La seconda rivoluzione industriale

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• L’Inghilterra, che si era industrializzata per prima, rimase per tutto il XIX secolo il principale paese nel commercio internazionale. Dal 1870 in poi, però, l’industria inglese rimase quasi ferma allo stato di lavorazioni della prima rivoluzione industriale.
• Vi erano stati altri periodi di prosperità industriale, come in Italia e nelle Fiandre nel Medioevo, ma ogni volta il progresso economico era alla fine indietreggiato, poiché
erano mancati i miglioramenti qualitativi e non era migliorata la produttività di base dell’economia. • La rivoluzione industriale inaugurò invece un’avanzata auto propulsiva della tecnica, che non si è più esaurita e che ha cominciato ad avvertirsi in tutti i settori della vita economica.
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• Alla fine del XIX secolo il declino dei settori che si erano industrializzati per primi fu compensato dall’avvento di nuove industrie, basato essenzialmente sugli imponenti progressi della chimica e dell’elettricità e su una fonte di energia nuova: il motore a combustione interna. Queste innovazioni vengono di solito sintetizzate nell’espressione di “seconda rivoluzione industriale”.
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• Nei decenni finali dell’Ottocento si esaurirono gradualmente le possibilità
tecniche della macchina a vapore e si crearono così motori ad espansione triplice o quadruplice.
• L’espansione multipla si impose alla metà del secolo, quando si adottò per le navi, sulle quali gli impianti motori erano più grandi che a terra e l’economia di combustibile era di importanza cruciale, se non altro perché
lo spazio occupato dal carbone era sottratto a quello per il carico.
• Il principio del motore a combustione interna è quello di un’esplosione forzata: la rapida espansione dei gas in uno spazio limitato, come un cilindro, spinge un oggetto, generalmente un pistone, nella direzione voluta. La forma più antica ed elementare di macchina a combustione interna è il cannone.
• La prima applicazione pratica utile di combustione interna è quella del motore, il cui primo esemplare, mosso da una miscela di gas e aria, fu concepito nel 1859, ma consumava troppo gas per essere commercialmente competitivo.
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Nel 1876 il motore a combustione interna cominciò poi ad avere utilizzazione pratica e offriva vantaggi importanti: era più pulito di quello a vapore, permetteva un’alimentazione automatica, senza la necessità costante di un fuochista che rifornisse la macchina e soprattutto aveva un rendimento maggiore, cioè a parità
di energia consumata, forniva un’energia superiore.
Il punto più debole della macchina a gas era però l’immobilità: la macchina era legata alla sua fonte di rifornimento, linea di alimentazione o forno che fosse. Per la maggior parte degli usi industriali questo non era un ostacolo grave, ma rendeva il gas meno adatto come fonte di forza motrice nei trasporti, dato che non era possibile mettere il gas in bombole di piccole dimensioni. La soluzione fu trovata con i combustibili liquidi, in primo luogo il petrolio e i suoi derivati. Queste sostanze bruciavano come il gas e producevano circa il doppio di lavoro rispetto al carbone. Questo era particolarmente importante in mare, dove lo spazio e l’economia del carburante erano indispensabili. Tra l’altro era necessario eliminare i fuochisti che costituivano più della metà
dell’equipaggio, erano difficili da trovare e richiedevano cifre molto alte per lavorare.
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• Il petrolio aveva però problemi di costo, da 4 a 12 volte superiore a quello del carbone nell’Inghilterra del 1900. Tuttavia il prezzo dei prodotti del petrolio diminuì con l’apertura di nuove fonti di rifornimento e il perfezionamento da parte dell’industria dei metodi di raffinazione e delle tecniche di distribuzione. • Nel 1903 l’Inghilterra cominciò quindi ad utilizzare il petrolio nelle navi
operanti in acque vicine alle fonti di petrolio, particolarmente in Estremo Oriente, e nel decennio successivo costruì una rete mondiale di depositi che permise a tutta la flotta di usare combustibile liquido.
• Più lenta fu la diffusione del petrolio per usi terrestri, anche se una parte delle ferrovie inglesi e talune imprese industriali situate sul Tamigi lo sperimentarono, abbandonandolo soltanto quando l’aumento di prezzo lo rese troppo costoso rispetto al carbone. • L’applicazione più importante del motore a combustione interna si ebbe però nell’automobile, che dai primi anni del Novecento cominciò a diffondersi per diventare già negli anni Venti un bene di massa negli Stati Uniti.
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• L’importanza dell’elettricità sta nella combinazione unica di due caratteristiche: trasmissibilità e flessibilità, cioè con l’elettricità si può spostare energia attraverso lo spazio senza perdite notevoli e l’elettricità può essere convertita facilmente in altre forme di energia: calore, luce e movimento.
• La corrente elettrica può essere usata nella quantità
necessaria, pagando ciò che si consuma. Da queste caratteristiche emergono due conseguenze principali: ‐ l’elettricità liberò i macchinari dalla necessità di essere ubicati in un determinato luogo;
‐ l’elettricità rese l’energia onnipresente, mettendola alla portata di tutti.
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• All’inizio dell’Ottocento l’elettricità era poco più di una curiosità
scientifica. Grazie a diverse ricerche ed esperimenti, tuttavia, essa divenne una forma di energia dapprima utile per le comunicazioni
(telegrafo) e poi nell’illuminazione.
• L’invenzione più importante fu quella della lampada a filamento incandescente, nella varietà ad alta resistenza di Edison. Per la prima volta l’elettricità forniva qualcosa di utile non solo all’industria e al commercio ma ad ogni famiglia. • Da questo derivò uno sviluppo fondamentale, consistente nella produzione centralizzata anziché locale dell’energia: nei primi tempi, cioè, ciascuna fabbrica o ciascun paese avevano un generatore di energia. Oggi ognuno prende energia da una fonte centralizzata che ha tante ramificazioni. Prima dell’elettrificazione delle case, nessuna delle applicazioni precedenti aveva richiesto grandi quantità di energia ed ogni impresa poteva quindi generare con profitto l’energia che le occorreva. La seconda rivoluzione industriale
• La prima centrale elettrica pubblica dell’Europa fu creata a Gadalming in Inghilterra dai fratelli Siemens nel 1881. Nel quindicennio successivo altre ne sorsero in tutta l’Europa occidentale. • Ci si rese conto ben presto che si potevano ottenere grandi risparmi se l’impianto generatore dell’energia era situato vicino alla fonte e se tutta la corrente veniva emanata da quel posto. • La prima grande centrale di questo genere fu quella costruita nel 1887‐89 dalla Ferranti a Deptfor, sul Tamigi, per rifornire Londra a 10.000 volt. Nel frattempo esperimenti condotti nell’Europa continentale, dove c’era un forte incentivo ad utilizzare energia idroelettrica, dimostravano la possibilità di trasmettere l’energia per distanze anche maggiori. • Nel 1885 a Parigi fu inviata energia a un generatore ubicato a 56 km di distanza.
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• Se la causa decisiva della produzione di energia su vasta scala fu l’illuminazione elettrica, essa fu ben presto superata da altre applicazioni, più pesanti, della nuova fonte di energia. La prima di queste fu la trazione.
• Nel 1879 Siemens presentò la prima ferrovia elettrica all’Esposizione industriale di Berlino. In pochi anni la trazione elettrica divenne la regola nelle tranvie e nelle linee sotterranee, e fu introdotta con successo nelle ferrovie. • L’elettricità trasformò la fabbrica. Si potevano infatti eliminare le numerose cinghie di trasmissione.
• Dopo la seconda guerra mondiale, si ebbero i maggiori effetti sociali dell’elettricità e le maggiori richieste di potenza per l’utilizzo del frigorifero, della stufa elettrica, della lavatrice. In precedenza ci si accontentava di molta meno potenza, poiché la luce elettrica, il grammofono e la radio (unici strumenti elettrici) consumavano poco.
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• La manifattura chimica, che consiste nella trasformazione di materia per uso produttivo, è la più multiforme delle industrie. • Sono rami della chimica applicata la metallurgia, la vetreria e la fabbricazione della carta, e così pure la manifattura del cemento e della gomma e la ceramica.
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• I due più importanti progressi della seconda metà dell’Ottocento furono il metodo Solvay per la fabbricazione del carbonato di sodio (soda) e la sintesi di composti organici.
• Ernest Solvay (1838‐1922), belga, aveva ereditato dalla sua famiglia l’interesse per la manifattura chimica. Il padre era un raffinatore di sale, mentre uno zio dirigeva uno stabilimento per la raffinazione di gas, presso il quale fece le prime osservazioni per la fabbricazione della soda e a 25 anni fondò con aiuti esterni la ditta che porta il suo nome e che rimane tuttora uno dei giganti dell’industria chimica mondiale. • In un decennio il processo Solvay per la fabbricazione della soda superò quello Leblanc, la cui tecnica aveva rappresentato una sorta di offesa per il chimico e per il fabbricante: le esalazioni infatti avvelenavano la campagna nei dintorni di ogni fabbrica e il cloruro contenuto nella soda andava perduto per l’industria.
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• Un altro elemento importante fu l’acido solforico, alla base della produzione di numerosi altri prodotti organici, come il solfato di sodio, nella fabbricazione di concimi, di fosfati, nella raffinazione del petrolio, nella produzione di esplosivi, di coloranti e di altre branche della chimica organica.
• Tutta una vasta gamma di prodotti derivava dalla cellulosa. Vennero prima gli esplosivi in nitrocellulosa (fulmicotone), seguiti dalle vernici, dalle lastre e pellicole fotografiche, dalla celluloide e dalle fibre artificiali.
• Nel 1909 Baekeland brevettò la prima resina sintetica, da cui deriva la plastica. Per la plastica, un primo passo fu realizzato con la celluloide, ottenuta nel 1869 per sostituire l’avorio nella produzione di palle da biliardo. La speciale malleabilità del materiale ne consentì una rapida applicazione a un’industria allora agli inizi: quella del cinema e della fotografia. Aveva però un’elevata infiammabilità. • La prima vera materia plastica fu però la bachelite, ottenuta nel 1906 dal belga Baekeland, largamente impiegata come isolante elettrico.