconfiggendo quello che oggi io e i miei colleghi combattiamo".
Al termine dell'incontro i ragazzi non si sono fatti pregare e a ruota hanno posto a IMD domande sul rapporto
Stato-mafia, Stato-forze di polizia, lotta di oggi-lotta di domani. A interrompere il loro flusso solo il suono
della campanella.
Saba Viscardi